Le città non possono morire

Press Meeting

“Il tema di questo nostro incontro è idealmente legato a un grande uomo che fu sindaco di Firenze: Giorgio La Pira”. Esordisce così Andrea Simoncini, moderatore dell’incontro che si è svolto questo pomeriggio alle ore 15 in Auditorium. Presenti al tavolo dei relatori: Moncef Ben Moussa, Direttore del Museo del Bardo; Staffan De Mistura, Inviato speciale del Segretario Generale ONU per la Siria; Gultan Kisanak, Sindaco di Diyarbakir e il suo collega di Firenze Dario Nardella. In video collegamento interviene Giusi Nicolini, Sindaco di Lampedusa.

Il tema sembra essere insolito ma Simoncini spiega subito la natura dell’incontro pensato per questa 37ma edizione del Meeting: “Nel 1955, in piena guerra fredda, Giorgio la Pira organizzò un convegno dei sindaci delle capitali di tutto il mondo perché desiderava porre le basi del dialogo a partire dai luoghi dove l’uomo vive, ama e pensa”. Giorgio La Pira era preoccupato della bomba atomica come strumento di morte e distruzione, ora noi ci confrontiamo con altrettanti strumenti di morte e terrore. Come affrontare tale sfida?

Ben Moussa, in un italiano scandito lentamente ma con grande proprietà e chiarezza, esordisce: “La vera bomba da temere è l’ignoranza, l’ignoranza della storia e del suo ruolo nella costruzione della personalità dell’uomo”. Alla base di ogni città, osserva il direttore del Museo del Bardo, c’è un fatto culturale “e se oggi alcune città sono minacciate e ferite è perché la nostra civiltà è stata ‘fragilizzata’, allontanata da questa cultura, dando luogo a un pensiero già condannato nel XX secolo: l’estremismo”. I luoghi umani e le città infatti sono sempre stati luoghi di incontro tra culture, in essi “si esprime nel modo migliore la pluralità della nostra civiltà moderna. Le città decadono quando decadono le loro anime, quando non progrediscono i movimenti dei popoli”. “Ritengo – aggiunge Ben Moussa – che la guerra contro il pericolo che minaccia l’umanità, l’estremismo, non la stanno conducendo alcuni paesi, ma l’umanità intera; paradossalmente combatte con la speranza di difendere le città”. L’intellettuale conclude l’intervento nominando e ringraziando “Torino, Assisi, Firenze, Sestri Levante e Lampedusa, impegnate in una grande battaglia. Stanno facendo una guerra a favore dello sviluppo umano, per favorire l’integrazione. E per questo le ringrazio”.

“È importante conoscerci e creare un futuro migliore per tutti noi” prosegue il coraggioso sindaco di Diyarbakir. La città curda nell’interno della Turchia è situata a pochi chilometri da un centro profughi che ospita un numero di persone pari al doppio di quelle che potrebbe ospitare l’Italia. “Sono qui da due giorni per questo. Le città di cui vi parlerò sono ancora in vita, sono qui presenti e si devono preparare per il futuro”. Sinjar, Kobane, Sirnak e Diyarbakir sono le quattro città a tema nell’intervento del sindaco curdo. “Gli yazidi curdi si trovano di fronte ad un vero genocidio, quello che hanno subito è stato un attacco contro tutte le persone, quello che hanno vissuto le loro donne è un attacco a tutte le donne. Noi abbiamo aperto le nostre porte agli yazidi, abbiamo cercato di trovare delle soluzioni, abbiamo creato un campo di accoglienza in un territorio che appartiene al nostro comune”.

“A Kobane, trecentotrentamila persone sono fuggite – continua Kisanak – noi abbiamo deciso di aprire le nostre porte, di invitarle alla nostra tavola. Nel 2014 in Iraq e in Siria si sono moltiplicati gli attacchi terroristici, quarantamila persone hanno dovuto abbandonare le loro case e noi abbiamo aperto le nostre”. La coraggiosa donna curda conclude l’intervento con un cenno di speranza: “Le città sono bersaglio di guerra, per tutti coloro che non accettano il pluralismo; noi desideriamo che ci sia una struttura plurale che accolga tutte le religioni, vogliamo iniziare questo processo, non abbiamo perso la speranza e vogliamo mobilitarci contro il non pluralismo, vogliamo essere città libere per vivere in armonia insieme. Le città sono amiche, noi abbiamo visto che è possibile”.

Giusi Nicolini, che Papa Francesco nel suo storico primo viaggio da pontefice, ha voluto come unico rappresentante delle istituzioni, fa un breve ma intenso intervento. La sindaca mette in luce la forza di solidarietà dell’isola (che fino ad ora ha tratto in salvo 250mila persone), sottolinea la necessità di una responsabilità condivisa, come è accaduto a Lampedusa, vero modello di impegno per il bene comune. Nessuna città “muore di immigrazione”. Un’evidenza, quella che emerge dall’intervento di Nicolini, che suona come una chiamata a tutte le parti in gioco a prendersi le proprie responsabilità.

“Sono venuto non solo per spiegare cosa faccio ma anche per respirare il clima che c’è al Meeting e per questo vi ringrazio” inizia così il suo intervento Staffan de Mistura tra gli applausi “molte delle città in cui ho lavorato hanno rischiato di morire, ma sono state più forti di quel momento che sembrava distruggerle”, racconta l’ambasciatore. “A Dubrovnik ci fu un lunghissimo assedio, ci siamo lavati con la birra, non c’era acqua. Dopo i bombardamenti, durati nove ore, la città era tutta fumante ma dopo quattro ore i musicisti sopravvissuti sono usciti in piazza a suonare i loro strumenti. Era come dire: potete bombardarci ma non distruggerete la nostra storia e cultura”. L’ambasciatore racconta che in questi giorni durante una riunione che ha coinvolto 28 paesi ha proposto una tregua altrimenti impossibile per far passare aiuti umanitari ad Aleppo: “È importante far partire i convogli umanitari durante le prime 48 ore della settimana. Le tregue oltre a salvare vite possono rompere la spirale di violenza che si è innescata – prosegue de Mistura – le città sono un po’ come le nostre vite, abbiamo bisogno di sentire la fiducia degli altri, abbiamo bisogno di non sentirci un caso impossibile. Le città assediate e in guerra non devono avere la sensazione di essere un caso disperato e impossibile, di sentire la fiducia degli altri”. Termina l’inviato speciale Onu: “Un vecchio motto che ho sempre seguito mi aiuta a superare i momenti inevitabili di frustrazione: hai provato, hai provato duramente, ci hai provato a fare qualcosa, a fare la differenza e hai fallito? Bene, riprova di nuovo e fallisci meglio e fallisci ancora e riprova ancora e non mollare’. È quello che sento e di cui abbiamo bisogno”.

Il sindaco di Firenze mostra il suggestivo video di ‘Unity in diversity’ svoltosi a Firenze lo scorso novembre e sfodera una proposta: Realizziamo un tavolo di lavoro permanente che si sviluppi ogni anno durante il Meeting, fermo restando il lavoro che può fare nel periodo restante ciascuno per la propria parte. Questo tavolo di lavoro raccoglie i sindaci delle città che aderiscono ai valori, agli obiettivi e ai metodi proposti. Diventa un forum permanente del Meeting dove i sindaci dialogano con intellettuali, scienziati, esperti di politiche e istituzioni internazionali, banche, uomini di religione”. Nardella pensa a un luogo di confronto e dialogo e un laboratorio di idee e progetti dal quale ogni anno possono scaturire proposte innovative. “Sarebbe un salto di qualità culturale e politico sia del Meeting che della comunità internazionale dei sindaci. Lo chiamerei Forum dei sindaci per il bene comune. Oppure il Global Mayors Forum del Meeting”.

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