Lambiasi al Meeting: «Non servono cristiani da salotto, ma discepoli innamorati di Cristo. A questa conversione siamo chiamati»

Sofia Bronzetti

IL VESCOVO DI RIMINI HA CELEBRATO LA MESSA INAUGURALE DEL MEETING

 

Rimini, 18 agosto – «Parole di fuoco, taglienti come spada a doppio filo, violente come vento d’uragano»: così S. Ecc. Mons. Francesco Lambiasi, vescovo di Rimini, ha interpretato, con la consueta paternità, il Vangelo odierno nell’omelia durante la Santa Messa inaugurale della XL edizione del Meeting per l’amicizia fra i popoli. Con il vescovo, hanno presieduto la celebrazione monsignor Paolo Pezzi, arcivescovo dell’arcidiocesi della Madre di Dio a Mosca, monsignor Ivan Jurkovič, osservatore permanente della Santa Sede alle Nazioni Unite a Ginevra, don Roberto Battaglia, assistente ecclesiastico diocesano della Fraternità di Comunione e liberazione di Rimini, e don Stefano Alberto, docente di Teologia all’Università Cattolica di Milano. La liturgia è stata, come sempre, espressione dell’orizzonte del Meeting, con preghiere in varie lingue e canti di diverse tradizioni, eseguiti da due cori: quello di Comunione e liberazione di Rimini diretto da Anastasia Gemmani e il Coro internazionale San Nicola diretto da GuyaValmaggi.

Il passo lucano, ha sottolineato Lambiasi, «dà largo spazio a quei tratti della storia o del messaggio di Gesù che suonano talmente scomodi e radicali da sembrare duri, ruvidi, perfino crudeli». Esso descrive la storia di ogni profeta: venuto a portare luce e pace, Gesù è costretto a scontrarsi con l’ostilità di scribi e farisei, che vedono nel suo messaggio ‘rivoluzionario’ una minaccia per il ‘sistema’, da essi ritenuto intangibile. Egli si ritrova, perciò, sempre più incompreso e rifiutato, fino a subire, quale vero segno di contraddizione, una persecuzione sempre più feroce.

Nella pagina evangelica, due immagini risaltano a tradurre il mistero della Pasqua che attende Cristo: «Il battesimo sta a dire che Gesù brucia dal desiderio di immergersi ‘fino al collo’ nelle acque del dolore e della morte, per esprimere l’amore del Padre verso l’umanità peccatrice. Ma anche il fuoco richiama l’amore di Dio per l’umanità peccatrice, indica la Croce come il nuovo roveto ardente». Esse evocano, così, la Pentecoste, secondo la profezia del Battista: “Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco” (Lc 3,17). Ma rappresentano anche il compimento di un’affermazione, attribuita a Gesù sebbene non riportata in nessun vangelo canonico: “Chi è vicino a me, è vicino al fuoco”.

«Ma più che ammirazione», ha sottolineato il vescovo, «Gesù esige da noi conversione e ferma decisione». E come per i discepoli, anche oggi il metro per misurare la fedeltà alla ‘causa’ del Maestro è la radicalità: «“D’ora innanzi, se in una famiglia vi sono cinque persone, saranno divisi tre contro due e due contro tre”. Gesù non parla un linguaggio politically correct: non è venuto a portare la pace, ma la spada. O con lui o contro di lui. Non si può fare fifty-fifty: la ‘divisione’ portata da Gesù ribalta equilibri, smaschera compromessi, provoca lacerazioni, scatena conflitti, produce divisioni. Perfino all’interno dei rapporti familiari. La parola del vangelo è “tagliente come una spada”: mette a nudo le pieghe intime del cuore, e insieme denuncia le storture della società. È un fuoco divorante che brucia meschinità volgari e incresciose mediocrità».

Questo fuoco, acceso nella nostra vita il giorno del battesimo, ha però bisogno di essere costantemente alimentato. «Per molti cristiani», ha osservato invece Lambiasi, «la fede rimane sotterrata, sterile, impercettibile. Non illumina una vita. Non alimenta una testimonianza. Non accende una passione. Non genera una gioia». Ma sempre più numerosi sono anche i cristiani «stanchi di un cristianesimo annacquato, doveristico, abitudinario. Essi sono convinti che con la fede non si può andare in automatico. Sognano di poter fare una esperienza viva di Gesù, nella sua Chiesa. Una esperienza di santità: parola che non li spaventa, ma li affascina».

È da questo ardente desiderio che – secondo il vescovo – sorge la speranza e già la presenza di una stagione di risveglio: «Oggi il mondo non ha bisogno di cristiani affetti da ‘balconite’ acuta o sdraiati in una pigra ‘divanite’. Ma di discepoli innamorati di Gesù, contagiati dalla sua stessa angoscia: che si compia anche per loro il battesimo del Maestro. Quello di una ardente passione d’amore. Un amore che accetta anche la morte. Perché ne venga la vita per molti».

 

 

(V.C.-P.G.)

 

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