LA VITA: ESIGENZA DI FELICITÀ La testimonianza di Izzledin Abuelaish medico palestinese

Press Meeting

“Restiamo umani. Quello che desidero è un mondo pieno di umanità”. È l’appello di Izzledin Abuelaish, ginecologo ostetrico palestinese, che al pubblico del Meeting ha raccontato la storia drammatica della sua vita, segnata dalla morte in pochi mesi della moglie e di tre figlie e una nipote, uccise nel 2009 da un carro armato israeliano. Grazie alla fede in Dio, rimarcata per tre volte durante l’incontro, e alla sua esperienza, Izzledin ha scelto di non odiare e di essere portavoce nel mondo di un messaggio di pace e speranza, rivolto soprattutto a israeliani e palestinesi. L’incontro-testimonianza dal titolo: “La vita: esigenza di felicità”, si è svolto alle 15.00 in sala A3 ed è stato introdotto da Robi Ronza, giornalista e scrittore. Dal 2009 Abuelaish vive in Canada dove insegna medicina generale all’Università di Toronto. Dopo la morte delle figlie ha creato la fondazione Daughters for life, che aiuta le donne palestinesi a studiare e ad emanciparsi. Il medico è autore del best seller “Io non odierò” libro autobiografico tradotto in 17 lingue, fra cui arabo ed ebraico.
“Io non ho mai accettato la miseria della vita – ha sottolineato – quello che ognuno di noi si deve domandare è: siamo nati per il conflitto o per vivere e dare nuova vita?”. È questo desiderio di felicità, che ha permesso ad Abuelaish fin da adolescente di non cedere all’odio e a chi tenta di fomentare il conflitto fra israeliani e palestinesi. È questa speranza che lo ha portato a curare la sterilità, “perché ogni volta che nasce un bambino io sono felice”.
Nato nel 1966 nel campo profughi di Jabalia (Gaza), durante l’occupazione israeliana, il professore è costretto fin da bambino a lavorare per aiutare la sua famiglia. Dopo alcuni anni viene assunto per un periodo in una cooperativa agricola israeliana al di là della Striscia di Gaza. Qui inizia un rapporto di amicizia con i suoi responsabili ebrei. Un giorno mentre è al lavoro scopre che la sua casa è stata distrutta dai militari israeliani, che avevano aperto un passaggio per i carri armati. Il dolore è grande, ma memore dell’amicizia sorta con gli israeliani non cede all’odio e grazie ai soldi guadagnati si iscrive alla facoltà di Medicina dell’Università del Cairo e diventa ginecologo ostetrico. Ritornato in patria, dopo vari corsi di formazione negli Stati Uniti e in Gran Bretagna, diventa il primo medico palestinese ad esercitare la professione sia a Gaza sia in territorio israeliano, affrontando ogni giorno l’umiliante trafila ai check-point militari sul confine.
“La medicina – ha dichiarato – rende umano qualsiasi uomo”. In poco tempo la sua fama di medico e di uomo si diffonde su entrambi i fronti, ma ancora una volta Izzledin è chiamato ad affrontare un altro dolore. “Il 16 è il numero che ha segnato in modo indelebile la mia vita” ha raccontato commosso il medico. Il 16 gennaio 2008 la moglie muore per una grave malattia lasciandolo solo con sei figli. Bisan, la figlia più grande assume il ruolo di madre. Durante l’Operazione piombo fuso il 16 gennaio 2009, un carro armato distrugge con una granata il suo appartamento nel campo di Jabalia, uccidendo tre delle sue figlie, fra cui Bisan, e una nipote. Un’altra figlia rimane gravemente ferita. Mentre il blindato spara, Izzledin è al telefono con una televisione israeliana per un’intervista, che trasmette in diretta tutto il resoconto della tragedia, scandalizzando l’opinione pubblica. Ciò spinge l’allora premier israeliano Olmert a dichiarare un cessate fuoco su entrambi i fronti.
“La gente – ha affermato – si attendeva da me un sentimento di odio. Ma l’odio è un veleno, un’arma che distrugge le persone che ne sono portatrici. Non perdete tempo ad odiare. Arrabbiatevi, ma chiedetevi cosa potete fare per cambiare le cose”. A testimoniare per prima la visione del padre, è la figlia Shata, 17 anni, che decide dopo quattro mesi in ospedale e la perdita di un occhio di tentare lo stesso gli esami di maturità. “Lei aveva sempre detto a me e a sua madre che voleva essere fra i dieci migliori studenti della Palestina – ha confessato Izzledin – ma dopo la tragedia ha ricominciato a studiare, come se non fosse accaduto nulla”. Poco prima di partire per il Canada sono arrivati i risultati: 96 su 100. Ora la ragazza studia informatica a Toronto. “Questo è il messaggio che mia figlia ha dato a chi invece preferisce l’odio”.
Davanti a una platea commossa e dopo diversi minuti di scroscianti applausi, Izzledin ha detto: “Sono venuto qui perché credo in voi. Agite. Nella vita ci sono sempre delle difficoltà, il passato è lì perché possiamo imparare, ma ciò che è più importante è vivere il presente e guardare al futuro, incarnato nel volto dei nostri figli”. “Nessuno – ha aggiunto – può cambiare il mondo da solo, ma un messaggio di pace parte da una piccola testimonianza come questa e se si agisce può diffondersi al mondo intero”.
La testimonianza di Izzledin ha dato molti frutti sia a Gaza che in Israele. Di recente una compagnia teatrale formata da israeliani e palestinesi ha tratto dal suo libro una commedia che verrà inscenata il prossimo 11 settembre in Israele.

(S.C.)
Rimini, 23 agosto 2012

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