La sanità che verrà: stesso fine, nuovi mezzi

Redazione Web

Rimini, martedì 18 agosto – «L’esperienza del Covid ha stravolto la vita a tutti, ha modificato radicalmente il
rapporto fra medico e paziente facendo cadere dei tabù quali la privacy consentendo di seguire e curare
migliaia di assistiti con la telemedicina. Lo scenario è cambiato, quale insegnamento possiamo trarre?».
Camillo Rossi, direttore sanitario aziendale ASST Spedali Civili Brescia, ha introdotto così gli ospiti
dell’incontro dal titolo “La sanità che verrà: stesso fine, nuovi mezzi”.

Fernanda Bastiani, medico di Medicina Generale, segretario provinciale SIMG di Parma, ha risposto: «La
pandemia è un uragano che ha cambiato il nostro modo di lavorare: negli ospedali fra i colleghi è nato un
confronto, un aiuto e un entusiasmo. Il cambiamento del rapporto medico-paziente non è un imperativo
categorico, ma una necessità nata da una serie di circostanze. L’emergenza è stata una vicenda drammatica
dalla quale abbiamo imparato molto. Prima di tutto – ha proseguito – è emersa una condivisione e una
collaborazione sulle decisioni da prendere con tutti: medici, infermieri, sindaci, operatori. Poi abbiamo
imparato cose che non conoscevamo. Nell’autunno dello scorso anno l’OCSE collocava il nostro sistema
sanitario al secondo posto in Europa per qualità nelle prestazioni e per gli operatori; il problema è che
abbiamo operato in un contesto dove gli strumenti tecnologici per la sanità sono ancora carenti. Quindi da
oggi possiamo lavorare per migliorare la situazione».

Ne è convinto anche Giorgio Moretti, amministratore delegato di Dedalus, multinazionale leader in Europa,
uno dei principali player internazionali nel settore del software ospedaliero e diagnostico. «Siamo vicini ad
un cambiamento quantico che dobbiamo essere in grado di gestire. Non possiamo sostituire il medico con
le tecnologie, ma un incremento degli strumenti può migliorare il rapporto fra medico e paziente. Il Covid ci
ha dato un’opportunità, ci ha offerto una prova per introdurre nuove tecnologie nella sanità, come si è già
fatto decisamente in altri settori. Telemedicina e telediagnosi sono il punto di partenza. La pandemia è
stata affrontata in vari modi dai paesi europei: la Francia, per esempio, ha attuato grandi investimenti nelle
infrastrutture tecnologiche, un modello che anche il nostro paese dovrebbe adottare attraverso una
pianificazione dei modelli organizzativi in cui trovano un punto di accordo la comunità clinica e la comunità
sanitaria. Quello che occorre oggi non sono i finanziamenti, ma una volontà condivisa».

Marco Trivelli, direttore generale del Welfare di Regione Lombardia, ha una grande responsabilità
decisionale anche per le ricadute sulla popolazione dei provvedimenti adottati dal decisore pubblico. «Il
cambiamento quantico evidenziato si è manifestato fra marzo e aprile, quando la pandemia si è espressa in
tutta la sua virulenza. Nelle fasi successive è emersa tutta la vulnerabilità del sistema. Quindi la capacità di
curare e pensare al paziente, le competenze e la vocazione del medico non bastano. Occorre rimodulare le
nostre esigenze di cura, rendere la telediagnostica e il teleconsulto un fatto sistemico, oltre a incrementare
la cooperazione fra professionisti».

Sollecitati dal moderatore ad un impegno comune, i relatori hanno convenuto che i passi da fare siano la
condivisione delle conoscenze a livello di strumenti e mezzi per migliorare la cura e l’assistenza ai pazienti;
l’utilizzo sistematico a livello nazionale degli strumenti di terza generazione per la telemedicina e la
diagnosi in tempo reale delle patologie e del pregresso di ogni paziente; un approccio collaborativo nuovo
fra medici di medicina generale e i diversi ambiti clinici. «Oggi – ha concluso Rossi – si deve lavorare per

limitare l’esigenza di nuovi lockdown e l’isolamento dei pazienti, e per farlo abbiamo bisogno l’uno
dell’altro oltre che di fare tesoro del vissuto».

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