La politica internazionale dell’Italia dalle origini della Repubblica a oggi

Press Meeting

Michele Valensise, già Segretario Generale alla Farnesina, traccia la storia dell’Italia con la competenza di quarant’anni di carriera diplomatica

Proseguono gli appuntamenti nella sala Illumia che accompagnano la mostra “L’incontro con l’altro: genio della Repubblica. 1946 – 2016” allestita in C1. Massimo Bernardini, giornalista e conduttore televisivo, ha incontrato Michele Valensise, quarant’anni di carriera diplomatica alle spalle: il suo ultimo incarico è stato quello di Segretario Generale alla Farnesina. Adesso costruisce ponti in altro modo: è vice presidente esecutivo di Astaldi spa. “Vogliamo verificare – esordisce Bernardini – se lo stile del ‘Tu sei un bene per me’ è applicabile al mondo delle relazioni internazionali” e chiede all’ospite che stile ha usato la Repubblica italiana nei suoi primi settant’anni di vita.

“La politica esterna e quella interna della Repubblica sono state molto collegate – risponde Valensise – alla mostra ho guardato un video che riprende De Gasperi nel ’49, allora Presidente del Consiglio. Alla sottoscrizione del patto Nato, disse: ‘È il presupposto per mirare al traguardo dell’Unione Europea’. In seguito anche i socialisti e i comunisti approvarono il trattato che prima avevano osteggiato. Erano strategie a lungo termine, convenienti”. Per Valensise il legame tra politica interna ed estera è stata una costante nella storia della nostra Repubblica. Si rivolge al giornalista: “Posso prendermi qualche libertà? Erano scelte condivise tra il centrodestra e il centrosinistra. Poi è apparso il Movimento Cinque Stelle con idee non convergenti in politica estera. Staremo a vedere cosa succede”.

“La politica estera – prosegue il diplomatico – serve a tutelare l’interesse nazionale che supera l’alternanza di questo o quel Governo”. Deve garantire la stabilità della regione europea e mediterranea e la sua conseguente sicurezza, far sì che i nostri mercati siano aperti e competitivi, che le relazioni con gli altri paesi siano franche senza intenti nascosti, che i paesi in via di sviluppo emergano, che le comunità italiane nel mondo giochino un ruolo importante: “Non possiamo ricordarci di loro appena per le votazioni, sono la punta di diamante delle nostre tradizioni”.

La caduta del muro di Berlino ha spezzato in due la storia: “Prima della caduta, dopo la caduta. Due epoche con modi diversi di concepire la politica estera. Prima c’erano i blocchi russo e americano, la guerra fredda. Un equilibrio pericoloso eppure stabile. Cambia la posizione dell’Italia che aveva il ruolo certo di alleato affidabile”. Eravamo capaci di prendere decisioni forti: Valensise ricorda quando agli inizi degli anni Ottanta schierammo gli euromissili contro l’Unione sovietica, decisione poi seguita dalla Germania. O quando nell’82 andammo a Beirut ad aiutare la pace dopo il massacro di Sabra e Shatila.

“Sta nel tema del Meeting riconoscere le ragioni prevalenti dello rimanere insieme anziché divisi – prosegue il relatore – il destino dell’Italia è da vedere assieme al destino dei nostri partner europei: siamo portatori di una storia invidiabile, quella dell’integrazione tra i popoli. L’Inghilterra che si è staccata è stato un colpo: l’Europa ha perso una parte di sé. Ma gli Stati non possono organizzarsi in base al consenso”.

Nel 2017 l’Italia sarà presidente del G7, siederà all’Onu in Consiglio di Sicurezza. “Possiamo fare una politica estera lungimirante. Serve un governo stabile. ‘Tu sei un bene per me’ si può applicare a un paese come l’Italia pronto a difendere i propri interessi e a dialogare in un mondo dove c’è bisogno di dialogo”.

Rispondendo alla domanda di uno studente, se ha un episodio da raccontare della sua carriera di diplomatico, Valensise risponde: “Nel luglio del ’97 abitavo a Sarajevo. Il maestro Muti volle un concerto, invitando le parti in guerra e chiese a me di organizzarlo. Si svolse nel palazzetto dello sport e fu un successo, tanto che il maestro concesse un bis. Scelse il coro del Nabucco. Tutta la platea, fatta di tagliagole di diverse etnie, si alzò a cantarlo, in italiano. Guarda, non era facile stare nei Balcani, non sapevamo molto di loro. Gli ex bosniaci, invece, e gli abitanti di Sarajevo in particolare, sapevano tutto di noi, tutto. E questo conferma che l’incontro con l’altro è davvero il genio della nostra Repubblica”.

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