“La mia casa sei tu”

Press Meeting

“Se possibile, un certo genere di libri moderni che non presentano altro che dati statistici, andrebbero distrutti con la dinamite di Dickens”. Annalisa Teggi, saggista, traduttrice e protagonista al Meeting 2013 in quanto curatrice della mostra Il cielo in una stanza ha introdotto proprio con un giudizio di Chesterton l’incontro La mia casa sei tu oggi, in sala D3 alle 11.15. Il pubblico cha affollava la sala ha ascoltato con grande attenzione i relatori Alison Milbank, professore associato di letteratura e teologia all’Università di Nottingham e Edoardo Rialti, docente di Letteratura comparata in Italia e in Canada e curatore della stessa mostra su Chesterton.
La professoressa Milbank per prima ha introdotto il pubblico al complesso e ricco sistema di personaggi che la vastissima produzione di Dickens offre. Parte dalla biografia dell’autore per soffermarsi su un triste episodio della sua vita. Dodicenne, Dickens ha dovuto abbandonare la scuola per lavorare in una lercia fabbrica e compiere un lavoro umile e ripetitivo, insieme a molti altri ragazzi che prima di quel momento non aveva mai frequentato, anche per livello sociale. Lì ha vissuto l’esperienza del vero disagio e dell’unica possibilità di riscattarlo: un rapporto personale. “Se c’è qualcosa che manca in Dickens è la proposta di una soluzione collettiva ai bisogni sociali – afferma Milbank – tutto passa attraverso piccoli gruppi di persone di buona volontà, reti di amicizie, che possono avviare al cambiamento”.
Molte cose sono cambiate dai difficili tempi di Dickens, ma non troppe in fondo: il disagio e lo sfruttamento dei bambini è ancora qualcosa che affligge l’umanità. E poi, “quel mondo vittoriano, per livello di formalità e virtualità non è così distante dal nostro e da quello al quale i bambini soprattutto sono esposti. In pubblico l’uomo sostiene la parte di un burattino, non è se stesso”. La miseria derivante da abbandono, solitudine, disagio, povertà economica e da ogni tipo di sofferenza umana sono “la lente attraverso la quale i personaggi di Dickens vedono il mondo”. Ed è l’intimità della casa e il privato il luogo in cui l’uomo assume i colori della caricatura, che sono i colori dell’umanità vera. È questa umanità che ha affascinato Chesterton, amante e studioso di Dickens.
Il professor Rialti ha esordito individuando nell’opera di Dickens il contrasto fra due città: la città della quantità e la città della qualità. Due mondi agli antipodi ma che quotidianamente si compenetrano, in una dialettica fra il bisogno umano che la miseria e la disperazione esprimono e la risposta che inaspettatamente si fa avanti nelle forme più inattese. Dickens non è ideologico e non divide in mondo in buoni e cattivi a partire dalla loro appartenenza sociale: un povero può avere l’orgoglio e la malvagità di satana e un ricco mostrare lampi di misericordia.
“Secondo Dickens – ha aggiunto Rialti – ciascuno di noi ha la sua catena, il punto è vedere a cosa essa ci lega”. Molti sono prigionieri del mondo della quantità, sia che si tratti di soldi, come nel caso dell’usuraio Scrooge di ‘Racconto di Natale’, o che si tratti di un potere sociale, psicologico o morale, come i tanti maestri, ladri o dame di carità che punteggiano i romanzi dello scrittore inglese. “Tutti costoro ─ ha aggiunto Rialti ─ hanno il deserto intorno a sé e dentro di sé”. Ciò che spezza questa catena non è un programma sociale ma un’altra catena, quella del mondo della qualità, pieno di amore e di compassione. In “Casa desolata” c’è una dama di carità, mrs Pardiggle che, in compagnia di alcune persone, visita il tugurio di una famiglia di disperati, alla quale proprio in quel momento è morto un bambino. Il moralismo della dama crea ostilità, la pietà dei suoi compagni per il piccolo morto e la sua mamma cambia il livello umano della stanza. “È una città, quella della qualità, che entra nell’altra città, quella della quantità ─ ha commentato Rialti ─ Una mano tesa verso le nostre debolezze”.
A gettare questo incantesimo, secondo Dickens, può essere, appunto, un ricco come un povero disgraziato. In “Racconto di Natale”, è Tim, il piccolo storpio, che spezza la catena del vecchio avaro Scrooge. “È il più bel regalo che Scrooge abbia mai avuto ─ ha osservato Rialti ─ e che gli permette di essere per Tim quello che, nella sua infanzia, nessuno era mai stato per lui”.
È da questa città della qualità, da questo mondo della misericordia che, secondo Dickens, si deve partire perché le risposte alla povertà e alla disperazione siano realmente umane e non come quelle della signora Pardiggle. Per Dickens, ogni persona è un segreto mistero per gli altri e davanti a lei si prova uno spavento come davanti alla morte. “Il nostro mistero ─ ha concluso Rialti ─ ha bisogno di uno che lo accolga. Dickens afferma che è possibile diventare uomini quando incontriamo lo sguardo di uno con il quale siamo già a casa nostra”.

(G.L., D.B.)

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