LA GIUSTIZIA DI QUESTO MONDO : IL DIRITTO IN AMERICA INCONTRO CON SAMUEL A. ALÌTO JR. E PAOLO CAROZZA

Press Meeting

“L’uomo è mosso dalle sue esigenze originarie ed elementari di verità, di giustizia, di bellezza; il cuore dell’uomo cerca indomabilmente ciò che è in grado di soddisfarlo e desidera che già in questo mondo la giustizia cominci a germogliare dalla terra, insieme alla verità. Per questo l’uomo desidera un potere giusto, leggi giuste e che ogni assetto giuridico sia conforme al diritto naturale”.
Da queste premesse è partito l’incontro, presentato da Andrea Simoncini, Docente di Diritto Costituzionale presso l’Università di Firenze, con Samuel A. Alìto jr., Giudice della Corte Suprema degli Stati Uniti d’America, e con Paolo Carozza, docente di diritto presso la Notre Dame University e Giudice della Commissione interamericana per i diritti umani.
Ai relatori sono state rivolte domande tese a conoscere come loro, dai loro punti di osservazione privilegiati, vedessero la possibilità di attuare la giustizia in un Paese così complesso come gli Stati Uniti o partecipassero, per quanto di loro competenza, al tentativo concreto di attuarla.
Nel rispondere alla prima domanda, il giudice Alìto ha descritto la composizione e la competenza della Corte Suprema, che svolge compiti analoghi a quelli della Corte Costituzionale italiana. Ha quindi richiamato i diritti fondamentali dell’uomo riconosciuti dalla Costituzione americana, per poi passare ad esaminare il ruolo svolto dalla Corte nei confronti dei conflitti sociali e culturali presenti nel Paese, senza negare gli effetti, talora positivi, altre volte “disastrosi”, delle decisioni (per esempio in tema di schiavitù o di discriminazione). Effetti che avevano richiesto successivi interventi “riparatori”. Significative sono state le decisioni in tema di libertà di espressione (di parola, religiosa, rapporto Stato – Chiesa, aborto, matrimonio tra omosessuali, ecc.). Sul tema specifico del “ruolo” della Corte, richiamate le posizioni di altri giudici, il dr. Alìto ha tenuto a precisare il suo atteggiamento, partendo innanzitutto dal fatto che l’idea alla base della Costituzione Americana è quella secondo la quale ci sono cose vere in assoluto, ovunque e sempre, perché evidenti, proprie dell’uomo, conformi alla sua natura, provenienti dal Creatore e costituenti dunque diritti inalienabili. Di conseguenza, la Corte ha la responsabilità di far rispettare quei diritti. Tuttavia, per la divisione dei poteri, la stessa Corte non può mutare le leggi, essendo questo compito assegnato al Congresso.
“Provocatoria” la prima domanda rivolta al Prof. Carozza: “ E’ nella comunione sovranazionale dei giudici la nostra salvezza?”. “E’questo un aspetto della globalizzazione in generale; – ha risposto il docente – non è una cosa di per sé buona o cattiva. Dipende da chi ne fa parte, come viene svolta e per quale finalità”. Richiamando l’esempio del Perù (nel quale la Commissione interamericana per i diritti umani ha abrogato una scandalosa legge di amnistia verso chi si era pur reso responsabile di crimini verso l’umanità, ma ha svolto anche pressioni per l’eliminazione di una legge contro l’aborto), ha evidenziato come in alcuni casi l’intervento sovranazionale può essere di aiuto, altre volte di ostacolo alla libertà ed alla effettiva tutela dei diritti umani. Secondo il professor Carozza i pericoli dell’intervento sovranazionale stanno nel fatto che il giudice può diventare il sostituto della vita politica, che si attui un diritto senza storia, quella particolare del popolo, che si pretenda di fare giustizia senza la libertà dell’uomo. Viceversa, se la giustizia internazionale si pone in termini di “sussidiarietà”, con lo scopo di “aiutare le comunità particolari a realizzare la giustizia e la dignità umana in sintonia con la loro storia e la loro libertà”, allora la giustizia internazionale può svolgere un ruolo importante.
Rivolgendosi ancora al Giudice Alìto, il Prof. Simoncini gli ha chiesto di parlare del rapporto tra politica e giustizia, anche come contesto in cui si pone la nomina dei giudici della Corte Suprema.
Alìto ha evidenziato come il ruolo del giudice è fissato dalla Costituzione, mentre il processo di nomina spetta al Presidente. Dopo la ratifica da parte del Senato, il Giudice esercita il suo mandato in modo indipendente, garantito com’è dalla nomina a vita, che lo rende appunto indipendente sia dal potere esecutivo che da quello legislativo. Inoltre, anche il disaccordo tra i giudici viene reso pubblico e questo “è una buona cosa”.
Carozza è poi intervenuto sulla differenza tra il diritto americano e quello italiano e su cosa comporti il fatto che nella Costituzione americana i diritti siano considerati come “innati”.
Richiamato il contrasto iniziale tra i costituenti americani – nel quale risultò sconfitta la tesi di chi voleva escludere l’affermazione di diritti fondamentali, per farne derivare l’origine dai rapporti sociali – il prof. Carozza ha evidenziato come il diritto costituzionale americano è teso alla tutela dei diritti individuali del cittadino, come limite allo Stato e nei confronti dello Stato. L’unico esempio di diritto anche nei confronti degli altri cittadini è quello a non essere resi schiavi. In Europa i diritti sono affermati invece, inanzitutto, verso gli altri privati. L’impostazione americana apre lo spazio alla solidarietà, alla coopperazione tra individui, anche verso lo Stato.
L’ultima domanda ha riguardato il rapporto tra l’essere cattolici e l’essere Giudici o Docenti, mariti e padri.
Il Giudice Alìto, dopo aver rilevato la diversa portata della domanda in Italia e negli Stati Uniti – dicendo che in quest’ultimo paese la domanda è fatta per discriminare, in Italia no – ha risposto che la fede religiosa investe il lavoro in favore del bene comune e quindi anche l’amministrazione della giustizia.
Riferendosi soprattutto al lavoro nella Commissione interamericana, il prof. Carozza ha detto che “per me essere cristiano, in quel contesto, ha significato innanzitutto essere cosciente del fatto che questa è una realtà che mi è stata data e quindi che la dovevo vivere con gratitudine e con fiducia; e anche quando io non riesco a vederlo, il bene che può risultare dal mio lavoro dipende da Uno più grande di me che mi accompagna. A me, invece, tocca amare la persona che ho davanti”.

A.M.

Rimini, 21 agosto 2007