Io, prete, figlio di un musulmano

Press Meeting

Rimini, 24 agosto 2017 – Alle 12.30 l’Arena “Nuove generazioni” A1, come sempre in questi giorni del Meeting, è già stracolma di persone che attendono l’inizio di un incontro quanto mai singolare: “Io, prete, figlio di un musulmano”. L’ospite atteso è don Nur El Din Nassar, sacerdote dal 2012 nella diocesi di Novara. Dialoga con lui il giornalista Andrea Avveduto.
Il prete è figlio di una donna italiana cattolica e di un uomo egiziano musulmano, arrivato in Italia nel 1978 da Alessandria D’Egitto in cerca di libertà. Dalla loro unione, nel 1980 nasce Nur, che in famiglia, a Domodossola, respira l’aria della religiosità autentica vissuta da entrambi i genitori: quella di papà Adel, maturata in una dimensione spirituale e domestica molto profonda, e quella di mamma Ines, alimentata nella frequentazione del movimento dei Focolari e nei raduni alle Mariapoli. Il giovane prima di iniziare la sua testimonianza vuole precisare: «Sono consapevole della particolarità della mia esperienza; quando sono diventato sacerdote ho vissuto momenti di grande notorietà; ma ciò che mi resta da tutto questo è che la storia che viviamo è un dono, non è la nostra».
Don Nur porta in sé l’intensa religiosità vissuta da entrambi i genitori: la preghiera, la carità e la meditazione della parola di Dio. La madre aveva come punto di riferimento il Vangelo e la messa della domenica, il padre il Corano e la preghiera del venerdì. A tavola prima di mangiare pregavano, ognuno a suo modo. «La nostra casa era sempre aperta e si respirava un clima di profondo rispetto e apertura», continua, «eppure a 14 anni ho vissuto un momento di profonda crisi e ho iniziato a cercare, nulla sembrava bastare alla mia sete. Finché ho conosciuto un sacerdote che ha ribaltato la concezione di Dio che mi ero costruito: un Dio che ti accoglie sempre, che ti ama per quello che sei, che non chiede anzitutto il rispetto di una serie di regole, non ti dice cosa fare e cosa non fare, ma ti attrae, ti affascina per la sua bellezza». Per Nur diventare cristiano non è stata una scelta intellettuale tra due idee, ma la risposta a un incontro, a un Dio che si è fatto vicino, compagno di strada. E ha fatto maturare la decisione di chiedere il battesimo, ricevuto a Domodossola nella notte di Pasqua del 2002. Un’attrattiva che si è fatta strada sempre più profondamente fino alla decisione di entrare in seminario per diventare sacerdote nel 2012.
È pacato don Nur, pesa le parole con calma e delicatezza. Parla di suo padre con profondo rispetto e gratitudine fino a sfiorare la commozione. Si capisce che tutti i passaggi della sua vita sono stati soppesati e vagliati, talvolta dolorosamente. Alla notizia del suo ingresso in seminario il papà prima si chiude in un periodo di silenzio accompagnato dalla preghiera, poi inizia col figlio un dialogo intenso, anche provocatorio, che costringe Nur a dare a sé stesso, prima ancora che al genitore, le ragioni profonde di una decisione così radicale. «Qui si è dimostrata la sua vera paternità, la grandezza di una fede che desidera la felicità della persona amata più delle proprie convinzioni. Mio padre era venuto in Italia per respirare la libertà e non ha voluto negarla a suo figlio. Io gli sarò sempre riconoscente per la libertà che, pur nel dolore per la decisione che avevo preso, mi ha lasciato. È questa la cosa più importante che ho ricevuto da lui in eredità, un tesoro che ho fatto mio e di cui non finirò mai di essere grato». Negli suoi ultimi giorni di vita, gravemente malato, dice al figlio: «Ringrazio Dio, ringrazia tutti, dillo a tutti che io sono contento della mia vita». In casa arrivano amici cattolici a recitare il rosario, amici musulmani che vogliono essere vicini a mamma Ines, portano parole di consolazione insieme al couscous e al tè. Infine Nur partecipa al rito funebre organizzato dalla comunità musulmana di Domodossola.
Osserva il sacerdote che quella è stata «la prima volta in cui c’è stata l’espressione di una comunità islamica nella mia città; papà aveva questo sogno che non è mai riuscito a realizzare nella sua vita; il giorno del suo funerale è accaduto».
Colpisce in questo ragazzo la tenacia dell’equilibrio, l’amore al vero con l’entusiasmo verso la fede cattolica e Gesù Cristo; lo si capisce dalla battuta con cui conclude l’incontro: «Vi ho raccontato queste cose con il sorriso sulle labbra; vi assicuro che non sono stati passaggi semplici. Hanno richiesto riflessione, maturazione, apertura da parte di tutti». Un invito a non vivere la fede come uno slogan o un arma, una contrapposizione. Un invito a quella bellezza disarmata tanto cara al popolo del Meeting. La sua vita ne è un esempio illuminante.

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