”Investire in educazione per crescere nell’economia globale”

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“Quanto a produzione industriale, il mondo non è mai andato così bene. L’economia mondiale cresce ma secondo la cosiddetta ‘crescita-altrove’, ovvero la produzione industriale è poco più che stazionaria nei paesi avanzati e cresce in quelli emergenti anche perché è lì che i primi vanno a produrre”. Dati alla mano, relativi a 120 paesi, il professor Giacomo Vaciago, docente all’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, lo ha spiegato questa sera nel corso del convegno dedicato a “Internazionalizzazione, competitività e lavoro: tre sfide per il modello cooperativo”. Le grandi aziende occidentali, dunque, crescono, ma crescono altrove, delocalizzando la produzione. “Si dice che il Giappone non cresca da venti anni e che la Germania conosca una battuta di arresto – ha proseguito Vaciago – il fatto è che la Germania, acquisendo aziende come la Ducati, viene a produrre fino a Bologna e ha aziende in tutto l’Est europeo e lo stesso, in giro per il mondo, fa il Giappone. Certo non producono a casa loro ma producono e questo lo si capisce dai bilanci delle loro imprese”.
Allora come si fa a crescere davvero nel proprio paese? “Il mondo che vuole crescere – ha affermato Vaciago – sta investendo in educazione a 360 gradi, per apprendere a comunicare e imparare ad imparare, in un’ottica di formazione del capitale umano che dovrà andare avanti per tutta la vita”. In Germania, poi, hanno stanziato miliardi di euro per potenziare le loro università di eccellenza e richiamare da tutto il mondo i migliori cervelli, per battere Harvard e Oxford. Il secondo elemento per la crescita è il fabbisogno finanziario (“la liquidità c’è – ha detto il professore – bisogna saperla intercettare, stando sui mercati finanziari globali”). Infine le regole di governance in un contesto globale radicalmente mutato.
Questa economia globalizzata e i nuovi fenomeni finanziari ad essa collegati non possono essere affrontati con strategie e mentalità di altri tempi anche se, come ha ricordato Vaciago, ci sono norme antiche ma sempre valide. La prima norma basilare è che per una buona economia bisogna cooperare e competere, riconoscendo e rispettando buone regole per tutti. In particolare, oggi, i paesi dovrebbero cooperare e le aziende competere. “In Europa, invece – ha sottolineato Vaciago – le cose non stanno così. La moneta unica non si è rivelata uno strumento di integrazione e i governi non cooperano. Tant’è che Germania e Italia non parlano ma si accusano. Con l’euro i paesi non hanno fatto squadra e i tre pilastri del progetto europeo, competizione, solidarietà e cooperazione sono fragili. Questo non vuol dire uscire dall’euro ma capire che cooperare vuol dire avere gli stessi obiettivi ma non necessariamente fare le stesse cose”.
Che posto c’è per l’impresa cooperativa in un contesto globale come quello delineato da Vaciago? Massimo Matteucci, presidente della Cooperativa muratori e cementisti di Ravenna, vero e proprio colosso nel suo genere, non ha dubbi: “La competizione va affrontata a livello mondiale perché non si sopravvive all’ombra del campanile”. Il problema, dunque, è quello di conciliare strategie globali e una presenza in giro per il mondo con quel forte radicamento sul territorio locale, la Romagna nello specifico, che è stato sempre il punto di forza valoriale e anche economico della Cmc. La cooperativa ravennate oggi ha 450 soci e settemila dipendenti sparsi in 18 paesi del mondo. Qualcosa di molto diverso dalla cooperativa di manovali e capomastri che si misero insieme nel 1901 per difendere il loro lavoro e la loro dignità. E non si tirano più su soltanto muri ma si costruiscono dighe, autostrade, metropolitane, gallerie grandiose, porti.
“Il capitale umano per noi resta fondamentale – ha affermato Dario Foschini, amministratore delegato della Cmc – ma le crisi non si superano difendendo ad oltranza lo status quo, anche quando si dovesse trattare di occupazione, perché poi i conti non tornano e chi difende il vecchio muore. Noi salviamo i posti di lavoro ma il tipo di occupazione da noi è drasticamente cambiato, adesso abbiamo soprattutto tecnici, ingegneri e laureati”. Un altro cambiamento, poi, dovrà riguardare, secondo Foschini, la regola secondo la quale solo i dipendenti a tempo indeterminato possono diventare soci. Una norma sorpassata, a detta dell’amministratore di Cmc, considerato che migliaia di lavoratori non hanno il posto fisso ma, soprattutto all’estero, sono i cosiddetti “dipendenti di cantiere”.
Restano sempre in piedi alcuni punti fermi, tratti ineliminabili dell’esperienza cooperativa. “In primo luogo la partecipazione dei soci, anche attraverso la rete, alla vita della cooperativa – elenca Mauro Lusetti, presidente nazionale di Legacoop – Poi, l’intergenerazionalità dei patrimoni e infine l’investimento degli utili per creare lavoro e sviluppo, sostenendo le cooperative più giovani”. “Nella cooperativa si è padroni del proprio lavoro – ha concluso Foschini – si gestisce il proprio destino. Le forme e le modalità sono diverse da quelle di un secolo fa ma la priorità del lavoratore e della sua opera non è in discussione”.
(D.B.)

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