Intelligenza artificiale: il “fattore umano”

Sofia Bronzetti

Rimini, 18 agosto 2019 – «Le macchine nascono da sempre dal desiderio dell’uomo di superare la propria fragilità. Oggi l’uomo vuole integrarsi con le macchine per potenziare la propria umanità. È una follia? Che cosa è l’A.I. cioè l’intelligenza artificiale?». Con queste domande, nel Salone Intesa San Paolo B3, Davide Perillo, direttore di Tracce, introduce il tema e pone le domande agli ospiti.

Apre la discussione Daniele Magazzeni, associate professor in Artificial Intelligence presso il King’s College London, che afferma: «L’A.I. è la mia passione, ci lavoro, eppure più approfondisco la questione e più resto affascinato e stupito dalla intelligenza umana». Oggi usiamo l’A.I. come se fosse la nuova elettricità e spesso non ci accorgiamo che dietro alle nostre fruizioni ci sono algoritmi di A.I. Ad esempio i social, i browser, i navigatori usano A.I., è gratis il loro utilizzo e questo significa che il prodotto allora siamo noi, sono le persone e non gli strumenti. Però l’A.I. pur essendo in grado di potenziare le capacità di calcolo e previsione umana non è in grado di fare una cosa: intuire. L’intuizione è capacità umana. Così prosegue Magazzeni, che aggiunge: «La velocità di sviluppo delle tecnologie non va di pari passo con quella della coscienza del loro significato in rapporto all’uomo». C’è bisogno di capire completamente, profondamente il significato, non bisogna demandare tutto alle tecnologie ma bisogna restare allenati a pensare e a farsi le domande. Ne soffrirebbe altrimenti la capacità e il gusto di relazione, una motivazione fondamentale del vivere.

Riprende Perillo: «E allora quale è il limite della A.I.?». Per Mark O’Connell, giornalista e scrittore, autore di “Essere una macchina”, «c’è chi sta pensando di porsi limiti più ampi e sta pensando quindi al transumanesimo, alla possibilità cioè di andare oltre l’uomo, potenziare le sue capacità e, anzi, utilizzarle per creare un nuovo soggetto. Quando è nato mio figlio ho iniziato da lì a fare una riflessione profonda sul fatto che alla fine della sua e nostra vita ci sarà la morte». Questa riflessione ha portato il relatore a scoprire che in alcune parti del mondo, ad esempio nella Silicon Valley negli USA, c’è gente che studia come trasportare la mente umana e la sua capacità sulle macchine. L’obiettivo è la ricerca della immortalità. «Però mi chiedo», prosegue O’Connell, «che futuro sarà con l’A.I.? Il transumanesimo però c’è già: la crionica. C’è gente che ha accettato di farsi conservare il corpo una volta morti, anzi la sola testa in alcuni casi, a temperature molto basse, con un fluido antigelo che scorre al posto del sangue. Si vuole accedere ad un futuro in cui sarà possibile ricostruire la persona da una scansione del cervello: l’obiettivo è di replicare la persona avendola prima ridotta ad un codice, facile da usare e da immagazzinare. Ma forse questa singolarità ovvero questo processo di fusione tra intelligenza umana e artificiale è già iniziato».

Ma incalza Costantino Esposito, professore ordinario di Storia della Filosofia all’Università degli Studi di Bari: ci si chiede cosa sia l’A.I. ma prima bisogna chiedersi cosa sia il fattore umano, la coscienza. Se l’uomo diventa macchina come diventa l’uomo? C’è ancora l’uomo? Dove sarà l’identità della persona?. L’A.I., per il docente, «identifica l’io pensante della persona come macchina funzionale ed è talmente potente che sembra rendere inutile il contributo del pensiero umano, al punto che qualcuno pensa già che la capacità della mente è situata in un supporto, il corpo umano, inadeguato e che occorra quindi trasportare il cervello su macchine che in quanto tali saranno più adeguate». Nasce quindi l’esigenza di pensare ad un’etica che capisca cosa sia l’intelligenza prima della sua connotazione artificiale.

(A.L.-B.M.)

Responsabile Comunicazione Eugenio Andreatta tel. 329 9540695 eugenio.andreatta@meetingrimini.org

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