Il rovescio del diritto: i nuovi diritti

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“Il diritto è una sorta di antropologia pratica. È un grande selfie che restituisce un’immagine della nostra società. In un’epoca in cui i diritti sociali si stanno fortemente deprimendo, crescono invece i nuovi diritti. Nato per conferire un limite al potere, il diritto si trova invece oggi ad attribuire un superpotere allo stato”. Con queste parole Andrea Simoncini, docente di Diritto costituzionale all’Università di Firenze, ha introdotto la discussione sul tema dei diritti umani e presentato i relatori Orlando Carter Snead, direttore del centro di etica e cultura dell’Università di Notre Dame (USA) e Tomaso Emilio Epidendio, assistente di studio alla Corte Costituzionale.
Snead ha subito ribadito opportunamente che i diritti umani “non vengono conferiti dallo stato e non possono quindi essere tolti agli uomini. Essi sono nati in risposta alle atrocità del XX secolo”. In linea teorica hanno un valore positivo. Tuttavia la retorica attuale sui nuovi diritti palesa una visione riduttiva della persona e del bene pubblico. Lo sfondo antropologico su cui si basano le richieste di nuovi diritti è un individualismo esasperato, che considera un uomo “atomizzato, che guarda solo a se stesso”. “Il soggetto – ha specificato Snead – viene concepito come un insieme di volontà e di desideri, come un mero consumatore che stabilisce rapporti sociali strumentali al fine di perseguire i propri obiettivi”. Ai desideri del soggetto non devono opporsi vincoli naturali, sociali o giuridici e, allo stesso modo, “nessuno può rivendicare diritti su di me”. In questo contesto “l’autonomia è il sommo bene etico e la persona è solo volontà autonoma, per cui i diritti umani servono la libertà di scelta del singolo”. Rispetto al diritto al figlio, per il quale “il bambino diventa oggetto del desiderio dei genitori, per cui può essere accolto o respinto da essi se collima o meno con le loro aspirazioni”, Snead sottolinea che la legittimità di tale desiderio di paternità e maternità deve coniugarsi anche con il diritto alla tutela della dignità personale del figlio, che non può essere considerato quale mezzo e prodotto: è fine in se stesso. Un esempio che mette in chiaro “l’urgenza di recuperare una diversa concezione della persona e del cuore umano”.
In un documento del 1975 del Pontificio consiglio di giustizia e pace “la Chiesa – rileva Epidendio – sposava l’idea che il linguaggio dei diritti umani potesse veicolare il progresso morale dell’umanità. I diritti fondamentali della persona, a partire dalla sua dignità inalienabile, erano concepiti alla stessa maniera sia dalla cultura cattolica che da quella laica”. Tale sodalizio non è invece più rintracciabile “nell’epoca attuale dei diritti-contro”, in cui ai diritti si oppongono costantemente dei divieti, in un muro contro muro che genera soltanto contrasti e confusione. Sul piano teorico il diritto è piuttosto “un linguaggio, la promessa che lo stato esaudirà un desiderio”, mentre su quello pratico attualmente è ridotto a “un linguaggio individualista, che procede per imposizioni, senza dire che cosa viene imposto e come. Nella retorica del diritto si dice qualcosa e si tace altro”. Per rimanere al diritto al figlio, ad esempio, “il ricorso alle tecniche di fecondazione assistita moltiplica le figure genitoriali, distingue eventualmente la madre genetica da quella surrogata, intende il figlio quale mero prodotto del concepimento. Tutto ciò, se fosse riconosciuto, potrebbe anche implicare che sia lo stato a doverne supportare le spese economiche”. Perciò Epidendio da giurista sostiene che “bisogna riportare il dibattito su ciò che la retorica dei nuovi diritti oscura in termini qualitativi, comprimendo la libertà e assoggettando ulteriormente la persona al potere dello stato, e in termini quantitativi, richiedendo costi sociali non sostenibili”.
Sul problema del fondamento giuridico, il magistrato sottolinea che riaprire la discussione potrebbe generare il rischio di intendere la leggi come espressioni di valori, con la conseguente e pericolosa identificazione del diritto con la morale. Pur mantenendo la distinzione tra i due piani, Epidendio riconosce che “la perdita dell’orizzonte trascendente del diritto rende il diritto stesso un idolo, un assoluto”.
“I nuovi diritti non sono da criminalizzare perché espressioni di una domanda, – conclude Simoncini – tuttavia occorre valutare le risposte. Esiste un diritto ad avere un figlio sano? È legittimo decretare che la felicità coincida necessariamente con l’assenza di malattie? E quale è il costo sociale che siamo disposti a pagare perché tale diritto sia tutelato giuridicamente?” Domande che aprono una pista inedita e tutta da percorrere alla riflessione giuridica sui nuovi diritti.
(F.Pi.)

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