IL RISCHIO EDUCATIVO, LA TRADUZIONE IN LINGUA ARABA

Press Meeting

Un incontro tra persone ma ancora di più un incontro di cuori. Così è nata la traduzione in lingua araba – e la conseguente pubblicazione – de Il senso religioso di Luigi Giussani. E la presentazione (in Sala Neri, alle 11.15) della novità editoriale non poteva partire che dal racconto dell’incontro tra Wael Farouq, promotore del Meeting del Cairo, don Ambrogio Pisoni, assistente spirituale dell’Università Cattolica e responsabile delle comunità di Comunione e Liberazione in Medio ed Estremo Oriente, e Abdel-Fattah Hassan, professore di Letteratura italiana alla Ain Shams University de Il Cairo e già parlamentare dei Fratelli Musulmani, il traduttore de Il senso religioso. Moderatore dell’incontro il portavoce di Comunione e Liberazione Alberto Savorana.
“Non aspettatevi un miracolo, ma piuttosto un cammino”, diceva don Giussani. E proprio questa frase, ha spiegato Savorana, illumina i passi che hanno portato alla pubblicazione del testo giussaniano in Egitto, passi certamente misteriosi e apparentemente quasi casuali, ma progressivi e giocati in una lunga serie di conoscenze e rapporti da persona a persona, nonostante le diversità di cultura e religione che in teoria avrebbero dovuto giocare a sfavore dei rapporti di amicizia.
Conoscenza antica infatti quella tra Farouq e Hassan – entrambi docenti anni fa alla scuola dei Comboniani nella capitale egiziana -; recente quella tra lo stesso Hassan e Pisoni, iniziata il 28 ottobre su una terrazza d’albergo cairota. Poi metteteci un fatto, dove si gioca la libertà del cuore: un impianto di traduzione simultanea in tilt, un uomo seduto in platea che si alza – Hassan per l’appunto – e che, conoscendo l’italiano, si offre per far proseguire l’evento e… la scoperta di don Giussani. “Già quando padre Pisoni mi ha descritto lo schema de Il rischio educativo – racconta il docente egiziano – ho pensato che questo libro non fosse stato scritto solo per gli italiani. Per questo io, musulmano praticante, quadro medio dei Fratelli musulmani, ho tradotto questo scritto di un sacerdote cattolico, che tocca punti essenziali anche per noi. Perché la sfida più grande che affrontano i dotti, gli educatori, gli uomini di religione è la formazione dell’uomo, del cittadino buono, giusto, tollerante qualunque sia la sua religione”.
“L’idea fondamentale di un’educazione rivolta ai giovani – ha proseguito il professor Hassan – è il fatto che attraverso di essi si costruisce una società. Perciò il grande problema della società è innanzitutto educare i giovani. Un’educazione vera è un’educazione dell’umano, dell’originale che è in noi, cioè il cuore. Don Giussani afferma che una vera educazione deve essere quella alla critica, cioè a rendersi conto della ragione delle cose”.
La disamina del libro prosegue con altri quattro punti fondamentali partendo dal “risalto dell’importanza nel processo educativo della dimensione religiosa, dimensione inevitabile di autentica, esauriente esperienza, tanto è vero che don Giussani parla a tale proposito della comunità della Chiesa affermando che la fede risponde alle esigenze originali del cuore dell’uomo, uguali in tutti”. Quindi la sottolineatura della “figura del maestro, dell’autorità e del carisma: l’esperienza dell’autorità significa un incontro con una persona ricca di coscienza della realtà”. Infine “il cardine della convivenza: limitare la propria apertura di convivenza, secondo don Giussani, è cercare di imporre una propria misura alla legge profonda dell’essere, è confondere l’amore con il calcolo, è scambiare il condividere con un tentativo di dominio”.
L’apertura dialogica è l’ultimo punto evidenziato da Hassan: “Don Giussani ha dedicato una parte del suo libro parlando in maniera stupenda dell’apertura dialogica: la novità viene sempre dall’incontro con l’altro, è la regola con cui è nata la vita. Noi esistiamo perché altri ci hanno dato vita, un seme isolato non cresce più, ma messo in condizioni di essere sollecitato da altro, allora si sprigiona. Dialogo è questo rapporto con l’altro, chiunque o comunque sia”. Esperienza di convivenza, dialogo, tolleranza e rispetto reciproco vissuta già dallo stesso Hassan e da Farouq “nel paradiso” della scuola dei Comboniani.
“Dopo quello che ha detto il dottor Hassan – ha commentato don Ambrogio Pisoni – potrei alzarmi e andar via, tanto è stata completa ed esauriente la lettura de Il rischio educativo di don Giussani, ma vorrei farvi notare la copertina del libro: una luce nel buio. L’hanno scelta loro, è una immagine di speranza: la vita può essere vissuta. Se educare vuol dire introdurre un altro alla realtà totale, allora vuol dire che la realtà è una dimora che attende di essere visitata e vissuta”. Con queste premesse – ha continuato – alzarsi al mattino è ragionevole: non è un ostacolo da affrontare ma un amico che ci attende. L’avventura umana è una avventura di conoscenza e la sfida educativa è la sfida della vita tout court”.
“Qual è il lavoro che ci attende?”, si è quindi domandato Pisoni. “Guardare quello che sta accadendo e imparare da questo. Il soggetto del giudizio è sempre una amicizia operosa. Come quella sperimentata e documentata dai volontari del Meeting del Cairo che hanno tutti riconosciuto pubblicamente (vedi 36 articoli di giornale e 9 ore di servizi televisivi) di essersi accorti, vivendo quella esperienza, della grandezza della propria vita. Cito don Giussani: ‘Le forze che cambiano la storia sono le stesse che cambiano il cuore dell’uomo’. Perché la rinascita dell’io al servizio di un ideale fa essere protagonisti della vita, e senza protagonista non c’è storia”.
“L’incontro con la bellezza fatta carne, Cristo Gesù – ha concluso Pisoni – ci ha reso e ci rende uomini che godono di un immensa certezza. Nel mondo odierno chi ha certezze viene considerato intollerante, ma la vera certezza è il grembo di una curiosità inesausta del reale, in quanto la nostra dimora è l’infinito, non l’angusto spazio del nascondiglio. La vocazione della ragione è essere sprigionata, così che la vita possa diventare una immensa certezza”.
Un incontro, si diceva all’inizio. Il testo consegnato dal professor Hassan terminava accennando al sacrificio, nel mese di Ramadan, di essere lontani dai propri cari per affrontare l’impegnativa trasferta a Rimini. “Ma qui – ha aggiunto a voce – abbiamo trovato altri carissimi famigliari”.

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