Il futuro del lavoro e la ricerca di senso di fronte alle “Grandi Dimissioni”

Redazione Web

Il futuro del lavoro e la ricerca di senso di fronte alle “Grandi Dimissioni”
Bentivogli: «Servono “architetti” del lavoro con passione per l’uomo»

Rimini, 25 agosto 2022 – Paradossi della storia. Il fenomeno della “Great Resignation”, le dimissioni di massa negli Stati Uniti, in Europa e in Cina con la pandemia pone pressanti in-terrogativi sull’avvenire del lavoro. Ma soprattutto sul suo senso.
Al XLIII Meeting di Rimini il dibattito su “Il futuro del lavoro”, in collaborazione con Cdo, in-trodotto e moderato da Guido Bardelli, presidente Compagnia delle Opere, ha cercato di fo-tografare il presente per trovare, già in esso, i semi dell’evoluzione che verrà.
«Per la prima volta l’Italia ha un tasso di occupazione sopra il 60%», ha esordito Dario Odi-freddi, Presidente Piazza dei Mestieri e Presidente Consorzio Scuole Lavoro, «ma la situazio-ne rimane complessa. Troppe poche donne lavorano e troppi pochi giovani non studiano né lavorano». Il tema non è meramente economico: «Nel nostro Paese le grandi culture cattoli-ca, liberale e laburista hanno saputo creare le condizioni perché lavoro e sviluppo, lavoro e realizzazione di sé fossero cose unite. Tutto ciò è entrato in crisi, specie per i giovani». Tra i fenomeni quello drammatico del mismatch tra le competenze formate dalla scuola e quelle richieste da un mondo del lavoro in rapida evoluzione.
Daniele Sacco, Group Human Resources, Organization and Legal Counsel presso Gruppo Mondadori, ha raccontato come con la pandemia si sia «affermata la supremazia della com-petenza sulla gerarchia e anche una maggior presa di responsabilità», con «il lavoro per obiettivi» che ha preso il posto del «controllo visivo». E i bisogni della persona – dal tempo di cura per figli e genitori anziani fino alle esigenze di equità – riducono il peso totalizzante dell’ossessione per il profitto a scapito di tutto.
«Quando si parla di futuro del lavoro bisogna prima di tutto chiarire che il lavoro avrà un fu-turo», ha dichiarato Marco Bentivogli, coordinatore e co-fondatore di Base Italia. «C’è una narrazione secondo la quale siamo di fronte alla fine del lavoro, ma il lavoro cambia, si spo-sta, si modifica». Le direttrici sono quelle delle tre grandi transizioni in corso: la transizione demografica, la transizione digitale e la transizione ambientale. Sta cambiando tutto, è già cambiato tutto: «I vecchi schemi interpretativi sono dannosi, non spiegano più nulla». E tra i fondamentalisti dello smart working e i tradizionalisti dell’ufficio e della scrivania con le foto, c’è chi lavora sulle dimensioni in cui il lavoro si svolge: «Il digitale “scongela” spazio e tempo di lavoro. Noi identifichiamo più il lavoro con il luogo, non con l’attività. Quando ero sindaca-lista contrattavamo i tempi, gli spazi mai. Invece è lo spazio il generatore di cambiamento. Se lo spazio è oppressivo, con gli uffici piccoli e opprimenti ai piani bassi e sempre più grandi, con piante e frigobar ai piani superiori di chi è più alto in gerarchia, le relazioni non ne trag-gono giovamento».
Niente più “paradigmi del controllo”: «Non è difficile, è completamente inutile. Conta lavorare per obiettivi e costruire un equilibrio diverso tra vita e lavoro». La robotica e la digitalizzazione intanto cancellano lavori routinari e ripetitivi e persino la fatica fisica dalle fabbriche.

E l’umanità, lungi dallo scomparire, rivendica la sua insostituibilità: «L’umanità è quel valore aggiunto che abbiamo dimenticato e reso meno centrale, ma che nessun robot riuscirà mai nemmeno a simulare, a partire dall’ingaggio cognitivo degli operai in fabbrica, che rimane elevatissimo».
Le “Grandi Dimissioni” diventano fenomeno sempre più serio: «Chi lascia è giovane e ha pro-fessionalità medio/alte, si tratta di figure chiave dentro piccole e grandi aziende, il cui ab-bandono ha impatti economici importanti». I giovani che ne hanno la possibilità «scelgono che lavoro fare e dove farlo», anche a discapito di una remunerazione meno elevata. La “Great Resignation” «sottopone a tutti, nei luoghi di lavoro, la necessità di riconquistare le persone, farle sentire importanti, favorire la partecipazione». Rispondere, insomma, alla domanda di senso.
Per Bentivogli servono figure nuove, “architetti del lavoro” che «ricostruiscano nei posti di lavoro architetture basate sulla passione per l’uomo».
Cristina Scocchia, amministratore delegato Illycaffè e consigliere di Amministrazione Essilor-Luxottica, si è concentrata sul ruolo del leader, sempre più lontano parente del vecchio capo con la scrivania di mogano all’ultimo piano: «Serve una leadership più etica e partecipativa». Sebbene il leader debba continuare ad avere «la capacità di pensare in maniera strategica, con un orizzonte a lungo termine; la capacità di prendere decisioni anche difficili; la capacità di creare team forti, motivati, diversi», oggi sono necessari soprattutto «leader capaci di co-niugare l’intelligenza cognitiva con quella emotiva. Leader empatici, umili, che sappiano mettersi in gioco per conquistare la fiducia e la stima della propria squadra».
La crisi di insoddisfazione è frutto anche delle domande profonde che la gente si è fatta in pandemia: «I giovani in particolare vogliono condividere gli aspetti valoriali dell’azienda, che non siano valori solo di facciata». Per il mondo delle imprese serve dunque un esame di co-scienza.
Infine Giuseppe Tripoli, segretario generale Unioncamere, conferma la crisi di senso che at-traversa il mondo del lavoro: «In questo Paese, in cui tanti vivono grazie a lasciti e rendite, chi lavora non ha più chiaro il motivo per cui deve lavorare». Poi, però, con la pandemia, il lavoro di medici, infermieri, forze dell’ordine ha dimostrato che c’è un senso oltre il mero stipendio, «ci si può coinvolgere per un valore più grande», ha dichiarato Tripoli. E se fare impresa è complicato, la narrazione «nata negli anni ’70 e ’80 che pone come unico obiettivo del lavoro il profitto dell’azionista» a discapito dei valori certo non aiuta. Ma proprio in Italia esiste la dimostrazione che conciliare lavoro e valori è possibile: «Studiamo un fenomeno tipicamente italiano di imprese che investono non solo per il profitto, ma anche sul territorio, sulla cultura, sui rapporti con il Terzo Settore. Queste imprese hanno le migliori performance e riescono ad attrarre i giovani migliori. Anche alle imprese piccole e medie, insomma, spetta il compito di organizzare questo modello di leadership».
(A.C.)

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