IDA. Presentazione e proiezione del film di Pawel Pawlikowski

Press Meeting

Un’ora e venti minuti di concentrazione, attesa, commozione. Alle 21.00 in Sala Neri Conai si presenta e si proietta il film ‘Ida’ (2013), co-sceneggiato e diretto dal polacco Pawel Pawlikowski, vincitore del premio Oscar 2014 come miglior film straniero e candidato nella categoria miglior fotografia per il raffinato e accuratissimo bianco e nero di Ryszard Lenczewski e Lukasz Zal. Ad introdurre Letizia Bardazzi, presidente Aic (Associazione Italiana Centri Culturali).

La pellicola è ambientata negli anni Sessanta, nella grigia e soffocante Polonia dove vige stabilmente il regime comunista. Anna è un’orfana, da sempre cresciuta in un convento di campagna. Ad una sola settimana dal prendere i voti viene invitata dalla madre superiora ad andare a conoscere Wanda Gruz, sua zia, unica parente viva e conosciuta come ‘la sanguinaria’. Giunta a destinazione riceve una sconvolgente notizia sul proprio passato: Anna in realtà si chiama Ida Lebenstein, in quanto figlia di ebrei, dei quali non ci sono notizie certe di morte e di sepoltura. Ha così inizio un viaggio di prova, conoscenza e sperimentazione di vita ordinaria, di piccoli piaceri e di miserie morali umane. Ida decide di tornare in convento, ma dopo il suicidio della zia si trasferisce ad abitare nel suo appartamento. Nella scena finale, vestita da suora, si incammina lungo un sentiero. E qui si apre il dibattito affrontato da Joseph Weiler, presidente Eui (Istituto universitario Europeo) e Maria Gabriella Pediconi, docente di Psicologia dinamica all’università di Urbino.

“È un film pieno di ambiguità. Da una parte c’è la madre superiora di una squisita nobiltà e dall’altra c’è la presenza silenziosa degli assassini dei suoi genitori. Poi c’è la zia, un donna che non rispetta nessuna norma, ma che è l’unica a scoprire la verità proprio per il suo particolare carattere. Sarebbe facile disprezzarla, ma lei non rinuncia alla sua identità – spiega Weiler – C’è un’interpretazione classica del film: Ida esce dal convento, scopre la sua identità, prova l’alternativa e alla fine prende consapevolmente la decisone di tornare in convento. Condivido questa interpretazione, forse perché soddisfacente, ma sono disposto a metterla in discussione”.

“Dobbiamo chiederci se lei ha fatto davvero la prova oppure l’ha lasciata a metà. Il contesto della prova è il rapporto con la zia. Il loro incontro è subito pregnante e getta un’ombra sulle persone che l’hanno cresciuta. Viene chiamata Ida e non più Anna. La zia la istiga a provare varie esperienze – afferma Pediconi – quando torna in convento nota il corpo delle compagne e non si sente più pronta a diventare suora. Quando Wanda si suicida, Ida ritorna a casa e veste gli abiti della zia. Il travestimento e i fatti tumultuosi che lo accompagnano possono considerarsi come un’accettazione della provocazione della zia e non come una vera e propria esperienza. Questa voracità non è fare esperienza, perché per farla occorre il giudizio, Ida invece lo sospende. Ma Ida non è mai una sprovveduta e l’abito che indossa la identifica nella società – prosegue la docente – consideriamo altri i dettagli. Se il regista avesse voluto farci pensare al suo ritorno in convento ce l’avrebbe mostrato, invece ci mostra da dove se ne va e non dove va. Ida è in cammino lungo una strada, il finale è aperto”.

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