Guardare all’altro come un bene: la condizione di un vero dialogo interreligioso

Redazione Web

AL MEETING, EBREI, CRISTIANI E MUSSULMANI SI CONFRONTANO SUL DOCUMENTO DI ABU DHABI

 

Rimini, 21 agosto – «Non c’è contraddizione fra le grandi religioni anzi, l’altro credo non solo va tollerato ma è per noi necessario: se scomparisse noi rischiamo la nostra stessa vita». È ricorso ad una confraternita mussulmana del X secolo, “I fratelli di purezza”, Wael Farouq, professore di Lingua e letteratura araba all’Università cattolica del Sacro Cuore di Milano, per presentare la tavola rotonda “Dalla tolleranza alla stima”, che il Meeting ha dedicato questo pomeriggio al documento “Fratellanza Umana per la Pace Mondiale e la convivenza comune”, firmato da Papa Francesco e dal Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Al-Tayyeb, in occasione del viaggio del Pontefice negli Emirati Arabi Uniti, nel febbraio scorso. La portata epocale del documento è stata approfondita da monsignor Alberto Ortega Martin, nunzio apostolico in Iraq e Giordania, Marc Schneir, presidente della Foundation for Ethnic understanding, Wajih Kanso, direttore del Royal institute for inter-faith studies, Giordania e da Joseph Levi, presidente della Scuola fiorentina di alta formazione per il dialogo interreligioso e interculturale, organismo che ha collaborato alla realizzazione dell’incontro.

Il rabbino Levi ha introdotto i lavori sottolineando «la necessità di un maggiore dialogo fra le religioni, per scoprire le proprie radici comuni», ed ha affermato che per questo incontro i tempi sono ormai maturi.

Al nunzio in Iraq – il Papa visiterà quel Paese l’anno prossimo – il compito di ricostruire le tappe del dialogo fra islam e cristianesimo fino, appunto, al documento di Abu Dhabi. Monsignor Martin ha ricordato l’opera dei santi Paolo VI e Giovanni Paolo II nonché l’impegno di Benedetto XVI per questa apertura all’altra grande religione abramitica, una strada resa possibile «da rapporti personali, stima, amicizia perché più che un dialogo fra religioni è un dialogo fra persone di fede diversa». Papa Francesco ha ridato vigore a questo cammino attraverso tre viaggi: in Egitto nell’aprile del 2017, ad Abu Dhabi nel febbraio di quest’anno, in Marocco nel mese successivo. «In tutte queste occasioni il Papa ha sottolineato l’importanza del dialogo interreligioso per la promozione della pace individuando», ha richiamato Martin, «tre orientamenti fondamentali: il dovere dell’identità, perché il vero dialogo non si basa sull’ambiguità, il coraggio dell’alterità, visto che l’altro non è un nemico ma un compagno di strada, la sincerità delle intenzioni, dato che il dialogo non deve avere secondi fini ma essere una via di verità».

Ad Abu Dhabi, il Papa ha affermato che «in un’epoca come la nostra, in cui è forte la tentazione di vedere in atto uno scontro tra le civiltà cristiana e quella islamica, è possibile incontrarsi, è possibile rispettarsi e dialogare. Il punto di partenza è riconoscere che Dio è all’origine dell’unica famiglia umana. Egli vuole che viviamo da fratelli e sorelle, abitando la casa comune del creato che Egli ci ha donato». Secondo il Papa, la differenza non deve spaventare perché è Dio che l’ha permessa. «Dobbiamo spaventarci», ha ammonito il Papa, «se non operiamo nella fraternità per camminare insieme nella vita».

Martin ha ricordato che durante il viaggio in Marocco, il Papa ha valorizzato lo storico incontro fra San Francesco e il sultano al-Malik al-Kamil, dicendo che quell’evento profetico «dimostra che il coraggio dell’incontro e della mano tesa sono una via di pace e di armonia per l’umanità».

Kanso Wajih ha spiegato le differenze e il passaggio dalla tolleranza, che si limita a riconoscere all’altro il diritto di esistere a livello personale e sociale, alla stima, che vuol dire riconoscere alla persona un valore unico che la rende un fine a se stessa. «La tolleranza è un equilibrio di poteri, la stima esplora le infinite possibilità dell’esistenza», ha detto Kanso, «e la tolleranza gestisce la vita, la stima la ama». Il direttore del Royal institute ha concluso dicendo che il Documento di Abu Dhabi lancia tre sfide alle religioni. La prima è che il discorso religioso deve considerare l’umanità come un’unica comunità e chiedersi cosa possa fare per essa e invece che coltivare il proselitismo. In secondo luogo, proporre un significato per la vita: non basta vivere ma occorre sapere cosa significhi vivere. Infine la consapevolezza che la salvezza ha a che fare con la vita, che ha valore per quello che è oggi e non solo per quello che le accadrà nell’aldilà.

Marc Schneir, diciottesima generazione di rabbini in famiglia, in perfetto stile Usa – ha parlato in piedi, fatto battute, raccontato barzellette e aneddoti – ha voluto ringraziare il Papa e il Grande Imam di Al-Azhar perché il Documento di Abu Dhabi ha permesso il primo riconoscimento di una comunità ebraica nel Golfo Persico. Un passo impensabile fino a qualche anno fa. Ricordando la piaga biblica dell’oscurità, il rabbino ha affermato che «il Documento serve a portare luce nei rapporti umani, a portare comprensione, a rendere capaci di vedere l’altro come figlio di Dio, come una persona da trattare con quella dignità, giustizia e comprensione che esigiamo per noi».

Farouq ha concluso ricordando un episodio legato alla visita del Papa in Egitto, dimostrazione di come una presenza forte e aperta al dialogo possa generare un nuovo sguardo sul presente e sul passato. Appena partito il Papa, il manifesto di benvenuto per le vie de Il Cairo è stato coperto da altri due manifesti: il primo raffigurava l’abbraccio del pontefice con l’Imam di Al-Azhar, il secondo quello di San Francesco con il Sultano.

 

(D.B.)

 

Responsabile Comunicazione Eugenio Andreatta tel. 329 9540695 eugenio.andreatta@meetingrimini.org

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