EVOLUZIONE BIOLOGICA E NATURA DELL’ESSERE UMANO

Press Meeting

Come e perché pensiamo l’infinito? Quali sono i meccanismi biologici in grado di farci elaborare un’entità astratta fino sentirla viva e presente dentro di noi? Le domande mettono in gioco direttamente la natura dell’uomo e il percorso evolutivo della nostra specie. A tracciare e delineare possibili risposte, modi e strumenti per ottenerle, durante l’incontro “Evoluzione biologica e natura dell’essere umano” presentato da Marco Bersanelli, astrofisico dell’università di Milano, sono stati il paleontologo statunitense Ian Tattersal, curatore della sezione di antropologia del Museo di scienze naturali di New York e William E. Carroll, professore di Teologia e Scienza del Blackfriars College di Oxford.
“La paleontologia studia i reperti fossili, è l’archivio di reperti su cui ricostruiamo la storia dell’uomo. Da questo punto di vista può offrire il suo contributo alle altre scienze naturali, cosi come a teologia e metafisica, per comprendere quale sia stata la nostra evoluzione”, ha spiegato Tattersall. “Lo studio dei fossili ci dice che la crescita di dimensione del nostro cervello ha accompagnato la storia degli ominidi. Ma il punto di rottura, quello che caratterizza la comparsa dell’homo sapiens e la scomparsa di altre specie, per esempio dell’uomo di Neanderthal, evento avvenuto attorno a 200mila anni fa, è rappresentato dall’improvvisa apparizione di una nuova e straordinaria capacità: l’elaborazione simbolica”, ha continuato Tattersal.
Per lo studioso statunitense è quello il punto di partenza, la svolta in grado di cambiare la storia dell’uomo. “Elaborazione simbolica significa linguaggio, una differenza fondamentale rispetto a tutti gli altri esseri viventi. Noi elaboriamo e ricostruiamo il mondo nella nostra testa e non come la natura ce lo mostra. Quindi comprendiamo le entità astratte. Vediamo e sentiamo l’infinito, possiamo sentirci in rapporto con esso”. Un vantaggio-differenza fondamentale per l’uomo, ma su come e quando sia avvenuto, la paleontologia non è in grado di offrire spiegazioni scientificamente univoche. “Sappiamo che questa facoltà umana appare, non è frutto di un evoluzione, sembra essere un avvenimento biologico legato alla genetica. Sarebbe una grande scoperta capire come e dove ciò sia accaduto per la prima volta”.
Con William E. Carroll la prospettiva muta, dalla scienze naturali si passa alla filosofia. Più precisamente a teologia e metafisica. “Quando si parla dell’uomo, della sua storia, ci si domanda da dove venga, come sia nato, spesso ci troviamo di fronte a due tipi di risposta: quella evoluzionista e quella creazionista. La prima ritiene la scienza in grado di offrici tutte le risposte, la seconda cerca in un creatore, in una causa esterna all’ordine naturale, la ragione del nostro esistere”. La contrapposizione appare però fittizia: “L’incompatibilità tra creazione ed evoluzione rientra in un più ampio contesto nel quale gli sviluppi delle scienze sono stati impiegati per sostenere una sorta di ‘naturalismo totalizzante’. È l’idea per cui l’universo e i suoi processi non hanno bisogno di spiegazione al di là delle categorie delle scienze naturali”.
Ma per Carroll in questi termini il problema à mal posto. Per spiegarlo ricorre a Tommaso d’Aquino, all’attualità di un pensiero in grado di ricomporre l’apparente contraddizione tra fede e scienza. “Secondo l’Aquinate la nozione del funzionamento della causalità divina è radicalmente diversa dalla causalità esercitata dalle creature animate e inanimate. Così non c’è competizione né conflitto tra la causalità di Dio, che comprende il suo ordinamento provvidenziale di tutto ciò che è, e i tipi di causalità che le scienze naturali rinvengono nel mondo”.
E ancora: “Le scienze naturali hanno come oggetto il mondo delle cose mutevoli. Siano biologici o cosmologici, tali cambiamenti restano tuttavia dei processi. Creare significa essere la causa radicale dell’intera esistenza della cosa che esiste. La creazione non è un mutamento. Mentre, la creazione non è un evento remoto: è la causazione duratura e completa dell’esistenza di tutto ciò che è”. Ulteriore passaggio: “Per Tommaso d’Aquino, Dio è all’opera in ogni attività della natura, ma l’autonomia della natura non testimonia una qualche riduzione del potere o dell’attività di Dio; testimonia piuttosto la sua bontà”. È quindi importante – è la conclusione di Carroll – capire che la causalità divina e la causalità delle creature operano su livelli fondamentalmente diversi.
Insomma, le scienze naturali non sono e non possono essere in contrapposizione con la fede, anzi, per Carroll possono offrire un contributo di conoscenza importante. Tutte le discipline – biologia, teologia, fisica o paleontologia – sono chiamate a farlo. Ma senza fare confusioni di ruoli o di campo. Resta insomma valida la sintesi di Jacques Maritain: “distinguere per unire”.

(C.B.)
Rimini, 22 agosto 2012

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