“Essere italiani”. Il genio artistico. Incontro con Gabriele Lavia

Press Meeting

Rimini, martedì 21 agosto – “Attore, regista, sceneggiatore, di cinema e teatro, oggi un punto di riferimento molto amato dal pubblico, una ‘voce’ direi e uno stile del tetro italiano”, sottolinea Massimo Bernardini, conduttore televisivo e giornalista, introducendo Gabriele Lavia, intervenuto per la prima volta al Meeting sul tema del “genio artistico”, ”e Lavia – aggiunge – lo è”.

Gli spunti per la conversazione, tenutasi alle 19 in Sala Neri UnipolSai, hanno preso le mosse anche dalla proiezione di foto relative alla carriera dell’artista, a partire da quelle relative da un “originale televisivo” (come si chiamava allora e non fiction), “Vivere insieme”, degli anni ’70.
“In quell’Italia – domanda Bernardini – come maturavano scelte e vocazioni?”. “Era un’Italia molto diversa da questa – risponde Lavia – al punto che è quasi impossibile raccontarla”. E i suoi ricordi vanno alla famiglia, alla nascita sotto i bombardamenti di Milano, allo sfollamento, alla nonna che attraversò la penisola dalla Sicilia alla campagna lombarda e fece da maestra ai bambini delle famiglia sfollate. “C’è sempre stato un senso ‘d’amaro’ in famiglia e quando decisi di far l’attore mio padre non voleva…”.

Altre foto mostrano al pubblico uno dei primi grandi spettacoli ammirati da Lavia, “La vita di Galileo” al Piccolo con Tino Buazzelli immenso protagonista (1963). “L’ho visto 12 volte” dice l’artista. “Che cos’è il teatro? – aggiunge – Ciò che ti guarda dentro mentre sei tu che guardi. Gli dei del teatro stanno sempre all’altezza dei tuoi occhi. Il teatro nasce per questa ragione, perché ‘theatron’ è una parola composta da ‘thea’ e da ‘tron’. ‘Thea’ vuol dire sguardo, ‘tron’ vuol dire luogo: il luogo dello sguardo, della cultura. Questo sguardo è la ‘thea’ della ‘aletheia’ che è la svelatezza. Che cosa si svela qui sopra? Davanti c’è un velarium, che svelava la svelatezza. Dell’uomo. Io vengo a teatro, vedo Edipo, e io sono guardato da un uomo che cerca se stesso, crede di riuscire a vedere se stesso e invece lo vedrò cieco, perché l’unico modo per cogliere se stesso è togliersi gli occhi e fare un viaggio, un percorso di vista, di sguardo all’indietro. Uno sguardo, quello del teatro, che è porta aperta sul mistero”.

E ancora scorrono altri immagini e ricordi: quelli dei grandi maestri come Strehler e il Piccolo, il sogno suo e di Paolo Grassi di un teatro posto a servizio della comunità. E Orazio Costa, straordinario forgiatore di attore. “Oggi il teatro viene ucciso dalla burocrazia. Una volta una stagione durava 150 repliche, si recitava per sette mesi.. Ora le repliche sono 20-22… Ci sono troppi impiegati, se si pagano gli impiegati non si paga chi il teatro lo fa… Ma del teatro l’Italia ha bisogno più che mai. E di spettacoli, opere di coloro che rappresentano il genio come Pirandello, Shakespeare, con capolavori come “Amleto”, “Macbeth”, e ancora “Il sogno di un uomo ridicolo” di Dostoevskij, dove il protagonista intuisce che la salvezza passa dall’incontro con Cristo, non quello della religione, ma il Cristo che incontri nei poveri, nei diseredati, come la prostituta in cui in un istante vede il Cristo, come un essere umano violato e sanguinante”.

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