Essere donna, prendersi cura, guardare

Redazione Web

Uno sguardo SUlla medicina di genere

 

Rimini, 20 agosto – Nell’Arena Meeting Salute C3 in questi giorni si stanno svolgendo numerosi incontri sulla salute, rendendo l’area una delle protagoniste della fiera. Proprio per questa sempre crescente rilevanza, il dibattito qui svolto investe campi più complessi, come è successo nell’incontro “La donna al centro della cura”. Quattro specialisti hanno affrontato l’universo femminile da diverse angolazioni: la gravidanza, la chirurgia estetica, la ginecologia e la neurologia. Quattro lati differenti che hanno avuto, però, una costante comune: il prendersi cura.

È stato, infatti, sottolineato più volte che la donna è mediamente più longeva dell’uomo, ma anche, in quello che è stato definito «il paradosso delle donne», che passa periodi maggiori della sua vita in stati di degenza. La donna possiede molti più farmaci dell’uomo, ma questi vengono creati su parametri e struttura corporea prettamente maschile. Cos’è, alla luce di queste problematiche, la medicina di genere? In ciascuna delle quattro branche si è tenuto a sottolineare come, per una dimensione sociale, la donna sia abituata a prendersi cura degli altri, ma mai di sè stessa.

Per rimediare a questo scompenso è fondamentale, a detta dei medici, prevenire l’insorgenza di gravi malattie. «Il cancro al collo dell’utero è ormai curabile al 100 per cento perché esiste un vaccino. Nel mondo muoiono di questa malattia 250 mila donne all’anno e in Italia più di 1000. Non è più accettabile» ha detto Giovanni Scambia, presidente della Società Italiana Ginecologia Ostetricia.

Il ruolo della donna, ancor oggi e soprattutto all’interno della famiglia, resta quello di componente imprescindibile e di “caregiver” che spesso baratta la sua cura per quelle dei suoi familiari, specie se in stato di disabilità permanente. Quando questo ruolo è svolto in ambito lavorativo, chi lo ricopre non occupa più di tre ore della sua giornata, mentre una donna che si prende cura di un figlio o del marito malato svolge la sua mansione 24 ore su 24. Le complicanze sono molteplici: la donna non ha più una vita sociale, s’impoverisce perché spesso abbandona il suo effettivo lavoro e può cadere in uno stato depressivo. Matilde Leonardi, direttrice dell’UOC Neurologia, Salute Pubblica, Disabilità e Coma Research Centre, Fondazione IRCCS Istituto Neurologico Carlo Besta di Milano, ha riportato una serie di dati rilevanti. Infatti, indagini statistiche rilevano che una donna si prenderebbe in carico nel 100 per cento dei casi un figlio malato e nel 90 per cento il marito malato, ma un uomo farebbe lo stesso sua moglie malata solo nel 50 per cento dei casi. Le donne soffrono delle cosiddette “malattie invisibili”: è scontato che una donna possa soffrire di emicrania, perché è come se fosse naturale. Allora, riprendendo il titolo del Meeting e citando le parole della neurologa, «la cura è guardare. Essere curati è come essere guardati».

 

(A.F.)

 

Responsabile Comunicazione Eugenio Andreatta tel. 329 9540695 eugenio.andreatta@meetingrimini.org

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