ESPERIENZE ALLA PROVA

Press Meeting

Sala A3, ore 15: prende il via il ciclo di incontri “Esperienze alla prova”. Sul palco due uomini a prima vista molto diversi. A sinistra, Raffaele Pugliese: forte presenza, irruente, medico chirurgo, direttore del dipartimento Chirurgico polispecialistico dell’ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano e presidente di Aims Academy, centro di formazione per la chirurgia mininvasiva. A destra, Stefano Scaringella, aspetto mite, frate cappuccino, medico, responsabile dell’Hospital Saint Damien ad Ambanja, Madagascar. Tra i loro luoghi di vita e di lavoro ci sono migliaia di chilometri e opportunità agli antipodi: da un centro di eccellenza per la ricerca, la formazione e l’applicazione di nuove e sempre più avanzate tecniche per quella che viene chiamata la “chirurgia senza cicatrici” a un centro medico-chirurgico nato in un fatiscente lebbrosario occultato nella foresta; dalla possibilità del telementoring (osservare e guidare in diretta un intervento in corso in un altro continente) alle tournées nei villaggi di due fuoristrada equipaggiati per la cura di donne in gravidanza e bambini (nel 2010 rispettivamente tremila e 14mila). Nonostante questo, loro non sono “malassortiti”, anzi. Più si raccontano, più si somigliano.
Primo elemento in comune: il loro lavoro è una vocazione, una chiamata. “A 12 anni, dopo aver visto il filmato di un anziano frate cappuccino sulle missioni in Africa, sono tornato a casa e ho detto ai miei genitori: ‘Vado in seminario per diventare cappuccino e andare in missione come medico’”, Scaringella. “Tutto ciò che accade nella vita è una vocazione, quindi anche il lavoro. È il riconoscimento di un talento che si deve esprimere. L’idea è una chiamata”, Pugliese.
Secondo elemento: la propria opera è quella di un altro. “Nella mia vita ho sempre avuto la sensazione di essere portato per mano dalla Divina Provvidenza. Abbiamo la coscienza che non siamo il progetto, ma qualcosa che partecipa al progetto”, Scaringella. “Io ho dovuto assecondare, non realizzare un progetto. Non è un caso che i primi a comprendere quest’opera sono stati le monache e i monaci di clausura. È proprio vero il detto benedettino ‘Con le nostre mani, con la tua forza’”, Pugliese.
Terzo elemento: la coscienza che l’uomo non si autodetermina. Per il medico cappuccino, “nell’arco di 25 anni il mio è stato un vivere in solitudine, non mi ponevo il problema del perché lo facevo, lo facevo e basta”. Tutto è cambiato in una piovosa e fredda giornata di dicembre del 2009 in un bar di piazza del Popolo a Roma. “Un nuovo conoscente mi disse: ‘Quello che mi interessa è la tua amicizia’. Nessuno si era interessato a me così. Da allora non sono più solo, e posso contare su tanti amici”. Gli fa eco il chirurgo: “Se mi domando il senso della vita, di quello che faccio, la risposta me la dà un Altro. Non è un caso che la storia di quest’opera nasce da un’esperienza di conversione e da un’esperienza per me altamente pedagogica quale la realizzazione della Fondazione San Giuseppe Moscati di Milano, nata da un confronto e da un lavoro comune con altri medici e andata al di là delle iniziali aspettative.

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