È l’ora della partecipazione

Redazione Web

Rimini, 22 agosto 2021 – Davanti all’esplodere di una crisi straordinaria come quella pandemica o di fronte al bisogno quotidiano dei poveri e dei deboli, o alle prese con emergenze ambientali si può solo rispondere “ci pensi lo Stato” oppure ci si può mettere in movimento? Si può creare una sinergia fra singole persone, figure istituzionali, aziende, banche che cambiano radicalmente l’originaria esclusiva vocazione all’utile per garantire, soldi alla mano, un’opportunità per tutti? E perché le multinazionali del farmaco non utilizzano parte degli utili per ampliare la platea di vaccinati contro il Covid?

L’incontro di questa mattina in Sala Ravezzi, realizzato con il sostegno di Intesa Sanpaolo, ha messo intorno ad un tavolo persone che stanno da anni operando nella direzione di una maggiore inclusione, senza lasciare indietro nessuno. Coordinati da Stefano Gheno, presidente Cdo Opere Sociali, sono intervenuti: Caterina Cesana, insegnante presso la cooperativa sociale In-Presa; Claudia Fiaschi, portavoce Forum del Terzo settore; Marco Morganti, responsabile Direzione Impact Intesa Sanpaolo; Carlos Olivero, sacerdote, Familia Grande dell’Hogar de Cristo, Argentina; S. Ecc. Mons. Filippo Santoro, arcivescovo di Taranto, presidente della Commissione episcopale per i problemi sociali e il lavoro, la giustizia e la pace e custodia del creato della Conferenza Episcopale Italiana, nonché presidente del Comitato scientifico e organizzatore delle Settimane Sociali dei Cattolici Italiani.

Quando si dice Taranto si dice Ilva, con le acciaierie e il conflitto fra lavoro e ambiente. Una situazione esplosiva, con la quale monsignor Santoro, che di Taranto è arcivescovo dal 2011, ha subito avuto a che fare, applicando lo stesso metodo adottato anni prima in Brasile: cercare le persone e stabilire una relazione con loro. Uscire dal proprio individualismo e andare incontro alla gente, muovendosi fisicamente. Non è un caso che abbia affidato la storia dei suoi 25 anni di ministero episcopale ad un libro-intervista, scritto con Fabio Zavattaro, intitolato “Consumare le suole delle scarpe”. Un’espressione, tra l’altro, usata poi anche da papa Francesco, in occasione della 55° Giornata mondiale della comunicazione, per invitare i giornalisti a lasciare pc e scrivanie e camminare in mezzo alla gente. Monsignor Santoro ha consumato le suole delle scarpe salendo a 50 metri di altezza sul famoso altoforno 5, dove si erano asserragliati degli operai in sciopero, che poi lo hanno ringraziato per il semplice gesto di averli visitati. E ha scarpinato nella disgraziata favela “Collina degli angeli” di Petropolis, per aiutare le madri dei bambini di un asilo nido a ritrovare la loro dignità. «Le ho incontrate come persone», ha ricordato, «e mi hanno ringraziato per non aver loro chiesto che religione professassero o se fossero sposate oppure no. Erano disperate e così le abbiamo aiutate a svolgere lavori di cucito, con cui portare a casa una decina di dollari la settimana. Ma più dei soldi è contata la relazione».

Dall’altra parte del mondo, in collegamento dall’Argentina, gli ha fatto eco don Carlos Olivero, parroco a Palito, uno dei quartieri messi più male di Buenos Aires, dove per 23 anni, fino alla morte, era stato in cura d’anime un santo sacerdote che aveva lasciato il segno della sua presenza. Lo scorso dicembre, la seconda ondata della pandemia ha messo a dura prova la gente: malati ovunque, ambulanze che non arrivano, cure limitate. Nello scompiglio don Carlos capisce che «bisognava darsi da fare». Con alcuni parrocchiani ha cominciato a procurarsi termometri, mascherine e saturimetri. Poi nascono le “Squadre della salute” con il compito di visitare chi aveva dei sintomi. Accanto a loro, altre persone si occupano di chi è in isolamento con telefonate, visite, pulizie domestiche e consegna di alimentari. La sera una processione con il santissimo porta la comunione agli ammalati. Delle persone, degli “io” in azione che hanno contagiato gli altri e assicurato “tranquillità” nella parrocchia. Fra i volontari anche Ruben, un ex tossico, che portava quanti guarivano dal Covid nei luoghi che lo avevano visto vivere da drogato, perché tutti conoscessero il suo cambiamento. Un agire caritatevole che vuole essere anche un programma sociale. Don Carlos ha ricordato la lettera del 2020 di papa Francesco ai Movimenti popolari: «Pensiamo al progetto di sviluppo umano integrale a cui aneliamo, che si fonda sul protagonismo dei popoli in tutta la loro diversità, e sull’accesso universale a quelle tre T per cui lottate: tierra, techo e trabajo (terra, casa e lavoro)».

Caterina Cesana, da dieci anni, è insegnante in una cooperativa sociale di Carate Brianza che si occupa di affido diurno, formazione e inserimento lavorativo di ragazzi in situazione di difficoltà sociale, scolastica e lavorativa. A fondarla, nel 1994, fu proprio sua madre, Emilia Vergani, moglie di Giancarlo Cesana. Emilia morì 21 anni fa, in un tragico incidente stradale in Paraguay, ma i suoi amici vollero continuare la sua opera e costituirono una fondazione che porta il suo nome. Con In-Presa collaborano oggi circa 350 tra artigiani e imprenditori della zona, che operano nei più svariati settori: meccanici, elettricisti, falegnami, gastronomi, pasticceri, carrozzieri, florovivaisti, tipografi. Caterina ha ricordato l’eredità spirituale lasciata da sua madre, sottolineando che insieme ad un mestiere si offre ai ragazzi «una strada per capire che la vita ha un senso e il lavoro è un’occasione positiva». La strategia educativa di In-Presa è quella della relazione: con i ragazzi, tra i volontari e gli operatori, con gli imprenditori della zona, con le persone che si incontrano nelle scuole e nei palazzi del potere. È la relazione che educa. «Mia mamma ci ha insegnato che nella relazione si può comunicare quel terreno saldo, la fede cristiana vissuta nella Chiesa, che mette in azione la libertà di chi incontri».

Il Forum del Terzo settore mette insieme e coordina, in Italia, quelle realtà economiche, sociali e culturali no profit, come In-Presa, che cercano di tradurre in modo coerente e sistematico l’esperienza di condivisione e risposta ai problemi sociali e individuali in cui don Carlo, monsignor Santoro e Caterina sono immersi. Claudia Fiaschi è portavoce del Forum e anche lei sottolinea l’importanza della relazione, dell’essere parte di una comunità e di collaborare, «riconoscendo il talento dell’altro, per realizzare un benessere condiviso».

Ma, per fortuna, l’attenzione ai più deboli non è più patrimonio esclusivo del clero o delle cooperative sociali. Anche istituzioni un tempo lontanissime dal no-profit, perché totalmente votate al profit, come le banche, stanno cambiando rotta. Intesa Sanpaolo, ad esempio, è un’istituzione che vuole dare un reale contributo sociale alla comunità in termini di inclusione, valorizzazione dell’ambiente e della cultura, promozione dell’educazione e dell’innovazione. L’obiettivo è diventare la prima Impact Bank al mondo, mettendo a disposizione fondi finanziari accessibili alle categorie di persone in difficoltà e alle imprese per garantire un’opportunità per tutti. In questo campo, Marco Morganti, ha un ruolo di primo piano in Intesa Sanpaolo. Nel suo intervento non ha messo in discussione la legittimità del profitto ma ha auspicato che «gli utili di imprese e banche non si traducano esclusivamente in dividendi ma, in parte, ricadano sulla società, per realizzare il massimo beneficio per un sempre maggior numero di persone». Morganti ha affermato che bisogna dar credito, nel senso finanziario e di fiducia, anche a coloro che oggi non possono fornire garanzie, «scommettendo su quello che riusciranno a fare grazie a questo credito». È il concetto di “generatività economica”, che guarda oltre il cerchio magico del mercato, che oggi fornisce beni, servizi e soldi a chi già li ha per proprio conto. Morganti ha concluso con una osservazione polemica: «Pensate che colpo si darebbe alla pandemia se le grandi aziende che producono vaccini, invece di distribuire gli utili esclusivamente agli azionisti, li usassero, almeno in parte, per rendere il vaccino più accessibile».

(D.B.)

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