Didattica a distanza? Avanti con giudizio: l’educazione è relazione

Redazione Web

Rimini, giovedì 20 agosto – Nel suo intervento, in apertura del Meeting, Mario Draghi aveva insistito sull’importanza dell’educazione dei giovani nel nostro Paese, chiedendo di passare da sussidi improduttivi ad investimenti per un progetto formativo di lungo respiro, che garantisca un futuro di opportunità. In effetti, in materia di formazione e di istruzione, l’identikit del nostro Paese, tracciato dall’Ocse, è impietoso. In Italia, solo il 19% delle persone tra i 25 e i 64 anni hanno un’istruzione terziaria, contro il 37% della media Ocse. Abbiamo il 26% (rispetto al 14 % Ocse) di giovani che non lavorano, non studiano e non frequentano un corso di formazione, i cosiddetti “Neet” (Neither in Employment nor in Education or Training). Quanto ai professori, abbiamo il maggior numero di docenti ultracinquantenni. Per la scuola, si spende il 3,6% del Pil, a fronte di una media del 5. I risultati sono deludenti: due anni fa, i nostri quindicenni hanno ottenuto un punteggio inferiore alla media Ocse in scienze e lettura, tenendosi a galla solo in matematica.

Questa mattina, il Meeting, In collaborazione con Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà, ha affrontato il tema dell’emergenza educativa, attraverso una tavola rotonda (“Nuovi spazi per educazione e formazione. Liberare le iniziative della società”) alla quale hanno partecipato: Ferruccio De Bortoli, presidente della casa editrice Longanesi e dell’Associazione Vidas; Giorgio De Rita, segretario generale CENSIS; Mariastella Gelmini, capogruppo di Forza Italia alla Camera dei Deputati; Giancarlo Giorgetti, vicesegretario federale Lega, deputato al Parlamento Italiano; Maurizio Lupi, presidente Intergruppo Parlamentare per la Sussidiarietà; Simona Malpezzi, sottosegretario di Stato per i rapporti con il Parlamento, PD; Fabio Rampelli, vice presidente Camera dei Deputati; Gabriele Toccafondi, deputato al Parlamento Italiano, Italia Viva. Tommaso Agasisti, professore di Public Management al Politecnico di Milano, Dipartimento Educazione Fondazione per la Sussidiarietà, ha introdotto chiedendo ai partecipanti perché in Italia ci sia così poca fiducia nell’importanza della formazione del capitale umano per lo sviluppo del Paese, quali ne siano le conseguenze e come si possa uscire da questa impasse che vede eccesso di centralismo e scarsa autonomia fra le sue cause principali.

Secondo De Rita, da 50 anni, si è scelto di educare la persona indipendentemente dall’economia. Così sono stati lasciati indietro alcuni nodi strutturali: l’abbandono scolastico («nel lockdown persi tra il 12 e il 15% degli studenti»); il venir meno dell’esperienza scolastica come possibilità di inclusione, cosicché il 42% dei quindicenni non abbienti non ha raggiunto il livello minimo di lettura; la presenza di stranieri, almeno 900mila ragazzi, del livello scolastico dei quali poco ci si cura; la crisi dell’edilizia scolastica, con un edificio su due non agibile; eccesso di burocratizzazione. A detta di De Rita, non c’è una seria programmazione e si sta disinvestendo nella formazione del capitale umano. Quanto al futuro, per il sociologo, assisteremo ad un «disallineamento dalle esigenze delle imprese che già oggi dicono di non trovare personale competente».

Su quest’ultimo punto si è dichiarato d’accordo anche De Bortoli, secondo il quale il capitale umano e la sua formazione non sono in cima alle preoccupazioni del mondo della politica, «perché non rendono dal punto di vista elettorale come altre misure, vedi quota 100, che sono apertamente contro i giovani». De Bortoli ha chiesto all’impresa privata di finanziare le nostre università, invitando ad un severo esame di coscienza quanti, pur potendo sostenere questo o quell’ateneo, pensano di risolvere il problema mandando i figli a studiare all’estero. Non ha fatto mancare le sue critiche anche al mondo della scuola, «una corporazione con troppo potere, che rifiuta di sottoporsi ad una seria valutazione».

Malpezzi ha auspicato una scuola aperta alla realtà, alla quale conferire una grande autonomia per interagire con il suo territorio e rispondere puntualmente alle esigenze del contesto in cui opera. Per la parlamentare del PD, bisogna anche puntare su ITS (Istruzione tecnica superiore) e lauree professionalizzanti che consentano al nostro patrimonio formativo di essere all’avanguardia. «Sulla scuola», ha proposto, «non occorre una battaglia politica, ma un’alleanza trasversale, per un grande progetto educativo adeguato al nuovo contesto e ai grandi cambiamenti»

Rampelli ha detto di diffidare di un modello unico di educazione e ha insistito sulla necessità che ognuno delinei i suoi obiettivi strategici. «La globalizzazione», ha aggiunto, «spinge verso soluzioni tecnocratiche che fanno a meno di valori ideali e spirituali. Io voglio che dalla scuola escano persone nuove e non solo tecnici con una formazione acritica». Rampelli ha parlato del rapporto fra scuola statale e scuola paritaria, sostenendo che la prima, oggi, «distribuisce solo nozioni e competenze e lascia tutti gli altri aspetti fuori dalla porta». Statalista pentito, ha affermato che «la scuola pubblica paritaria sta funzionando meglio di quella statale», e che è necessaria una sana competizione fra i due sistemi.

Sull’argomento è intervenuta anche Gelmini, per ricordare come il governo, invece di cercare una collaborazione con le paritarie, ha rifiutato la loro disponibilità a fornire gli spazi necessari per un tranquillo avvio di anno scolastico. L’ex ministro dell’istruzione ha condannato la politica scolastica del governo come velleitaria e contraddittoria, soffermandosi sulle modalità di affronto dell’emergenza Covid. Gelmini ha parlato della possibilità di investire una parte del Recovery fund nel sistema scolastico, in particolare negli ITS che danno una possibilità di occupazione vicina al 90%. «Ma per questo e per tutto l’impiego del Recovery fund, bisogna andare in Parlamento». Infine, ha presentato una recente proposta dell’Intergruppo per la Sussidiarietà: consistenti agevolazioni fiscali per le imprese che investono in formazione.

Toccafondi ha lamentato l’assenza di una visione complessiva nel dibattito politico odierno sulla scuola, ha chiesto un’ampia autonomia scolastica e difeso il sistema misto di scuole statali e paritarie. Quanto al rapporto con il mondo del lavoro, ha criticato la tendenza alla liceizzazione degli Istituti professionali, che sarebbe una delle cause dell’abbandono scolastico di molti studenti di questi istituti.

Secondo Giorgetti, non si viene a capo dei problemi della scuola perché la politica italiana ha un pensiero corto e affannato, preoccupata com’è del consenso immediato. A detta dell’esponente della Lega, è miope ridurre l’educazione al mondo della scuola, senza pensare che ci sono altre realtà educative, che vanno dalla famiglia alle associazioni sportive. «Le esperienze sono decisive nel cammino formativo ed educativo», ha sostenuto, «si impara facendo insieme a chi insegna, stando con i propri compagni di corso. Senza relazione non ci può essere educazione, per questo sono terrorizzato dalla didattica a distanza, vera e propria spinta decisiva all’atomizzazione della persona».

A Lupi il compito di presentare il lavoro dell’Integruppo in questo ultimo periodo, le iniziative di cui il Gruppo stesso si è fatto promotore, ad esempio “Capitale umano 4.0” (la defiscalizzazione delle imprese che investono in formazione e capitale umano) e le Non cognitive skills, e di rilanciare la necessità di investimenti e non sussidi («perché i soldi ci sono, visto che si spendono tre miliardi per i tavoli a rotelle»). Infine un avvertimento a Walter Ricciardi, consulente del Ministero della salute, che ha messo in discussione la riapertura delle scuole a causa del virus: «Ricciardi, le scuole non si debbono più chiudere!»

(D.B.-G.L.)

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