Dall’Ucraina con amore

Redazione Web

Dall’Ucraina con amore
Cultura, poesia, arte di un Paese vivo

Rimini, 21 agosto 2022 – La Sala Neri Generali al Meeting di Rimini ha ospitato l’incontro dal titolo “Dall’Ucraina con amore. Cultura, poesia, arte di un Paese vivo”, davanti a un pubblico di persone desiderose di ascoltare le storie dalla viva voce dei protagonisti.
Sono intervenuti Boris Chersonskij, poeta, traduttore, professore di psicologia clinica di Odessa, oggi borsista della Fondazione Brodski; il filosofo ed editore di Kiev Constantin Sigov; e Pavel Makov, artista di Kharkiv, a cui quest’anno è stato affidato il Padiglione dell’Ucraina alla Biennale di Venezia. Ha introdotto Luca Fiore, critico d’arte e giornalista.
Doveva essere un viaggio d’amore, e invece è stato anche un viaggio di dolore. C’è da essere freddamente indifferenti a non soffrire nel sentire le loro storie, e nelle parole di questi tre uomini si percepisce un dolore patito da tempo, per lo più in silenzio.
Makov racconta: «Mi sono reso conto che il mio Paese aveva bisogno di me. Gli anni Novanta erano anni in cui non c’era nulla. Non c’erano musei, niente arte contemporanea, ma c’eravamo noi, che passo dopo passo abbiamo deciso di esserci: c’eravamo noi. Abbiamo iniziato a dire “io” e a capire che il luogo in cui si lavora è un luogo che ci appartiene. Ho inizia-to a lavorare andando in questa direzione, che era quella della ricostruzione di una identità. L’Ucraina si stava sviluppando».
«Molti amici in Italia mi hanno detto che la loro conoscenza del mio Paese è iniziata negli ultimi sei mesi», ha proseguito l’artista. «Prima del 24 febbraio si pensava all’Ucraina solo co-me a una parte di un impero. C’era questa sudditanza, anche identitaria. Non è politicamente corretto quello che sto per dire, ma sembra che tutti si aspettassero che l’Ucraina sarebbe stata occultata dalle forze russe in poco tempo. In realtà era più facile pensarla come parte dell’Impero Russo. È molto difficile perdere un punto di riferimento e l’Europa in un certo senso aveva un punto di riferimento per quello che si aspettava sarebbe successo al nostro Paese».
«Negli anni Novanta ho inventato l’arte postale», ha raccontato Makov. «Avevo chiesto ai miei amici di scrivermi lettere, ma invece del nome del Paese (Ucraina) dovevano scrivere Utòpia, che in greco vuol dire “luogo che non esiste.” Ho sempre pensato che il nostro Paese doveva essere più esposto al mondo. Ma non come continuazione della cultura russa: andava conosciuto questo Paese. Quando parlo coi miei amici europei dicendo che il confine dell’Ucraina dista 500 chilometri da Vienna, rimangono stupiti: il mio Paese non è poi così lontano».
Sigov ha iniziato la sua testimonianza leggendo un canto Taizè, che dice “Rallegrati terra, il figlio di Dio consola il suo popolo”, e ha spiegato: «Si tratta di un appello biblico come può essere il grido fatto in un momento tragico come quello attuale. Per cercare di far conoscere l’Ucraina come Paese che fa parte della famiglia delle culture europee, abbiamo pubblicato centinai di libri tradotti in varie lingue, anche in ucraino. La guerra non è solo contro un Paese, ma è contro la realtà, e contro la libertà e la dignità umana. È contro un Paese, ma è in realtà anche contro tutti gli altri Paesi da parte di una tirannia. Credo che la nostra libertà, anche di tradurre e poter mettere in pratica un modo di vita che è a tutti gli effetti europeo, sia messo in grande pericolo. Quello che divide porta distruzione e morte, e non solo tramite missili che colpiscono le città ucraine, ma anche con le menzogne: soprattutto le menzogne distruggono».
Anche Chersonskij si è raccontato. Hanno commosso le sue parole quando, riferendosi all’importante premio letterario ricevuto per il suo libro “Diario di Crimea”, ha detto: «Per-donate questo orgoglio, quando parlo del premio ricevuto, ma sono cresciuto in un mondo in cui non era possibile esprimere certi sentimenti. Essere modesti è però il modo migliore per essere dimenticati per sempre. Questo ci insegnavano da bambini quando eravamo sotto il regime dell’Impero Russo: a essere modesti. Ma io vorrei che non si dimenticasse il mio Paese. Sono nato in una città di lingua russa, e la mia mamma non mi cantava le ninna-nanne, ma la canzone che sentivo era “Lili Marleen”, in tedesco. Quando scrivevo lo facevo in tedesco. Non potevo stampare quello che scrivevo, poiché ero ebreo; inoltre non ero in grado di scrivere poesie in onore del partito comunista e, terzo motivo, molti miei versi ave-vano una nota religiosa cristiana, e per questo fino ai miei 41 anni non esisteva il poeta e professore Chersonskij, ma solo il medico che ero. I primi miei libri sono usciti a Mosca quando avevo 56 anni. Sono stati accolti bene e ho ricevuto anche un premio».
«Scrivere in ucraino è stato l’appello della coscienza», ha continuato Chersonskij. «Capisco che molti di voi credono almeno un po’ a quello che dicono i russi, ma io vorrei dirvi che la base, il fondamento di quello che dicono i russi è la menzogna e bisogna dirvi che, se voi credete che l’Ucraina sia un Paese nazista, vi ricordo che il presidente di questo Paese è ebreo e che qui in Ucraina la lingua russa non è perseguitata, perché i miei libri sono scritti in russo, e tutto quello che sentite, purtroppo, non sono nemmeno le solite menzogne sovieti-che. Oggi si crea una realtà parallela basata su fatti che non esistono. Io ritengo che la propaganda della parte russa sia un crimine non minore di quelli della propaganda di Goebbels durante la II Guerra Mondiale».
Sigov ha concluso l’incontro con lo stesso canto con cui lo aveva iniziato. La consolazione del popolo non avviene con idee pacifiste e belle parole, ma con l’incarnazione di Gesù che non ha casa, che deve fuggire da Erode verso l’Egitto, e questa storia va ancora avanti, è il loro viaggio che continua ancora.

(M.B.)

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