Dalla Turchia all’Iran, cosa sta accadendo in questi due paesi: Federlegno Arredo lo chiede ad Alberto Negri de Il Sole 24 Ore

Press Meeting

Tra Istanbul e Teheran, dove i mercanti costruiscono relazioni di pace

L’incontro nello stand di Ferderlegno Arredo inizia con le immagini che il Tg1 mandò in onda dopo il tentato golpe in Turchia, un mese fa: carri armati per le strade di Ankara e un civile davanti a un cingolato per fermarlo. I carri armati erano dei golpisti, il civile faceva quello che avrebbe dovuto fare la polizia turca. “Che invece stava alla finestra ad aspettare come sarebbe andata” commenta Alberto Negri, inviato speciale de Il Sole 24 ore, da trent’anni sul Medio Oriente.

È inaspettato il taglio che Giovanni De Ponti, direttore generale di Federlegno Arredo, ha voluto per questo appuntamento: “Vogliamo capire cosa sta accadendo, quali sono le ragioni che hanno portato a tutto questo e cosa possiamo imparare”. “Il giorno dopo ero all’aeroporto di Istanbul – racconta Negri – ho visto il carro attrezzi portare via il carro armato: immagine simbolo del mancato golpe. Ma attenzione, gran parte delle forze armate non ha contrastato né è intervenuta. Soprattutto non è intervenuta, segno di un’evidente insofferenza verso Erdogan”. Il che spiega le successive purghe riassunte in 35mila arresti e 70mila epurazioni che hanno tagliato parte della borghesia turca, “un prezzo che si pagherà”.

Le relazioni economiche tra la filiera del legno e la Turchia resistono e le previsioni vanno verso la crescita, lo stesso vale per l’Iran. I grafici nello stand puntano verso l’alto: la Turchia è uno dei principali fornitori, l’Iran potrebbe diventare un ottimo importatore. Se la Turchia era un ponte tra Oriente e Occidente “oggi è un pendolo – afferma Negri – per questioni di sopravvivenza Erdogan è costretto ad allearsi con Putin: fino a ieri i due si trovavano su fronti opposti nella guerra in Siria. Oggi, per Erdogan, la guerra è persa”. Il direttore di Federlegno Arredo e l’inviato speciale de Il Sole 24 Ore si erano incontrati proprio a Istanbul: “Dopo due giorni di convegno – racconta De Ponti – noi imprenditori avevamo il morale alle stelle. L’ultimo relatore fu Negri che con il suo sano realismo ci riportò con i piedi per terra anticipandoci quello che si è poi realizzato nei fatti”.

Per raccontare di sé il giornalista estrae, dopo averlo cercato in tutte le tasche, un foglietto che la telecamera ingrandisce: scritte a mano ci sono le tappe della sua carriera. Inizia con 1979, Iran, caduta dello Scià di Persia, prosegue con l’insediamento di Khomeini, la proclamazione della prima repubblica islamica, l’invasione di Saddam Hussein. In quel foglietto ci sono trent’anni di storia vissuta in prima persona, sul posto. Chiede De Ponti: “In Iran esiste un grande apprezzamento per il nostro paese, come si spiega?” Per la storia millenaria che l’Iran ha e di cui è consapevole, risponde Negri. “L’Iran è l’ex Persia, ha tremila anni di storia. Ci vede come un popolo erede di una storia ugualmente millenaria seppure diversa. Ci riconosce come popolo di artisti, mercanti. Negli anni Ottanta, in piena crisi, sotto sanzioni, senza alleati, l’Iran fu abbandonato da tutti meno che dall’Italia. Questo è rimasto negli iraniani insieme al fatto di avere una grande cultura comune, diversa certo, cattolica e mussulmana, ma non per questo meno dialogante”.

Certo, ricorda l’inviato, parliamo di una repubblica islamica, “ma la stessa guerra che ha portato gli uomini al fronte ha fatto entrare le donne nella vita pubblica. Insegnano, guidano tram, siedono in Parlamento. Non è tutto rose e fiori ma occorre essere pragmatici: è un mondo diversamente mussulmano, ci sono i dogmi e la capacità e l’interesse a interpretarli, c’è la possibilità del dialogo. Poi ci sono le barriere concrete che, attenzione, non mettono gli italiani o gli iraniani, ma gli Stati Uniti. Le banche internazionali non rilasciano prestiti temendo che gli Usa riprendano le sanzioni e i crediti divengano inesigibili”.

De Ponti chiama a intervenire Marco Predari, presidente Assufficio, che conferma: “C’è una facilità di rapporti: molti architetti iraniani hanno studiato in Italia, sono colti, intelligenti. Il circuito bancario non è semplice e ci sono i dazi. Bisogna crederci”.

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