Curare quando non c’è possibilità di cura all’inizio e fine vita

Press Meeting

Rimini, 25 agosto 2015 – Healing: è un termine della lingua inglese difficile da tradurre in italiano. Significa curare, ma ha un connotato di attenzione, di devozione e di tenerezza. Questo termine è stato il centro dell’incontro di oggi pomeriggio alle 15, in auditorium Intesa SanPaolo B3 dal titolo: “Curare quando non c’è possibilità di cura all’inizio e fine vita”. Presenti al dibattito Elvira Parravicini, assistant professor di Pediatria al Columbia University Medical Centre (USA) e Brad Stuart, cofondatore e ceo di ACIStrangies (USA).
L’incontro si è svolto come un dialogo nel quale la dottoressa ha proposto al professore di confrontarsi su alcune questioni emerse della sua esperienza lavorativa. Elvira Parravicini ha esordito introducendo il concetto di healing: “Io credo che ci sia un healing per il paziente e un healing per l’operatore sanitario; è come se queste due esperienze avvengano allo stesso momento, siano contemporanee, come rispondendo a un bisogno comune”. Continua poi rivolta all’ospite : “Cosa significa healing per lei?”.
Il dottor Stuart ha risposto precisando la natura dell’essere medico, che non può limitarsi ad un semplice curare, ma a “guarire il paziente, la guarigione infatti è un processo che si può descrivere come l’aiutare una persona a prendere coscienza del proprio vero io: significa avvertire la presenza del sacro”.
A questo punto la neonatologa ha mostrato, aiutata da storie e foto dei suoi piccoli pazienti, situazioni di successo terapeutico ma anche di insuccesso e ha posto al dottore questa domanda: “I nostri pazienti ci chiedono la salute e noi vorremmo la loro completa guarigione, ma non sempre succede. Come affronta questo?” Stuart ha messo a nudo la propria esperienza: “Di fronte a un malato incurabile dobbiamo guardare a ciò che questo provoca in noi, non aver paura del senso di impotenza che questo genera. Se siamo coscienti che il risultato finale non dipenderà da noi, potremmo essere dei veri guaritori”. Il professore ha poi raccontato aneddoti personali di particolare drammaticità per giungere a riassumere i seguenti tre punti: “Non abbiate paura di porre domande, ascoltate attentamente le persone, siate pronti a sorprendervi”.
Parravicini ha ripreso la parola portando un ulteriore esempio in cui, facendo appello al cuore di una mamma, ha fatto sì che questa sentisse preziosa la vita che stava crescendo in lei. Quindi ha chiesto di nuovo al dottore: “Che esperienza ha del cuore come risorsa?” Il professore ha precisato che la prima risorsa è il cuore del medico, poi ha menzionato un episodio relativo alla sua storia di giovane medico: nel rapporto con un paziente affetto da grave leucemia ha scoperto in lui l’irriducibilità dell’io: “Mi ha colpito la luce nei suoi occhi quando mi fece vedere una foto della moglie a cavallo della sua moto – lui era un grande appassionato di motori. Quel giorno sono stato guarito dalla mia paura della leucemia – ha concluso – è solo prestando attenzione al proprio cuore che la guarigione ha inizio”.
Al termine la moderatrice ha espresso un’ultima domanda: “Prima della morte c’è la vita. Che esperienza ha di ciò nel suo lavoro?” “Io sono medico da quasi 40 anni – ha esordito Stuart – sono specializzato nella cura clinica e spirituale dei pazienti di fine vita. Cerco di offrire la migliore vita possibile finché ciò sia possibile per loro, perciò li curo proprio lì dove vivono. Credo che questo potrebbe essere un modo per fornire una migliore assistenza sanitaria in futuro; sia in termini di costi sia per il conforto dei pazienti”.
L’incontro si è concluso con la gratitudine di Stuart per la sua collega e un caloroso applauso da parte della platea a questo medico fuori dall’ordinario.

(A.B., M.G.D’A.)

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