“Cucire la speranza”

Press Meeting

È un emozionato e gremito Salone Intesa Sanpaolo B3 ad accogliere alle 19:00 Rosemary Nyirumbe, missionaria del Sacro Cuore di Gesù in Uganda. Melisa Polo Friz, studentessa di medicina all’Università degli studi di Milano-Bicocca, ha introdotto l’importante ospite, definita come «una testimone convincente della gioia di annunciare il Vangelo», con le parole che papa Francesco ha rivolto al popolo del Meeting di quest’anno: solo riguadagnando la nostra eredità, senza «lasciarsi spaventare da fatiche e sofferenze, potremo vivere come un’opportunità il cambiamento d’epoca in cui siamo immersi, come occasione per comunicare in modo convincente agli uomini la gioia del Vangelo».

Suor Rosemary non ha potuto raccontare la sua storia senza ripercorrere quella del suo paese: «Dal 1986 fino al 2008 l’Uganda è stato oppresso dalle atrocità commesse dai ribelli guidati da Joseph Kony. Moltissime persone sono state uccise o costrette a lasciare i propri villaggi, le proprie case, i propri affetti». Il crimine più grave commesso dai ribelli, però, è stato il rapimento di migliaia di bambini dalle proprie famiglie: «Strappati dalle braccia dei genitori, senza che questi potessero fare nulla, i bambini venivano fatti schiavi; costretti a portare i pesanti bagagli dei dissidenti, non potevano lamentarsi o accusare la fatica, pena la morte. Ovviamente, le ragazze venivano preferite ai maschi, in quanto potevano servire i miliziani anche sessualmente». Dopo anni in cattività, costretti dai ribelli a subire e a commettere vessazioni, molti riuscirono a scappare, ma per le ragazze il ritorno alla società è stato complicato: «Molte di loro», ha affermato la missionaria, «erano rimaste incinte dei loro rapitori. Queste giovani madri venivano guardate con diffidenza: la gente temeva che, dopo tutti i crimini a cui avevano assistito e che avevano dovuto commettere, fossero diventate esse stesse violente».

La storia di una di queste ragazze, raccontata anche nel libro “Cucire la speranza” che ha dato il titolo all’incontro, è ben impressa nella mente di suor Rosemary: «Sharon era stata costretta ad ammazzare e fare a pezzi sua sorella, dopo che quest’ultima non era riuscita a obbedire a un comando dei ribelli». Questo fatto aprì in lei una ferita profonda, che forse non si sarebbe mai rimarginata, se non avesse incontrato Santa Monica, l’opera guidata dalla missionaria: «All’inizio Sharon temeva di non poter mai essere perdonata da me per il crimine che aveva commesso. Allora io le dissi che non avevo bisogno di perdonarla, perché Dio aveva già lavato tutte le nostre colpe morendo in croce per noi. La testimonianza dell’amore di Cristo attraverso la nostra umile ma tenace compagnia ha accompagnato Sharon a perdonarsi e oggi lei è nuovamente una splendida donna, sposa e madre». Questo esempio, a giudizio della relatrice, mostra chiaramente quale sia l’obiettivo dell’opera Santa Monica: «Aiutiamo tutte queste donne a sentirsi parte di una famiglia, mostrando loro un futuro di speranza fondato sulla certezza presente di essere amate e abbracciate per quello che sono, con tutte le loro ferite».

«Per aiutarle ad avere un futuro insegniamo loro un mestiere», ha concluso la religiosa, mostrando orgogliosa al pubblico delle splendide borse realizzate con materiali di riciclo: «Così come gli scarti e i rifiuti possono essere cuciti per formare degli oggetti stupendi, anche queste donne, che sono state rifiutate, possono ricucire le loro ferite con tanto lavoro e pazienza e tornare ad essere stupende».

«Per poter essere come suor Rosemary, non dobbiamo per forza andare anche noi in missione in Africa», ha affermato la moderatrice, provocando il pubblico con una citazione di Paul Claudel: «Santità non è farsi lapidare in terra di Paganìa o baciare un lebbroso sulla bocca, ma fare la volontà di Dio, con prontezza, si tratti di restare al nostro posto, o di salire più alto».

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