«Ce la faremo!»

Redazione Web

«Ce la faremo!»
Politici, imprenditori ed esperti convinti delle grandi capacità di ripresa del Paese. Ma ognuno deve fare la sua parte

Rimini, 25 agosto 2022 – «Ce la faremo?». La domanda ci insegue tutto il giorno: dal Gr della mattina al Tg della sera. Gli ingredienti per disperare ci sono tutti: la pandemia che non allenta la presa, la guerra in Ucraina che andrà avanti per chissà quanto, le bollette che si impennano, il governo che cade e i figli che non nascono. Eppure in tanti, anche fra coloro che hanno le mani in pasta nella politica, nell’impresa, nella ricerca, dicono che sì, reagiremo, ma a certe condizioni. Al XLIII Meeting per l’amicizia fra i popoli, si è avvertita una volontà di ripresa e la convinzione che, come ha detto Mario Draghi, «l’Italia ce la farà anche questa volta».
In Sala Neri Generali, Giorgio Vittadini, presidente della Fondazione per la Sussidiarietà ha coordinato il confronto “Crisi o ripresa: quali le chiavi dello sviluppo?”, fra cinque personaggi che, per professione e ruoli istituzionali, hanno il polso della situazione del nostro Paese e sono in grado di delineare gli scenari nei quali si deve giocare la nostra responsabilità: Giancarlo Blangiardo, presidente ISTAT; Marco Ceresa, group chief executive officer Randstad Italia; Roberto Giacchi, amministratore delegato di Italiaonline; Giancarlo Giorgetti, ministro dello Sviluppo Economico; Bernardo Mattarella, amministratore delegato di Invitalia.
Giorgetti, richiamando il titolo del Meeting, ha affermato che il soggetto dello sviluppo economico non è il suo dicastero, bensì l’imprenditore, «quell’uomo-imprenditore che affronta e supera le difficoltà». Due strategie, per il ministro, sono indispensabili per la ripresa: la rivoluzione digitale e la transizione energetica. A proposito di energia, Giorgetti ha detto che bisogna scongiurare «il passaggio mortale di settembre». Secondo lui, l’Europa non ha valutato le conseguenze delle sanzioni e adesso, per il gas, ha due strade: o separa il prezzo dell’energia dal prezzo massimo del gas oppure autorizza gli Stati allo scostamento di bilancio.
Il presidente dell’ISTAT ha compiuto un’analisi impietosa del panorama demografico italiano. Al primo giugno, in Italia, eravamo quasi 59 milioni di persone, fra dieci anni saremo un milione di meno, nel 2070 gli abitanti scenderanno di undici milioni. «Un grande Paese deve avere una popolazione numerosa», ha affermato Blangiardo, «e noi siamo al 24° posto a livello mondiale. La popolazione ci vuole perché, fra l’altro, alimenta il sistema economico». Invece la nostra popolazione attiva (persone comprese fra i 20 e i 66 anni) oggi è solo di 36 milioni, che scenderanno a 27 fra trent’anni. Il fatto è che nascono sempre meno bambini, non tanto per la pandemia, ma perché diminuisce il numero delle donne in età feconda: tra il 2008 e il 2022 le nascite sono diminuite del 36%.
Questi dati sembrano non incidere più di tanto sulla nostra economia, ma se la popolazione continuerà a diminuire ne risentirà anche il Pil. Una proiezione, elaborata in base ai dati Ocse, prevede che in Italia dagli attuali 41 milioni di unità di consumo, nel giro di 18 anni, passeremo a 40 milioni. L’economia ne risentirà. Per Blangiardo bisogna considerare tre fenomeni: la natalità, la mobilità e l’immigrazione, l’invecchiamento. Si fanno meno figli perché i bambini costano, portano via tempo, stravolgono la vita. Il presidente ISTAT non dà ricette («le conosciamo tutti»), si limita ad un invito perentorio: «Diamoci da fare!». Quanto alla mobilità, «dobbiamo tenerci i nostri giovani laureati, sui quali abbiamo investito risorse, e che poi se ne vanno all’estero a lavorare per la concorrenza». Gli immigrati possono essere parte della soluzione del problema, «ma 130mila all’anno non rimpiazzeranno gli 11 milioni di nativi che mancheranno fra cinquant’anni, senza contare i problemi legati all’integrazione». Infine, gli anziani. Oggi gli italiani di almeno novant’anni sono 800mila, che diverranno 2,2 milioni nel 2070. Ma secondo Blangiardo possono essere una risorsa. «Ci sono tante aziende che lavorano per gli anziani», ha spiegato. «In Italia siamo avanti in questo campo e i nostri prodotti potrebbero rispondere ad una domanda mondiale».
Di lavoro e occupazione ha parlato Ceresa. Il suo è un osservatorio privilegiato, perché la Randstad è una multinazionale olandese che si occupa di ricerca, selezione e formazione di risorse umane. Ceresa ha spiegato che nell’ultimo anno gli occupati sono cresciuti, ma ha messo in guardia dalla vecchia convinzione secondo cui il posto di lavoro è garantito dal contratto. «Oggi ci vogliono competenze che siano interessanti per l’azienda e così bisogna fare grande attività di orientamento. Poi occorre un sistema Paese che sia interessante per gli investitori stranieri». Ceresa ha detto che la sua azienda dà ai suoi dipendenti, per sei anni, mille euro per ogni bambino e che garantisce un sistema di asili nido. Ma non basta. «Ci chiediamo», ha detto, «che cosa, oltre agli incentivi economici, può far nascere più bambini». Guardando all’immediato futuro, Ceresa ha chiesto al prossimo governo di non rivoluzionare il mercato del lavoro, ma «di migliorare l’esistente»: confermare la decontribuzione per il Sud, i giovani e le donne; rendere obbligatoria la formazione per chi esce da aziende in crisi; dare mutui a persone che hanno un contratto a tempo indeterminato tramite agenzia. Per il lungo periodo, ha proposto un allargamento degli Its (Istituti tecnici superiori) a chi ha bisogno di nuove competenze e una modifica del Reddito di cittadinanza. «Ci sono persone veramente inabili al lavoro», ha riconosciuto, «e debbono essere aiutate a sopravvivere, ma ci sono anche tanti che, pur potendo lavorare, preferiscono starsene a casa».
Giacchi è amministratore delegato di Italiaonline, il primo gruppo digitale italiano con forti interessi nel campo pubblicitario. Secondo lui, siamo in una fase di sviluppo economico, ma della ricchezza che si sta producendo non beneficia l’Italia, essa finisce piuttosto all’estero. Per Giacchi, il problema dell’Italia non è lavorare di più (le nostre ore per addetto superano quelle della Germania), ma lavorare meglio. E questo si fa a due condizioni: con una innovazione rivoluzionaria e discontinua rispetto al passato e con nuove competenze. «La pubblicità italiana», ha spiegato, «è entrata nel digitale facendo però le stesse cose di prima. E così gli investimenti vanno verso chi ha introdotto reali innovazioni: Google, Facebook, Instagram, Tik Tok». Quanto alle competenze, Giacchi ha affermato che la tecnologia non distrugge i posti di lavoro, ma seleziona le competenze, richiedendone delle nuove. «C’è bisogno di competenze a prova di futuro», ha avvertito, «che ci consentiranno di andare noi a prendere la nuova ricchezza».
Invitalia è l’agenzia nazionale per l’attrazione degli investimenti e lo sviluppo d’impresa, di proprietà del Ministero dell’Economia. Mattarella ne è l’amministratore delegato ed è convinto della necessità dell’intervento pubblico in economia, purché sia «rigoroso, limpido e ordinato». Pandemia e guerra, a suo modo di vedere, «impongono di incentrare tutto su una sostenibilità sociale, economica e ambientale, che rimetta al centro l’uomo». Mattarella ha elencato gli interventi della sua Agenzia: sostegno all’imprenditoria giovanile (con la creazione di 60mila occupati) e al Terzo settore (200 milioni di euro per imprese sociali, ricreative e culturali); finanziamenti a 630mila aziende che hanno messo in moto investimenti per 25 miliardi di euro; contratti di sviluppo che hanno salvaguardato e creato oltre 117mila posti di lavoro. «Bisogna dare attuazione al Pnrr», ha aggiunto Mattarella, «e per questo Invitalia sta gestendo numerosi incentivi e investe in supporti infrastrutturali come la banda larga e il supporto operativo ad amministrazioni pubbliche centrali e periferiche».
Giorgetti, nel finale, sui è appellato ancora una volta alla responsabilità dei politici: «Dobbiamo capire e prevedere i cambiamenti che porteranno le rivoluzioni digitale e ambientale richieste dal Pnrr e non ripetere gli errori del passato. Oggi ci stiamo leccando le ferite della nostra dipendenza dal gas russo, ma quando parliamo di fotovoltaico o di auto elettrica ci chiediamo chi controllerà il cloud, chi produrrà i componenti, chi deterrà il controllo delle materie prime e dei minerali rari. Oggi dipendiamo dalla Russia per il gas, per tutto il resto non vorrei finire, fra dieci o venti anni, sotto il controllo della Cina».
«In questo Meeting, nonostante la crisi evidente, si è respirato un clima di ottimismo», ha concluso Vittadini. «Si è visto un popolo in azione, in cui intelligenza e ragione possono cambiare la storia. L’Italia è una squadra da contropiede, questo è il suo momento!».
(D.B.)

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