Universitas – University, associazione che riunisce molti docenti e ricercatori universitari, ha promosso questa mattina l’incontro “C’è futuro per l’Università?”.
Daniele Bassi, presidente dell’associazione, ha introdotto il dibattito esprimendo la sua preoccupazione per il futuro dell’istituzione universitaria, in questo momento afflitta da 2 problemi: il fallimento della riforma degli ordinamenti didattici e l’assenza di un sistema efficiente di arruolamento dei docenti.
Ernesto Galli della Loggia, preside della facoltà di Filosofia dell’Università Vita e Salute del San Raffaele a Milano, ha individuato alcune ragioni della preoccupante situazione della nostra università. La prima causa è l’abbassamento di livello della formazione pre – universitaria negli ultimi 30 anni, come dimostrato da recenti dati dell’OCSE. In secondo luogo, sono assai carenti le proposte di riforma, che dovrebbero avere il coraggio di affrontare almeno 5 questioni: l’inserimento di criteri meritocratici effettivi e severi, per gli studenti come per i docenti; l’innalzamento delle tasse universitarie, per fornire nuovi fondi all’istruzione, che, come tutte le cose che costano poco, è spesso svalutata; il necessario ripensamento del diritto allo studio, che non deve essere gestito dalle regioni, ma dalle università stesse; la precisazione del significato di “autonomia universitaria”: non un autogoverno incontrollato della corporazione dei professori, ma una struttura che sappia punire chi lavora male; l’abolizione del valore legale del titolo di studio (proposta accolta dalla platea con un applauso), che permetterebbe l’entrata di regole di mercato nel mondo dell’istruzione, valorizzando chi lavora meglio.
Le provocazioni di Galli della Loggia sono state raccolte dal secondo relatore, Nicola Rossi, parlamentare ed ordinario di Analisi Economica all’Università Tor Vergata di Roma. Rossi ha iniziato sottolineando la coincidenza tra futuro dell’Università e futuro del Paese. Per ambedue l’attuale struttura degli incentivi è completamente da riformare, secondo i criteri meritocratici detti prima e non, come succede, premiando solo anzianità e fedeltà. Qui sta il problema, non nella tanto discussa assenza di risorse. Secondo Rossi, ogni ateneo deve essere lasciato libero di strutturarsi come vuole ed è inconcepibile la “forte invadenza ministeriale e parlamentare che viviamo adesso”. Per uscire da questo pantano ci sarebbe bisogno di qualche università che provasse a sperimentare modelli organizzativi diversi, dando il via ad un mutamento che, poco a poco, interesserebbe tutti.
Diverso è stato il taglio del contributo di Marco Traini, ordinario di fisica nucleare e subnucleare all’Università di Trento. Ha raccontato della sua esperienza di docente in una piccola, ma attiva, comunità scientifica. Un possibile futuro che veda solo poche e grandi università di elevato livello accanto a molti atenei di bassa difficoltà, non piace al professor Traini. “Al centro dell’università – ha detto – sta la passione nella ricerca e il rapporto tra lo studente e un maestro, frutto di una curiosità radicata nell’uomo che mai farà smettere l’attività universitaria”. Allo stesso modo, mai dovrà morire l’istituzione universitaria, poiché sarebbe impensabile comprare tutta la conoscenza all’estero senza avere al proprio interno un bagaglio di conoscenze valide, necessarie anche all’utilizzo dell’eventuale conoscenza esterna. In un Paese non si può neanche fare applicazione se non c’è ricerca: è, perciò, necessario valorizzare proprio le comunità scientifiche.
A questo punto sono state raccolte una decina di domande dal pubblico, alle quali i relatori hanno dedicato i loro ultimi interventi.
Galli della Loggia, parlando del ruolo degli studenti universitari, li ha esortati a capire meglio la logica dell’università, abbandonando un modo d’agire troppo spesso preoccupato di questioni particolari (quali l’aumento del numero d’appelli d’esame) e superficiale nella lettura della situazione più generale.
Nicola Rossi ha risposto ad una provocazione circa la tendenza dei professori ad entrare in politica. Ha ricordato che l’università è, prima ancora che scuola di formazione della classe dirigente, un luogo dove si fa ricerca ed è vero che, dopo 20 anni di carriera parlamentare, probabilmente, non si è più capaci di insegnare ad un certo livello. In ogni caso, questo è un problema secondario; molto più preoccupante, per esempio, è il fatto che la nostra università non sappia attrarre nessun studente straniero.
Traini ha sostenuto che il taglio più generalista della nostra formazione, rispetto agli altri sistemi scolastici europei, non è un impedimento nel raggiungimento di capacità più specifiche. Sempre Traini ha chiuso il suo discorso proponendo l’abolizione dei concorsi per le cattedre, in favore della chiamata diretta, così da lasciare le università libere e responsabili delle loro scelte.
E. M.
Rimini, 23 agosto 2005