AD USUM FABRICAE. L’INFINITO PLASMA L’OPERA LA COSTRUZIONE DEL DUOMO DI MILANO

Press Meeting

Alla presentazione della mostra della Compagnia delle Opere, “Ad usum fabricae. L’Infinito plasma l’opera: la costruzione del duomo di Milano”, la sala A3 è gremita. Chi non riesce a entrare dovrà seguire l’incontro dagli schermi posti all’esterno della sala. Chiediamo: perché sei qui? sei di Milano? ti interessa l’arte? La risposta è sempre la stessa: “Conosciamo Mariella Carlotti, abbiamo visto le altre sue mostre, siamo qui per ascoltarla”. Mariella Carlotti è insegnante e curatrice della mostra insieme a Martina Saltamacchia, assistant professor of Medieval History at University of Nebraska (Omaha). Bernhard Scholz, presidente CdO, introduce così l’incontro: “Abbiamo voluto questa mostra perché siamo convinti che chi ha costruito il duomo di Milano può farci scoprire il senso del lavoro come rapporto con l’Infinito. Non erano perfette le persone che hanno costruito il Duomo, ma erano convinte che l’infinito poteva far risorgere le loro vite. Hanno fatto l’esperienza che edificare un’opera edifica l’io e rafforza il noi”. Scholz ringrazia Marco Barbone che ha realizzato mostra e cataloghi e Angelo Caloja, presidente della Veneranda Fabbrica del Duomo.
Mariella Carlotti è stupita: “Vedendo le migliaia di persone venute alla mostra, percepivo che la cosa dominante non era la storia del duomo di Milano, ma che oggi ci sia gente capace di commuoversi per essa. Abbiamo scelto una mostra dedicata a una cattedrale perché è un edificio che esprime ed educa l’uomo nel rapporto con l’infinito”. Il titolo deriva dalla scritta che recavano le merci dedicate alla costruzione del Duomo, e per questo esenti dai dazi: Auf, Ad usum fabricae. Carlotti illustra le foto che fa scorrere sullo schermo e che mostrano l’eccezionalità della costruzione: il marmo rosa di Candoglia utilizzato come materiale di costruzione e non solo come rivestimento; la forma unica a imitazione dei modelli delle cattedrali d’Oltralpe; i santi in pietra che la popolano. Sono oltre tremila le statue che avvolgono il perimetro, la facciata e coronano tutte le guglie, perché nella tradizione ambrosiana non è possibile un rapporto vivo con Cristo senza rapporto con i suoi santi. Questo popolo di santi culmina in Maria alla quale la cattedrale è dedicata, che domina dalla guglia maggiore. Anche l’interno è segnato dai santi, dalle vetrate ai pilastri che sono 52 come le settimane dell’anno: “Il tempo che conduce l’uomo a Cristo non è vuoto, ma accompagnato dai santi, una grande processione che accompagna il fedele all’altare”, commenta Carlotti.
Martina Saltamacchia, l’altra curatrice, racconta che per la tesi in economia le fu indicato di guardare al duomo di Milano, la cattedrale che normalmente i libri di storia vogliono costruita grazie a Gian Galeazzo Visconti, mentre la voce dei fedeli sostiene realizzata dal popolo. Per capire chi l’avesse veramente costruita, Saltamacchia consultò gli archivi della Fabbrica del Duomo, spulciando i registri delle donazioni: case, terreni, anelli, gioielli, monetine lasciate nelle cassette poste in strada, offerte raccolte da fanciulle, la biada donata dai contadini, il bottone, il vestito. Tutto concorreva alla sua edificazione. La studiosa scoprì che quello che Gian Galeazzo Visconti donava in un anno, 14mila lire, era appena il quattordici per cento delle donazioni. Il resto arrivava dal popolo. Dopo la laurea la giovane ricercatrice proseguì la propria ricerca, andando a cercare chi fossero i donatori. E adesso ci racconta le loro storie. Come quella di Marta, la prostituta che aveva lasciato tutte le ricchezze accumulate (case, appartamenti, pellicce, gioielli) alla Fabbrica del Duomo e durante il proprio funerale fu portata in corteo dalla casa alla chiesa, seguita da tutti i sacerdoti del Duomo. O come la vicenda di Marco Carelli, mercante che nel testamento lasciò alla Fabbrica i propri ingenti averi. Il cantiere si trovava in tali difficoltà finanziarie che gli fu chiesto un anticipo sull’eredità, per continuare i lavori. Accettò lasciando tutto e subito. Il suo corpo è contenuto in un sarcofago all’interno del Duomo nella quarta campata di destra e a lui è intitolata la prima guglia costruita. Commenta Mariella Carlotti: “Mentre questo popolo costruiva il Duomo, il Duomo costruiva Milano. Nell’ultima parte della mostra raccontiamo che il cantiere del duomo di Milano assicurò alla città occupazione, ma non solo. Un cantiere come quello ha dato a Milano un’anima”.
L’edificazione del Duomo aveva un chiaro senso e un’evidente finalità. Ma perché costruire oggi? Roberto Cresta, titolare di Bordline srl, un’azienda in provincia di Mantova, distrutta dal terremoto, racconta che cosa gli è successo e perché si è rimesso in moto. Fino a dieci anni fa era dirigente d’azienda. Successivamente è diventato imprenditore. L’azienda è cresciuta arrivando a dieci dipendenti. Venne il primo terremoto e non successe niente, ma la scossa del 29 maggio danneggiò il capannone, rendendolo inagibile. Tutto il materiale in lavorazione e il macchinario erano all’interno. “Mentre guardavo il disastro, un ragazzo afghano di ventidue anni, Alì, che aveva visto i genitori trucidati dai talebani a dodici anni e che aveva conosciuto le prigioni iraniane, mi ha dato una pacca sulle spalle e mi ha detto: ‘La vita continua’. Al momento non ci ho fatto caso, ma alla sera, quando mi sono incontrato con gli amici della comunità, mi sono venuti in mente i suoi occhi, che mi sembravano quelli di Gesù, e la positività che quel gesto mi esprimeva. Era successo il terremoto e una cosa bellissima”.
Cresta si mette subito all’opera: fa arrivare una tensostruttura, un bagno e in un paio di giorni tutti i dipendenti sono attivi e presenti, anche due che avevano perso la casa. “I rapporti tra di noi non sono più quelli di prima, c’è una nuova unità”. La Bordline ha evaso tutti gli ordini e ne ha presi di nuovi e fra non molti giorni rientrerà nel capannone rimesso a nuovo. Questa è la storia e Scholz commenta: “È possibile che l’Infinito si presenti quando tutto sembra finito”. Tocca ad Erasmo Figini con l’associazione Cometa e la Scuola professionale “Oliver Twist”.
“Quando mia zia mi portava in Duomo, non volevo mai uscire, perché nella cattedrale mi sentivo bene”, comincia così, con un ricordo personale, Erasmo Figini. E continua: “Tornando dal Meeting, ieri sera dicevo ai miei ragazzi che è stupefacente che Dio si occupi di me”. La bellezza per lui, stilista e designer, è sempre stata un’esigenza che poteva essere vista come puro e vacuo estetismo, finché don Giussani gli disse di usare i suoi talenti al servizio degli altri, perché tutte le cose possono diventare le guglie di una cattedrale. Anche la costruzione di Cometa, la comunità di accoglienza fondata a Como con suo fratello Innocente, è basata sulla bellezza, cioè la valorizzazione dei doni ricevuti. “Ma per tutto questo occorrono un lavoro e una comunità cui appartenere, in cui tante voci diventano un’unica voce”. Un lavoro ben fatto è quanto si insegna nella scuola professionale “Oliver Twist”, aperta accanto a Cometa, dove trecento studenti imparano a lavorare con le proprie mani: le loro opere devo essere ben fatte come è perfetta ogni guglia del Duomo, anche la più nascosta. “Come la costruzione del Duomo ha cambiato il volto della città, così cambia il rapporto con l’infinito quando si costruisce la cattedrale fatta di persone”.
(D.T., A.B.)
Rimini, 23 agosto 2012

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