A te come te. Di Giovanni Testori

Press Meeting

Il Meeting dell’emergenza uomo ha portato in scena la grande testimonianza di Giovanni Testori. Il teatro Novelli di Rimini ha ospitato alle 21.45 lo spettacolo “A te come te. Di Giovanni Testori”, ‘lettura scenica’ da un’idea di Gabriele Allevi e Luca Doninelli. Voce recitante Ermanna Montanari (Premio ubu); canto Michela Marangoni e Laura Redaelli. Regia di Marco Martinelli, per una co-produzione Teatro delle Albe/Ravenna Teatro, deSidera Festival, in collaborazione con Bergamo candidata Capitale europea della cultura 2019.
Dalla metà degli anni Settanta, Testori prese il posto di Pasolini come commentatore in prima pagina del Corriere della Sera e dal 1978 diviene responsabile della pagina artistica. Alla sua morte nel 1993, oltre 800 articoli affiancavano i suoi celebri drammi, romanzi e studi critici.
La ‘lettura scenica’ proposta a Rimini è costruita essenzialmente su articoli scritti negli anni 1979 e 1980 (tre per il Corriere della sera e uno per il settimanale Il Sabato) legati da un filo preciso: la violenza sulle donne. Si tratta di fatti di cronaca. Una bambina uccisa in un supermercato per strapparle dal collo la catenina d’oro (In memoria di una bambina sgozzata, Corriere, 21 settembre 1980); una madre assassinata dal proprio figlio reo confesso (Non dobbiamo negargli pietà, Corriere, 20 aprile 1980; Questa lettera che ti mandiamo, Il Sabato, 3 maggio 1980). In un articolo, Testori chiede allo Stato italiano la una legge che difenda le donne (Una legge per difendere le donne dalle violenze, Corriere, 26 agosto 1979). A completare il quadro, riflessioni sul tema Linguaggio Rivolta Eternità tratte da varie interviste (anni 1987-1993).
Sul palcoscenico, un leggìo, due panche e un grande mazzo di calle bianche in un lungo e sottile vaso di vetro. La nuda voce di una donna che legge Testori (Ermanna Montanari) è intercalata da quella di due donne che cantano (Michela Marangoni e Laura Redaelli), anch’esse a voce nuda, dapprima sedute l’una di fronte all’altra sulle panche, poi in piedi l’una a fianco dell’altra. Testori scrive di avvenimenti terribili accaduti nella sua dolce e amatissima terra di Brianza; due donne del popolo cantano insieme in dialetto lombardo, con voci dal timbro quasi primordiale, austere a volte sino alla durezza, ma allo stesso tempo struggenti e piene di un’ultima pacata rassegnazione. Gli articoli di Testori non sono letteratura, né sono nati per il teatro. Ma quando la voce dell’attrice li pronunzia, lo spettatore avverte che anche quella parola scritta si fa carne, si anima della stessa passione e compassione che caratterizzano il magnifico linguaggio del Testori narratore e drammaturgo.
Per Testori la bambina sgozzata nel passeggino per il possesso della catenina d’oro è l’immagine della speranza, annientata nel momento della nascita, senza possibilità di diventare adulta e forte. Un mondo che uccide la speranza per barattarla con il potere è destinato a distruggersi. Tutto parte da quella bambina, fragile e rosea, “petalo nel lago del proprio sangue”. Ci è tornato in mente Charles Péguy con la sua bimba-speranza: anche Testori intuiva profeticamente il dramma del nostro tempo, vegliava contro l’avanzare del vuoto e della disumanizzazione, lottava per l’emergenza uomo.
Le parole che ascoltiamo gettano un grido di allarme per il buio che si sta impossessando delle coscienze. Nell’attacco alla donna, soprattutto alla madre, Testori vede il segno più oscuro della disumanizzazione della società. La madre, anzi la ‘mamma’, nome tenero e carnale con cui la chiama rivolgendosi al giovane figlio assassino a cui scrive in quanto uomo (A te come te), è per Testori il grembo, la casa, il legame: tutto ciò che l’uomo di oggi sta distruggendo e brutalizzando, perdendo così ogni pietà per se stesso e per il mondo. “Non c’è niente di più scandaloso del non avvertire più l’incarnazione”. Invase da immagini anonime, le nostre case e le nostre famiglie si disfano: ci lasciamo rubare i rapporti, non riconosciamo più i volti di chi ci vive accanto, siamo sempre più assuefatti a ciò che non è umano (“l’abitudine a tutto è uno dei rischi più grandi che l’uomo sta correndo”).
La ferita che ci viene inferta dal peccato, dal male che tutti inevitabilmente compiamo, si può riconoscere e abbracciare senza disperazione solo guardando allo sconfinato amore di Cristo per ciascuno di noi. Anche l’assassino che ha raggiunto il fondo dell’abisso ha una speranza, perché Gesù ha amato e salvato il ladrone crocifisso accanto a lui. Quando l’urto della realtà è troppo forte, dice l’autore, “io magari scappo, ma non fingo che non sia ineluttabile ricevere il colpo”.
Testori ci invita ad accorgerci di quanto sia drammatico, doloroso e maestoso essere vivi, e ci invita a mantenere la coscienza “in stato di perpetua allerta”. In questo contesto l’utilizzo del linguaggio, nell’autore, è come il respiro: “Se non uso il linguaggio per dire chi sono, anche gli altri non sapranno dire chi sono”.

(A.D.P., A.S.)

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