57. I diritti umani sono ancora un diritto?

Press Meeting

“Oggi il tema dei diritti umani verrà letto dall’angolatura delle istituzioni: chi e perché è chiamato a dirimere i conflitti sui diritti umani, a prendere decisioni così cruciali per la convivenza delle nostre società? Questo incontro ci riporta alla memoria il primo Meeting del 1980 dal tema “La pace e i diritti dell’uomo” che segna una linea di approfondimento di questi temi”.

Carmine di Martino, docente di Gnoseologia all’Università degli Studi di Milano, ha così introdotto l’incontro sui diritti umani, svoltosi alle 11.15 in sala B7, a cui hanno partecipato Marta Cartabia, docente di Diritto costituzionale all’Università degli Studi di Milano-Bicocca, David Kretzmer, Inaugural Fellow allo Straus Institute for the Advanced Study of Law and Justice della New York University School of Law.

Eminenti accademici entrambi i relatori, quindi, che però hanno proposto le loro tesi appoggiandosi a numerosi esempi, a beneficio del pubblico numeroso e attento. Marta Cartabia, dopo aver ripreso l’interrogativo posto dal moderatore, si è soffermata ad analizzare alcuni casi concreti in cui la Corte Europea si sovrappone alle decisioni dei parlamenti nazionali regolarmente eletti dai cittadini, come ad esempio nel caso delle leggi austriache e tedesche sulla fecondazione assistita che avevano vietato la fecondazione eterologa.

“La Corte di Strasburgo in questo caso – ha ricordato la giurista – ha affermato che la distinzione fra fecondazione omologa ed eterologa provoca discriminazione fra coppie che soffrono di problemi di sterilità e una violazione del loro diritto alla vita privata e familiare, che comporterebbe anche il diritto ad avere un figlio. Questo sostituirsi ai legittimi parlamenti da parte di Istituzioni soprannazionali rivela una concezione astratta e individualistica dei diritti, i quali, quando vengono tradotti nelle carte e quindi diventano positivi, subiscono delle limitazioni per proteggere altri beni che si ritengono ugualmente importanti”.

La Cartabia ha analizzato in seguito il caso Lautsi del 2009 contro l’Italia, sull’esposizione del crocefisso nelle aule scolastiche. Pure in questo caso la Corte Europea ha condannato l’Italia per il fatto di prevedere l’esposizione del crocifisso nelle aule delle scuole pubbliche, anche se il Governo ha proposto ricorso in appello. La domanda che ci si pone – ha continuato la studiosa – è evidente: perché su un problema di questa natura debbono intervenire le istituzioni europee anziché quelle nazionali? “Questo significa distruggere la storia e le radici culturali dei popoli che compongono l’Europa”.

La delega alle istituzioni internazionali nasce dal fatto che queste istituzioni sono considerate come rimedio all’ingiustizia, “ma come ci ha ricordato Amartya Sen nel libro Giustizia, se l’uomo non assume il limite che deriva dalla condizione umana dentro l’orizzonte della sua aspirazione alla giustizia, il rimedio alle ingiustizie può diventare secondo l’antico detto: summus jus, summa iniuria”. L’applicazione eccessiva della legge costituisce la sua più sottile e radicale violazione.

Sulla medesima linea anche David Kretzmer, che ha analizzato altre controversie in cui erano in gioco valori contrapposti. Il giurista ad esempio ha raccontato il caso di due lesbiche che volevano sposarsi in Nuova Zelanda, paese nel quale è ammesso solo il matrimonio fra uomo e donna. Esse si sono appellate al Comitato per la difesa dei diritti umani, che è un organismo internazionale costituito da 18 membri eletti dai paesi aderenti. Il comitato però in questo caso ha riconfermato la decisione dei giudici neozelandesi.

Il relatore inoltre ha fatto presente che occorre molta attenzione nel non dar corso alle decisioni delle istituzioni internazionali, quando queste interferiscono su questioni interne al nostro Paese, “perché toglieremmo loro l’autorità di intervenire anche in quei Paesi come ad esempio la Russia e la Turchia dove i poteri pubblici effettivamente violano i diritti umani e coprono crimini efferati”. È anche vero però che “i diritti umani non possono diventare una panacea per qualsiasi problema di convivenza sociale di una nazione”.

Kretzmer infine ha concordato con Cartabia in merito ai limiti intrinseci del tentativo umano di porsi di fronte all’infinita ampiezza del desiderio di giustizia, che pure abita nel cuore umano. Questi limiti, proprio perché oggettivi – è il parere dello studioso – dovrebbero suggerire un atteggiamento di equità, prudenza e di modestia in chi poi operativamente si trova ad interpretare ed applicare le leggi.

(A.S.)
Rimini, 24 agosto 2010