48. Il grande cinema al Meeting: Gran Torino

Press Meeting

Il Meeting ha reso omaggio a Clint Eastwood con la proiezione della sua ultima fatica: Gran Torino.
Un film che fa sorridere e commuovere come la vita. Il personaggio del film, il vecchio Walt Kowalsky, veterano di origine polacca della guerra in Corea, ha perso tutti: gli amici al fronte, i vicini che sono morti, la moglie è mancata da poco. È solo con i suoi ricordi: “La cosa che tormenta più un uomo non è quello che gli hanno ordinato, è quello che non gli hanno ordinato”.
Il rancore per il suo dramma umano si scarica con i nuovi vicini, immigrati asiatici, e soprattutto tenendosi lontano dai figli che pensano di risolvere la sua insofferenza parcheggiandolo in una casa di riposo. Gli sono rimasti solo un cane e una macchina a fargli compagnia.
Lui, uomo tutto di un pezzo, rifiuta qualsiasi altra compagnia umana, anche quella del prete, che ha celebrato il funerale della moglie. Questi per mantenere una promessa fatta alla moglie in punto di morte gli offre la sua amicizia, ma il vecchio Kowalski gli rinfaccia di non avere esperienza delle tragedie della vita, ma solo una competenza letta sui libri del seminario; sembra odiare cordialmente i vicini asiatici che chiama senza ritegno “musi gialli”.
Quando poi il figlio di questi, Thao, cerca di rubargli l’unica cosa di cui sembra realmente orgoglioso, la splendente Ford Gran Torino che conserva con cura maniacale, Walt sembra pronto a imbracciare il fucile usato in guerra e farsi giustizia da solo. Ma la vendetta di una gang di asiatici sul ragazzino (il furto doveva essere un prova di coraggio per essere ammesso) e sua sorella Sue sposta la direzione della storia. Il rude Kowalski nonostante gli orrori della guerra in Corea non ha dimenticato il desiderio del cuore, di una vita buona per sé e per gli altri senza violenza, così fa la conoscenza coi vicini; impara che non sono coreani ma Hmong (popolazione che vive tra Cambogia, Laos e Vietnam). Soprattutto inizia a provare simpatia nei confronti di Thao, facendosi carico dei problemi materiali del giovane, ma anche introducendolo al mondo dei grandi, dandogli delle prospettive, comportandosi insomma come un padre.
Questi rapporti (con il prete e con i vicini asiatici) salveranno la sua umanità. Per paradosso, proprio coloro – “i musi gialli” – su cui aveva commesso atroci crimini in guerra saranno la causa della sua “salvazione” perché gli offriranno una compagnia umana fatta anche delle loro tradizioni.
Ci sono momenti di poesia non affettata veramente toccanti e delicati nel film su questo argomento, ma la tragedia incombe. Kowalski non vive nel migliore dei mondi possibili e la ricerca della pace interiore, ben evidenziata nei dialoghi con l’insistente pretino, deve fare i conti con una realtà violenta e disumana, davanti alla quale il protagonista sarà chiamato a scelte che non lasceranno scampo.
La vita e la morte, la gioia e il dolore, il dono di sé: tutto ciò è comprensibile solo nel rapporto, ci dice il vecchio Clint.
(A.S.)
Rimini, 24 agosto 2009