171. L’avventura dell’io in Dante, Baudelaire e Bacon

Press Meeting

Un’occasione privilegiata per addentrarsi nel tema di questa settimana. Così Camillo Fornasieri, presidente del Centro culturale di Milano, presente questo percorso attraverso tre grandi protagonisti di arte, poesia e letteratura che hanno avvertito profondamente il mistero del reale e della conoscenza, con autentica passione umana.

Esiste anche nella prima cantica dell’‘Inferno’ una sorta di “rapporto simpatetico” di Dante con i suoi grandi protagonisti, come Francesca da Rimini, ha spiegato, accompagnando la lettura del V Canto Robert Hollander, professore emerito della Princeton University. Esse accompagnano la crescita di Dante come figura morale, meno fermo contro la malattia dell’animo rispetto all’inizio della Commedia. Egli saprà alla fine cos’è il peccato, scoprendo con San Bernardo che alla fine si ama sé stessi in Dio (Paradiso XXXIII). Così quando Dante si vede nel Cristo, al culmine del poema, si ispira a quanto scriveva San Paolo ai Filippesi: ‘Dio annichilì se stesso per diventare servo, simile agli uomini’. Così alla fine del poema Dante trionfa nella visione di Dio e Dio in quella di Dante. Dante sente lo spirito d’amore presente in Francesca, si fa ‘sacerdote’ della religione d’amore”.

È quindi toccato a Beatrice Buscaroli, storico dell’arte, tratteggiare la figura di Francis Bacon, in maniera diversa dal ritratto tormentato, repulsivo, che si fa della personalità di uno dei più grandi artisti del Novecento. Un pittore quasi ossessionato dall’idea di una degenerazione della vita, che diceva: “Voglio dipingere il grido più che l’orrore”. La sua era una discesa nelle viscere di un male che voleva assumere per intero su di sé. Scrisse, a proposito del suo interesse per la crocifissione, che era “come un’armatura che può sorreggere tutto il male del mondo”.

Davide Rondoni ha quindi letto versi di Charles Baudelaire, autore, ha sottolineato, che ha messo a fuoco il problema della modernità. “I fiori del male” è un titolo che già appare come contraddittorio e Baudelaire, che ha conosciuto tutta la contraddizione della vita, scriveva, in apertura del suo capolavoro, che unica salvezza dalla noia è concepire la vita come un dilemma continuo, un problema che la modernità non ha risolto. “L’uomo passa attraverso foreste di simboli – scriveva – che lo guardano con sguardi familiari”. L’uomo è un problema che non può essere soluzione di un problema.

(M.T.)
Rimini, 30 agosto 2008