160. Liberi di costruire in sanità

Press Meeting

“Ogni medico è chiamato a costruire in Sanità, – introduce Marco Bregni, di Medicina e persona e direttore dell’Unità di oncologia dell’Ospedale San Giuseppe di Milano – ma a tema di questo incontro sono le persone che hanno realizzato grandi opere nella sanità partendo dalla personale genialità”. Bregni legge poi una lettera inviata da Roberto Formigoni che si dice dispisciuto di non poter partecipare, ma sottolinea che è grazie alla Regione Lombasrdia che è potuto nascere un centro di eccellenza come il Centro Clinico Nemo.

Il primo intervento è affidato a Livio Troconi, direttore generale del Gruppo Villa Maria, uno dei maggiori gruppi privati della Sanità e specializzato in malattie cardiologiche. “Essere protagonisti significa anche osare” – attacca – e continua con una serie di critiche al sistema sanitario che accusa soprattutto di guardare troppo alla gestione finanziaria più che alla persona malata e che ha troppe rigidità mentre in Sanità ci deve essere la capacità di rinnovarsi. Quattro secondo Troconi sono i punti critici: continue varianti a cui l’ospedale deve adeguarsi, passi indietro rispetto al modello lombardo di separazione tra chi amministra e e chi cura, introduzione di un ente terzo per l’accreditamento e la vigilanza e una certa difficoltà a basarsi sull’esperienza concreta. Conclude che occorre investire in sanità per far fronte al bisogno della persona.

Il secondo imprenditore che ha costruito nella sanità è Francesco Bombelli, presidente del consorzio Hcm. “Il sistema lombardo è un sistema vivente, – esordisce – perché non è solo burocrazia e organizzazione, ma queste sono a supporto della cura”. Le attuali polimiche contro il sistema lombardo colpiscono la sua parte più rilevante che è l’integrazione di pubblico e privato in un unico disegno. “Il sistema sanitario lombardo è un modello di riferimento di tutta la sanità nazionale. È un sistema vivente perché vive tutti i giorni attraverso tutte le persone che vi operano guardando la dignità della persona e la centralità del bisogno in qualsiasi procedura sanitaria”. Sottolinea poi il valore della libertà di scelta del malato è un momento di democrazia e aggiunge però che la libertà richiede saggezza nei rapporti con la persona perché il malato è uno come noi che desidera essere amato: ognuno di noi se non si sente amato, sta male. Ricorda due episodi. “Anni fa al San Raffaele ci fu un incendio e quando giunsero i pompieri non trovarono nessuno nei reparti andati a fuoco per l’impegno di tutti gli operatori”. Chi gli ha aperto nuove prospettive è stato l’incontro, e l’amicizia, con Mario Melazzini con il quale Bombelli ha collaborato per il Centro clinico Nemo fondando la Cooperativa sociale Nemo. Questa realtà è nata per garantire la presa in carico della persona, in quel momento di fragilità, senza lasciare vuoti di presenza e di assistenza.

Viene poi il turno di Mario Melazzini: medico oncologo, malato di Sla, è venuto al Meeting in carrozzina e definisce una benedizione la sua malatttia perché lo ha fatto crescere e gli ha insegnato a fare il medico. Traccia il suo raccconto della nascita del Centro clinico Nemo mostrando delle diapositive: si vedono malati che hanno scelto tenacemente di vivere e malati che nella stessa situazione hanno scelto di morire. “La prima cosa che chiedono i malati, – dice Melazzini – non sono le cure, ma di essere ascoltati”. Un incontro per lui è determinante, quello con Alberto Fontana. Insieme lanciano dalla Tv un appello per avere uno spazio dove costruire un centro per curare le malattie neuromuscolari e in diretta Roberto Formigoni ha offerto loro uno spazio nell’ospedale di Niguarda. Qui in tre anni, quasi un miracolo nella sanità italiana, viene progettato e costruito il centro. Si istituisce la Fondazione Serena per gestirlo e Melazzini sceglie personalmente medici, infermieri e terapisti. Con Francesco Bombelli fonda la Cooperativa sociale Nemo per assicurare anche l’assistenza domiciliare con lo stesso personale dell’ospedale. Il Centro è bello, colorato, con tutte le attrezzature per vivere serenamente la malattia e fare prevenzione.

“In definitiva è stato costruito da un malato per un malato – sottolinea Melazzini. – È stato bellissimo. Vorrei aggiungere una cosa: non dobbiamo avere paura della malattia, della fragilità e della disabilità. Dobbiamo imparare a non guardare il malato con lo sguardo della scienza, ma con quello del papà e della mamma che nel malato vedono il loro figlio e lo amano. Dobbiamo finirla di pensare che la vita sia degna di essere vissuta solo in determinate condizioni, la vita è degna di essere vissuta comunque, anche in condizioni di fragilità, di disabilità e di malattia fin dalla nascita”.

(Arc. B.)
Rimini, 29 agosto 2008