145. La scienza fra educazione e creatività

Press Meeting

Si è svolto alle ore 11.00 in sala A1 di fronte ad un pubblico numeroso e partecipe l’incontro “La scienza fra educazione e creatività”. Marco Bersanelli, in funzione di cordinatore, è partito dal tema di quest’anno del Meeting, che mette al centro di tutto la persona. “Anche in campo scientifico è l’uomo ad essere soggetto – ha affermato – e anche protagonista della ricerca, all’interno della quale educazione e creatività assolvono un ruolo importante. Ma spesso la scienza è considerata estranea alla persona”. Di qui la domanda diretta ai tre relatori: “Esiste un ruolo per la creatività nella scienza?”.

Costantino Tsallis del Centro Brasileiro de Pesquisas Fisicas, esordisce: “Io vedo una catena che inizia con la scoperta di qualche cosa che ancora non si conosce. Il secondo anello è la creatività che spinge a fare qualche cosa con quanto si è scoperto, a manipolarlo. E questo porta alla scienza”. Una consequenzialità di pensiero e azione che lo scienziato sintetizza prendendo in uso una frase scritta da John Keats nel 1819: “Beauty is truth, truth is beauty” e affiancandola a quanto contenuto nel messaggio che Benedetto XVI aveva preparato per la visita all’Università La Sapienza lo scorso febbraio: “La verità ci rende buoni e la bontà è vera”. I tre termini libertà, bellezza e bontà sono stati visualizzati come vertici di un triangolo equilatero. Tsallis ha poi raccontato che da anni sta lavorando sull’entropia. “L’entropia è la spia del bisogno, ma questo concetto oltrepassa il campo fisico e chimico dove è solitamente utilizzato. Il lavoro da me iniziato quasi per caso dal niente ha avuto decine di applicazioni da parte di altri”. A originare il suo interesse era stato il desiderio di bellezza: “la bellezza nella scienza ha una funzione importante per la scoperta della verità”.

Gino Segre, professore di Fisica e astronomia all’University of Pennsylvania esordisce in modo paradossale. “La scienza ha una sua bellezza, ma molto spesso gli scienziati cercano di nasconderla”. Capita ad esempio quando si pubblicano i risultati di una ricerca ma vengono taciuti il lavoro e le qualità che sono stati necessari a produrlo. Segre cita l’esempio dei neutrini. Scoperti, considerati inutili, finché poi furono recuperati da Fermi nel 1934, ma con la sicurezza che sarebbero rimasti un’espressione matematica: nessuno comunque li avrebbe mai osservati. Eppure sono stati visti. Lo stesso si può dire per le supernove. Pareva fosse impossibile vedere l’esplosione che precede i dieci secondi di collasso di una stella orami giunta alla “fine del carburante”, con l’idrogeno che si trasforma in elio. Invece è accaduto, e quando si è vista nei telescopi erano passati 137mila anni dall’avvenimento, tanto la luce aveva impiegato per giungere fino a noi.

“Sono la curiosità e la ricerca della conoscenza che ci spingono a cercare la verità” esordisce Charles Harper, senior vice president della John Templeton Foundation. Il desiderio di comprendere è insito nell’uomo e questo ha fatto sì che si tramandasse ed accrescesse il sapere e la conoscenza. Harper ricorda il lavoro di traduzione degli antichi testi e la nascita delle università in parallelo all’edificazione delle grandi cattedrali gotiche.
Bersanelli ha posto una seconda domanda agli ospiti, premettendo che spesso argomenti scientifici di importanza fondamentale per il senso dell’universo e della vita sono presentati dai divulgatori in modo deviante. “Quale responsabilità dei ricercatori rispetto a questa situazione?” Per Tsallis occorre chiarire che esistono dei “linguaggi universali”, citando appunto la scienza, l’arte e lo sport, e racconta di essere stato promotore di un seminario scientifico fra scienziati turchi e greci, nazioni storicamente divise da guerre e rivalità (i nonni greci di Tsallis peraltro furono costretti a fuggire dalla Turchia durante una delle tante guerre fra i due stati). Un secondo aspetto che sottolinea è la tolleranza nei confronti dell’errore. La scienza è soggetta all’errore ma “questo lo si impara col tempo – dice – Da giovane ero molto più duro verso l’errore degli studenti. Ora meno perché so quanti errori ho fatto anch’io”.

Gino Segre ricorda l’esperienza fatta presso il Cern di Ginevra, in collaborazione con scienziati di decine di nazionalità diverse, precisando poi che gli scienziati hanno una responsabilità di tipo culturale prima che sociale. La responsabilità sta nell’aiutare a comprendere le dinamiche e le conseguenze di problemi decisamente complessi. Non basta vantare la bellezza del proprio lavoro per chiedere finanziamenti: occorre guardare alla funzione sociale ma anche a quella culturale. Harper da parte sua ricorda la frase di Bacone “La conoscenza è potere”. Riconoscendo ancor oggi la verità di questo assunto, aggiunge: “Occorre che il potere operi per il bene e per produrre nuove tecnologie. È una responsabilità umana”. Dopo aver avvertito come la scienza spesso tenda a una specializzazione esasperata, perdendo così di vista l’orizzonte globale, Harper ha anche fatto notare come oggi molti divulgatori tendano a voler presentare la scienza come un’anti-religione. “È responsabilità dei divulgatori – aggiunge – proporre questa nuova cultura, utilizzando la scienza come strumento di potere”, per concludere che occorre riabbracciare la vecchia tradizione della ricerca come strumento per la promozione umana. Concludendo, Bersanelli riprende il rapporto fra verità e bellezza, “che ci riguarda tutti nello studio come nell’insegnamento, perché la dinamica scientifica è dentro la vita di ciascuno”.

(L.B.)
Rimini, 29 agosto 2008