104. La sindrome della quarta settimana

Press Meeting

Oggi i pensionati, e non solo loro, se la passano male e alla quarta settimana gli incassi della grande distribuzione vanno a picco. “Ma pochi si rendono conto che quelli che cominciano a lavorare oggi, andranno in pensione con un tasso di copertura pari al 45% del loro ultimo stipendio. Costoro come faranno?”. La domanda, questo pomeriggio, in sala Neri, se l’è posta Alessandro Profumo, amministratore delegato di Unicredit, chiamato a parlare della famigerata “quarta settimana” insieme all’onorevole Enrico Letta e al professor Luigi Campiglio, prorettore e ordinario di Politica economica alla Cattolica di Milano.

Profumo ha indicato una via d’uscita allo specifico problema (avviare immediatamente un sistema di pensioni integrative) ma ha poi allargato il discorso alla generale situazione del Paese, che conosce il benessere ma che pure sta invecchiando. “E quando si invecchia – ha detto il leader di Unicredit, individuando accanto a quelli economici anche un problema culturale – si cercano sicurezze e si è meno aperti alla novità e al cambiamento. Allora, chi guida il Paese, in economia come in politica, deve avere idee chiare su dove vuole andare e spiegare perché andarci, diversamente i problemi si aggraveranno”.

E che i problemi ci siano, lo ha dimostrato il professor Campiglio, con alcune slides sull’andamento dei prezzi dall’anno scorso ad oggi, tenendo presente la percentuale media dell’inflazione stimata al 4,08%. La pasta è rincarata del 25%, il pane del 13, i carburanti del 17 e i combustibili del doppio. Molto meno gli elettrodomestici (1%), le scarpe (1,4) e i vestiti (1,9), probabilmente perché sono spese che uno può rinviare. I costi della telefonia sono invece diminuiti del 18%. Ma il dato che più preoccupa Campiglio riguarda quello che gli italiani considerano ancora il bene più importante: la casa. “Nel 1995 – ha detto il docente della Cattolica – per una casa di cento metri quadrati ci volevano otto annualità di stipendio. Oggi ce ne vogliono dodici. La cosa più allarmante è che i tre quarti della ricchezza recente è imputabile all’aumento del valore dei fabbricati. Un fenomeno che può farci andare incontro a brutte sorprese”.

La percezione di uno stato di indigenza è stato confermato anche dall’onorevole Letta, secondo il quale lo stato non si è mai occupato con decisione dei problemi delle famiglie, confidando nella capacità delle stesse di farvi fronte. “Ma ci sono stati molti cambiamenti – ha avvertito Letta – come l’aumento dei single o dei divorziati che debbono provvedere all’ex moglie e ai figli e la famiglia non ha più risposte per i suoi membri in difficoltà”. Sul tema della povertà, Profumo ha invitato a non dimenticare che accanto ai dati Istat sui 7,5 milioni di indigenti nel nostro Paese ci sono anche coloro (e in sette anni sono passati dal 45 al 65%) che si considerano poveri perché non ritengono adeguato il proprio livello di reddito.

La più grave conseguenza di questo stato di cose, secondo i tre relatori, è che si va diffondendo un clima di incertezza e di sfiducia nei confronti del futuro. “Non c’è più la vitalità e la voglia di crescere degli anni Sessanta”, hanno detto Campiglio e Profumo. Per il prorettore della Cattolica si tratta di un problema educativo, la cui responsabilità ricade anche sulle famiglie.”Gli adulti e i genitori – ha spiegato il docente – sembrano non avere più la vitalità di una volta e comunque non la comunicano ai figli. Oggi nessuno fornisce motivazioni e si trascura il fatto che gli interventi educativi più efficaci possono avvenire in un ristretto arco di anni”.

Il moderatore, Marco Lucchini, direttore della fondazione Banco alimentare, ha chiesto ai suoi ospiti di indicare possibili soluzioni. Campiglio ha proposto politiche macroeconomiche mirate, che consentano, soprattutto, di contenere i termini del rapporto fra casa e reddito. Letta ha sostenuto che “il welfare italiano deve uscire dalla morsa esclusiva delle pensioni e della sanità e occuparsi delle famiglie”, e ha invitato i giovani ad aprirsi al mondo e accettare le sfide della globalizzazione. Per Profumo, il problema è come aumentare la crescita del nostro Paese e a quali condizioni produrre di più. “È vero che la Cina cresce al ritmo del 12% – ha ricordato – ma è anche vero che nessuno di noi vorrebbe vivere in Cina”. Il banchiere ha invitato a guardare al suo gruppo: 180 mila dipendenti che ogni giorno debbono dimostrare a 40 milioni di clienti, in Europa e Asia, che per loro è ragionevole e conveniente restare con Unicredit. “Per fare questo – ha spiegato – occorre che nel gruppo ci sia un sistema di valori forte e condiviso”. Forse proprio quello che manca al nostro Paese.

(D.B.)
Rimini, 27 agosto 2008