CAMPIONI… DI VITA. IL RUOLO EDUCATIVO DELLO SPORT

Campioni...di vita. Il ruolo educativo dello sport

In collaborazione con CSI (Centro Sportivo Italiano) e Scholas Occurrentes. Partecipano: Vittorio Bosio, Presidente di CSI (Centro Sportivo Italiano); Sandro Cuomo, Schermidore italiano, campione olimpico di Spada nel 1996 alle Olimpiadi di Atlanta, CT della Nazionale di Spada; Enrique Palmeyro, Direttore mondiale di Scholas Occurrentes. Introduce Davide Perillo, Direttore di Tracce.

 

DAVIDE PERILLO:
Bene! Buongiorno a tutti e benvenuti a quest’incontro allora! Parliamo di sport oggi, parliamo di sport ed educazione, è il motivo credo che sia abbastanza chiaro se solo ci pensiamo un attimo, perché lo sport non è solo quella cosa che ci tiene agganciata ai divani e alla televisione in certe occasioni più o meno belle, ma è una modalità di esprimersi, una modalità di comunicare, una modalità di trasmettere una proposta ai nostri giovani, ai nostri ragazzi, che coinvolge tutta la persona; lo sport c’entra con l’educazione, e se ci pensiamo una delle prime modalità di rapporto con i bambini, coi nostri figli è il gioco. Tutti quanti ci passiamo di mezzo, e poi crescendo il gioco diventa altre cose, e a volte diventa anche lo sport, e diventa un mettersi in gioco, entrano in ballo altri fattori, entra in ballo una possibilità di crescita umana nello sport, di comunicazione di valori, di passioni, la competizione, la spinta a dare il meglio, a tirar fuori il meglio di sé; non è solo una trasmissione di regole, di schemi, ma è una sollecitazione continua che il meglio della persona venga fuori, a educare, tirar fuori il meglio. Il Papa, Papa Francesco, ha parlato e parla tante volte di sport innanzitutto perché è appassionato lui come ci racconteranno anche i nostri ospiti che lo conoscono, ma poi perché ha ben presente questa chiave fondamentale nell’educazione della persona, e in uno dei tanti interventi che ha fatto su questo tema ha detto una cosa che a me ha colpito molto, ha detto: “Il motto olimpico Altius, Citius, Fortius, -cioè più alto, più a fondo, più forte- è un invito a sviluppare i talenti che Dio ci ha dato; quando vediamo gli atleti tendere al massimo delle proprie capacità lo sport ci entusiasma, ci meraviglia, ci fa sentire orgogliosi, c’è grande bellezza nell’armonia di certi movimenti, come pure nella forza e nel gioco di squadra; quando è così lo sport trascende il livello della pura fisicità e ci porta nell’arena dello spirito e addirittura del Mistero”. È una dimensione che non abbiamo sempre presente mentre siamo lì a seguire i nostri figli che stanno facendo sport, o a farlo noi stessi, tanto meno mentre siamo a guardar la partita; ma la partita vera che ci giochiamo noi è proprio questa. E oggi vogliamo parlarne coi tre ospiti che abbiamo, e a cui siamo molto grati di essere qui, ve li presento rapidamente, poi racconteranno loro meglio di sé e di quello che fanno, cominciando da Enrique Palmeyro che è qui alla mia destra, che vi prego di salutare con un applauso, che è il segretario di Scholas Occurrentes che è una realtà molto grande e molto bella di cui vorremmo sapere tutto, perché ha dei numeri e soprattutto ha una storia che ci hanno colpito molto, perché nasce da un’intuizione che ebbe proprio Papa Bergoglio quando era ancora Arcivescovo di Buenos Aires, una quindicina di anni fa; è un’intuizione molto semplice, cioè: mettere in rete, collegare una serie di realtà che lavorano per l’educazione dei figli, dei nostri ragazzi, e da quest’intuizione è nata appunto una rete che si è estesa nel mondo fino ad essere presente in centonovanta paesi, a collegare e a far collaborare più di quattrocentocinquantamila realtà educative, insomma: è qualcosa di impressionante, ma è qualcosa di impressionante per la natura da cui nasce e che Enrique ci racconterà man mano. Così come fa impressione anche solo a guardare il numero una realtà che invece noi in Italia conosciamo un po’ di più, che è quella del CSI di cui abbiamo ospite il Dottor Bosio, che è il presidente ; è una realtà che conosciamo bene, lavora agli oratori da più di settant’anni proprio con questo scopo, usare lo sport per educare, per aiutare il percorso educativo dei ragazzi; i numeri sono impressionanti, sono coinvolti tredicimila società sportive, fanno trecentomila tra gare e partite all’anno, otto milioni quattrocentomila ore di volontariato, cioè di dedizione di gente che si dedica a queste cose, un milione centocinquantamila tesserati; va beh, mi fermo perché ce l’abbiam presente tutti, però rendersi conto dell’imponenza non è solo un fattore di numeri perché ci fa capire il valore, la portata, quante ore e quanto tempo ed energia si spendono, si investono in una realtà come questa; e ce la racconterà il presidente Bosio così come invece il terzo ospite, che ringraziamo tantissimo, invece lo conosciamo già un po’ di più: Sandro Cuomo, cinquantaquattro anni, campione di quello sport meraviglioso di cui purtroppo ci appassioniamo solo ogni quattro anni per quindici giorni, ci tiene incollati a vedere le olimpiadi e aspettare la messe di medaglie che arriva dalla scherma; Sandro Cuomo è un campione a tutti gli effetti, un campione vero, lo dicono non solo i numeri, non solo le medaglie, è oro olimpico alle Olimpiadi di Atlanta del’96, ha vinto un bronzo dodici anni prima a Los Angeles, tre ori, due argenti e quattro bronzi, spero di ricordare bene, ai mondiali, una serie di titoli, ma una serie di titoli che continua perché poi finita la carriera di atleta lui ha proseguito proprio con l’idea di insegnare, di trasmettere, quello che vive e quello che sa ai ragazzi, e quindi è diventato tecnico e poi commissario tecnico, e commissario tecnico di un certo peso perché per esempio l’anno scorso i suoi ragazzi in una competizione internazionale hanno vinto qualcosa come sette medaglie in sei gare; però quello che ci ha colpito di lui è una cosa che si intuisce guardandolo lavorare o sentendogli raccontare del suo lavoro; Sandro Cuomo ha scritto anche un libro uscito da poco, “Una vita in pedana”, in cui a un certo punto dice una cosa che mi ha colpito molto: “Sono orgoglioso di essere riuscito a portare a termine questo lavoro, cioè di raccontarmi, mi ha richiesto un anno di scrittura, di limatura, ricordi, ma ancora di più mi rende orgoglioso pensare di aver creato qualcosa che potrà servire ai ragazzi che saranno i campioni di domani, ai miei figli e ai miei allievi che ho avuto al mio fianco in quest’occasione”, quindi è un uomo che vuole trasmettere l’esperienza che vive, che è esattamente il tema del Meeting di quest’anno. Allora, siamo qui per affrontare questo tema con questi ospiti iniziando dal racconto di Enrique che ci parla di Scholas Occurrentes, che cosa è Scholas Occurrentes? Potremo essere aiutati da una sequenza di slides e di video.

ENRIQUE PALMEYRO:
Grazie a tutti gli organizzatori e vorrei ringraziare anche tutti voi per avermi invitato a condividere in questo incontro, un vero incontro così creativo che si svolge tutti gli anni dove l’armonia che promuove Papa Francesco diventa realtà, cioè la diversità che si mette assieme per lavorare in squadra. Tutti siamo veramente mortificati per la realtà che ci troviamo a vivere quotidianamente e ci sono conflitti, c’è la fame, ci sono gli attentati come quelli che sono stati registrati a Barcellona di recente o in Finlandia e anche molti altri che non vengono così tanto trasmessi nei media che coinvolgono i cristiani e altre persone in Medio Oriente. Le guerre civili nei paesi dell’Africa. Siamo davvero dispiaciuti per tutto questo, perché sappiamo che oggi ci sono gli strumenti naturali ed anche tecnici perché tutti possono avere quanto serve a vivere. Tutti possiamo avere una casa dove vivere, tutti potremmo anche avere un pasto al giorno, tutti potremmo avere la possibilità di educare i nostri figli e curarli quando si ammalano con le scoperte migliori della medicina. Però questo non avviene e non è che questo non succede oggi ma se continuiamo su questa strada rischiamo di mettere a repentaglio la vita stessa nella nostra casa comune come la chiama papa Francesco e cioè il pianeta terra. Così come stanno andando le cose non funziona, bisogna cambiare il mondo e per cambiare il mondo un percorso che si può intraprendere certamente è con l’istruzione. Solo attraverso l’istruzione, se tutti coloro che si occupano dell’istruzione, dei giovani, dei bambini si mettono in armonia, allora sì che si potrà cambiare l’istruzione. Per questo Scolas va alla ricerca della cultura, dello sport, della scienza, cerca di creare dei ponti, cerca di lasciar perdere le piccolezze e andare oltre a queste. Cerca di gestire in tutti i continenti questo tipo di interazione, questo tipo di concetto. Scolas vuole armonizzare il linguaggio della testa con il linguaggio del cuore ed il linguaggio delle mani. Un giovane che pensi quello che sente e quello che fa. Che senta quello che pensa e quello che fa. Che faccia quello che sente e quello che pensa. Questa armonia nella stessa persona nell’educando è una specie di armonia universale così che il patto educativo venga assunto da tutti e in questo modo riusciamo ad uscire da questa crisi. Crisi della civiltà in cui ci tocca vivere e riusciamo a fare i passi avanti che sono richiesti dalla stessa civilizzazione. Il 13 agosto del 2013 Papa Francesco, sulla base del lavoro che si stava facendo a Buenos Aires con Josè Maria del Coral e con me attraverso delle scuole chiamate Escuelas de Vessino cioè scuole di vicinato con diverse confessioni religiose e con diverse modalità erano gestite dallo stato, dalla Chiesa, ecco che comincia a realizzarsi un’esperienza con i giovani coinvolgendo non solo la mente ma anche le mani e il cuore. E l’esperienza delle Escuelas Hermanas sono scuole con luoghi in cui ci sono più risorse economiche, ci sono stati appunto dei rapporti tra queste scuole con scuole in zone più povere. Però il Papa ci ha messo in guardia. Ha detto non voglio che ci sia una specie di soggetto che si impone sugli altri per aiutarli ma ci deve essere fratellanza, partire da una base comune. E’ nata quindi questa iniziativa senza risorse economiche sostenuta da gesti di grande valore simbolico. Abbiamo avuto Messi e Buffon che hanno ricevuto un olivo come simbolo dell’impegno che si chiede al mondo dello sport al fine di educare. E’ così che è cominciata Scolas. E dopo due anni di rodaggio nell’accademia delle Scienze con l’accompagnamento di Marcelos Sanchez Orondo, il 15 agosto del 2015, il Papa ha poi conferito a Scolas lo status di Fondazione di Diritto Pontificio. Ci sono diversi programmi che vengono sviluppati a Scolas e per rendere concreto questo rinnovamento educativo che si sta svolgendo anche in altre esperienze come quelle di Vittorio Bosio, Sandro Cuomo. Sono tanti che stanno adesso applicando questa nuova modalità di formazione che richiede l’impegni non solo degli educatori, dei informatori ma anche dei politici, degli sportivi famosi, degli artisti o dei professionisti. Per sviluppare questo programma vorrei riferirmi brevemente al programma per la cittadinanza. In questo programma ci sono studenti di scuole molto diverse che lavorano assieme per una settimana. Escono dalle loro aule e condividono i loro problemi veri. Il programma si definisce attraverso i problemi posti dai ragazzi. Di recente questo è stato fatto a Roma. I giovani di Roma hanno scelto i problemi dell’indifferenza e della discriminazione e hanno passato una settimana insieme lavorando. Pensate che c’erano ragazze di scuole confessionali, alcune stavano studiando per diventare monache, altre erano studenti di scuole statali. Attraverso il gioco dell’arte hanno abbattuto le loro barriere, hanno conosciuto meglio se stessi, hanno preso fiducia e sono arrivati a fare delle proposte concrete, per esempio come fare un’applicazione per i cellulari in modo da orientare e dare sostegno a chi è vittima del bullismo. Poi c’è un programma che riguarda lo sport, che voglio presentare con più dettagli: c’è una piattaforma digitale che consente il collegamento di realtà educative in tutto il mondo. Invitiamo tutti a partecipare, tutte le organizzazioni educative possono iscriversi a questa piattaforma e condividere lì i loro progetti per poter lavorare in rete. Ci sono università che accompagnano anche questo progetto, più di sessanta università ci stanno accompagnando in questo progetto, che prende poi forma nella piattaforma. Di recente è stata fatto un incontro con l’Università ebrea di Gerusalemme, che è stata promotrice di un’iniziativa promossa anche da Papa Francesco, un programma per l’arte. E abbiamo poi un programma dedicato alle tecnologie, che si chiama “Scholas Labs”, e poi anche per la tutela dell’ambiente. Questi sono tutti i nostri programmi. Parliamo adesso nel dettaglio delle attività sportive. Cerchiamo di mettere insieme nella pratica sportiva anche la formazione di valori, non come una chiacchierata che si fa dopo, ma cerchiamo di farlo nella pratica sportiva stessa.

Video

Papa Francesco
Bisogna prendere la vita così come viene, non bisogna lasciar correre. Bisogna avere un ruolo attivo nella vita, nella partita della vita mettiamo in gioco anche i nostri valori. Non si tratta di giocare per poter arricchirsi, per guadagnare più soldi. Alla fine a uno restano solo i soldi, la ricchezza, la prosperità, ma è solo. Il gioco, invece, che si sta giocando, questa partita si gioca insieme, in squadra. Ed è questo il valore dello sport. Da soli non è possibile giocare questa partita. Ed è proprio questo il lavoro che cerchiamo di fare con i ragazzi, di modo che con ogni gol segnato si possa crescere, ma possa crescere tutta la squadra, e che ci sia meno esclusione. Mi ricordo, avevo nove anni, nella campagna del ’46 era successa una cosa con la mia squadra di San Lorenzo, che raramente succederà ancora nella storia: si vedeva un giocatore che passava un pallone ad un altro, la passava ancora, ma questo passaggio veniva fatto proprio per far sì che l’altro compagno riuscisse a fare gol. Chi era quindi il goleador? Il goleador concreto era uno, quello che segnava il gol, però il vero goleador era tutta la squadra, perché l’ultimo calcio è stato dato da una persona, che ha ricevuto la palla da un’altra che glie l’ha passata. Diversamente non sarebbe stato possibile. I valori della solidarietà, i valori del lavorare in squadra, i valori della trascendenza comunitaria ci tolgono da tutto l’egoismo. Per questo è importante che con ogni goal ci sia una crescita della squadra, perché ci sia una crescita comune e non solo della persona che ha tirato l’ultimo tiro. In questa partita della vita è davvero importante far sì che cresca la società come società. È importante che nella partita della vita vengano messi in gioco tutti i valori. Questo è il nostro desiderio, questo è il nostro progetto che cerchiamo di realizzare. Che Dio ci aiuti a portarlo avanti, ma non da soli, bensì tutti assieme.

Lionel Messi
Siamo davvero felici di poter partecipare in questa iniziativa che si sta lanciando, che è la rete, e spero che sia molto positivo per il mondo.

Gianluigi Buffon
È necessario cominciare soggettivamente da ogni persona a cercare realmente di voler cambiare e di voler migliorare questo mondo.

ENRIQUE PALMEYRO:
Per far sì che questa realtà sportiva si concretizzasse e che aiutasse proprio tutto l’essere umano, il Papa ci ha dato questo orientamento. Ci ha trasmesso tante idee profonde, che ha espresso, cioè lo sport non è importante innanzitutto per i soldi, è quello che ci dirà anche Sandro: la crisi che vive lo sport quando si impone la mentalità del consumismo, del capitalismo. E per questo il primo posto dove abbiamo cominciato a sviluppare questo progetto del calcio con i valori è stato proprio una serie di quartieri dove c’erano più problemi economici.

Video
Il progetto “Calcio con valori” è rivolto a bambini e giovani che vivono in periferie e cerca di creare nuove e importanti esperienze di crescita. Questo progetto li accompagna nell’età più critica della formazione, trasmette valori di solidarietà, cameratismo e appartenenza a un gruppo attraverso il gioco del calcio. Uno degli obiettivi del programma “Calcio con valori” è di promuovere, collegare metodologie e programmi che considerino i valori all’interno dello sport.

ENRIQUE PALMEYRO:
Come dicevo, questa attività è stata iniziata nei quartieri, nelle zone con più problemi economici e cerca di concentrarsi sui valori del rispetto, dell’onestà, dello sforzo, del lavoro di squadra, della resilienza e dell’identità. Così come si lavora sulla tecnica di come fare un passaggio con la palla, l’allenatore cerca di trasmettere, di lavorare anche sui valori, cioè, quando uno sbaglia, si cerca di far mettere l’altra persona nei panni dell’altra. Tutti questi valori sono i valori che Papa Francesco ha mostrato anche nella sua vita, per esempio, quando parlavano della palla che viene passata da tutte le persone dal punto meno atteso c’è poi il terzino che la passa all’attaccante, l’attaccante l’aspetta, ma magari arriva da un altro giocatore: è così che bisogna essere pronti a cogliere la vita da qualunque direzione essa arrivi. E si mette in risalto l’importanza di risolvere i problemi individualmente e caso per caso bisogna pianificare, ma bisogna capire anche a livello specifico come funzionano le cose. A volte si aspettano delle persone che ci dicono che verranno a farci visita, ci si mette d’accordo che si arriva alle quattro e alle quattro uno è lì che aspetta quella persona. E questo atteggiamento poi anche che aveva nel suo ministero di Santa Marta: è lì dove viene passato il tempo, si passano anche le vacanze. Lui viene lì, resta con noi, non perché sia allergico alle vacanze, come ha detto qualche giornalista, ma perché per amore sente che deve sfruttare il tempo per cercar di accompagnare la trasformazione di cui il mondo ha bisogno. Questo progetto di calcio con i valori si ispira proprio a questi principi, si rivolge ai giovani, bambini, ma anche agli allenatori, ai formatori. E nello specifico in Italia abbiamo il piacere di lavorare con Mario Del Verme che sta coordinando l’attività “Calcio con valori” in Italia con un forte sostegno da parte del CSI, e ci sono già tre centri sul territorio, dove si sta cominciando a sviluppare questa metodologia di calcio con i valori: a Napoli, a Roma con l’Auditorium San Paolo e a Como con un centro sportivo. Vedete qui nella diapositiva i punti in cui il progetto si sta svolgendo in Italia. Questi valori vengono applicati nello specifico alle diverse età dei bambini a seconda del loro sviluppo evolutivo. Vado avanti velocemente, poi Mario avrà modo di approfondire ulteriormente questo tema, magari non oggi, ma durante gli incontri di formazione. Qual è la data dell’incontro di formazione, Mario? L’11 di ottobre a Roma. Quali sono i risultati che ci aspettiamo? Un maggior interesse da parte degli allenatori nei confronti della formazione nell’ambito dei valori e anche la formazione nell’ambito dei valori dei giovani, dei ragazzi. Il miglioramento anche delle tecniche è un risultato che vogliamo ottenere, ma non è messo la primo posto e non è l’unico. Tornando ora al cambiamento di cui ha bisogno il mondo, di cui siamo alla ricerca, sembra che questo circolo di violenza e sicurezza per prevenire la violenza siano due facce della stessa medaglia. Non sto dicendo che non dobbiamo preoccuparci di noi stessi, ovvio, -bisogna controllare le borse delle persone quando entrano, per esempio, in questo posto- però dobbiamo veramente capire, noi politici, formatori, che la base del problema non si potrà risolvere con più sicurezza, ma con la formazione, con l’educazione, che si rivolge non solo alla testa, ma anche al cuore e alle mani. E stato creato un circolo vizioso che il capitalismo usa per collocare beni e i servizi. C’è bisogno di persone che consumano in maniera acritica, senza ragionare e i giovani, quando si affacciano a questo mondo senza una prospettiva come quella che invece è richiesta dal cuore umano, si sentono così, delusi, si sentono derubati. Uno studio ha dimostrato che molti che entrano a far parte dell’Isis, il 25% di queste persone non proviene da una cultura islamica, non c’entra niente tutto questo. C’è un divario in questa proposta che stiamo facendo ai nostri giovani, dobbiamo offrire loro una formazione che sia fatta anche di ascolto, di condivisione, di apertura, come ha detto anche il Papa nel messaggio che ha mandato per questo bell’incontro. Dobbiamo veramente lavorare assieme, creare una cultura dell’incontro e far sì che il mondo sia un luogo dove poter abitare. E vi ringrazio.

DAVIDE PERILLO:
Grazie Enrique. E adesso sentiamo cosa fa il CSI per rompere questo circolo vizioso di cui si diceva prima, per contribuire a questa cultura dell’incontro. Prego, presidente Bosio.

VITTORIO BOSIO:
Buongiorno a tutti, grazie per l’invito, sono veramente orgoglioso del fatto che una manifestazione come il Meeting abbia scelto come tema quello sport collegato all’educazione. Cosa fa il CSI? I numeri li ha già dati lei, pertanto evito di darli io. Il CSI prova attraverso le sue strutture territoriali, i 140 comitati, le 13mila società sportive, a trasmettere qualcosa di positivo, a trasmettere educazione attraverso lo sport. Il CSI nasce ancora prima che finisse la Seconda guerra mondiale, per volere di Pio XII, nasce sulle ceneri di un’altra organizzazione sportiva cattolica che era la FASCI. Nasce perché al tempo c’era la necessità di dare una struttura sportiva, un’organizzazione sportiva alle parrocchie e agli oratori. E continuiamo tutt’oggi a fare attività sportiva all’interno delle parrocchie, degli oratori e delle società sportive di periferia che hanno la necessità di fare attività per la persona, per gli uomini, per i ragazzi, per le persone che avvicinano. Detto questo, potrebbe essere facile coniugare l’educazione con quello che facciamo perché l’oratorio, la parrocchia… oggi non è più così facile, credo, perché nessuno può dirsi portatore di educazione anche se lo si fa all’interno di strutture che sono votate proprio all’educazione. Lo facciamo attraverso una parola chiave dei nostri volontari che sono sparsi in tutta Italia per fare attività sportiva, che lo fanno da dirigenti, da allenatori, da arbitri, da giudici, una parola chiave che si chiama servizio. Stamattina partecipando all’inizio, prima di venire qua, all’incontro dei nostri volontari prima di iniziare la giornata, ho sentito la testimonianza di un ragazzo che ha detto, rispetto a quello che ha fatto ieri, “sto vivendo un’esperienza bella di servizio”. Io credo che la parola servizio sia un po’ al centro del nostro fare, dei nostri dirigenti, e dentro questa parola servizio naturalmente ci sta la volontà di tante persone di trasmettere educazione ai ragazzi. Come? Allora, premetto che il CSI nel suo milione, centocinquantamila tesserati, c’ha il 60% di giovani sotto i 16 anni. Cosa vuol dire? Vuol dire che ci rivolgiamo ancora a una fascia importante di ragazzi che attraverso lo sport vivono anche momenti di educazione, o almeno ci ripromettiamo di farglieli vivere. Ai nostri dirigenti, agli allenatori, agli arbitri che fanno questa attività chiediamo di essere testimoni del bene, abbiamo bisogno di testimoni. Io ho avuto la fortuna nella vita professionale da CSI di passare attraverso un oratorio prima giocando e quando ho iniziato a giocare io la formazione la si faceva anche in base a quelli che erano andati a messa ed erano andati a catechismo, non è che la si faceva solo in graduatoria chi era più bravo; se uno non era andato a messa poteva essere bravo quanto voleva ma in squadra non ci entrava. Poi ho avuto la fortuna che è arrivato un parroco, quarant’anni fa o trentasette o trentotto anni fa, molto avanti, che non era poi visto neanche tanto bene, proprio perché era molto avanti, ma che la prima cosa che mi ha detto da dirigente, da allenatore, mi ha detto “fai giocare tutti e non ti permettere mai di dire a qualcuno vai a messa o vai a catechismo, ma vacci tu, prova a testimoniarlo”. Prima della partita allora la messa della domenica la messa grande era alle 10, poi si giocava la partita alle 11. Ecco “vacci tu e vedrai che i ragazzi verranno con te, ma non devi dirglielo, anche perché se vengono a messa solo ed esclusivamente perché gliel’hai detto tu, probabilmente non serve a niente.” Io credo che quell’esperienza di tanti anni fa sia un’esperienza che vale ancora oggi ed è l’invito che faccio sempre, tutte le volte che ne ho l’occasione, che lo faccio ai miei dirigenti per primo e a tutti i nostri allenatori, i nostri dirigenti, ai nostri arbitri, faccio questo invito: provate a testimoniare il bene, ma fatelo voi prima, non ditelo a parole, perché a parole siamo bravi tutti, ma poi dopo credo che l’essenziale stia nella testimonianza. Io da ciessino ho fatto poco, ho fatto un po’l’allenatore, ma poi ho fatto l’arbitro e l’ho fatto tanto, quarant’anni credo di aver fatto l’arbitro nel csi, e mi chiedevo in questi giorno che ho visto una serie di trasmissioni televisive che sono basate tutte su un gesto dell’arbitro che è questo che fa vedere il monitor: cosa diremo ai nostri arbitri nei raduni pre campionati, cosa devono spiegare, cosa devono dire e spiegare ai giocatori per fare accettare una propria decisione, credo che possano fare segno solo che hanno due occhi. Ma credo anche, senza voler entrare nelle dinamiche naturalmente del mondo professionistico , che è un mondo tutto particolare che ha bisogno proprio probabilmente anche di queste cose, credo che sia una grossa sconfitta non saper fare accettare a una giocatore che gioca una partita di calcio, di pallavolo, di pallacanestro, di tutto quello che volete voi, che c’è un giudice e che ci si deve fidare di quel giudice. Viviamo un tempo dove la comunicazione adesso non è più… una volta ci rivolgevamo a televisioni e giornali, ma adesso credo che la comunicazione passi anche attraverso, soprattutto attraverso altri strumenti, dove si tende a demonizzare tutto quello che accade di negativo, si mette in evidenza solo ed esclusivamente sempre le cose negative, si mettono in evidenza solo ed esclusivamente solo quelle negative. Cioè quelle ottocentomila gare del CSI dove non succede niente non ne parlerà mai nessuno, ma basta una partita di calcio o di qualcos’altro dove alcuni genitori magari danno il meglio o il peggio di sé per dimostrare le ragioni dei figli o per voler prevaricare sulle ragioni degli altri, dove finiamo qualche volta anche sulle prime pagine dei giornali. Cosa vuol dire? Vuol die che siamo portati a metter in evidenza tutto quello che c’è di negativo. Io credo che in questo tempo che stiamo vivendo dove di cose negative ne vediamo e dove non sempre è facile rendersi conto del bene che si va a fare anche facendo quello che facciamo noi per lavoro come CSI, credo che abbiamo assolutamente la necessità di dimostrare che le cose positive ci sono e sono tante e abbiamo bisogno di metterle in evidenza. Se non sapremo mettere in evidenza questo, se non sapremo trasmettere ai nostri ragazzi che in una partita, in una gara, in una competizione si può vincere, ma vince uno solo, ma si può anche perdere e bisogna provare ad accettare la sconfitta come non una sconfitta interiore, ma una sconfitta ci può stare nello sport, c’è e qualche volta naturalmente, io lo dico quando mi capita l’occasione, vince non sempre il migliore, ma vince magari il più fortunato, quello che ha avuto le occasioni migliori per poter arrivare al risultato finale. Noi abbiamo assolutamente necessità invece di trasmettere questi valori che sono valori positivi. Il CSI ci sta provando e ci proveremo anche in questi anni. Io devo dire, nel CSI ci sono stato, ho detto, da allenatore, da dirigente e da arbitro, poi sono finito per fare il presidente nazionale e se tornassi indietro forse l’unica esperienza che non farei è quella del presidente nazionale, perché tante volte non riusciamo a fare capire quello che i dirigenti a livello centrale vogliono trasmettere alle strutture di periferia, che sono segnali magari piccoli, ma che vanno a incidere notevolmente in quella che è l’educazione dei nostri ragazzi. Abbiamo bisogno di trasmettere ai nostri ragazzi modelli positivi che possano trasmettere educazione. L’educazione non la faremo attraverso le grandi prediche, tant’è vero che non sono un grande predicatore, non le faremo attraverso le grandi prediche, le faremo però con i grandi esempi e io credo che il CSI questo stia provando a farlo. Metto stiamo provando a farlo, perché poi chi si mette nel campo dell’educazione, ma questo non solo, credo, a livello sportivo, deve sempre tenere la guardia molto alta e non provare mai a dire ce l’ho fatta, sono arrivato, perché quando si prova ad alzare un po’ la cresta per dire “ah, ce l’ho fatta, ci siamo arrivati” ricordo sempre questo, che una volta tornando da un torneo la sera, ho fatto per anni il responsabile degli arbitri del gruppo del mio comitato, ero insieme con un ragazzo che adesso è il responsabile degli arbitri, eravamo alla fine di tutte le attività e mi dice: “guarda, ma sai che quest’anno non hanno picchiato un arbitro? Siamo stati proprio bravi”. Ecco, è suonato il telefono: avevano picchiato un arbitro. Infatti gli ho detto: “guarda, non dirlo mai più, perché guarda questa roba qua porta proprio male”. Non dobbiamo mai abbassare la guardia. E credo che il compito del CSI sia ancora questo. Tante volte mi sono chiesto: ma c’è ancora bisogno del CSI oggi, in una società dove c’è tutto, dove si trova tutto? Credo proprio di sì, la risposta è credo proprio di sì, perché c’è bisogno di tante persone di buona volontà che si mettano a disposizione dei ragazzi, dei giovani, degli adulti ì, degli anziani, per fargli vivere momenti sani e felici di attività sportiva dentro un contesto anche educativo. Grazie.

DAVIDE PERILLO:
Grazie, grazie, presidente Bosio. Una delle cose che si sono capite con molta chiarezza è che appunto non c’è bisogno di prediche, ma di maestri, di esempi. Abbiamo un maestro, prego, Sandro Cuomo.

SANDRO CUOMO:
bene, io devo dire che ho trovato un’enormità di spunti, poi mi sono dovuto fermare perché abbiamo il limite dei venti minuti e quindi non sono andato oltre, ma già da quanto è emerso in queste due relazioni precedenti alla mia, sono emersi una quantità di spunti enormi, su ciascuno dei quali si potrebbe fare un intervento. Diciamo che una frase che mi ha colpito proprio del dottor Perillo all’inizio è stata quella che lo sport ci deve aiutare a sviluppare i talenti che Dio ci ha dato. Questa è un’opzione, mia moglie lo può testimoniare, che è lì seduta, sulla quale io mi sono battuto per anni, gli anni un po’ più difficili di un ragazzino che cresce, mio figlio, tra i 12 e i 14 anni, che è un’età molto difficile, è un’età dove facilmente ci si distrae e ci si incanala magari su strade non dico inutili, io non sono contrario ad esempio all’uso del telefonino, ormai il telefonino e i videogiochi fanno parte del nostro substrato culturale, non si può più tornare indietro, però la gestione di un utilizzo moderato di questi oggetti può consentire di dedicare altero tempo allo sviluppo di abilità che altrimenti non scopriremmo mai e io le parole testuali che dicevo a mio figlio quando lo trovavo nello spogliatoio a giocare a Clash of Clans o altre cose, insomma giochi che ignoro; adesso i giovani magari staranno ridendo perché ho pronunciato male il gioco. Ma ore e ore passate nello spogliatoio, perché poi veniva in palestra in orario, perché obbligato, trascorreva buona parte del suo tempo nello spogliatoio a giocare e il mio rimprovero era esattamente questo: tu così non saprai mai se hai un talento, se hai un talento non lo scoprirai mai, perché sei chiuso qui a giocare. Io no sono contrario, gioca pure, gioca nei tempi morti, dedicagli un tempo a questo gioco, ma non può diventare la tua attività principale, cerca di capire se hai talenti in qualche altra cosa. Adesso sei qui in palestra a scherma, io veramente ho fatto di tutto e Mario lo sa, anche per dirottarlo su altre discipline proprio perché volevo evitare un po’il confronto con il papà, quindi speravo che potesse prendere strade in altre discipline; a me non è mai interessato che lui diventasse un campione, per me l’importante è che si dedicasse a qualche cosa con impegno e che questo impegno lo gratificasse, il mio obiettivo formativo nei confronti dell’educazione sportiva di mio figlio ma anche degli altri atleti con cui lavoro è sempre stata questa. Poi un po’ la mia mission professionale, io faccio il commissario tecnico della nazionale di spada, e quindi è ovvio che il mio lavoro è quello di portare risultati e quindi l’aspetto morale, morale inteso come valoriale, dello sport viaggia di pari passo, deve viaggiare4 di pari passo con il risultato, perché se non c’è il risultato viene meno anche la mia credibilità professionale. Questo lavoro di equilibrio secondo me tra portare avanti risultati e valori è sempre stato un compito molto difficile, soprattutto oggi, dove c’è un po’ la mentalità che fare sport significa diventare dei campioni, cioè se non si è campioni non si è combinato niente. Qua mi riallaccio anche a una frase del Papa: “Da soli non si può giocare.”. Oggi chi è che va sui giornali, chi è che occupa le prime pagine? Magari il calciatore di turno che si è trovato là a raccogliere un lavoro intero di una squadra che ha rubato palla, ha costruito l’azione, tutti quanti si sono fatti in quattro per portare l’attaccante a finalizzare, che magari è quello che ha fatto meno in quel contesto, finalizza, sul giornale il nome del calciatore che ha salvato la squadra. E tutti gli altri? Come se non avessero fatto niente. In realtà il gioco di squadra è questo, e noi siamo un po’ figli, diciamo, di una cultura sportiva un po’ viziata dove si premia il finalizzatore, si premia il realizzatore e non si da peso e importanza al gregario invece che ha fatto magari il lavoro sporco, che ha il gran merito magari di aver iniziato a elaborare l’azione che poi è stata finalizzata. Quindi ognuno ha un suo ruolo nello sport come nella società e l’importante, a mio avviso, ecco, una difficoltà che oggi leggo sia nello sport che anche nella vita di tutti i giorni è riconoscere anche i valori dei lavori più umili, così come in una squadra di calcio ma così anche nella società. Il lavoro più umile quasi viene un po’ ghettizzato ma se non c’è quello non c’è il resto. Nel contesto di un vivere bene in società ognuno ha il suo ruolo e ognuno ha un ruolo determinante importantissimo, al di là di essere il finalizzatore. Non esisterebbe una società fatta di soli finalizzatori così come non potrebbe esistere una squadra composta soltanto da attaccanti. Il principio proprio del giocatore a servizio della squadra, è questo il messaggio più importante che deve passare a mio avviso nella comunicazione sportiva. E questo non vale solo per gli sport cosiddetti di squadra, ma vale anche in sport come il mio, che sostanzialmente si direbbe uno sport individuale, la scherma, uno contro uno, si combatte ad armi pari, ma uno contro uno. In realtà non è proprio così perché nel momento già in cui noi abbiamo un allenatore noi abbiamo una squadra; una squadra composta di due persone che lavorano per un obiettivo, che programmano insieme, che coordinano, che soffrono, che gioiscono, che condividono emozioni importantissime già in due, già in due è una squadra. Lo sport individuale di fatto, a mio avviso, non esiste. Esiste lo sport, lo sport e basta. Poi esiste una squadra di due persone che può essere l’individualista e il suo allenatore o una squadra di più persone, anche se oggi già, in ogni disciplina sportiva, intorno a un atleta di uno sport singolo gravitano tantissime professionalità: dal mental coach, al preparatore fisico, al preparatore tecnico, staff medico, fisioterapisti e quant’altro, tutti intono a un solo atleta per il suo risultato, quindi già questa è una squadra. Io intorno alla frase “da soli non si può giocare” mi è saltata subito in mente una mia esperienza personale che mi farebbe piacere raccontarvi. Io quando ho finito, terminato l’attività di atleta nel 2000 ho avuto per tre anni il ruolo che faccio adesso, cioè il CT della spada, nel 2003 però mi sono dimesso per poi riprendere questo ruolo nel 2009. In quello spazio tra il 2003 e il 2009 io, come tutti gli atleti di alta fascia appartenendo a un gruppo sportivo-militare nel mio caso la Polizia di Stato, non facendo più l’atleta e non facendo più il tecnico ero nei ruoli ordinari della Polizia di Stato. Quindi facevo come tutti gli altri anche servizio d’ordine allo stadio e in particolar modo ho vissuto questa esperienza molto significativa e secondo me calzante allo scopo, al tema di oggi, dove mi sono trovato a fare da cordone fisico a protezione del pullman degli ospiti, era il Cesena in quella occasione, che veniva a giocare a Napoli. Allora io facevo da cordone, dietro di me questa folla, questa massa di persone che spingeva e noi che tenevamo le persone dietro per far passare il pullman. Alla fine arriva questo pullman e in particolar modo uno dietro di me che quasi mi voleva scavalcare, e io tenevo, ero ancora allenato all’epoca quindi riuscivo a tenere botta a questo tipo, che insultava in tutti i modi questo bus, ma la partita doveva ancora cominciare, attenzione. Allora la mia riflessione è stata “ma scusa perché li insulti? La partita deve ancora cominciare, se loro se ne vanno… – perché diceva in Napoletano stretto “andatevene! Iatevenne, iatevenne! Tornate a casa vostra” insomma in un linguaggio forbito, qui non è il contesto né è nel mio stile, però vi assicuro che il linguaggio era non ripetibile, insulti di tutti i tipi – e io mi sono girato e ho detto “ma se loro se ne vanno, noi con chi giochiamo?” Mi sembra una domanda legittima. Al che questo energumeno si gira verso di me e mi guarda con aria interrogativa. Sarà stato, forse due secondi ma a me è sembrata un’eternità dove pensavo anche di aver colto nel segno, di aver lanciato il mio messaggio e avere colpito, no? Ho detto “caspita però l’ho proprio centrato, l’ho colpito dentro, ha capito!” non era così perché gli ha lanciato la lattina contro il pullman che terminava il suo passaggio e quindi così mi sono disilluso, però, diciamo, è stata un’esperienza la quale mi ha riportato immediatamente questa frase del Papa “Da soli non si può giocare”, ma gli avversarsi sono dei compagni di gioco, non sono dei nemici da distruggere o da sconfiggere Se questo non viene compreso diciamo che lo sport non ha senso, non ha ragione di esistere. Quindi non so se ho ancora un po’ di tempo, vado avanti o…?

DAVIDE PERILLO:
Sì.

SANDRO CUOMO:
Quindi questa è stata a mio avviso un’esperienza calzante sul tema del giorno, più che altro sulle parole dette dal Papa e riguardo alla trasmissione di valori: oggi io nel mio lavoro mi trovo a gestire un fenomeno crescente di discutibile, insomma, secondo me, sul quale è bene riflettere. Io vedo oggi i tecnici del mio panorama sportivo, quindi esperienza personale, che cercano, più che di dare il la a un atleta, al proprio atleta, metterlo nelle condizioni di fronteggiare qualsiasi situazione, sia tecnica, sia emotiva, cercano un po’ di sostituirsi a lui, cercano di rendersi indispensabili all’atleta. Questo determina un fenomeno molto preoccupante, che è quello che l’atleta a un certo punto non si sente a suo agio e non si sente autonomo nella gestione delle situazioni. E il tecnico perché fa questo? Fa questo perché si preoccupa più della sua crescita professionale e della sua visibilità piuttosto che di quella dell’atleta. A mio avviso quando un atleta si gira verso il tecnico, ed è quello che dico sempre ai miei ragazzi, si gira verso il tecnico e dice “cosa devo fare?” per me ha perso l’assalto, perché vuol dire che ha smesso di pensare e di cercare una soluzione in maniera autonoma, poi si può sbagliare, però la soluzione la deve trovare l’atleta. Dev’essere educato a cercarla, perché se invece è educato a chiederla al tecnico, il tecnico non potrà mai avere la sensibilità, la sensazione che in quel momento l’atleta ha in pedana, la sensazione del tempo, dell’attimo. Nella scherma si gioca tutto in una frazione di secondo, è un riflesso diciamo, è uno sport che si basa sulla rapidità più che dei riflessi anche sulla previsione di quello che deve succedere, quindi fare in modo che l’avversario faccia quello che tu stai pensando che lui debba fare, metterlo a suo agio per fare quello che tu gli vuoi far fare, farglielo fare e fare la contraria. Cioè è un gioco di scacchi, è veramente un gioco di scacchi, tanto è vero che c’è anche un libro, che non ho scritto io ma il maestro Toran sulla scherma dove in copertina c’è una scacchiera, perché in effetti rende l’idea. E se, nel momento in cui il mio atleta si gira e mi chiede che deve fare vuol dire che ha già perso l’assalto per quanto mi riguarda, perché non troverà mai una strada in maniera autonoma. Io gli posso anche dire “fai così”, ma se lo fa al tempo sbagliato, alla velocità sbagliata, senza la preparazione giusta, il colpo comunque non potrà essere efficace. E io è quello che dico sempre ai tecnici, perché io ora sto cercando di lavorare sulla formazione dei tecnici, ancora prima della formazione degli atleti. Vorrei che i tecnici assimilassero questa modalità di trasmissione di valori tecnici e morali. Il tecnico deve fare in modo che l’atleta a un certo punto sia in grado di andare da solo, un po’ come dovrebbe fare qualsiasi buon genitore, qualsiasi padre di famiglia, no? Il padre di famiglia, il genitore ha raggiunto il suo obiettivo quando il figlio è in grado di affrontare la vita da solo, non quando ha sempre bisogno di lui per il resto della sua vita, quindi questo è un passaggio molto importante che secondo me è un parallelismo molto calzante tra la vita sociale e la vita sportiva. Quindi abbattere questo rapporto di dipendenza e invece cercare di lavorare sulla resa autonoma del ragazzo. Io penso che possiamo concludere altrimenti io non la finisco perché abbiamo veramente preso talmente tanti spunti e l’ultima cosa che volevo dire, e questa ci tengo a dirla, è che per essere chiamati a testimoniare la propria esperienza di valori per le generazioni future, ecco, questo penso che per quanto mi riguarda, io ho vinto qualche cosa in termini di risultati sportivi, ma la soddisfazione più grande per me, per quanto mi riguarda è quella di essere chiamato a testimone per raccontare le mie esperienze su questo tema, per le generazioni future. Questo penso che sia un grandissimo senso di responsabilità che ciascun personaggio pubblico, non è il mio caso perché penso che prima di oggi nessuno mi conoscesse, perché diciamo la scherma è uno sport che vive soltanto nel posto olimpico, dove grazie al cielo siamo la federazione più medagliata d’Italia, quindi questo ci mette un po’ in evidenza nel posto olimpico, ma poi per il resto del quadriennio pian piano l’attenzione scema e nessuno si ricorda di noi. Ma vi assicuro che essere qui oggi è la medaglia più bella.

DAVIDE PERILLO:
Io credo che tutti noi siamo molto grati ai nostri ospiti proprio per come si sono messi in gioco loro, personalmente, come diceva adesso Sandro Cuomo. Sono venuti fuori appunto tantissimi spunti, io mi permetto di rimetterne a fuoco solo alcuni molto brevemente, ma perché mi ha colpito, vedete come parlando di sport viene fuori in maniera molto limpida, netta, essenziale, quella che è la dinamica non solo della vita, ma appunto dell’educazione, della trasmissione ai nostri figli dell’esperienza che stiamo facendo. Allora sottolineo solo alcuni punti che han detto loro perché mi hanno colpito tantissimo e vorrei portarli a casa anzitutto per me. Lo scopo di tutto alla fine è la costruzione della persona, il punto è che l’atleta diventi se stesso, che possa tirare fuori il meglio di sé, ma questo non può avvenire da soli, nessuna partita si gioca da soli. Il Papa parlava di valori di trascendenza comunitaria, in una frase che ha detto; quello che hanno testimoniato i nostri ospiti ha fatto capire bene che cosa vuol dire. Lo scopo, l’educazione della persona, dell’io, ma per questo dobbiamo, ma per questo dobbiamo, possiamo concorrere tutti, abbiamo tutti un compito. E se lo scopo è questo il metodo appunto, la strada, non è la trasmissione di idee, le prediche, i valori non sono qualcosa di astratto, veniva fuori anche questo molto chiaramente, sono qualcosa che passa attraverso l’esperienza. L’esperienza, il passare il tempo lì così, la rete di passaggi che citava Papa Francesco del San Lorenzo del 46 e che riprendeva Enrique prima. L’esperienza, i valori, passano attraverso la realtà, non attraverso le prediche, per questo c’è bisogno, appunto, non c’è niente di automatico, che è un altro aspetto bellissimo che dobbiamo, possiamo tener presente, imparare meglio in questi giorni di Meeting. In questa trasmissione non c’è niente di automatico, non c’è niente di scontato, come veniva fuori molto bene dall’intervento del Presidente Bosio, non è che basta avere assicurato una struttura, una realtà fatta in un certo modo. Lo sport non educa automaticamente, come nulla educa automaticamente, c’è bisogno che ci compromettiamo, che ci mettiamo al servizio, dicevano loro, c’è bisogno che in qualche modo, appunto, si rischi sulla libertà dell’altro, non c’è niente di automatico nell’educazione e nella trasmissione E’ una proposta che si fa a qualcuno, che liberamente può decidere di fare questo percorso con te o no.
E questa è la cosa più bella in assoluto, perché che si risvegli l’umano passa attraverso questa modalità, questa dinamica. Nello sport viene fuori benissimo, come viene fuori benissimo l’ultimo punto che emergeva con chiarezza impressionante che mi permetto di riprendere: per tutta questa dinamica educativa c’è bisogno di testimoni, di testimoni, cioè di gente che si implichi, che abbia a cuore il destino proprio e dell’altro, perché nessuna trasmissione è automatica, ma poter fare un pezzo di strada insieme all’altro finché anche lui partecipi all’esperienza tua fino in fondo e l’esperienza tua diventi sua. Mi metto nei panni del tecnico di scherma che vede l’atleta che fa lui la cosa che la situazione richiede, appunto, che non si gira a chiedere consiglio e credo che sia la soddisfazione più grande. Ecco, c’è bisogno di testimoni, cioè c’è bisogno di un mettersi in gioco noi con questa gratuità, con questa libertà. E’ quello che stiamo cercando e cercheremo di approfondire meglio in questi giorni di Meeting, ma è quello per cui ringraziamo ancora una volta e salutiamo con un applauso i nostri ospiti dell’incontro di oggi, perché ce lo hanno fatto vedere.

Data

21 Agosto 2017

Ora

11:15

Edizione

2017

Luogo

Salone Intesa Sanpaolo B3
Categoria
Incontri