LIBERTÀ RELIGIOSA E RESPONSABILITÀ POLITICA

Libertà religiosa e responsabilità politica

Libertà religiosa e responsabilità politica

Partecipano: Franco Frattini, Ministro degli Esteri Italiano; Mamadou Ndiaye, Direttore di Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri della Repubblica del Senegal; Salamatu Hussaini Suleiman, Minister of State for Foreign Affairs of the Federal Republic of Nigeria; Tasnim Aslam, Ambasciatore della Repubblica Islamica del Pakistan in Italia; Kenan Gursoy, Ambasciatore della Repubblica di Turchia presso la Santa Sede. Intervento di saluto di Antonella Mularoni, Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino. Introduce Mario Mauro, Rappresentante personale della Presidenza dell’OSCE contro razzismo, xenofobia e discriminazione nei confronti dei cristiani.

 

MARIO MAURO:
Buonasera a tutti, presento innanzitutto i nostri ospiti, alla mia sinistra l’Ambasciatrice Tasnim Aslam, ambasciatrice della repubblica islamica del Pakistan in Italia; alla mia destra Mamadou Ndiaye, ambasciatore capo di Gabinetto del Ministro degli Affari Esteri della Repubblica del Senegal, alla sua destra Kenan Gursoy ambasciatore della Repubblica di Turchia presso la Santa Sede, Salamatu Hussaini Suleiman, Ministro di stato per gli Affari Esteri della Repubblica Federale di Nigeria. Un amico di riferimento per il Meeting, Franco Frattini.
Prima di dare la parola al Segretario di Stato per gli Affari Esteri della Repubblica di San Marino, Antonella Mularoni, che come di consueto accompagna questo nostro raduno, e voglio sottolineare ancora una volta l’importanza dell’impegno che la Repubblica di San Marino ha sui temi di politica estera ed internazionale, mi preme introdurre seppur brevissimamente, l’imponenza e la rilevanza del tema che trattiamo oggi. Lo dico perché in questi giorni abbiamo fatto molti incontri sulla libertà religiosa, e lo abbiamo fatto per due ragioni ben precise; prima perché se c’è un Meeting che tratta del cuore, questo cuore ha innanzitutto esigenza di Dio, esigenza di quel fatto che dà senso a tutte le cose della vita. Ma la cosa più sorprendente, è che l’uomo che ha questa apertura, cioè l’uomo che è in relazione con Dio, l’uomo che ha un’apertura religiosa, è un uomo che è inaccessibile al potere, il potere non lo può controllare, quell’uomo è sempre libero. Questo è proprio il contrario del fondamentalismo, perché il fondamentalismo è usare il nome di Dio come pretesto per un progetto di potere. Allora l’uomo religioso, l’uomo veramente religioso, l’uomo veramente aperto a Dio, non solo non è fondamentalista, ma laddove afferma ciò che caratterizza il suo cuore rende possibile la convivenza civile per tutti. Difendere quindi la libertà religiosa non è appena difendere questa o quella categoria: i Cristiani, i Musulmani, gli Ebrei; è molto di più: è metterci in condizioni di avere una vita comune che gode dello stesso bene e degli stessi beni. La cosa straordinaria, nell’amicizia che ci ha accompagnato in questi anni con il Ministro Frattini, è che questa è diventata anche una priorità di governo, una priorità del Governo Italiano, che da un anno a questa parte ha iniziato una tenace azione in sede europea e in sede internazionale, perché la libertà religiosa sia la condizione qualificante di tutti gli accordi che si stringono tra Paesi democratici, e sia la condizione per trattare con quei Paesi che democratici non sono.
Io credo che questo sia un fatto di straordinaria importanza, che è diventato, e non è cosa da poco, un punto essenziale della dottrina e dei contenuti di una risoluzione del Consiglio Europeo, e possa in qualche modo fare da faro per quello che è il cammino che ci resta da seguire.
Do la parola intanto ad Antonella Mularoni.

ANTONELLA MULARONI:
Signor presidente, autorità, e permettetemi un saluto speciale ai tantissimi presenti che seguono il Meeting tutti gli anni, ringrazio il Meeting che nell’ambito di una collaborazione ormai consolidata mi offre anche quest’anno l’opportunità di essere qui oggi a portare un saluto nella mia veste di Segretario di Stato per gli Affari Esteri e Politici della Repubblica di San Marino. Fin dal suo nascere il Meeting per l’Amicizia tra i Popoli ha trovato nel mio Paese un partner che ha seguito con grande interesse la crescita di questa manifestazione; il Meeting persegue e favorisce il dialogo tra i popoli, le culture e le religioni, esalta la libertà di pensiero, il rispetto delle diversità, opera una strenua difesa dei diritti e delle libertà fondamentali, agisce in sintesi per gli stessi valori sui quali la Repubblica di San Marino ha posto le sue basi fin dagli albori della sua storia.
Non sono qui oggi certo per illustrare il costante rispetto di questi valori da parte del mio Paese, approfitto invece per sottolineare che il tema che l’odierno incontro svilupperà, ovvero quello della libertà religiosa e della responsabilità politica, è molto caro a San Marino.
A seguito di una originale conferenza internazionale sul dialogo interculturale e interreligioso alla quale parteciparono anche rappresentanti delle tre principali religioni europee, organizzata a San Marino nel 2007 dall’allora presidenza sammarinese del Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, è scaturito un documento finale che impegna i quarantasette Paesi membri del Consiglio d’Europa ad un incontro annuale su questo tema.
L’incontro, giunto alla sua terza edizione, sarà coordinato anche questo anno dal mio Paese. Anche nelle altre organizzazioni internazionali di cui fa parte, l’azione sammarinese è sempre stata e continua ad essere tesa alla volontà di comprendere le ragioni degli altri, nonché alla difesa costante dei diritti e delle libertà fondamentali dei singoli e dei popoli. Fra queste certamente un ruolo primario è ricoperto dalla libertà religiosa; allo stesso tempo la Repubblica di San Marino è da sempre fiera delle sue radici cristiane, che ne hanno originato l’esistenza e che l’hanno resa storicamente una comunità diversa dalle altre presenti nel territorio della penisola italica. Tale forte riconoscimento si esprime anche in vari momenti della vita pubblica, ma ciò non le impedisce di rispettare chi ha un credo diverso e in tale fede intende condurre la vita propria e quella della sua famiglia. È con questo spirito e per questa ragione che la Repubblica di San Marino ha sostenuto insieme ad altri Paesi il ricorso italiano innanzi alla Grande Camera della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo nel caso riguardante l’esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, nella consapevolezza che rispettare la libertà religiosa degli altri non significa nascondere i segni del credo religioso condiviso dalla maggioranza dei cittadini, che è uno degli elementi caratterizzanti la storia e la cultura del paese. Spetta certamente in primis alla classe politica essere capace di coniugare il sentimento religioso del popolo di cui si è i rappresentanti con il rispetto profondo e convinto di coloro che aderiscono ad altre fedi, che devono sentirsi liberi di professarle o di non professarne alcuna, anche se vivono in un Paese dove la loro appartenenza religiosa non è prevalente. Per la politica non è un esercizio sempre facile, ma è un esercizio doveroso se vogliamo essere capaci di costruire comunità responsabili e solidali, di cui tutti si sentano parte attiva, avendo allo stesso tempo la consapevolezza di vivere in un Paese ove il loro sentimento religioso o la loro assenza di sentimento religioso sono rispettati. Fra l’altro, la classe politica europea è tenuta a conseguire tale obiettivo proprio in ragione della vigenza della Convenzione Europea dei Diritti e delle Libertà Fondamentali.
Non abbiamo dunque scelta, dobbiamo riuscirci. È certo che non ci può essere rispetto della libertà religiosa senza la disponibilità all’apertura e alla conoscenza, scevre da strumentalizzazione dell’altrui fede, e non ci può essere conoscenza e quindi presa di coscienza di una diversità senza il dialogo e la volontà sincera di capirsi e di rispettarsi. Questo vale per tutte le componenti della vita dei singoli e delle comunità, e dunque anche per la componente religiosa. D’altra parte la storia, anche recente ed attuale, ci dimostra che l’incapacità della politica di gestire la convivenza di fedi diverse sul proprio territorio, o nel rapporto con gli Stati confinanti, rappresenta un rovinoso fallimento, che ha trascinato tante generazioni in guerre decennali, che hanno fatto decine e decine di migliaia di vittime spesso innocenti, e che non riescono a dare ai popoli interessati da tali fenomeni alcuna speranza di un futuro migliore.
Credo che oggi la capacità di gestire tali aspetti e di risolvere annosi problemi che trascinano da lungo tempo guerre più o meno note o dimenticate sia diventata una priorità assoluta per la comunità internazionale; la storia infatti ha dimostrato che questi conflitti da soli non si risolvono: essi si risolvono soltanto se c’è una forte volontà politica che si traduce in azioni concrete e convincenti nei confronti di tutte le parti in causa, e non sempre tale forte volontà politica si è manifestata o non sempre si è manifestata con coerenza.
Solo la capacità di fare questo renderà per altro più credibile la comunità internazionale agli occhi di tutti i popoli ed assicurerà la pace e lo sviluppo di regioni del mondo che hanno diritto, dopo tante sofferenze, di raggiungere tali obbiettivi.
Signor Presidente, nella certezza che anche l’edizione presente sarà come sempre un successo, sono lieta di rinnovare al Meeting il saluto e la vicinanza dei sammarinesi, che continueranno, pur con la loro piccola voce, ma forti della loro storia, ad incoraggiare il rispetto delle libertà e dei diritti di tutti, certi che la capacità di fare questo renda più forte, e mai più debole, ogni comunità a prescindere dalla sua grandezza. Grazie.

MARIO MAURO:
Ringrazio il Segretario di Stato di San Marino, penso che il primo richiamo sa stato sentito in modo incontrovertibile: il tema della libertà religiosa non è appena il tema della persecuzione o della discriminazione, quanto il tema della rilevanza pubblica della religione, dell’incidenza che la religione ha nella vita e quindi la possibilità di poter vivere la propria esperienza religiosa come inizio del bene per tutti gli altri. Non a caso veniva ricordato dalla dottoressa Mularoni la vicenda della sentenza di Strasburgo, ma credo che su questo tornerà più avanti il Ministro Frattini. Cominciamo invece i nostri lavori, e partiamo dall’ambasciatrice della Repubblica Islamica del Pakistan, alla quale io vorrei far sentire tutta la vicinanza del popolo del Meeting e del popolo italiano per quanto il popolo del Pakistan sta patendo e soffrendo in questo momento.

TASNIM ASLAM:
Grazie, vi ringrazio. Molto commovente che in questo particolare momento non facile io venga accolta qui con questo calore. Vi ringrazio tantissimo.
Per me è un privilegio e un onore rivolgermi a questo pubblico e a questi colleghi; sono molto grata dell’opportunità. L’argomento di oggi è molto pertinente: i valori chiave e il sistema di credenze e di religioni e la necessità che vengano compresi e rispettati è una cosa fondamentale; questo è ciò che distingue l’umanità dalle altre creature, dagli altri esseri. Nel corso dei secoli, man mano che le società si sviluppavano e diventavano sempre più intellettuali, ci sono stati sempre più sforzi per codificare comportamenti accettabili e promuovere l’accettazione reciproca e la buona coesistenza.
Le Nazioni Unite hanno sviluppato un quadro giuridico molto completo sui diritti dell’uomo, compresa la libertà di coscienza e di religione, e tutto è iniziato con la Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo. L’articolo 18 della Dichiarazione sancisce che tutti hanno il diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. Di conseguenza le Nazioni Unite hanno sviluppato un meccanismo molto sofisticato tramite varie convenzioni ed accordi. Signore e signori, come membro della comunità internazionale, il Pakistan aderisce ai meccanismi dell’ONU e alle sue norme, però, come musulmani, l’accordo di Medina è il punto di riferimento principale. Il Pakistan ha raggiunto l’indipendenza in conseguenza di una lotta pacifica e democratica sotto la guida di un nostro grande eroe che ha studiato ad Oxford e questo movimento pacifico per il Pakistan coinvolge tutte le religioni. La popolazione del Pakistan è di più di 110 milioni, più del 90% sono di fede islamica, mentre solo il 3% di non musulmani che sono prevalentemente cristiani, sick e indù.
Il principio di eguaglianza dei cittadini e la libertà di religione era stato iniziato in Pakistan dal padre della nostra nazione nel suo discorso all’assemblea costituente l’11 Agosto del ’47, quando disse: “Voi siete liberi di andare nei vostri templi, siete liberi di andare nelle moschee o in qualunque altro luogo di culto nello stato del Pakistan; potete appartenere a qualunque religione, qualunque casta o a qualunque credenza, questo non ha niente a che vedere con tutto ciò che è statale e pubblico”. Stiamo lavorando su questo principio fondamentale che prevede che siamo tutti cittadini identici e uguali di uno Stato. Penso che questo va tenuto sempre presente come un ideale, e troverete nel corso del tempo che gli indù non saranno più musulmani, non in senso religioso, che è un fatto individuale di ogni individuo, ma nel senso politico, come cittadini dello Stato. Quindi questo discorso del padre fondatore della Nazione è stato il principio guida del Pakistan, ancora valido, e molto articoli e clausole sono state incorporate nella nostra Costituzione da allora per sancire l’eguaglianza di tutti i cittadini e di tutte le religioni.
E soprattutto viene vietata qualunque discriminazione tra cittadini, nelle università e nei servizi basati sulla religione. Il Pakistan è un Paese relativamente giovane, ma il suo popolo ha una lunga storia di migliaia di anni; questo Paese è stato la culla di alcune delle più importanti civiltà del mondo conosciuto. Più di duemila anni fa, Kantara con la sua civiltà era fiorita nel Pakistan del nord con la città di Taxila, sede dell’apprendimento dell’università; da migliaia di anni altre civiltà sono fiorite nel Punjab, e in altre province dello Stato. Anche nella regione in cui è stata fondata la religione indù. Ciò che rimane di tutte queste civiltà, è tutto ben conservato e ancora si vede in Pakistan e ci sono tracce in tutto il Paese e queste civiltà hanno lasciato un imprinting nella popolazione pakistana. Il retaggio islamico del Pakistan risale a più di mille anni fa, l’Islam nell’Asia meridionale era stato divulgato dai capi spirituali Sufi, dai musulmani dell’Asia centrale, che professavano e praticavano l’universalismo e l’amore per tutta l’umanità. Moltissimi pakistani hanno sottoscritto gli insegnamenti dei grandi capi Sufi, e hanno recepito questo messaggio di amore universale. Ecco perché i Sufi sono ancora oggi rispettati senza alcuna discriminazione di genere, religione o casta. Le tombe sufi sono preziose in Pakistan e arricchiscono e nutrono i pakistani, non solo in senso figurato, ma anche in senso concreto, perché grazie alle donazioni delle persone i pakistani ricevono da mangiare. Più recentemente c’è stato un impatto negativo sulla società pakistana, perché la strategia adottata per invertire l’invasione sovietica del Pakistan portata avanti dalla comunità internazionale è alla base dell’attuale violazione nella nostra regione. L’Afghanistan è stata l’ultima frontiera e campo di battaglia del Comunismo. La guerra di resistenza anche in Afghanistan era stata lanciata proprio per resistere, sia da parte cristiana che musulmana, per resistere soprattutto ai comunisti. E la guerra non è stata solo una Jihad bensì circa trentamila musulmani giovani del Medioriente sono stati ingaggiati in Afghanistan, e oggi quando parliamo di Al-Qaeda in Afghanistan e Pakistan, fondamentalmente parliamo proprio di queste persone. Dopo il ritiro sovietico gli Stati Uniti e il resto della comunità internazionale hanno abbandonato l’Afghanistan e il Pakistan è rimasto con tre milioni di profughi, molti stranieri, che sono poi diventati dei miliziani con notevoli costi socio-economici, un enorme onere per il Pakistan, che ha avuto grosse ripercussioni sulla nostra società. In conseguenza della guerra dell’Afghanistan a noi è rimasto l’onere del terrorismo. Nessun altro Paese ha sofferto più dell’Afghanistan per la guerra, e continua a soffrire a causa del terrorismo, e nessun altro Paese è più importante per la stabilità, la pace, la moderazione e l’esistenza pacifica.
E adesso passo a parlare di dialogo interreligioso, un argomento che sta molto vicino ai cuori di noi tutti, perché noi riteniamo che nessuna religione al mondo insegni, nessuna religione monoteistica, ovviamente, incoraggi la violenza, invece tutte le religioni insegnino l’amore e l’universalismo. Ci sono intese reciproche da entrambe le parti quando si parla di Cristiani, Musulmani ed Ebrei; questo deriva dallo stesso padre, Abramo. Talvolta però vediamo che ci sono fraintendimenti tra queste religioni; questi fraintendimenti reciproci devono essere chiariti, e gli errori fatti da parte di tutti devono prima o poi essere rettificati. In generale si ritiene che i Musulmani siano estremisti, siano fondamentalisti, e che siano soprattutto intolleranti. Non è così, perché l’Islam vuol dire pace, l’Islam è una religione di pace; è vero che c’è una frangia estremista che ha distorto e stravolto il vero messaggio dell’Islam, ci sono delle persone che si dichiarano musulmani islamici e invece sono coinvolti nei crimini più orrendi, compreso quello di uccidere degli innocenti. Quelli che uccidono gli altri o uccidono se stessi e sostengono che lo fanno per l’Islam fanno un gravissimo errore e fanno male a se stessi e a tutto l’Islam. Al contempo i musulmani hanno dei fraintendimenti per quanto riguarda gli Ebrei e i Cristiani; i Musulmani pensano che nonostante siano la seconda religione più importante del mondo, con più di un miliardo e mezzo di membri, l’Islam non venga compreso, pensano questo, che ci siano concezioni sbagliate sull’Islam e sui musulmani, che derivano da mancanza di informazione e interpretazioni erronee e mancanza in generale di informazione. La violenza che vediamo tutti i giorni in molti Paesi, soprattutto nella società musulmana e anche in particolare in Pakistan, non c’entra nulla con la religione, con l’Islam o con la Jihad, è una grossa ingiustizia all’Islam descrivere questi atti di terrorismo come Jihad. Non possiamo neanche ignorare l’impatto della situazione attuale in Palestina, Iraq e altri conflitti di quella zona, che si ripercuotono sulle menti dei musulmani; gran parte degli abitanti del Pakistan condividono quella di altri musulmani, che sono i musulmani ad essere vittime di oppressioni e di occupazioni; ritengono anche che parlando della santità della loro religione, i simboli, le personalità, eccetera, si applicano due pesi e due misure. E’ molto facile offendere i musulmani, offendere la religione, offendere le personalità religiose musulmane senza dover rendere conto a nessuno e tutto ciò nel nome della libertà di espressione. Ci sono persone in tutti gli schieramenti che vorrebbero vedere uno scontro, un confronto grave tra religioni, e che attizzano il fuoco e generano malintesi. Questo diventa particolarmente inquietante quando queste visioni, queste opinioni hanno accesso ai mass media, alle tv, alle radio, ai giornali, a internet, eccetera, a prescindere che venga da Al-Qaeda o da altri gruppi estremisti. Questi predicatori dell’odio sfruttano al massimo le tecnologie dell’informazione, la rivoluzione, sfruttano la mancanza di informazione, la sfiducia reciproca, i fraintendimenti tra l’Islam e le altre religioni.
Noi consideriamo questi sviluppi come molto pericolosi, proprio per questo riteniamo che un dialogo ampio e inclusivo sia il metodo migliore per contrastare questi signori della guerra e per togliere di mezzo diffidenza e sfiducia. Attualmente ci sono molte differenze sul dialogo interreligioso o interciviltà sia all’interno dell’ONU che al di fuori. So che anche il Vaticano porta avanti il dialogo in questo senso; gran parte di queste iniziative però sono limitate alle personalità religiose, agli studiosi, molte discussioni avvengono appunto all’interno di quattro mura limitate. Questo dialogo invece va ri-orientato su tutte le persone, deve coinvolgere tutti, ed è responsabilità di tutti, ed è responsabilità di tutti i governi, istituzioni religiose e personalità religiose ampliare e rendere più pubbliche e più inclusive le loro decisioni, ciò che decidono, quello che vogliono fare; è fondamentale coinvolgere tutti i media in questo processo, perché purtroppo è diventato uno strumento che non fa che fomentare la frammentazione e la cattiva intesa. Il Pakistan ha sempre portato avanti questi sforzi di promozione del dialogo all’interno del mondo musulmano e in generale sulla scena internazionale. Noi continueremo a promuovere tutte le iniziative che sono mirate a generare più intesa, più comprensione e più coesistenza pacifica tra le varie religioni, perché le religioni servono proprio a questo.
E per concludere colgo l’opportunità per dire ancora qualcosa sugli eventi tragici che si stanno verificando in Pakistan proprio in questi giorni.
Sto parlando della catastrofe naturale più grave del Pakistan, le inondazioni, le alluvioni che hanno gravemente colpito il Pakistan, un quarto dell’intero territorio del Pakistan: un territorio grande quanto tutta l’Italia in questo momento è sommerso dalle acque. Ci sono danni enormi alle infrastrutture, migliaia di morti, migliaia di sfollati, venti milioni di sfollati. I quartieri, le case, gli ospedali, i ponti, non c’è più nulla, tutto è stato distrutto. Secondo le Nazioni Unite, queste inondazioni in Pakistan sono il più grande disastro naturale, forse più grande dello Tsunami, più grande del grave terremoto che già aveva colpito il Pakistan. Una catastrofe senza proporzioni: più di 8 milioni di persone sono in un situazione estremamente precaria e 3 milioni e mezzo, 4 milioni di bambini rischiano di morire per fame e malattie. Come membro della comunità degli uomini, come membri di questa fratellanza umana, io chiedo a voi tutti di fare quello che vi sentite di fare, di donare per aiutare gli abitanti del Pakistan in questa tremenda tragedia. Grazie.

MARIO MAURO:
Ringraziamo di cuore l’ambasciatore del Pakistan, ricordo che è la prima volta che in Pakistan c’è un ministro cristiano
La parola a M. Ndiaye.

MAMADOU NDIAYE:
Grazie signor moderatore, Ministro degli Affari Esteri dell’Italia On. Frattini, Ministro degli Affari Esteri della Nigeria, Signora Segretario di Stato fott.ssa Mularoni della Repubblica di San Marino, Eccellenze, signore e signori ambasciatori, signore e signori partecipanti, graditi ospiti.
Essendo stato trattenuto in Senegal da ragioni indipendenti dalla sua volontà, Sua Eccellenza Madické Niang, Ministro di Stato, Ministro degli Affari Esteri del Senegal che aveva voluto essere con voi con tutto se stesso, ebbene mi ha affidato il seguente messaggio proprio per voi: «Quasi tredici secoli fa, dopo la conquista di Gerusalemme, Omar ibn al-Khaṭṭāb, stabilendo un patto scritto con i cristiani della città, ebbe a dichiarare: “In nome di Dio l’onnimisericordioso, questa è la salvaguardia accordata dal servitore di Dio, Omar, comandante dei credenti agli abitanti di Gerusalemme: garantisce loro la salvaguardia della loro vita, dei loro beni, delle loro chiese, dei loro crocefissi, a prescindere dallo Stato in cui si trovano e dal loro culto in generale, le loro chiese non saranno né occupate né distrutte e non subiranno alcun danno. Lo stesso varrà per le loro proprietà, i loro crocefissi, i loro beni, nessuna violenza sarà loro inferta in materia religiosa, e non si farà torto ad alcuno di loro”. Affermando questo il secondo Califfo dell’Islam illustrava perfettamente quello che rappresenta oggi pomeriggio l’oggetto del nostro confronto, vale a dire la relazione tra la libertà religiosa e la responsabilità politica. Dopo nel diciassettesimo e diciottesimo secolo, teorici del diritto naturale come Pufendorf, Hobbes o Russeau, nella loro impresa di secolarizzazione della cosa politica, avevano concepito lo Stato come una forma di organizzazione politica in seno alla quale gli individui trasferiscono la loro potenza e i loro diritti a un sovrano, che poi deve garantire come contropartita la libertà e la sicurezza di ognuno a prescindere dalla sua fede e dalla sua religione. A questo titolo, la professione delle libertà individuali in generale, compresa la libertà religiosa che è oggetto del nostro confronto, così come la loro coabitazione, rappresentano il fulcro del buon funzionamento dello Stato. Riposizionata nel contesto della nostra modernità, questa tematica è di una stringente attualità, alimentata in questo inizio del millennio da eventi per sempre presenti nelle nostre memorie, eventi le cui vicissitudini sono ancora vissute come altrettante minacce per lo spirito, Anche se taluni pensatori contemporanei non hanno esitato a decretare la fine della storia, o non hanno esitato a parlare dello scontro di civiltà. Se oggi più che mai il Ministro di Stato insiste su questo, occorre rivisitare il senso e l’importanza della libertà religiosa nella città, si tratta soprattutto di rinnovare il nostro attaccamento alla dissociazione radicale della cosa politica e della cosa religiosa, per riaffermare la responsabilità dello Stato nella promozione e nella protezione della libertà religiosa dei cittadini. Tuttavia, sono convinto che non dobbiamo mai perdere di vista la funzione insostituibile per noi della religione, per la formazione delle coscienze, e il fatto che possa prepotentemente contribuire alla formazione di un consenso etico fondamentale nella società. E questo per riprendere le parole di un erudito. Se la responsabilità politica, consustanziale all’esercizio del potere, dipende dallo Stato, la libertà religiosa è un diritto fondamentale, garantito dalla dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino. E all’articolo 10 recita: “nessuno si deve preoccupare delle sue opinioni, anche religiose, a condizione che la loro espressione non possa alterare l’ordine pubblico stabilito dalla legge. La libertà religiosa è inscindibile dalla liberta d’espressione, che consente a coloro che hanno delle convinzioni religiose di farle conoscere, e di condividerle”. Così come questo è indicato all’articolo 11 della stessa dichiarazione: “La libera comunicazione dei pensieri e delle opinioni è un diritto, è uno dei diritti più preziosi dell’uomo. Ogni cittadino può dunque parlare, scrivere, stampare liberamente, salvo poi rispondere dell’abuso di questa libertà nei casi stabiliti dalla legge”. In genere i nostri paesi riconoscono tutti questi diritti nelle loro costituzioni, e al di là negli accordi e nelle convenzioni nazionali di cui sono firmatari. E così l’articolo 19 della Costituzione del mio Paese, il Senegal, stabilisce, cito, “che la libertà di coscienza, la professione e la libera pratica della religione con riserva dell’ordine pubblico sono garantite a tutti. Le istituzioni e le comunità religiose hanno diritto di svilupparsi senza ostacoli, sono svincolate dal controllo dello stato, regolano e amministrano i loro affari in modo autonomo”. A livello più generale vorrei anche citare la Carta Africana dei Diritti dell’Uomo e dei Popoli, e nel preambolo di questa Carta si indica chiaramente la volontà degli Stati parte di lottare “contro qualsiasi forma di discriminazione, soprattutto quelle basate sulla razza, l’etnia, il colore, il sesso, la lingua, la religione o l’opinione politica” fine della citazione. A livello di altre zone geografiche possiamo citare la Convenzione Europea di Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali del 1950, che all’articolo 9 garantisce la libertà di religione in questi termini, cito, “qualsiasi persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione, questo diritto implica la libertà di cambiare religione o convinzione, così come la libertà di esprimere la propria religione o la propria convinzione a livello individuale o collettivo, in pubblico o in privato, attraverso il culto, l’insegnamento, le pratiche e il compimento dei riti”. Quest’ultima parte del testo pone chiaramente la necessità evocata prima della garanzia politica da parte dello Stato della professione di questa libertà religiosa la cui fruizione, come quella degli altri diritti dell’uomo, partecipa all’equilibrio della società. La libertà di religione è un diritto umano e come tale deve essere tutelata, in primis dallo Stato. Questa responsabilità dello stato deve tradursi attraverso un impegno fermo dei governanti, garantendo attraverso una base giuridica adeguata e un’amministrazione efficace la fruizione della libertà religiosa. Questo ruolo dello Stato in effetti, ed è logico, così come lo ricorda l’enciclica Centesimus annus, pubblicata da Sua Santità il Papa Giovanni Paolo II nel 1991, e cito: “Lo stato ha il dovere di garantire e assicurare la difesa e la protezione dei beni collettivi, che sono l’ambito naturale e l’ambito umano”. Tuttavia, se la responsabilità politica incombe in primis a coloro che governano, è auspicabile comunque che non gli venga riservata in modo esclusivo. In effetti ogni cittadino, ciascuno al proprio livello di responsabilità nella cosa pubblica, dovrebbe erigersi a baluardo contro le violazione della libertà religiosa e come paladino della difesa di tutte le libertà umane. Dovrebbe essere così, In quanto oggigiorno, come ricordavo prima, la libertà religiosa è minacciata dal razzismo e dall’intolleranza, dalla discriminazione e dall’odio tra gli uomini, che sono altrettanti fenomeni in grado di distruggere l’equilibrio precario della pace tra le comunità locali e nazionali. E così il dialogo interreligioso riveste un carattere salvifico, come soluzione all’esclusione e alla stigmatizzazione. Costituisce uno strumento di prevenzione e di soluzione dei conflitti attraverso il rispetto dell’altro, e attraverso il riconoscimento da parte di ognuno dei valori di tutti. Consente di insegnare ai cittadini, credenti o meno, a vivere insieme in modo pacifico, costruendo un mondo multiculturale e sviluppando un sentimento di appartenenza ad uno stesso futuro. Per gestire meglio la libertà religiosa, l’informazione e la comunicazione tra le popolazioni, centro di gravità del sistema socio-economico, svolgono un ruolo fondamentale. Ma affinché questo ruolo venga compiuto con felicità è indispensabile attuare un partenariato multilaterale, che si basi sul rispetto delle differenze e che miri a creare uno spazio di cooperazione e di concertazione, unica garanzia per uno sviluppo economico sostenibile e solidale. L’ex segretario generale delle nazioni unite, Boutros Ghali, non diceva forse che il futuro, e lo cito, che “il futuro si può costruire solo nella solidarietà e nella condivisione, solo nell’apertura all’altro, solo nel dialogo fra le culture e le civiltà, al contempo preservate e riconciliate nella loro diversità, un dialogo invisibile e simbolico, oltre le frontiere, oltre gli oceani?”. Oggi la diversità delle sfide a cui l’umanità deve rispondere, e la loro grande complessità, richiedono risposte concertate, che considerino le necessità di costruire un mondo multipolare in cui gli scambi interculturali, inclusivi delle differenze religiose e della solidarietà multiforme, saranno diventate realtà accettate da tutti. Non di meno, delle decisioni politiche recenti, soprattutto in Europa, non mancano di destare certi interrogativi legittimi a questo riguardo. E così, come capire la logica di coloro che proclamando la necessità del dialogo tra gli uomini si barricano dietro a delle leggi che ledono il rispetto della dignità umana e vanno contro i principi della libertà religiosa? Come accettare l’idea che nel ventunesimo secolo il colore della pelle, l’appartenenza a un paese, il portare simboli specifici di una cultura o di una religione siano ancora fattori di esclusione? Mi sembra quindi importante dirlo e ribadirlo con forza: che da una parte e dall’altra né la violenza spesso cieca né l’odio dell’altro rappresentano una soluzione ai problemi che ho testé citato. Ma è nel dialogo e nel negoziato unicamente che possiamo smussare le nostre controversie, in mancanza di una soluzione completa, accettando comunque reciprocamente le nostre differenze. Oggigiorno, tra le sfide che interpellano la nostra coscienza di cittadini del mondo, quelle relative a un maggior rispetto delle specificità tra gli uomini devono occupare un ruolo centrale. Comunque, così come una scommessa, il dialogo interreligioso che noi chiediamo a gran voce è anche e soprattutto una grande occasione per noi, contemporanei del ventunesimo secolo, di federare le nostre energie per riunire le briciole contenute in noi, ma sparpagliate, dello stesso modello di fede e di morale. Noi siamo tutti diversi gli uni dagli altri: nessun uomo è assolutamente identico ad un altro. Nelle nostre comunità, nelle nostre credenze, nei nostri stati, ognuno coltiva questa differenza. Però noi ci accettiamo senza difficoltà in ogni categoria etnica. Allora dovrebbe essere altrimenti, quando superiamo queste categorie? Perché questa identità nella differenza non può esprimersi su una scala maggiore? Il saggio induista Ramakrishna non affermava forse giustamente: abbiate amore per tutti; nessuno è diverso da voi. La constatazione della diversità delle nostre religioni e la necessità del loro dialogo rappresentano l’alfa e l’omega dell’umanesimo di questo secolo nascente. In Senegal, l’abbiamo capito bene e il presidente, Abdoulaye Wade, diceva nella sede dell’UNESCO queste parole molto giuste: per vivere insieme, e lo cito, “per vivere insieme nella pace, cominciamo innanzitutto dall’educazione e dalla formazione dei nostri figli. Combattiamo, con la parola e l’atto, le idee aprioristiche e i concetti semplificatori tra uomini e donne di buona volontà, condannati a condividere uno stesso pianeta. Accordiamo una priorità alta alla soluzione pacifica delle controversie, se vorremo evitare di ricadere nelle trappole catastrofiche del secolo scorso”. Per illustrare questa buona volontà, io vorrei ancora una volta fare l’esempio del mio paese, il Senegal, a maggioranza musulmano, ma che è stato guidato per una ventina d’anni da un cattolico praticante, il presidente Leopold Sedar Senghor, sostenuto ad ogni elezione dai più importanti dignitari musulmani del Senegal. A Joal, il villaggio di cui è originario il poeta presidente, succede che delle sepolture musulmane e altre cristiane siano fianco a fianco, per l’eternità. E spesso, per costruire un luogo di culto, chiesa, moschea o semplice altare, tutti gli abitanti del villaggio, senza distinzione di religione, danno il loro contributo, in nome del Dio unico. Una prova non potrebbe essere più pertinente della tolleranza e dello spirito di apertura e del rispetto dell’altro e delle sue convinzioni. Questo atteggiamento del Senegal evidenzia fortemente la necessità di dialogo interpersonale, nel momento in cui l’intolleranza e l’estremismo portano dei conflitti in talune regioni del mondo. La lezione che possiamo trarre è che tutte le civiltà hanno una dignità uguale e che devono costruire la loro coesistenza sul rispetto reciproco e la fiducia reciproca. Ecco perché il Senegal, il cui capo di Stato è presidente in carica dell’Organizzazione della Conferenza Islamica, propone di organizzare a Dakar un vertice sul dialogo islamo-cristiano, e aldilà di tutte le religioni. Questo incontro può essere, potrebbe essere un’occasione, al fine di rafforzare, con una miglior comprensione delle nostre fedi, la nostra volontà di vivere insieme in pace, nel rispetto delle nostre differenze. E prima di concludere, vorrei ringraziare in nome del Ministro, ringraziare il Ministro Frattini per aver avuto oggi la possibilità di consegnarvi questo messaggio e ringraziare la Fondazione Meeting di Rimini. E per concludere, ancora, in nome delle maggior autorità del Senegal e anche nel mio, vorrei esprimere il grande desiderio che questo secolo nuovo consacri finalmente l’avvento di un mondo di rispetto reciproco, di tolleranza mutua e di comprensione tra tutti gli uomini. Grazie della vostra cortese attenzione».

MARIO MAURO:
Grazie, grazie a Ndiaye. Do la parola a Kenan Gursoy, ambasciatore della Repubblica di Turchia presso la Santa Sede. È un intervento del quale sono particolarmente grato. Ma ha chiesto l’ambasciatore Gursoy di poter ricordare nella prima parte del suo intervento l’amicizia con Monsignor Padovese, barbaramente ucciso. Credo che il racconto di questa amicizia sia segno del dialogo possibile.

KENAN GURSOY:
Signore e signori Ministri, signore e signori Ambasciatrici e Ambasciatori, cari invitati. Mi sia consentito di rendere innanzitutto omaggio al mio compianto amico Monsignor Padovese. Dietro questa amicizia che ci legava per 18 anni, amicizia fra due accademici, fra due credenti, fra due uomini di culture diverse, uniti dall’amore per Dio, dall’amore dello Stato turco, santo per noi, per le nostre due tradizioni. Credo che non sia più tempo di lacrime per la sua morte, ma anzi credo che oggi sia un’occasione per ritrovarci uniti in questa nostra amicizia per creare di nuovo rapporti buoni, contatti fra le nostre due culture, per impegnarci a fare bene, a filosofare e a compiere buone azioni. Era stato l’esempio, monsignor Padovese, di una personalità che era arrivato sul territorio turco per la sua fede, per diffondere la sua fede, ma che ha dato amore a tutto il mondo turco che lo ha ascoltato, a cui ha insegnato, in cui ha trovato ottimi amici come sono stato io. Certamente stiamo vivendo oggi un momento storico, una svolta storica per tutti noi, una svolta in cui sentiamo il bisogno di incontrarci, di aiutarci gli uni con gli altri, di conoscerci, di riconoscerci in tutti i sensi del termine. Non c’è niente da temere, ma certo abbiamo qualche difficoltà, e saremo qui proprio per affrontare queste difficoltà, per abbracciare tutte le tradizioni degli uni e degli altri. Saremo qui per la pace nel mondo. Ma come, come raggiungere questo obiettivo? Certo, le nostre sono tradizioni diverse ma, parlando di religioni e di tradizioni diverse, beh, c’è ancora una cosa, una cosa diversa all’interno di esse. Innanzitutto c’è una fedeltà all’essere trascendente, l’essere trascendente che ci dà voce, forse attraverso strade diverse ma con la stessa voce, che è quella del cuore. Attraverso la voce del cuore dobbiamo attraversare periodi, e dunque parti difficili, della nostra strada. Ogni tradizione deve trovare in seno a sé stessa innanzitutto l’amore per questa trascendenza, per andare oltre, per andare oltre il proprio egoismo individuale, ma anche nazionale e anche di gruppi comunitari. Ciascuno di noi deve imparare questo attraverso la sua tradizione, come quindi andare oltre questo egoismo, come orientarci verso un universalismo la cui trascendenza ci ordina di intervenire, e che ci ordina in quanto sistema. Ma come farlo? Come raggiungere questo obiettivo? Beh, partendo, ognuno di noi, dalle nostre tradizioni. Cerchiamo di cogliere il messaggio etico all’interno di questo, i valori, i valori inerenti e impliciti in queste tradizioni. Il valore che però sente il nostro cuore, perché il titolo di questo grande evento, di questo Meeting, contiene proprio questa parola, il cuore. Quindi dobbiamo cogliere questo messaggio attraverso il cuore. In questo modo, se ci riusciamo, se interveniamo anche attraverso la ragione e la filosofia, beh, credo che la strada da percorrere sarà più facile per tutti noi. Dobbiamo, all’interno di questo messaggio etico, cogliere la personalità, la persona etica più importante. E allora ogni tradizione, cogliendo i propri valori con la sua portata universale, deve riuscire anche a capire che tipo di persona ha voluto fondare. Beh, la personalità è l’essere più caro al mondo. Siamo qui per cogliere la nostra personalità, per costruire, per creare una sorta di architettura nella nostra personalità. Come dice la dichiarazione sulla libertà religiosa, Dignitatis Humanae, già nel suo preambolo, la dignità della persona umana è oggi oggetto di una consapevolezza sempre più viva. Sono sempre più numerosi coloro che rivendicano per l’uomo la possibilità di agire in virtù delle proprie scelte, in libertà e responsabilità, non sotto la pressione di un vincolo ma guidati dalla coscienza del proprio dovere. E come si dice altresì nella seconda parte, il Concilio Vaticano dichiara che la persona umana ha diritto alla libertà religiosa. Si tratta di far sì che tutti gli uomini siano scevri da vincoli da parte di individui o gruppi sociali, poteri umani di qualsiasi tipo, in modo che in materia di religione nessuno sia obbligato ad agire contro la propria coscienza, né impedito di agire secondo la propria coscienza, in privato come in pubblico, da solo o associato agli altri. Credo che la cosa essenziale, l’elemento essenziale di tutte le tradizioni, nei loro insegnamenti, sia presente già in queste parole. Ma cerchiamo di cogliere questa personalità per la dignità umana che dovrebbe essere patente nella personalità umana. Certamente parlare della religione può provocare malintesi, o anzi, addirittura creare pericoli, per quanto riguarda l’etica o la filosofia. Ma ammettendo questo aspetto tradizionale di qualsiasi religione, di qualsiasi tradizione, possiamo riconoscere la cosa essenziale, inerente all’interno di ogni tradizione. I nostri credenti sufi, i nostri filosofi sufi, già citati dall’ambasciatrice del Pakistan, ci hanno insegnato nell’Islam l’esperienza intima, l’esperienza intima di un credente. I sufi già coglievano e capivano nelle loro anime l’universalismo che abbracciava tutti i credo, tutte le culture. E tutto ciò era già presente nel Corano, che diceva, per esempio, nel versetto 236: dite: crediamo in Dio, a quanto ci è stato rivelato, a quanto è stato rivelato ad Abramo, ad Ismaele, ad Isacco, a Giacobbe e alle tribù, a quanto è stato dato a Mosè e a Gesù, a quanto è stato dato ai profeti da parte del loro Signore. Non abbiamo preferenze per alcuno di loro. E allora quindi, come uomo etico, come uomo portatore di valori universali, dobbiamo ripeterci sempre questo versetto coranico. Nell’essenza della spiritualità non vi sono differenze. Quindi dobbiamo cogliere, nella nostra reciprocità, l’unità, dobbiamo cogliere la differenza nella nostra identità, dobbiamo cogliere nella nostra identità, nel nostro noi stessi, l’identità degli altri. Ciò è possibile soltanto se riusciamo a capire la nostra personalità nella nostra dignità di esseri umani. Ciò è possibile se arriviamo fino allo specchio degli altri, soltanto cogliendo negli altri visi la nostra personalità. Grazie, grazie per avermi invitato a questo evento straordinario.

MARIO MAURO:
Grazie, grazie all’amico Gursoy. La parola al Ministro degli Esteri della Repubblica di Nigeria, Salamatu Hussaini Suleiman.

SALAMATU HUSSAINI SULEIMAN:
Organizzatori di questo grande Meeting, Onorevole Ministro degli Esteri della Repubblica Italiana, sua eccellenza Franco Frattini, eccellenze ambasciatori del Pakistan, del Senegal e della Turchia, distinti signore e signori.
Vorrei innanzitutto incominciare esprimendo il mio profondo apprezzamento agli organizzatori di questo Meeting per aver invitato la Nigeria a partecipare a questo incontro e per la calda accoglienza riservata a me e alla mia delegazione dal governo italiano da quando siamo arrivati in Italia.
Vorrei cogliere l’opportunità per trasmettere i saluti personali del presidente, sua eccellenza dott. Goodluck, e anche del governo e del popolo nigeriano a sua eccellenza Franco Frattini, Ministro degli Esteri italiano e anche al Presidente del Consiglio Italiano.
Distinti ospiti è veramente una cosa che riempie il cuore notare che nel corso degli anni il Meeting di Rimini è diventato un punto d’incontro per discutere problematiche importanti a livello politico cui si trova di fronte il mondo, cercando anche le relative soluzioni.
Negli ultimi trent’anni, questo Meeting, è riuscito, con successo, a mettere insieme leader religiosi e politici di tutto il mondo e anche importantissimi scrittori e filosofi che hanno esaminato varie problematiche, per esempio la pace e i diritti umani, le risorse dell’uomo, la libertà e la tolleranza religiosa.
E, di fatto, anche il tema che stiamo affrontando, quello della libertà religiosa e della responsabilità politica è molto interessante ed è un grande piacere, per me, condividere alcuni pensieri sulla coesistenza pacifica in Nigeria, malgrado divergenze notevoli e i conflitti intra e inter-religiosi occasionali.
Avrò anche, in questo contesto, la possibilità di parlare con voi degli sforzi dell’attuale amministrazione nigeriana, per promuovere un’armonia religiosa tra le diverse etnie e anche gli sforzi per promuovere la pace mondiale e lo sviluppo.
La libertà religiosa viene riferita, viene identificata come principio che sostiene la libertà da parte di un individuo, una comunità, in pubblico ed in privato, di praticare una religione particolare, un credo particolare o un culto particolare. Include anche la possibilità, la libertà di cambiare la religione oppure di non seguire nessuna religione.
Molti paesi, tra cui la Nigeria, considerano la libertà religiosa come diritto umano fondamentale. Il Concilio Vaticano a Roma, per esempio, ha postulato e riconosciuto questo fatto. Le Nazioni Unite, il Consiglio per i Diritti dell’Uomo, nel marzo 2009, ha approvato una risoluzione contro la diffamazione della religione e ha considerato quest’ultima come violazione dei diritti umani.
Quindi, distinti signore e signori, la costituzione della Repubblica Federale di Nigeria garantisce la libertà religiosa a tutti i cittadini della Nigeria. In particolare l’articolo 38 della nostra Costituzione dice che “ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, inclusa la libertà di cambiare il proprio credo religioso e la libertà, a livello individuale o di comunità in pubblico o in privato, di manifestare la propria religione, il proprio credo o il proprio culto in ogni modo”. In oltre il diritto delle comunità religiose di educare i propri figli è tutelato dalla nostra Costituzione che dice “che a nessuna comunità religiosa o denominazione religiosa sarà impedito di dare istruzione religiosa ai bambini di quella comunità o fede”.
La Nigeria ha una popolazione di 150 milioni di abitanti circa, più o meno la metà di questi abitanti sono musulmani e gli altri sono cristiani. È importante notare che abbiamo anche delle religioni nazionali che hanno preceduto sia il cristianesimo che l’islam, erano religioni africane tradizionali, tra cui, per esempio, l’adorazione di certi dei tra cui Ogun il dio del ferro, Sango il dio del tuono, eccetera; malgrado questa enfasi sulla spiritualità la religione ha avuto delle ripercussioni socio-politiche importanti in Nigeria. La religione, sempre, ha svolto un ruolo importante nella politica nigeriana. Il governo nigeriano è riuscito a limitare le violenze religiose attraverso delle soluzioni di accoglienza che danno un equa rappresentatività a tutti i gruppi maggioritari del paese, cristiani e musulmani, in tutte le istituzioni del governo.
Sicuramente saprete, sarete a conoscenza di alcune delle sfortunate crisi etno-religiose che la Nigeria recentemente ha visto in tempi recenti. Avrete anche notato la forte determinazione del nostra governo ad affrontare queste problematiche.
Il governo Federale della Nigeria ha costituito un Consiglio inter-religioso che prende il nome di Consiglio inter-religioso nigeriano, Nirec, che è stato costituito nell’anno 2000.
L’obiettivo primario di questo Consiglio è quello di creare una piattaforma per un dialogo, di alto livello, tra i cristiani e i musulmani nel paese della Nigeria. Il Consiglio organizza conferenze per promuovere una migliore comprensione dei reciproci credi religiosi, per apprezzarsi reciprocamente, per garantire il rispetto reciproco di queste confessioni.
Il Consiglio ha un uguale numero di membri di entrambe le religioni ed è presieduto, in maniera congiunta, da due importanti nigeriani: il Presidente del Consiglio Supremo degli Affari Nigeriani e il Presidente dell’Associazione Cristiana della Nigeria.
Dati i risultati ottenuti dal Consiglio inter-religioso a livello federale, il governo sta lavorando attivamente alla possibilità di istituire agenzie simili a livello di governo statale e locale per incoraggiare il dialogo inter-religioso e costituire delle piattaforme affinché i gruppi religiosi possano impegnarsi gli uni con gli altri per risolvere delle problematiche comuni.
Vorrei anche dirvi che, appunto, l’Agenzia è andata anche oltre a questo, oltre al promuovere il dialogo e l’armonia religiosa e si è imbarcata in attività di collaborazione, per esempio attività sociali e sanitarie mirate a combattere malattia come l’Hiv, Aids, la malaria e la polio, tanto per menzionarne alcune.
Il governo della Nigeria vede questa organizzazione, questo Consiglio, il Nirec, come elemento catalizzatore per ottenere i propri obiettivi.
Comunque, signore e signori, malgrado gli sforzi del governo per promuovere l’armonia religiosa nel Paese, alcuni elementi marginali spesso traggono vantaggio dalla religione per sviluppare un proprio personale programma. Attraverso le loro attività hanno continuato provocare una mancanza di armonia e a mettere, gli uni contro gli altri, gli individui di diverse confessioni religiose.
Il governo è pienamente consapevole della esistenza di questi elementi marginali, il cui obiettivo ultimo è quello di arrivare al potere e perseguire delle proprie ambizioni politiche e quindi la legge mira appunto a garantire una certa sicurezza nei confronti di questi elementi marginali.
Un’area di crisi consistente, come forse saprete, è il Jos, dove una Commissione Giudiziaria di inchiesta, composta di imminenti nigeriani, è stata costituita per individuare proprio le cause di questa crisi più immediate e anche più remote.
Recentemente è stata pubblicato un rapporto, da parte di questa Commissione, con raccomandazioni che il Presidente si è impegnato a mettere in pratica alla lettera.
I nigeriani sono sempre più consapevoli del fatto che sia cristiani che musulmani, quindi le fedi predominanti in Nigeria, devono unirsi in un dialogo costante per avere una pace durevole e una stabilità durevole.
In conclusione, Signore e Signori, Eccellenze, vorrei di nuovo sostenere la determinazione della Nigeria per continuare a garantire la libertà religiosa a tutti i propri cittadini, così come sancito nella propria Costituzione.
Il governo federale ha creato un ambiente di pace. Un ambiente stabile dove, appunto, possono anche essere perseguite attività economiche e dove gli stranieri possono pure lavorare e perseguire i propri sogni.
Mi congratulo con gli organizzatori del Meeting, col governo italiano per questa iniziativa encomiabile di promuovere la libertà religiosa e la tolleranza.
È bellissimo vedere qui tanti volontari, tanti giovani, che sono veramente impegnati verso questo obiettivo. Questo Meeting è una vera e propria indicazione dell’importanza che il mondo attribuisce all’armonia religiosa come mezzo per raggiungere la pace in tutto il mondo, per promuovere le leggi e sostenere l’ordine mondiale.
Grazie a tutti per la loro attenzione.

MARIO MAURO:
Grazie. Nel ringraziare il ministro nigeriano, e nell’affidare al Ministro Frattini le riflessioni conclusive del nostro incontro, non posso non sottolineare che, nonostante gli spunti che i nostri ospiti ci hanno fornito, spunti assolutamente positivi, che sembrano quasi dischiudere un orizzonte roseo per quello che è il futuro del dialogo, la situazione rimane largamente compromessa.
Ad oggi, i Frozen conflicts, cioè tutti i conflitti congelati, o comunque quasi tutti i conflitti che ci sono a questo mondo, sono in qualche modo legati alla religione.
Parimenti, se c’è una contraddizione che il mondo occidentale, che pure proclama e vive di principi di democrazia, vive, è quello del rapporto con un flusso migratorio senza precedenti che crea problemi di convivenza civile, che rimangono un monito severissimo per quello che è il nostro futuro.
Nello stesso tempo, se da un lato si profila come un rischio, appunto, il fondamentalismo, usare il nome di Dio come pretesto per un progetto di potere, dall’altro fa forse ancora più impressione il relativismo delle Istituzioni internazionali e delle Istituzioni occidentali che, spesso, considerano avere un riferimento di verità quasi alla stregua di rappresentare un pericolo per la convivenza di tutti.
E allora, il fatto che il Governo italiano, abbia preso l’iniziativa, si sia messo in prima fila nel dire il tema della libertà religiosa, che non è appena, ripeto, il tema di questa o di quella categoria di persone, ma è il tema che fonda la possibile convivenza, che cosa significa? Quale speranza rappresenta? Considerando per l’appunto, che le parole che più volte abbiamo ricordato in questo Meeting del filosofo polacco Tischner, “Dio nasce il potere trema”, risultano spiazzanti per il modo in cui, oggi, la politica sembra prendere in considerazione il rapporto con la religione.
La parola al Ministro Frattini.

FRANCO FRATTINI:
Grazie. Bene. Direi, in primo luogo, sono davvero felice di essere ancora qui con gli amici del Meeting, ed è chiaro che delle parole che abbiamo ascoltato, io sono molto grato ai Rappresentanti dei governi che hanno parlato, al caro amico Mario Muro che ha introdotto e che poi mi ha consegnato queste riflessioni conclusive.
Evidentemente tutto questo ci porta a dire che aver parlato oggi e parlare oggi di libertà religiosa tocca una delle questioni di fondo della responsabilità della politica e chi, come me, ha una responsabilità politica e di governo, si sente chiamato a questo in modo molto forte, molto diretto. Devo dire che il titolo che gli organizzatori del Meeting hanno dato a questa riflessioni di questo pomeriggio, il collegamento tra libertà religiosa e responsabilità della politica, è qualcosa che impone una prima riflessione: qual è, oggi, la responsabilità della politica o dei politici, quale dovrebbe essere? Diciamo così anzitutto. Io credo che essa debba essere, promuovere, difendere, diffondere valori e principi. E questi valori toccano la sfera della morale che è un elemento della responsabilità, ma certamente se noi parliamo di quali debbano essere i principi e i valori da promuovere, difendere e diffondere, io direi che la libertà, le libertà, tutte le libertà sono il cuore della responsabilità della politica. La politica deve difenderle, deve cercare di espanderle, deve comunque garantirle.
Ed ecco allora la libertà di religione. La libertà di religione non è solamente una delle libertà. Io mi sento di dire che la libertà religiosa è, davvero come dire, il cuore della convivenza civile, perché essa è il diritto, il cuore della convivenza civile, perché essa è al tempo stesso un diritto fondamentale della persona, della singola persona, ma è anche garanzia dei valori fondanti di una società.
Questa è l’importanza della libertà religiosa che, spesso, spieghiamo poco e confondiamo con un approccio confessionale alla vita pubblica. E io dico, ancora, perché è tanto importante ricordare, sottolineare, difendere le nostre radici, la nostra identità i nostri valori religiosi? Perché è tanto importante farlo, oggi, in un mondo sempre più globalizzato, in un mondo complicato con delle sfide che sono sempre diverse che variano di momento in momento? Ecco, perché, ed è un’altra domanda che pongo a me stesso e a tutti noi, perché è tanto importante richiamare questi principi, e quindi la nostra identità, cultura e religione, in un momento in cui, come Mario ha detto, in molte regioni del mondo vi sono conflitti talvolta congelati, talvolta, purtroppo, attivi, in cui lo scontro è, o è anche, per motivi di religione?
Perché allora è tanto importante? Vedete, voi, certamente tutti ricorderete le parole del Santo Padre, quando il Santo Padre ci dice che non c’è religione senza libertà e allora vedete noi troviamo la risposta a queste domande. Perché soltanto una grande consapevolezza e una grande forza sui nostri valori e sulla nostra identità ci permetterà di parlare al cuore di coloro che hanno altre identità e altre religioni. Se noi cediamo sulla nostra, come facciamo a parlare agli altri? Ecco la ragione profonda, vedete se cominciamo a cedere, se cominciamo a rinunciare ai principi che non sono negoziabili, e non devono essere negoziabili, beh se facciamo tutto questo come facciamo a contribuire, a rendere più forti noi stessi e le istituzioni in cui operiamo? Vedete quanta forza in più ci vorrebbe da questo punto di vista identitario di questa nostra Europa, che appare sempre più spesso debole, incapace di essere forte nel mondo, incapace di avere un’anima che le permetta di avere nel mondo il ruolo che le spetta. È questo il punto da cui noi dobbiamo partire.
Pensate alle grandi libertà: le grandi libertà della persona, le libertà fondamentali sono la pietra miliare su cui è nato il progetto europeo. Quando De Gasperi, quando Schuman, Adenauer fondarono, in questo grande progetto, l’Europa che noi oggi abbiamo costruito tutti insieme, loro partirono da una base indissolubile: i diritti fondamentali e le libertà delle persone. E la costruzione dell’Europa è avvenuta proprio su questo!
Vedete, come possiamo, allora se questo è vero com’è vero, come possiamo costruire un Europa più forte o rilanciare il progetto europeo, dimenticando che un pezzo di questa pietra miliare deriva dalle radici delle identità che hanno fatto grande il Cristianesimo in Europa. Ed è proprio questo, vedete, ed è proprio questo, è proprio questo che ci dà la forza, come quelle bellissime parole del Corano che ci sono state lette, di garantire e difendere la libertà di tutte le altre religioni. Non dimenticare la nostra storia, le nostre radici, la nostra identità.
Vedete, parliamo tanto della crisi, dell’uscita dell’Europa e del mondo dalla crisi. Io credo che si debba dire, con forza, non è soltanto con l’aumento del PIL, non è soltanto con lo sviluppo economico che rilanceremo il progetto europeo. È dando a quest’Europa, che amiamo, un anima creando un nuovo umanesimo in Europa, perché altrimenti affrontare in mare aperto una navigazione sarà difficile, perché troveremo sulla nostra strada di europei paesi e popoli che sono orgogliosamente forti della loro storia, della loro identità e noi vogliamo rilanciare l’Europa dimenticando persino la nostra storia. Questo vorrebbe dire volere un Europa più debole. Io da europeista convinto voglio un Europa più forte, quindi con un anima, tanto forte che ci permetta di essere protagonisti nel mondo.
Chiediamoci, lo diciamo con grande chiarezza, chiediamoci, – ringrazio Mario per aver ricordato l’iniziativa del Governo italiano di porre al Consiglio Europeo una risoluzione sulla libertà religiosa, di tutte le religioni – chiediamoci come mai fino al novembre del 2009 il Consiglio Europeo non aveva mai adottato una risoluzione organica per dire che l’Europa difende, promuove e garantisce la libertà religiosa al suo interno e fuori da sui confini? Questa è una domanda che può riempirci di stupore. Ma com’è possibile che non si fosse mai fatto? Non si era mai fatto. Non c’era mai stato. Ebbene abbiamo preso questa bandiera, come Italia, la manterremo, ma certamente è fondamentale, ora, che tutta Europa prenda progressivamente coscienza di quanto sia importante la possibilità di professare la propria fede nel quadro delle grandi libertà.
Vedete, lo sentiamo spesso, i laicisti, quelli che proclamano l’assolutezza del laicismo usano un argomento molto spesso, quello di come sia stata una grande conquista della storia la laicità dello stato. E in nome di questo argomento tentano, senza riuscirci, di convincerci che vi è una contraddizione tra il fatto che lo stato sia laico e al tempo stesso sia garante, promotore e propulsore di questo diritto fondamentale che è il diritto e la libertà di religione.
Grande equivoco, grande confusione che abbiamo il dovere, direi, di smascherare. Proprio perché lo stato è laico, esso ha il diritto e soprattutto il dovere verso i propri cittadini che la libertà di ciascuno, e quindi la libertà religiosa, sia mantenuta, sia rispettata, sia fatta valere. E, insomma, non occorre andare tanto lontano. Ricordiamoci il “date a Cesare quel che è di Cesare, date a Dio quel che è di Dio”, questo è un principio in cui i cristiani cattolici credono ma è il pilastro che spiega come i laicisti hanno torto e come proprio nella storia dei Vangeli noi troviamo la distinzione tra lo stato laico, che rispettiamo e garantiamo e il diritto del credente, che egualmente dobbiamo rispettare e garantire. Questa è la spiegazione il cui l’argomento è stato usato, ve lo ricorderete, per dire: ma come facciamo in Europa, culto e frutto del laicismo e dello stato autonomo e laico dalla religione, come facciamo a riconoscere le radici cristiane? Come se questo fosse un elemento di indebolimento della laicità dello stato. Non lo fosse stato, forse l’Europa sarebbe stata più ricca, forse l’Europa in quel trattato sarebbe stata più forte.
Ma vedete, è proprio qui che, arrivando all’Europa, noi troviamo l’equivoco. L’equivoco lo troviamo incarnato in quella sentenza della Corte di Strasburgo che è stata ricordata dal Ministro Mularoni, Ministro degli Esteri di San Marino, che lei e altri ministri degli esteri di altri paesi hanno voluto, con noi, appellare per chiederne il cambiamento. Perché, vedete, in quella sentenza noi troviamo la radice profonda di quell’equivoco che ho appena indicato. Quella sentenza pretende che un principio dell’Europa sia quello per cui all’interno di ciascun stato, con una regola dettata da una corte di Strasburgo, io proibisca i simboli su cui la religione, la identità, la storia dei Paesi Europei si è formata.
Ecco la ragione per la quale noi abbiamo impugnato quella sentenza. E lo spiego con una parola, noi non pensiamo che libertà di religione significhi soltanto professare il credo nel privato. Non voglio dire nelle catacombe. Io credo che voglia dire professare il proprio credo anche in pubblico, anche con l’esposizione del Crocifisso nelle scuole, nelle classi scolastiche, perché questo non è un segno, non è un segno di divisione, non è un segno di contrasto, è un segno di amore, è un segno di riconciliazione e lo dico con grande chiarezza: abbiamo fatto grandi sforzi, abbiamo ottenuto grande consenso. 10 Paesi oltre all’Italia si sono uniti a noi. Non era mai successo nelle procedure dinnanzi alla Corte di Strasburgo, Paesi con una prevalenza di cittadini di religione cristiana cattolica ma anche la grande Federazione Russa cristiana ortodossa si sono uniti a noi. Vedete è il principio che conta.
Se oggi noi cediamo su questo principio, noi ammettiamo implicitamente che i simbolo di una religione, in questo caso la nostra, possa essere simbolo di divisione, offensivo per gli altri. Questa sarebbe la caduta, il crollo del diritto fondamentale di ogni credente, di qualsiasi religione esso sia.
Ed allora è chiaro, e l’altro punto chiave è che noi in nome della libertà di religione non possiamo, e questo è stato detto con assoluta chiarezza dai relatori che mi hanno preceduto, commettere violenza su un altro uomo.
Io lo dico in termini forse un po’ brutali, ma questi termini, la situazione che il mondo attraversa, li merita. Io voglio dire che chi uccide in nome dell’Islam offende profondamente l’Islam e tutti i musulmani, non offende soltanto coloro che sono vittime degli attentati; coloro che in Somalia, i terroristi somali che hanno fatto una strage negli scorsi giorni e che poi hanno rivendicato in nome dell’Islam questa strage, dichiarando guerra all’Occidente, a noi cristiani, queste persone credo abbiano offeso profondamente una religione che non è la mia, ma che io rispetto perché è una religione che si interpreta nella pace e nella tolleranza, come l’Ambasciatore di Turchia ci ha appena finito di dire. Vedete, dobbiamo essere chiari in questo e dobbiamo chiamare in questo ad un grande appello tutti i credenti di tutte le religioni, affinché, dinanzi ad un attentato di un terrorista che dice vi uccido in nome dell’Islam, vi sia una ribellione dei credenti islamici che dicano questo non ha ucciso in nome dell’Islam. Questa ribellione morale, questa ribellione morale profonda può essere il frutto di questo dialogo tra le religioni e le civiltà. Un altro esempio: vi sono coloro, ancora, che in alcuni paesi del mondo commettono violenze gravi, gravissime nei confronti di giovani donne e di bambine. Questo fenomeno di mutilazioni genitali femminili è operato in nome di una tradizione, di una tradizione cultural-religiosa; ebbene, il Governo Italiano ha preso l’iniziativa di presentare quest’anno all’Assemblea Generale dell’ONU una proposta di risoluzione per mettere al bando le mutilazioni genitali femminili. E abbiamo trovato a sponsorizzare con noi questa risoluzione, politicamente importantissima, proprio i principali Paesi Africani, e qui c’è il Senegal e la Nigeria che la sottoscrivono con noi, e li ringrazio, o l’Egitto e tanti altri Paesi che proprio con questo vogliono marcare il principio che vi sono diritti non negoziabili: il diritto alla vita, il diritto all’integrità e alla dignità di ogni persona umana. In nome di nessuna religione nessuno potrà offenderli o attentare a questi diritti. Ed allora, ancora una parola verso la conclusione di queste mie riflessioni, sullo scenario europeo. Ho già detto sulla risoluzione sulla libertà religiosa ma noi vogliamo fare qualcosa di più. Vogliamo portare non solo al Consiglio Europeo ma, ancora una volta, alla Assemblea Generale dell’ONU questo grande tema. L’Italia presenterà un’altra risoluzione, la presenteremo alla sessione della Assemblea Generale che si apre questo mese. Sarà una proposta di risoluzione per la libertà religiosa, per la libertà di tutte le religioni, per impedire che nel mondo vi siano persecuzioni di persone credenti a causa della loro religione. E io credo che se questa risoluzione all’Assemblea Generale verrà approvata, tutta la comunità internazionale farà, su questo, uno straordinario passo avanti.
Perché l’Italia? Perché il governo italiano ha posto questo tema, quello dei diritti fondamentali come una delle priorità che il Presidente del Consiglio ed io perseguiamo nella politica internazionale. Allora ci è sembrato giusto, dopo esserci rivolti all’Europa con successo, di parlare all’Assemblea dell’ONU e questo tema credo aprirà un dibattito e abbiamo già capito che i Paesi che ci sono oggi, qui presenti e che abbiamo invitato, sono Paesi che vogliono, come noi, che la libertà di tutte le religioni sia profondamente garantita.
Vedete, promuovere la libertà religiosa, promuovere il dialogo tra le religioni, tra le religioni e le culture, è un mezzo per promuovere la pace, è un mezzo per promuovere la stabilità internazionale, è un mezzo per lavorare sullo sviluppo sostenibile perché, come detto, questa libertà è il cuore della convivenza civile, il cuore che fa capire come chi si parla deve essere anzitutto disponibile ad ascoltare e a parlare con onestà sincerità.
Questo, in fondo, è uno degli strumenti della diplomazia preventiva che l’Italia persegue in tutto il mondo e noi lavoriamo per questo. Noi lavoriamo nel mondo affinché questo accada, affinché nella nostra Europa, l’Europa dei diritti, tutte le religioni abbiano il pieno diritto e la libertà di essere professate anche nei luoghi di culto dove si professano queste religioni. Però l’Italia lavora anche, affinché, con l’Europa, nel mondo non vi sia più qualcuno che proibisce e punisce se si costruisce una chiesa cristiana, anche questo vogliamo. Noi riteniamo che questo principio di reciprocità aperta noi dobbiamo accogliere e dobbiamo e vogliamo farlo. Sinceramente non possiamo accettare che per dire una Messa in qualche paese lo si debba fare nel sottoscala di un’Ambasciata, come accade. Questo non può accadere.
Noi abbiamo, abbiamo visto, e in conclusione ricordo, casi orribili, in cui ancora nel mondo si muore perché si è credenti. È chiaro che io guardo ai credenti cristiani con particolare preoccupazione, ma guardiamo a tutti i credenti. I credenti cristiani sono caduti, trucidati in molti paesi del mondo. In Afghanistan, l’orribile morte di medici cristiani uccisi perché cristiani, gente che salvava la vita alla gente. Uccisi perché cristiani dai terroristi, dai talebani; morti di cristiani in Iraq, in Pakistan, in Paesi africani. Con tutti questi Paesi noi lavoriamo e troviamo collaborazione, troviamo sostegno.
Il governo del Pakistan ha accettato il mio invito al Ministro per gli Affari delle Minoranze Religiose, è stato detto da Mario Mauro. E’ un Ministro cristiano il Ministro Batti, che verrà qui a Roma, verrà in Italia a Roma il 13 settembre e parleremo di come ancora meglio rafforzare la collaborazione tra l’Italia e il Pakistan. Il Ministro Batti già è intervenuto quando le orribili stragi di cristiani sono state perpetrate da estremisti, da estremisti in alcune province di questo Paese a cui oggi noi ci sentiamo particolarmente vicini per la tragedia umana che sta soffrendo dopo le inondazioni.
Concludo riprendendo la splendida frase di questo Meeting, questo Meeting che quest’anno è guidato dalla frase Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore. Beh, io credo che parlando di libertà religiosa noi possiamo contribuire a rendere viva e vera proprio quella frase, perché alla base di una politica delle libertà, di tutte le libertà, e quindi certamente della libertà religiosa, occorre, come dire, poter promettere, poter desiderare, poter promuovere delle cose grandi. Per fare tutto questo, io credo, che ci voglia uno spirito, ci voglia un afflato particolare che questo Meeting, come ogni anno, ci consente di esprimere anche pubblicamente.
Questo afflato tutto particolare, che ci permette di parlare di libertà di religione, è un afflato che viene dal cuore, non solo dalle responsabilità e dai doveri istituzionali. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

26 Agosto 2010

Ora

17:00

Edizione

2010

Luogo

Auditorium B7
Categoria
Incontri