CERTEZZA E SICUREZZA ALIMENTARE: LA SFIDA DEL NUOVO MILLENNIO

Partecipano: Luigi Campiglio, Pro-Rettore e Docente di Politica Economica all’Università Cattolica Sacro Cuore di Milano; Ana Lydia Sawaya, Senior Director CREN (San Paolo, Brasile); Luca Zaia, Ministro delle Politiche agricole alimentari e forestali. Introduce Marco Lucchini, Direttore Fondazione Banco Alimentare Onlus. In occasione dell’incontro intervento di saluto di Stefano Berni, Direttore Generale del Consorzio per la Tutela del Grana Padano.

 

MARCO LUCCHINI:
Buongiorno a tutti, ben arrivati, scusate l’attimo di ritardo, ma così iniziamo subito questo momento di incontro così importante, perché il tema della certezza di avere qualcosa per poter mangiare, il tema della sicurezza, cioè di avere qualcosa per poter mangiare che sia sicuro, che faccia del bene alla nostra persona e che non faccia dei guai alla salute, credo che sia un tema fondamentale. A volte nei nostri paesi più occidentali abbiamo dato per scontato questo prezioso dono. È un dono fondamentale per la vita. In Italia, negli ultimi due anni, per la crisi economica e finanziaria che c’è stata, qualcuno, e purtroppo, direi, sempre di più, si sta accorgendo di nuovo di questo valore. Noi vorremmo accorgercene nella normalità, non solo quando c’è un momento di crisi. Allora gli intervanti ci aiuteranno a riportare al centro l’attenzione e anche quindi una educazione familiare, scolastica, perché questo bene diventi sempre di più un modo di portare avanti una tradizione, una storia, ma anche di preoccuparsi del futuro. Io passo subito la parola per un breve saluto al dottor Berni, Presidente del Consorzio di tutele del Grana Padano, che sostiene da anni anche il Meeting ma che è anche all’attenzione per un prodotto così importante – è il formaggio più venduto nel mondo – e quindi direi che è importante sentire anche questo suo saluto. Prego dottor Berni.

STEFANO BERNI:
Sì, innanzitutto grazie come sempre al Meeting, a Lucchini e al Ministro, oltre che agli altri interlocutori. Io colgo questa occasione di brevissimo saluto, innanzitutto per dar soddisfazione di una presenza che si ripete con grande soddisfazione, che è quella del Grana Padano, qui al Meeting, ma perché proprio qui al Meeting lunedì è stato aperto un importante dibattito proprio sulla sicurezza alimentare, sulla qualità, e oggi ne vede un elemento di sviluppo, che dovrà continuare e dovrà dare delle risposte. Ovviamente io rappresentando un prodotto D.O.P., anzi, il prodotto D.O.P. più consumato sia in Italia che nel mondo, ovviamente questo spunto attraverso questo saluto lo dico con la visione della D.O.P. Si parla di sicurezza, si parlerà di sicurezza alimentare e la D.O.P. è sicuramente un di più di sicurezza alimentare, proprio perché associa ai controlli usuali di tutti i prodotti alimentari, i controlli aggiuntivi di una D.O.P., che sono impegnativi, sono frequenti e sono numerosi. Basti l’esempio nostro del Grana Padano, dove si parla di migliaia di analisi biochimiche tutti gli anni sul prodotto raccolto presso la distribuzione, per garantire sicurezza, salubrità e autenticità, perché al discorso della sicurezza alimentare è da aggiungere quello dell’autenticità. Tanti, fuori dall’Italia, usano i nostri marchi per spacciare prodotti diversi che, non essendo i nostri prodotti, non hanno né la qualità, né la sicurezza e la salubrità che è insita nei nostri prodotti. Noi per esempio nel Grano Padano inseriamo un tracciante naturale biologico, che è un lactobacillo, proprio per garantire l’autenticità del Grana Padano in Italia e nel mondo. Questi sono requisiti aggiuntivi di una D.O.P. La salubrità, la sicurezza alimentare, la qualità, sono aggiuntivi, però hanno dei costi. Hanno dei costi che però vanno riconosciuti alla materia prima, all’agricoltore, nel nostro caso al produttore di latte. In Italia la sicurezza alimentare, riconosciuta superiore che in qualsiasi altra parte d’Europa, deriva anche dalla cura che le nostre aziende, le nostre stalle hanno nel produrre il latte. Ma questa cura costa. Infatti, in Italia la produzione del latte è più costosa che in qualsiasi altra parte d’Europa, e quindi questo di più va garantito anche con un prezzo aggiuntivo, perciò l’ultimo spunto, e ringrazio dell’attenzione, è questo: noi dobbiamo produrre un di più di qualità, di salubrità, di sicurezza alimentare. Non possiamo essere schiacciati dalle commodities indistinte, che possono essere fatte con prodotti generici a basso prezzo, in altri paesi europei ed extraeuropei. Poi si va sul banco vendita, il consumatore guarda, valuta, si informa. Grazie ministro per l’ultima decisione che hai preso di informare il consumatore, perché questa voglia di tenerlo disinformato, come anche qualcuno sta dicendo, contro la decisione che tu hai, invece, a mio avviso molto positivamente, recentemente assunto, è perché si vuol navigare nella confusione del consumatore. Il consumatore deve avere la possibilità di informarsi, di leggere, di capire, di scegliere consapevolmente, in base alle informazioni, in base al prezzo e in base alle sue scelte: il giudizio alla fine deve essere del consumatore. Però al consumatore bisogna dare informazioni, sicurezza alimentare, qualità e salubrità. Questo è lo stimolo e lo spunto del saluto, e sono certo che durante questo convegno verrà dato un ampio riscontro a questi spunti che mi sono permesso di dare. Grazie ancora, buona continuazione.

MARCO LUCCHINI:
Grazie dottor Berni. Credo che ora l’intervento della professoressa Sawaya sia più che mai interessante, perché, proprio dialogando con lei, in questi giorni – poi ho avuto la fortuna anche di poterla incontrare dove opera quotidianamente, cioè in Brasile, anche se è di fama oramai internazionale la sua competenza, è chiamata in tutto il mondo a collaborare con aziende e università (ricordo che è fisiologista e esperta internazionale di denutrizione, docente all’università di San Paolo) – ho scoperto molte cose, che ritengo che siano d’aiuto anche quando poi si leggerà un’etichetta, che è fondamentale, ma bisogna prima conoscere e sapere cos’è questa sicurezza alimentare, che beneficio porta alla persona singola e alla comunità. Prego.

ANA LYDIA SAWAYA:
Buongiorno a tutti. Grazie dell’invito del Meeting, grazie dell’invito a partecipare a questa tavola. Io cercherò di parlare l’italiano.

MARCO LUCCHINI:
Parla benissimo!

ANA LYDIA SAWAYA:
Possiamo cominciare. L’alimentazione è l’attività più importante per la sopravvivenza dell’uomo. Per questo motivo il nostro corpo controlla perfettamente tutto il processo nutritivo, dai modelli alimentari all’uso dei nutrienti e dell’energia. Vediamo tre maiali fratelli cresciuti con tre tipi di diete differenti.

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Inoltre l’alimentazione umana, diversamente da quella animale, dipende ed è modificata dall’esperienza, ovvero dal contesto sociale e dalla differenza di classi, dal bisogno di significati e felicità, ed anche dalla dimensione spirituale. Ossia: l’essere umano si adatta all’ambiente e all’alimentazione delle diverse culture, come l’interscambio, che si è avuto in America, del cibo portoghese e quello africano in Brasile. La venuta degli schiavi africani, per esempio in America, ha portato sia benefici, come nuove ricette, sia problemi di salute, dato che i discendenti delle popolazioni africane hanno una maggiore suscettibilità all’obesità e al diabete. Nelle società complesse, le relazioni tra l’alimentazione e l’ambiente includono lo sviluppo di pratiche alimentari che migliorano la digestione e l’assorbimento dei nutrienti, e anche metodi di preparazione che migliorano la disponibilità dei nutrienti e prevengono l’ingestione di tossine. Un esempio è fornito dal trattamento del mais con sostanze alcaline prima del consumo. Questo procedimento, utilizzato nelle tradizioni dagli indiani dell’America latina, aumenta la biodisponibilità di niacina e previene la pellagra. Un altro esempio è il trattamento massiccio della manioca, componente base dell’alimentazione in Africa e in Brasile, atta a diminuire la presenza di tossine come l’acido cianidrico. Oppure ancora i lunghi tempi di cottura dei fagioli impiegati in America latina per migliorarne la digeribilità. Questi sono esempi di come le popolazioni si siano adattate col tempo all’uso degli alimenti disponibili nei loro ambienti specifici. Ma ci sono diete particolari, come quelle della dieta mediterranea, che portano benefici sorprendenti all’alimentazione umana. Una dieta sana, più una regolare attività fisica e il non fumare, possono eliminare l’80% delle malattie cardiache, e il 70% di alcune forme di cancro. Scelte alimentari incongrue aumentano il rischio di sviluppare cancro, malattie cardiocircolatorie, diabeti, disturbi digestivi e perdita della vista collegata all’invecchiamento. Ma in che cosa consiste una dieta sana? Quali sono le condizioni per cui una dieta si definisce sana? Da quanto si sa, in termini scientifici possiamo affermare che una dieta sana è la combinazione di tre condizioni. Prima di tutto: deve svilupparsi su un lungo periodo di tempo, per permettere l’adattamento genetico all’ambiente e la selezione degli alimenti. In secondo luogo, deve associarsi a pratiche alimentari sviluppatesi in situazioni climatiche stabili e in aree geografiche che dispongano di molte risorse alimentare e culturali. Terzo: si deve associare a un contesto sociale favorevole, ovvero privo di guerre, di devastazioni croniche, in popolazioni libere da pratiche di schiavitù o da forti divisioni di classi. L’esempio più famoso oggigiorno di una dieta che combini tutte e tre le condizioni e che la rendono sana è quello della dieta mediterranea. Tra il 1950 e il 1960, il pioniere delle ricerche nutrizionali, Ancel Keys, e i suoi colleghi studiarono i modelli alimentari in sette paesi. Questo lavoro fu il primo importante studio sul legame tra alimentazione e malattie. Una delle scoperte più intriganti fu che la popolazione della Grecia e dell’Italia meridionale avevano aspettative di vita molto elevate e casistiche di malattie cardiache e di alcune forme di cancro molto basse, nonostante un sistema di assistenza medica piuttosto limitato. Un altro studio famoso fu il Lyon Diet Heart Study, iniziato nel 1988. Questa ricerca francese si proponeva di sperimentare se la dieta mediterranea potesse ridurre il rischio di infarto o di morte causata da problemi cardiaci. Dopo soli due anni e mezzo dall’inizio dell’esperimento, il comitato etico della ricerca impone l’interruzione anticipata, poiché i benefici delle dieta mediterranea erano del tutto sorprendenti: il 70% di riduzione di tutte le cause di morte. Le diete mediterranee
tradizionali, per il largo impiego di frutta e verdura, sono più ricche di grassi, dal 30% al 45%, di calorie provenienti soprattutto da oli di oliva o vegetali (cereali macinati in maniera grossolana, legumi, noci, semi); sono relativamente povere di carboidrati facilmente digeribili, e per questa ragione hanno un impatto piuttosto basso sugli zuccheri del sangue, risultando protettive dal diabete. Un aspetto interessante del tipo di carboidrati consumati è rappresentato dal mangiare la pasta al dente. Le ricerche hanno dimostrato che la pasta poco cotta ha un indice glicemico molto più basso, e contribuisce quindi con un apporto più ridotto del tasso di zuccheri presenti nel sangue a fine pasto. Un altro dei benefici della dieta mediterranea è l’abitudine a bere vino durante i pasti. Il vino è considerato la bevanda alcolica più antica, con i suoi 9000 anni di età. Molte ricerche scientifiche hanno dimostrato che i flavonoidi, presenti specialmente nel vino rosso, sono responsabili di effetti positivi, come la riduzione del rischio di cancro, di disturbi infiammatori, infarto, disturbi cardiovascolari, pressione sanguinea più bassa eccetera. È noto il paradosso francese per cui a un più elevato consumo di grassi saturi di questa popolazione, apportati soprattutto dai formaggi, non si accompagna un alto tasso di disturbi cardiovascolari. La dieta mediterranea si è evoluta da esigenze agricole imposte da un clima caldo e poco piovoso, che favorisce la coltivazione dell’olivo. Un ricercatore dell’università di Harvard, negli Stati Uniti, ha proposto una nuova piramide alimentare, rovesciando la prima, basata sulla dieta mediterranea, dove alla base c’è l’olio d’oliva e sopra il riso bianco e il pane. Il Brasile, per esempio, ha una dieta tradizionale molto sana, una miscela ideale di riso, ricco di metionina e povero di lisina, e fagioli, ricchi di lisina e poveri di metionina, molta frutta e verdura, pesce e carni bianche. Purtroppo però, a causa di secoli di tratta degli schiavi, è uno dei paesi con il più alto livello di disuguaglianza sociale. Adesso voglio farvi vedere l’importanza del contesto sociale. Per primo, i benefici del contesto sociale. Durante la sviluppo delle abitudini alimentari, la disponibilità delle risorse alimentari è stata profondamente modificata dai contesti sociali dei diversi gruppi etnici, a volte in maniera positiva, come nel caso della buona influenza dei monasteri medievali sullo sviluppo alimentare, a volte in maniera negativa, causando carestie e malnutrizione. I monaci medievali hanno influenzato profondamente i modelli alimentari europei. Essi hanno avuto un ruolo importante nella creazione di una società organizzata e regolata. I monasteri, grazie alla tradizione cristiana del lavoro, che modifica la natura per la gloria del Signore e per la dignità della vita umana, divennero luoghi dove uomini pazienti e metodici, miglioravano, inventavano o potenziavano i tipi diversi di alimenti, come il grana padano, inoltre essi trasformarono la poco apprezzata cerveza in una bevanda scura e grossolana, nella moderna birra chiara e gustosa. Un certo abate Arnold, già secoli fa, osservava che chi beveva la birra si ammalava di meno. Lo stesso si poteva dire per il liquore e le bevande. I monaci attraverso tecniche, che si sono tramandate solo grazie alla precisa e delicata organizzazione delle loro comunità, hanno inventato le ricette di molti formaggi, prosciutti, eccetera. I risultati di questo lavoro fu la possibilità di alimenti nutritivi durante tutto l’anno, una migliore salute e sopravvivenza, come sapete. Adesso vediamo le difficoltà del contesto sociale. Quando si associa a una condizione di vita disagiata, l’alimentazione, insufficiente o sbagliata, diventa la più frequente causa delle malattie infantili al mondo, e la prima di mortalità, che colpisce più di 900 milioni di bambini in tutto il mondo cioè la malnutrizione. Se si considerano, invece, tutte le fasce di età, un miliardo e duecento milioni di persone, per la prima volta nella storia sono malnutrite e le cause vanno cercate nella perdita di potere di acquisto, nelle grosse divisione di classe, nelle guerre etniche e nella siccità. La malnutrizione è causata da tre fattori messi insieme: la nutrizione insufficiente, la mancanza di proteine di buona qualità, di vitamine minerali e la frequenza, durata e intensità elevata di infezione. Vorrei, ora, portare la vostra attenzione su tre posti nel mondo, dove diversi contesti sociali hanno, invece, creato ambienti non così favorevoli allo sviluppo di risorse alimentari sufficiente per tutta la sua popolazione: l’Africa, l’India, includendo Bangladesch e l’America Latina. Malnutrizione e carestia in Africa, in estrema sintesi, sono principalmente causati da siccità e frequenti guerre etniche. La maggior parte della popolazione che patisce la fame, vive in insediamenti simili a fattorie, generalmente inadeguate ad assicurare la produzione di alimenti diversi. In generale le carestie sono il risultato dell’abbandono da parte della popolazione delle zone native a causa delle guerre. La maggior preoccupazione che questo continente suscita, oggi, risiede nel fatto che, a differenza dell’area Asia meridionale, qui la malnutrizione tende ad aumentare. L’India, dove vive più del 50% dei bambini malnutriti di tutto il mondo, ha attraversato una lunga serie di vicissitudini storiche e di mutamenti sociali per raggiungere l’indipendenza, aggravate dalla divisione in caste della società. La malnutrizione è, principalmente, associata alla distruzione della antica struttura sociale del villaggio, basata sulla comunanza. Il Brasile, il più grande paese coloniale del mondo fino al XIX secolo, si trova oggi ad affrontare il problema della fame e della malnutrizione, ancora presente tra le fasce più povere della popolazione. Fin dall’inizio della sua colonizzazione, la produzione agricola e l’allevamento non erano tra le priorità dei colonizzatori, di conseguenza era più comune l’importazione di derrate alimentari dall’Europa. Per gli schiavi, quasi 80% della popolazione di allora, c’era la produzione alimentare minima, il che, in molte aree, era appena sufficiente per la sopravvivenza. Nel periodo coloniale, nel nord-est, la zona più povera del paese, la proprietà terriera era detenuta da 8/10 delle famiglie soltanto. L’alimentazione della popolazione brasiliana, nel periodo coloniale, era di infima qualità; priva di uova, latte, verdure, proteine animali, soprattutto del nord. Nel sud l’immigrazione, iniziata ai primi del ’900, dall’Italia, Germania, Europa dell’est, paesi arabi cristiani e Giappone, diede invece a vita a contesti sociali distinti. Tra questi nuovi immigrati, infatti, c’erano più artigiani che quanti lavorassero la terra, i quali sapevano usare strumenti più tecnologici e impiegavano, quindi, meno schiavi, e, coltivando appezzamenti più piccoli, svilupparono anche l’industria e la vita urbana. Le risorse alimentare a disposizione nel sud comprendevano frutta, verdura e proteine animali. Le differenze tra nord e sud sono, ancora oggi, così profonde che molti affermano che in Brasile coesistono, in realtà, due diverse nazioni. Il tipo di malnutrizione più comune in Brasile è la bassa statura o l’arresto di crescita. Circa il 30% dei bambini nel mondo soffrono di bassa statura dovuta a condizioni ambientali di vita inadeguati. Le cause principali sono legate alla malnutrizione materna durante la gravidanza, mancanza di allattamento, alimentazione inadeguata nel primo anno di vita e malattie infettive. La stragrande maggioranza dei bambini denutriti vive, oggi, in favelas, dove vivono circa 52 milioni di brasiliani. Questa popolazione cresce in velocità più grande di quella della città, come vediamo qua, la dieta tipica dei bambini che vivono nelle favelas è povera di vegetali, frutta, carne, prodotti da latte oltre all’alto tasso di malattie infettive. Oltre le difficoltà dei diversi contesti sociali nel mondo, gli effetti delle globalizzazione sulle abitudini alimentari degli ultimi secoli portano diversi vantaggi e sfide per il nuovo millennio. La globalizzazione, durante il Rinascimento, ha introdotto alimenti come il the, il caffè, la canna di zucchero, le patate, i pomodori oltre a mais e frutti esotici ancora in corso. I risultati benefici sono stati la maggior disponibilità di alimenti, vitamine e minerali e una migliore assunzione. L’età moderna ha portato i frigor e i processi di raffreddamento, ma anche diversi rischi come la manipolazione del cibo. La crescita dei prodotti alimentari industrializzati, dopo il 1978, è parallela all’aumento dell’obesità. Assistiamo, alla fine degli anni ’70, all’esportazione del modello alimentare industrializzato degli USA anche qua in Italia. L’industria alimentare statunitense si è sviluppata rapidamente grazie all’introduzione di alcuni importanti componenti presenti in quasi tutti gli alimenti prodotti industrialmente, lo sciroppo di mais, isoglucosio e grassi idrogenati. Si tratta di componenti alimentari messi a punto in laboratorio, per migliorare e mantenere i sapori, creare sensazioni piacevoli al palato, come la tipica combinazione dolcezza e croccantezza e per prolungare la scadenza dei prodotti ma, sappiamo, che non sono sani per l’alimentazione umana, poiché aumentano i rischi di arteriosclerosi e diabete. L’introduzione di queste abitudini alimentari, nei quattro angoli del pianeta, è stata così efficace che oggi troviamo marchi leader nei luoghi più remoti della terra, che hanno avuto la forza di abbattere le barriere culturali. Come è stato possibile imporre in tutto il mondo il loro gusto? Attraverso test che misurano la gustosità di un alimento, l’industria alimentare ha impiegato scienziati per testare i diversi alimenti ed aumentarne la gustosità. Con questo metodo si sono evidenziati colori, gusti, consistenze, profumi, particolarmente apprezzati dal corpo umano. La causa principale di questi cambiamenti è stata la mentalità edonistica: piacere, velocità, felicità. Mangiare veloce, senza tavola, da solo a qualsiasi momento, spesso mentre si guarda la televisione, fu chiamata convenienza. Le conseguenze sono state la sovralimentazione e il superamento del meccanismo del controlla della sazietà. Il cibo si è legato al piacere, al senso della vita e della felicità, seguendo la mentalità edonista, come vediamo in queste frasi: amo tantissimo tutto questo, un sapore indimenticabile (che è vero, il cervello non si dimentica. Se depressi, si mangia un cioccolatino ) e questo tipo di cibo è dato ai bambini. Quando è dato ai bambini cambia per sempre l’abitudine alimentare tramite il cambiamento permanente dei riflessi condizionati. Chi non è stato abituato a mangiare frutta e verdure quando era piccolo, non avrà mai più piacere nel mangiarle. Le preferenze dipendono dalla cultura, noi preferiamo sempre il cibo che abbiamo mangiato da bambini o il piatto tipico della nostra famiglia o della nostra cultura. C’è un relazione biologica tra la frequenza dell’esposizione di un determinato cibo, piacevolezza e regolamentazione del cervello. L’aumento del grasso corporale è negativamente proporzionale alla varietà di vegetali e positivamente proporzionale alla quantità di dolci, carboidrati, eccetera. Per questo motivo l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha pubblicato nel 2003 una serie di studi nel tentativo di correggere queste deviazioni nella produzione dei consumi e degli alimenti. Allora, cosa possiamo fare? Quale sicurezza alimentare per il nuovo millennio noi possiamo avere? Dobbiamo partire dallo scoprire, diffondere, finanziare le migliori soluzioni che gli esseri umani hanno già sviluppato in tutto il mondo. Ci sono esempi di soluzioni adeguate per l’emergenza nutrizionale in tutto il mondo: i migliori generi alimentari e pratiche di nutrizione provenienti da culture diverse dovrebbero essere diffuse, come è già accaduto nel passato. Ci sono esempi positivi di programmi di educazione alimentare per tutti i gruppi di età e per i diversi ambienti culturali e ci sono anche esempi positivi di commercio agro-alimentare non speculativo e per fine si dovrebbero diffondere i programmi migliori per combattere la malnutrizione e la malattia. Grazie.

MARCO LUCCHINI:
Credo che la professoressa Sawaya sia riuscita a farci fare un viaggio nel tempo, nel mondo e ricordarci, appunto, non tanto d’avere un problema di coscienza, perché io mi sentivo un po’ male pensando che non faccio movimento, fumo e quindi ho capito che vi saluto perché duro poco, però al di là di questo credo che il tema fosse avere la coscienza, come stare di fronte a questo oggetto che è il cibo, perché tante volte è veramente solo la benzina per andare avanti e non invece le conseguenze culturali, ambientali dello sviluppo di un popolo. A questo punto chiederei, invece, al professor Campiglio di approfondire il tema della certezza, perché è un tema che se in alcuni paesi del mondo purtroppo è presente, non dico da sempre, ma oramai da molti secoli, sta ritornando anche nei paesi occidentali e anche purtroppo nella nostra Italia. Quindi lascerei a lui la parola, a lui che ha studiato da tempo questo fenomeno e che ringrazio anche di collaborare con la Fondazione per la Sussidiarietà e con la Fondazione Banco Alimentare.

LUIGI CAMPIGLIO:
Grazie, grazie di cuore. Il tema di quest’anno è dedicato alla conoscenza, la conoscenza che è sempre un avvenimento. La conoscenza, dal punto di vista economico, può essere intesa, e viene intesa di solito, come un’idea di cultura e vorrei iniziare questo breve ragionamento associando questa idea di conoscenza, per l’appunto, con il cibo. Perché la conoscenza, intesa come cultura e non solo incontro, perché la conoscenza sicuramente ha molti significati, è come cultura una bene pubblico. Un bene pubblico come l’aria liberamente disponibile a tutti. Mentre il cibo è selettivamente un bene privato, un bene tipicamente privato e materiale. Così come la conoscenza è un bene immateriale, il cibo è, certamente e fisicamente, molto materiale ed è legato a situazioni anche condizioni economiche molto personali, private, nel mondo del privato in certo senso e della persona. Ecco perché parlare di cultura del cibo, a mio parere, è qualcosa di più di una semplice formazione linguistica, è un mettere insieme ciò che esiste di pubblico, nell’idea di cultura, di condivisione. Pensate solamente alle ricette, dove davvero la conoscenza e l’incontro si coniugano: incontriamo una ricetta nuova. Dicevo, la cultura del cibo è qualcosa, è un modo di dire che andrebbe probabilmente valorizzato. Se non altro per un motivo centrale, cioè il fatto che la cultura del cibo resiste, nonostante gli accenni che prima venivano fatti, all’omogeneizzazione mondiale dei gusti. La cultura del cibo è uno, dice l’economista che vi parla, è uno dei vantaggi positivi, competitivi aggiungo, del nostro paese rispetto al resto del mondo. Certamente è un vantaggio comparato, a mio parere, non forse valorizzato quanto si potrebbe. La cultura del cibo è legata ai ritmi della vita, ecco perché perde di significato quando la vita viene a mancare, come nel caso della fame ma, non è questo il caso, per fortuna, dei paesi avanzati, dei paesi sviluppati, dove, e qui vengo al tema che mi ha sollecitato Lucchini, un problema alimentare non esiste quando accade che possiamo dimenticarci che esista. Cioè ci dimentichiamo, la maggior parte di noi si dimentica del fatto che domani mangerà e avrà un piatto sulla tavola o su un ristorante o quant’altro. Ecco, quando possiamo dimenticarci del cibo che verrà domani ecco allora il problema non c’è. Ora che cosa avviene? Ad alcuni di voi potrà apparire strano, ma è documentato ormai in modo robusto, accade che per una percentuale non piccola della popolazione italiana, per l’esattezza attorno al 5%, oramai si parla di tre quattro rilevazioni per l’Italia, sono dati europei e grosso modo la situazione non è molto differente anche in America, circa il 5% delle famiglie si ricorda, si ricorda di avere avuto, almeno, una volta o forse di più, un problema alimentare nei 12 mesi passati. Questi sono i dati che ci dicono le indagini. E quindi, certamente in questi casi, il ricordo è una prima indicazione che il problema c’è, esiste, ma non solo esiste un problema e c’è il ricordo, ma va a toccare fasce di popolazione che, non certamente nel modo drammatico che prima ci veniva presentato, sono particolarmente sensibili. Le famiglie numerose, le famiglie con figli minorenni, ci dicono i dati, sono maggiormente coinvolte da questo problema, le quali non si possono dimenticare di questo problema e quindi di conseguenza finiscono di essere segnate diciamo, non voglio usare termini forti ma, diciamo segnate sul piano fisico forse, sul piano psicologico più probabilmente, ancora da questa incertezza. Quindi la questione alimentare nel nostro paese, come ci dicono queste cifre, esiste. Esiste e la crisi, la grande crisi come oggi ormai viene chiamata, la grande crisi in corso non ha certamente, non è una difficile previsione, migliorato questa previsione. Il nostro paese, per molti aspetti, risente nell’ambito europeo maggiormente della situazione che si è venuta a creare in questi ultimi due anni con la crisi finanziaria e poi con quella reale. Faccio una premessa, la premessa è che, sempre parlando di cibo, dovete tenere conto, e potete farlo anche con il vostro bilancio famigliare, di una relazione che in economia, economia non è così esatto come a volte si tende a pensare da parte di alcuni, è forse una delle più robuste, ed è una relazione che dice, grossomodo questo:, più diventiamo ricchi fra virgolette, anche se il termine è impreciso, più diventiamo ricchi minore è la quota percentuale di spesa alimentare. Questo non vuole dire che mangiamo meno ma, in proporzione al valore dei nostri consumi, la quota diminuisce e questa quota non è molto elevata in Italia, Germania e Francia. A seconda che la si misuri sui consumi o il reddito è intorno al 13-16%, al che parrebbe che un problema alimentare non esiste ma non è così. Non è così perché esiste una distribuzione dei redditi e quindi una distribuzione dei consumi, e appena si vada a fondo su questo aspetto, nei decimi più bassi, come si usa dire, cioè nella fascia di popolazione di famiglie che hanno redditi più bassi, questa percentuale sale, sale notevolmente e supera facilmente il 40%. Di solito uso dire che una soglia di attenzione, anche dal punto di vista degli policy, è quando questa quota è superiore al 30%. Nel nostro paese, noi vediamo soprattutto per le famiglie con reddito più basso che questa quota facilmente cede il 40%. Quindi in questa crisi, certamente, queste fasce sociali hanno dovuto fare, diciamo, fare di necessità virtù. E in effetti i dati ce lo confermano, il valore medio del carrello della spesa è diminuito. Perché? Perché la gran parte delle famiglie, in questa situazione soprattutto, si è spostata verso consumi e prodotti di valore più basso, certamente non è detto che il valore del bene rifletta la sua qualità, ma in molti casi questo avviene, e mediamente è provabile che la qualità del cibo sia stata un po’ l’ammortizzatore con cui molte famiglie a basso reddito hanno in parte assorbito la crisi economica. Ma c’è di più di questa crisi, cioè il fatto che le risorse alimentari, inclusa l’acqua, ma soprattutto le risorse alimentari, lo abbiamo imparato dalle notizie dei giornali, mais eccetera, eccetera hanno comportamenti mondiali di prezzo che assomigliano, sono anzi del tutto simili a quelli di quelle delle materie prime tradizionali che abbiamo imparato essere così oscillanti e volatili nel tempo, in particolare il petrolio. Ora anche il mais, anche il granoturco è una fonte di energia, non diversamente dal petrolio, anzi è una forma di energia ancora più importante, perché va direttamente a fornire altra energia, che è quella della vita. Ora, la questione importante è questa volatilità delle materie prime e quindi anche il pane che abbiamo sulla nostra tavola è destinato a durare oppure no? Le previsioni sono sul fatto che probabilmente tenderà a rimanere questa volatilità per molti motivi. Primo motivo: ormai le materie prime alimentari sono diventate un’attività finanziaria, un portafoglio dei mercati, come tutte le altre attività, ma, in primo luogo, nei mercati emergenti. La Cina è il paese emergente straordinariamente in fase di straordinaria crescita, con una domanda che va a premere sui prezzi in modo non ordinato, e questo crea oscillazioni e anche quindi di conseguenza l’esigenza di una qualche forma di governo, governo pubblico di grandi aree come quello europeo o, non dico mondiale perché non voglio rincorrere i sogni, ma certamente il problema esiste. Infine, la questione alimentare, oggi, a mio parere, rappresenta un crocevia intellettuale strategico di tante, tante questioni che andrebbero approfondite e che comunque vanno ad intersecare le questioni di cui stiamo parlando oggi e cioè il tema dell’ambiente, per esempio, il possibile utilizzo dei terreni coltivabili a mais per l’alimentazioni piuttosto che per i bio-combustibili, e via dicendo. Quindi la questione alimentare è centrale e tipicamente interroga, per così dire, il potere statale, il potere statale che troppo frettolosamente, come in un breve passaggio suggerisce intelligentemente l’enciclica, troppo frettolosamente è stato accantonato nell’idea di una globalizzazione che avrebbe spazzato via tutto ed oggi, invece, è al centro. Anzi, il potere statale oggi ridefinisce, in un certo senso, vuoi a livello statale vuoi di grandi aree economiche, l’equilibrio tra spinte della globalizzazione e potere locale. Perché? Perché nei momenti di incertezza, di crisi, i cittadini a chi si rivolgono? Lo abbiamo imparato dai grandi scienziati politici del XVIII secolo, si rivolgono a chi ha il potere, a chi ha il monopolio del governo della cosa pubblica. Questa è la funzione, diciamo, nobile della politica, e questa è una delle sfide a cui ci si trova di fronte. Da ultimo, le conseguenze della grande crisi in corso sui comportamenti sono veramente importanti. Ecco perché, ogni tanto, sono tentato a parlare di crisi dal punto di vista strutturale. Il che non è un termine negativo, ma certamente molti comportamenti sono cambiati, stanno cambiando, molte sensibilità sono cambiate, stanno cambiando. Prima si parlava, ad esempio, dell’apprezzabilità del Grana Padano, questione centrale non solo dal punto di vista del mercato ma anche della sicurezza, dell’igiene, oltre che della cultura alimentare di cui si diceva prima. Se si pensa che la tracciabilità, cinque anni fa, era un concetto completamente sconosciuto, si comprende che oggi, la questione alimentare va a impattare direttamente delle questioni che prima non ci si poneva. Ero, una settimana fa, al museo delle scienze di san Francisco, dove ai bambini viene mostrata una tavola, una tavola imbandita e i bimbi si divertono ad alzare ogni cibo e sotto il cibo c’è un certo numero di stellette, che indicano l’impatto ambientale dei diversi cibi, tenendo conto di tutti i fattori. Adesso, non sto a fare la graduatoria dei cibi ma, certamente la dieta mediterranea, di cui si parlava prima, supera abbastanza bene questa prova di cui parlavo prima. Tutti questi però, se ci pensate un attimo, sono temi nuovi, sono temi nuovi. Ma, non solo nuovi, sono temi nuovi e destinati a restare. Questi sono alcune grandi questioni di cui non ci dimenticheremo passata la crisi, così come la qualità dei cibi e la freschezza dei cibi. Sempre negli USA, da cui sono reduce come avrete capito da una paio di giorni, la questione della freschezza dei cibi è centrale, ma è chiaro che la questione della freschezza dei cibi, se ci pensate solo un momento, ridefinisce anch’essa gli equilibri fra globale e locale, perché chiaramente è fresco, nel senso letterale della parola, tutto quello che è ragionevolmente trasportabile in un perimetro di chilometri che non sia troppo distante. E quindi con un maggior peso e privilegio, per esempio, di tutte le produzioni agricole locali. Così come è cambiata, e qui chiudo con questo tema, ma è cambiata in modo profondo ovunque, Italia compresa, tutta la distribuzione, il modo di mangiare, in particolare il mangiare fuori casa. Non dico che debbano tornare i pasti cucinati in casa, anche se in alcune case avviene, e debbo dire che al di là del risparmio, a mio parere, ci guadagna anche la salute. Quindi l’incentivo su tutto un sistema di ristorazione deve entrare maggiormente in questioni che prima erano dimenticate. Vengo alle politiche brevemente, perché il tempo è quasi trascorso. Dal punto di vista delle politiche, il ministro spiegherà poi molto meglio di me, vediamo che la politica, anche del nostro paese, sull’agricoltura si stia coagulando intorno agli utilizzi che si fanno delle eccedenze. Ecco, a mio parere, noi abbiamo bisogno di creare una politica fondata sulle eccedenze, che ho chiamato, intelligenti. Cosa sono le eccedenze intelligenti? Eccedenze intelligenti significa che sono le eccedenze intrinseche non solo della produzione industriale, come del resto le crisi di sovracapacità di questo periodo ci dimostrano, ma anche della produzione agricola, anche se con modalità diverse. Ecco perché parlando di cibo, questa diversità dell’agricoltura rispetto all’industria va tenuta a conto e, parlando di eccedenze, forse è il caso di parlare di eccedenze intelligenti. Cosa vuol dire intelligenti? Vuol dire che le eccedenze ci sono e ci saranno, per fortuna aggiungo, come modalità dei sistemi moderni di mercato, ma è intelligente quella eccedenza che è organizzata, per così dire, per garantire un grado di continuità nel riutilizzo delle eccedenze attraverso la valorizzazione che ne danno organizzazioni, come quella appunto del Banco Alimentare, sul piano sociale. Queste sono eccedenze intelligenti. Permettetemi di fare un’ultima osservazione di policy, una seconda e breve osservazione di policy a cui tengo molto. C’è un’esperienza americana, dei grandi programmi americani, molto interessante. Una di quelle che per davvero funzionano ed è un programma che, sempre dal punto di vista dei piani alimentari, è specificamente indirizzato al bisogno nutritivo delle madri e dei loro figli fino a che sono piccoli. Madri e figli fino a che sono piccoli di famiglie che non hanno i mezzi. Perché? Perché esiste la consapevolezza che quello è un periodo delicatissimo. Sbagliare lì, chi sbaglia paga e si paga per la vita intera. Ecco allora che una politica alimentare basata su eccedenze intelligenti e, anche qui mi sono inventato un termine, diciamo una dote alimentare, per così dire, da poter consegnare ai nostri figli, ai figli piccoli, è fondamentale per far camminare e il futuro del nostro paese e anche risolvere, non dico risolvere, attenuare questa forma di timore, di paura, di incertezza, di ricordo della possibilità che domani potrebbe mancare il cibo sulla tavola, che anche nei paesi avanzati, in modo apparentemente paradossale, continua ad esistere. Grazie.

MARCO LUCCHINI:
Ministro, credo che i due interventi abbiano aperto, come dire, delle prospettive partendo appunto da un passato fino ai temi di questi giorni ed abbiano, già, anche lanciato un futuro. So che è molto impegnato su questi temi, è intervenuto più volte, al G8 ha avuto anche questa grande occasione. Quindi le chiediamo, una volta vista la realtà, sentito quali sono le questioni, come lei intende portare avanti i suoi programmi, che, credo, abbiano nel fattore tempo un’importanza fondamentale, perché lo diceva la prof.ssa Sawaya ma lo diceva anche il professor Campiglio, il tempo in questo aspetto è fondamentale se si vogliono ottenere dei risultati. Allora come lei vuol riportare il tema dell’agro-alimentare come primo fattore?

LUCA ZAIA:
Grazie e buon giorno a tutti. Permettetemi di ringraziare Marco Lucchini per questa grande opportunità che mi dà, don Mauro e CL. Io sono anche emozionato, perché non capita tutti i giorni di parlare a una platea così autorevole. Marco l’ho conosciuto col Banco Alimentare e per svelare un piccolo retroscena, ci siamo conosciuti quasi litigando, perché lui si era un po’ arrabbiato perché …io ho mandato a controllare tutte le derrate alimentari che vanno poi a indigenti, cercando di garantire ai cittadini, rispettando il contratto sociale di Rousseau, che quello che ti dicono di fare i cittadini venga fatto e quindi che il cibo vada veramente ai poveri, vada veramente a quel 14% e oltre di cittadini che oggi è alla soglia della povertà e vive in difficoltà. E ne è venuto fuori un dato chiaro: il Banco Alimentare è una realtà seria, qualcun altro no. Che poi Marco abbia delle colpe si sa, è quella di leggere male i giornali, perché si vide subito il Banco Alimentare preso di mezzo. La verità è che noi dobbiamo conclamare che con Banco Alimentare si sono fatte tante attività, se ne faranno molte, grazie anche a un negoziato, noi lo dobbiamo dire fino in fondo, che quest’anno ci ha permesso di erogare in controvalore 126 milioni di euro in prodotti, cibo per gli indigenti, contro i 60 milioni dell’anno scorso. Questo vuol dire andare in Europa, battere i pugni. Qualcuno dice: devi smettere di dire batter i pugni. Noi battiamo i pugni nei tavoli delle trattative, coscienti del fatto che l’Italia debba essere rispettata fino in fondo e che già abbiamo donato molto a livello comunitario, già abbiamo lasciato molti negoziati, già in molti negoziati abbiamo dato oltre misura e i risultati si vedono soprattutto nel comparto agricolo. Vi tranquillizzo subito, ho rinunciato alle mie duecento pagine di relazione, non vi darò la dieta per casa per dimagrire, perché magari qualcuno di voi se lo aspettava dopo le due graditissime relazioni della prof.ssa Sawaya e del prof. Campiglio, che ringrazio anche per avere avuto la possibilità di conoscerli, ma vi parlerò di due temi anche in maniera molto veloce, perché poi è inutile che si vada all’eccessivo approfondimento. Innanzitutto io dico sempre che quando si parla di sicurezza alimentare dovremmo iniziare con il dire che ci sono due tipi di sicurezza alimentare, di chi corre tutto il giorno, si alza, lo ricordava prima il prof. Campiglio: “Chi è che sta pensando al cibo che consumerà domani o dopodomani”. C’è una parte di cittadini nel mondo, nostri fratelli, che non hanno la certezza di avere la sicurezza di alimentarsi, e un’altra parte del mondo che non ha la certezza di alimentarsi nel modo giusto. Ti chiedono continuamente: ma dell’immigrazione cosa mi dice, ma gli immigrati da che parte devono stare, ma l’integrazione, ma l’ordine pubblico, ma la sicurezza. Poi noi ci dimentichiamo che più volte al giorno ci alimentiamo e che forse il killer più grande che abbiamo lo abbiamo nel frigorifero di casa, in quello che io ho definito il frigorifero degli orrori. Allora è pur vero che un dato imprescindibile è quello della FAO. La FAO ci dice che abbiamo sei miliardi di cittadini nel mondo e un miliardo di questi cittadini, lo ricordava prima la prof.ssa Sawaya, soffrono la fame, sa cosa sono i crampi della fame. Si alza al mattino e non sa come alimentarsi. Di questi cittadini 140 milioni, 180 milioni secondo le ultime stime, qualcuno dice che forse saranno anche 200 milioni, sono bambini che soffrono i problemi della denutrizione, rachitismo, citato prima, cecità, l’ipovitaminosi, tutti quelle malattie che comunque sono conseguenze di una pessima alimentazione e della mancanza di cibo. Tre milioni di questi cittadini ogni anno muoiono. Allora prima di tutto dobbiamo occuparci di questa sicurezza alimentare, più che pensare a come riempirci la pancia e in che modo, pensiamo a questi cittadini. Non esiste che un amministratore non parli, prima il professore parlava di policy, che non possa parlare di quelli che sono i temi che gli stanno a cuore. Leggete un libro della Dambisa Moyo – io la cito dappertutto sperando che qualcuno me la inviti anche in Italia, la vorrei incontrare – che è una giovane emergente economista zambese, 32 anni, laureata ad Harward, che dice: Basta con gli aiuti ai nostri paesi, (lei è un’africana), mille miliardi di dollari dal dopoguerra ad oggi per sfornare cosa? Gente che muore di fame, deresponsabilizzazione nella classe politica locale, mancanza del ruolo delle istituzioni, deresponsabilizzazione anche dei cittadini di quei territori.
Qualcuno l’altro giorno ha titolato “Zaia è contro Bono”, dice che io non la vedo come lui, non la penso come Bob Geldof, non la penso come Madonna, penso che noi dobbiamo incentivare il microcredito, dobbiamo dare una mano a quei cittadini in quei territori affinché possano dare vita alla prima vera realtà economica che è quella dell’agricoltura. I grandi economisti a livello internazionale ci dicono che non esiste grande economia senza una grande agricoltura. Lo dicevamo ieri con Marco, al telefono, che a noi non risulta, conoscendo i processi dell’economia, che ci siano delle economie che nascono dal terziario o dal secondario, le economie nascono tutte dal primario. Prima nella relazione della prof.ssa Sawaya emergeva anche un altro fattore importante, che è quello dei flussi migratori, è vero anche che l’agricoltura e quindi la mancanza di fame, quindi l’alimentazione, ci garantisce stabilità socio-politica, ci garantisce l’assenza di guerre, perché comunque poi i popoli, lo dobbiamo dire fino in fondo, i popoli si muovono per cercare il cibo, questo è quello che sta accadendo. Una amministratore – qualcuno si è scandalizzato, c’è stato qualcuno che mi ha detto: “tu duri poco con questi discorsi”, – un amministratore ha l’obbligo di dire, lo ricordava prima il prof. Campiglio, che quando il cibo entra nei mercati finanziari, vuol dire che il mondo non ha più valore, vuol dire che noi dobbiamo fare una scelta etica quando andiamo a comprare i prodotti finanziari. Non sarà mica possibile che ci chiediamo se qualche bambino ha lavorato o ha partecipato alla creazione di un pallone in cuoio, piuttosto che una t-shirt in giro per il mondo, e nessuno di noi, comprando un fondo comune di investimento, chieda alla sua banca se in quel fondo, se in quel pacchetto di prodotti finanziari, c’è qualche titolo speculativo sul cibo? Comprare prodotti speculativi sul cibo, vuol dire aiutare qualcuno a morire di fame, comprare prodotti speculativi sul cibo significa aiutare qualcuno a morire di fame. Questa è una realtà, ma prima il prof. Campiglio parlava della fluttuazione, della volatilità dei prezzi agricoli. Bèh, per carità, ci saranno i cinesi, adesso faranno il G2, non faranno più il G8, faranno un sacco di belle cose, prima il latte costava poco, poi costa tanto perché i cinesi fanno molte altre cose del genere, ma la realtà è una sola: le speculazioni sui mercati. Oggi si dice che la nave che parte piena di grano da Dubai e arriva a Rotterdam, viene comprata e rivenduta un centinaio di volte. La speculazione sui mercati ci dice che oggi non è più il mercato che regola il mercato, ma ci sono dei prodotti finanziari che scommettono sull’innalzamento o sull’abbassamento del prezzo della soia e quindi delle proteine, del grano e quindi del pane. Voi capite che noi dobbiamo opporci a questo sistema. Io spero che da qui parta questo appello, questo appello che io sto facendo in più occasioni, che è quello di opporci al fatto che ci siano dei prodotti finanziari che speculino sul cibo. Ovviamente tutta questa speculazione ci porta a dire: ma che multinazionale è che difendi? Io difendo la mia multinazionale, che è quella dei contadini ed è una multinazionale… C’è anche qualcuno che si è arrabbiato e mi ha detto: devi dire multinazionale degli imprenditori agricoli. Voi avete capito quale è il problema: lo sdoganamento dell’agricoltura. Perché se c’è qualcuno ancora che si offende perché il termine è contadino e è al pari di spazzino, perché tu lo devi chiamare Operatore Ecologico: ciò vuol dire che ci manca di fondo la cultura. Noi dobbiamo dire che il primo grande ruolo che deve avere la politica nella polis è quella di sdoganare l’agricoltura, è quella di non parlare dell’agricoltura come parente povero dell’economia. E’ quello di capire – grazie a questo contesto di economia in difficoltà, guarda caso tutti hanno riscoperto l’agricoltura – che l’agricoltura ha dei grandi valori, che l’agricoltura comunque è produzione, che l’agricoltura non è economia virtuale ma è economia reale, perché se tu sudi e lavori, produci, se non sudi, non lavori, non produci nulla. Questa è la realtà. Allora la multinazionale che noi difendiamo è quella dei contadini, che è una multinazionale planetaria. In Italia l’agricoltura è rappresentata da un milione e settecentomila agricoltori, 60 miliardi di fatturato, 4.500 prodotti tipici. Questo significa difendere la tipicità fino in fondo, fino nell’ultimo quartiere, nell’ultimo lembo di terra della nostra nazione, ma significa difendere l’identità dei territori, la storia, la cultura e la tradizione. La prof.ssa Sawaya non ci ha dato le istruzioni per l’uso per metterci a dieta, ha parlato di identità territoriali, ha parlato di cibi legati al territorio, ha parlato di bambini che se alimentati nella maniera giusta nei primi anni di vita comunque diventeranno degli ottimi consumatori, di territorio, di identità, e allora qui viene fuori la mia posizione di totale e netta contrarietà agli OGM in agricoltura. Altra scelta che noi facciamo e spieghiamo. OGM in agricoltura non significa fare guadagnare di più gli agricoltori, perché dove si fanno gli OGM, nei paesi dove si coltivano, gli Stati Uniti, gli agricoltori guadagnano meno di prima. OGM in agricoltura significa avvallare la tesi di uno scienziato piuttosto che dell’altro. Vi ricordo che il mondo scientifico è spaccato esattamente a metà rispetto alla salubrità o meno degli OGM in agricoltura. Vi ricordo che la Germania ha dovuto sospendere qualche mese fa, in aprile, un mais che stava coltivando per problemi sulle cavie di laboratorio, quindi ha dovuto ritirare dalle piantumazioni questo mais. OGM in agricoltura per noi significa creare due filoni di alimentazioni. La Gran Bretagna ne è un illustre rappresentante: i meno abbienti vanno a comprarsi il cibo OGM, i più abbienti, quelli che hanno la sterlina disponibile, si comprano gli Organic Food, i cibi biologici. OGM in agricoltura per noi significa anche un’altra cosa: che non possiamo dare anche l’ultimo valore dell’agricoltura e della nostra storia, cioè il seme, alle multinazionali. Questo è quello che noi diciamo con chiarezza. Dall’altro c’è da dire, è venuto fuori dalle relazioni: il prof. Campiglio prima parlava dell’energia, delle energie, e parlava del mais come energia, faceva questo esempio. Io voglio mutuare queste parole del prof. Campiglio, per parlare di quello che poi è un conflitto esistente nel pianeta, in un momento nel quale, noi sappiamo, lo dicevamo prima, la FAO ci dice che per sfamare i sei miliardi di cittadini nel mondo bisognerebbe raddoppiare la produzione agricola. Oggi c’è questa tendenza, di parlare sempre di più di biomasse. Ben venga questo ragionamento: c’è una produzione di bioetanolo stimata a più 47% nel 2015 per l’Europa, a più 30% per il Brasile, a più 74% per gli Stati Uniti e significa sottrarre il mais, quindi significa sottrarre amido, cibo dal comparto dell’alimentazione per destinarlo alla produzione di energia. Questo conflitto tra combustibili e commestibili, nonostante lui abbia voluto difendere fino in fondo al Congresso FAO la sua posizione per la coltivazione della canna da zucchero, è comunque qualcosa su cui noi dobbiamo fare dei ragionamenti. In un contesto nel quale ci sono cittadini che muoiono di fame, non possiamo neanche pensare che l’agricoltura, perché non può guadagnare, diventi una produttrice di energie da biomasse per dare una giustificazione al mantenimento del contadino sul territorio. Allora cosa è che diciamo: noi siamo qui non solo a portare la terra ai giovani e a portare avanti questo nostro progetto di dare le terre demaniali ai giovani, ma siamo qui anche per difendere l’identità territoriale. Il dott. Berni, nell’introduzione, ricordava le qualità del Grana Padano, ricordava tutte le attività che si fanno del controllo. Però noi abbiamo l’obbligo di garantire ai cittadini, per questo io sono stato molto attaccato durante questa estate, che se si producono 11 milioni di tonnellate di latte in Italia e se ne importano 8 milioni, ogni cittadino deve sapere se sta bevendo un litro di latte italiano o straniero. Ogni cittadino ha il diritto di sapere se il formaggio che sta consumando e il derivato del latte che sta consumando è stato prodotto con latte italiano o straniero, perché questa battaglia, che è una battaglia generale che questo governo sta facendo sull’origine obbligatoria in etichetta, leggasi avere nome e cognome di chi ha prodotto quel cibo, è una battaglia di civiltà. Noi non siamo dalla parte di chi vorrebbe nascondere le informazioni. Forattini ha inaugurato la stagione della tolleranza zero, voi avete fatto tanti applausi e vi ringrazio questa mattina, ma ve ne chiedo uno. Io ho un approccio manageriale, non sono contadino e non ho azienda agricola, però se vai in azienda, all’amministrazione chiedi le carte, adesso chiedi il bilancio, guardi l’organico, cerchi di capire. Quando sono diventato ministro, ho chiesto e mi hanno informato che ho 7.000 forestali. Ho detto: “7.000 forestali, un capo per regione”, salutiamo anche il dottore che è qui presente. Li ho riuniti e ho detto: ragazzi, io ho fatto anche l’obbiettore di coscienza, posso dire quindi, da oggi si cambia musica, da oggi non si rincorrono più i vecchietti per i boschi che raccolgono funghi o i vecchietti che vanno a vendemmiare, ma dovete occuparvi delle schifezze che entrano nei nostri territori e che finiscono inevitabilmente sulle tavole degli italiani.
Questo applauso lo dedichiamo fino in fondo a loro, perché nonostante ci sia, purtroppo, il retaggio dei forestali della Calabria – io non so cosa farci, non sono nostri, ma della Regione Calabria – hanno portato risultati, dimostrando che quando il capo dà una indicazione i risultati arrivano. Vuol dire che prima non avevano altre indicazioni. 174 tonnellate di pesce straniero venduto come pesce italiano sequestrato durante l’operazione Capitone a Dicembre; se siete interessati erano Pangasio, che è un pesce di fiume di acqua dolce dei fiumi asiatici, venduti come filetti di sogliola, piuttosto che il pesce ghiaccio che è un novellame, venduto come novellame di Sardegna o le vongole veraci delle zone della Cina, vendute come vongole veraci italiane; 320 tonnellate di pomodoro Sammarzano falso, pronto per l’invio negli Stati Uniti, piuttosto che 10 quintali di latte alla melamina, latte cinese che ha fatto morire 6 bambini e intossicati altri 300.000 in Cina; piuttosto che carne putrefatta e altre porcherie; 150.000 bottiglie di vino al porto di Livorno, tutto vino falso, ed altre cose del genere. Avete visto questo frigorifero degli orrori, noi siamo riusciti a sequestrare la mozzarella fatta a modo di Girella Motta, mozzarella di bufala di OB falsa, ma soprattutto, visto che siamo nel posto giusto, la mortadella fatta di carne di bovino. Quindi ce ne è per tutti i gusti. Allora quale è l’arma di difesa, definiamola così? Sappiamo che l’agro pirateria esiste, il Made in Italy vale 24 miliardi di euro in esportazione, cresciamo del 13% in Europa, dell’11% nei paesi extra UE, però sappiamo che su 10 prodotti dichiarati Made in Italy solo 1 è italiano, su 10 pezzi di Grana Padano di Berni, solo 1 è Grana Padano, il resto è agropirateria. Dobbiamo fare le nostre belle difese e battere anche i pugni in sede di WTO, quindi accordi DOA. A Doa nel 2001, in Katar, 153 paesi hanno detto “ci mettiamo d’accordo sulle regole mondiali del commercio”, ma noi non è che possiamo essere i parenti poveri di questo tavolo, noi dobbiamo difendere le nostre produzioni, dei nostri territori e difendere soprattutto la storia dei nostri contadini. Noi consumatori, però, abbiamo delle colpe, che non sono quelle di mangiare troppi grassi, carne, voi mangiate vi fa bene, consumate prodotti italiani, eccetera. Le vere colpe sono altre, le vere colpe è che innanzitutto quando consumiamo dobbiamo chiedere prodotti di stagione e prodotti del territorio, non è trippa per altri, non c’è storia per nessuno, dobbiamo chiedere prodotti di stagione e prodotti del territorio. Facciamo un bene alla nostra salute, consumiamo prodotti certificati e sicuri e manteniamo in vita un agricoltore del nostro territorio. Quindi il km zero, la stagionalità, inquiniamo di meno, perché voi sapete che il viaggio che fa un cibo per arrivare sulle nostre tavole è 2.500 km. Qualcuno si è arrabbiato perché io ho lanciato lo sciopero dell’ananas a Dicembre, -25% di vendite di ananas quindi. Però è andata bene, nel senso che è un momento di acculturamento educativo di alto livello, magari qualcuno ride, però comunque oggi si parla di stagionalità, oggi si può dire al cittadino: guarda, non comprare le ciliegie a Natale, perché quelle le producono nei paesi dove si usa ancora il DDT, che è un insetticida, fa venire il cancro. La prof.ssa Sawaya ha detto di mangiare frutta perché fa bene, ma se mangi quella frutta lì ti ammali. Questo è il vero problema, è la frutta di stagione, prodotti di stagione, prodotti del territorio. Vedete, c’è tutto un grande movimento, un grande ragionamento sugli sprechi, noi siamo degli spreconi. L’equivalente nella pattumiera di cibo sano, sicuro, ancora mangiabile, non so se questo è un termine che si può utilizzare, che va nelle nostre pattumiere, equivale a fornire per tre volte al giorno pasti a 600.000 persone. Questo è quello che finisce nelle nostre pattumiere, che finisce nei container dei retrobottega dei punti vendita, dei supermercati, che per colpa nostra non va ad alimentare qualcuno ma finisce in discarica. Allora cominciamo, c’è stata una bella pubblicità, la possiamo citare qui, se non sbaglio di Melinda, che ha avuto una grandinata, ha fatto vedere una mela con una ammaccatura e ha detto: -o sono Marilyn però anche io sono buona. Il problema è che noi non possiamo pretendere alle 8 di sera di andare al punto vendita dell’Ipermercato, del Supermercato, a comprare ortofrutta e pensare di trovarci ancora le goccioline di rugiada, le foglie tutte perfette. Anche questa è una scelta che dobbiamo fare. Noi sprechiamo l’equivalente di un miliardo e mezzo di euro all’anno gettato in discarica. Quindi, partendo dalle considerazioni iniziali, partendo dal fatto che 3 miliardi di persone non hanno di che alimentarsi e hanno difficoltà a trovare cibo, anche questo è un ragionamento che dovremmo fare sul last minute food, su questo nuovo movimento che sta nascendo, che comunque prende piede, sul fatto che dobbiamo sprecare di meno, sul fatto che dovremmo aiutare di più i nostri agricoltori. Questo l’ho scritto in quello che definito Instant Book. E’ una raccolta di pensieri e di informazioni, è una parte integrante di un libro che uscirà a fine anno con i miei pensieri di agricoltura, tutta una serie di riflessioni, nel quale parlo anche di un altro aspetto importante che riguarda il nostro futuro. Noi abbiamo dei costi di produzione che sono di gran lunga al di sopra, superiori a quello che ci concede il mercato comunitario. Pensate che produrre un litro di latte in Italia costa 35, 40 centesimi e viene pagato, questa mattina, ai nostri allevatori 26,28 centesimi. Berni forse si sta candidando per pagarlo di più, no? si trova latte nei nostri mercati a 14, 16 centesimi. Noi abbiamo dei costi di produzione che si potrebbero definire fuori mercato, però abbiamo l’eccellenza, abbiamo la qualità, abbiamo la storia dei nostri territori, quindi per questo motivo anche nel libro accenno all’idea che se dovesse continuare così, Professore, forse l’unica soluzione per noi sarà introdurre l’elemento assicurativo in agricoltura e ognuno di noi dovrà adottarsi un agricoltore per vivere e mangiare in maniera sana. Grazie.

MARCO LUCCHINI:
Ringrazio il Ministro. Credo che dopo questo Convegno, che credo abbia aperto, illuminato, provocato anche, io ho capito una cosa: che è una responsabilità personale, quella a cui siamo chiamati, non è un problema solo del Ministero, degli economisti, dei nutrizionisti, della filiera, è un problema personale, dove dobbiamo, come dire, a volte riprendere i criteri con cui guardare al bene nostro e al bene comune, perché solamente così possiamo costruire qualcosa di realmente sussidiario. Non possiamo aspettare che appunto la FAO risolva i problemi della fame, come non dobbiamo aspettarci che mio figlio possa crescere bene se non affrontando anche questo aspetto con un criterio che tenga conto di tutta la sua persona. Io vedo che in questo convegno abbiamo avuto modo di imparare, quindi tocca a ciascuno adesso ripartire e prendersi questa responsabilità. A questo punto buon appetito.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

28 Agosto 2009

Ora

11:15

Edizione

2009

Luogo

Sala Neri
Categoria
Incontri