DAL LIMITE ALL’INNOVAZIONE

In collaborazione con Unioncamere. Partecipano: Giorgio Oggianu, Presidente DigitAbile Spa; Sergio Sperotto, Amministratore Unico Seret Dimetior srl; Andrea Stella, Associazione Lo Spirito di Stella Onlus. Introduce Antonio Intiglietta, Presidente Ge.Fi.

 

ANTONIO INTIGLIETTA:
Buonasera a tutti, introduco brevemente questo nostro incontro che ha come titolo “Dal limite all’innovazione”. Senza indugiare, do subito la parola ai nostri relatori perché possiamo fare adesso, qui, insieme, l’esperienza di che cosa significa che la conoscenza è sempre un avvenimento. Le tre testimonianze sono veramente l’incontro con tre storie interessanti, che hanno molto da dire ad ognuno di noi. E do subito la parola a Sergio Sperotto, amministratore unico di Seret Dimetior srl.

SERGIO SPEROTTO:
Avrei bisogno del video per presentare meglio con le slide, così mi faccio capire più facilmente. Io sono Sergio Sperotto e la mia azienda si chiama Seret Dimetior. Seret vuol dire Sergio, Elena, Rebecca, Eduardo e Tommaso: la mia famiglia. Credo che questo sia un tratto abbastanza comune nel modo di gestire una azienda da parte di un imprenditore, penso soprattutto ai piccoli imprenditori, comunque preferisco nomi legati alla realtà e non alla fantasia. C’è una altra parola sotto che è Dimetior, che in latino vuol dire calcolare, misurare, tracciare. Me lo sono messo nel nome dell’azienda perché è importante tenere ben presente che cosa si fa alla mattina, quando ci si alza, e ricordarselo anche nel nome è molto utile, perché in definitiva quando ci si mette a lavorare, a compiere qualcosa, è molto importante tenere presente perché lo si fa e il livello di responsabilità che bisogna tenere, innanzitutto verso me stesso, poi verso la famiglia, i collaboratori e, a ruota, i fornitori, i clienti, tutto quello che si muove attorno all’azienda. Mettermelo nel nome mi aiuta perché un po’ ci si distrae tutti. Ecco, questa realtà si sviluppa all’interno di un capannone che è stato organizzato per realizzare quello che adesso andrò a spiegarvi per bene. Pero, è importante prima di tutto capire perché sono qui. Nella mia vita di artigiano ho sempre fatto il falegname, sempre, ormai da 25 anni. C’è stato una volta un incontro molto importante con una persona che si chiama Laura Belloni, una persona che è rimasta sulla sedia a rotelle per una vaccinazione andata male a quattro anni. Mi è capitato di fare le finestre a casa sua. Abbiamo chiacchierato un po’: mi raccontava che le avevano proposto di fare il tele-lavoro. Mi ha detto: “Se mi avessero proposto di prendere in mano una rivoltella e spararmi, sarebbe stato meglio”. Sono rimasto un po’ sorpreso: possibile? Se è cosi comodo, il tele-lavoro, non mi devo neanche muovere. E lei mi ha detto: “E’ proprio questo, il problema. Già io non mi posso muovere, se nemmeno per lavorare lo faccio, è una cosa veramente assurda!”. Queste parole mi sono rimaste in testa. Poi, essendo specializzato nella produzione di finestre, nel mio percorso professionale ho sempre cercato di avvicinarmi al tentativo di avere una finestra alla quale non è necessario fare manutenzione. E’ una cosa importante, vedrete nei passaggi successivi che cosa mi sono inventato per arrivare vicino a quello che volevo fare. Poi è successo un fatto storico, l’11 di settembre hanno tirato giù le Torri. La sera dopo, a tavola con mia moglie e i miei figli, ero colpito da questa cosa, perché non si può rimanere indifferenti, penso che tutti, più o meno, abbiamo sentito una scossa forte davanti a questo evento. Io mi sono detto: non si può andare avanti cosi, non bisogna pensare che la cultura di morte possa vincere, bisogna fare qualche cosa per la vita, bisogna fare qualche cosa per usare le nostre rotelle. Poi, le rotelle, le possiamo avere nella testa o, per le cause della vita, sotto le gambe, l’importante è utilizzarle. Secondo me è molto importante, determinante creare un legame fra i propri rapporti affettivi, nel senso profondo, e il lavoro. In questo modo, c’è una pienezza maggiore: però bisogna passare dal pensiero di quello che si deve fare alla realizzazione. Mi piace dire: non sogni, ma desideri. Perché i sogni, quando ci si alza la mattina, non si realizzano, sono finiti lì. Mi piace molto di più la parola desiderio, perché ci obbliga a lavorare, a muoverci per realizzarlo: ci chiede un lavoro. E un lavoro concepito non come un diritto, perché se concepiamo il lavoro solo come diritto tendiamo sempre di più ad arrampicarci sul Colosseo o sulle gru per averlo: e questo non è dignitoso. Il lavoro non è nemmeno concepibile solamente come un dovere perché, se il lavoro è concepito solo come dovere, ci avviciniamo allo schiavismo: e anche questo non va bene. Il lavoro va concepito come un bisogno. Allora mi sono detto: perché non allargare questo aspetto? Io ho sempre avuto dei dipendenti abili, ma perché non è possibile? A questo punto ho cominciato a pensare ad un prodotto che permettesse alle persone con disabilità, quindi alle persone che lavorano da sedute, di poter realizzare qualcosa che io avevo concepivo tecnicamente. Ho sempre fatto finestre e mi sono detto: vediamo di rinnovare la finestra. Vedete? Questa finestra ho avuto la fortuna di presentarla in questo ente della Regione Lombardia, che mi ha permesso di avere dei contatti per brevettarla: è una finestra molto particolare, perché rinnova completamente il concetto di finestra. La si può cambiare, vestire come si vuole. In falegnameria ne ho una esposta, che all’interno è vestita in tessuto, un‘altra in foglia d’oro, altre con materiali innovativi: si può cambiare loro il vestito di dentro e di fuori. C’è la parte centrale che è tecnologica, che tiene il vetro e tutti i sistemi di chiusura. Poi la si veste, la si copre come la cover di un cellulare. Quando siamo stanchi di averla così, la cambiamo. Ma non c’è solo questo aspetto: questa finestra è assemblata meccanicamente, quindi io non lavoro più con rettangoli ma con tanti elementi lineari, spezzando la finestra in tanti elementi. E non solo: ogni elemento è triplo, quindi diventano pezzi molto leggeri, facilmente manovrabili anche da una persona che ha poca forza fisica. La tecnologia ci ha aiutato. Dobbiamo pensare di collocare una finestra in modo diverso da come è pensata: questa finestra è concepita per diventare un prodotto di arredamento. E’ una finestra pensata per luoghi dove è necessario cambiare spesso immagine – pensate ad un ristorante -, o dove è possibile coordinarla magari con delle belle facciate sulla Laguna veneta, perché le finestre sono così grigie, immobili. Io l’ho pensata perché si muova come ci pare, quando vogliamo, quando dobbiamo, per fare la manutenzione o qualsiasi altra cosa. Per fare questo, ho cercato delle collaborazioni, perché da soli è un po’ difficile. Ho trovato l’aiuto di Biesse, una grande azienda che produce macchine per la lavorazione del legno. Lì ho scoperto che in definitiva la tecnologia c’era già tutta, non c’era bisogno di inventare macchine nuove, la tecnologia per costruire il serramento c’è già per servire un operatore seduto. Quando me l’hanno fatto vedere per la prima volta, ormai quattro o cinque anni fa, quasi non ci credevo, sembrava l’avessero inventato per me, perché poi questo progetto è durato molti anni. Questa è una macchina che prende il pezzo di legno, lo lavora in tutti le sue parti e lo restituisce all’operatore. Capiamo che la tecnologia ci ha permesso di avere un prodotto innovativo. L’unica cosa che abbiamo fatto di diverso è remotare i comandi: invece di avere il solito computer in alto, per far funzionare il controllo numerico, lo abbiamo messo su un tavolino a lato. Una cosa molto semplice, in realtà la tecnologia ci aiuterebbe molto più di quello che pensiamo. Un’altra azienda mi ha aiutato: nella slide vedete che la persona davanti allo schermo è in grado di gestire la programmazione. Per ora ho due persone disabili e quattro persone abili che lavorano in azienda, spero di averne molti di più in futuro. Il progetto è calibrato in modo che possano lavorare da noi quindici persone non abili e cinque persone abili. Ovviamente, sette per turno, perché è molto più probabile che la persona disabile lavori quattro ore invece delle otto della persona abile. Questi sono i miei collaboratori. Abbiamo lavorato ragionando con un piano industriale, che concepisce questo concetto. Perché, se non ci si pone con questa ottica nell’affrontare il lavoro, secondo me perdiamo un’infinità di possibilità. Vi racconto solo un episodio molto semplice, tanto per chiarire. Noi non abbiamo completato il funzionamento delle macchine da subito. Anche perché, avendo poche persone disabili che lavorano da noi, come facevo a capire bene cosa serviva per movimentare bene i pezzi da una macchina all’altra? Mi sono detto: piano, io devo anche imparare dai collaboratori che vengono da me. Potrei insegnare loro a fare delle finestre, ma qualche cosa devono pur darmela anche loro. Se non c’è uno scambio di questo tipo, siamo messi male, nel senso che il lavoro che faccio io e debbono fare i miei collaboratori è simile perché il lavoro è un fattore costitutivo del nostro umano. Se non concepiamo il lavoro come l’elemento che ci dà la possibilità di entrare in contatto con la realtà in una maniera a volte molto semplice ma anche, secondo me, molto profonda, siamo veramente impoveriti. Questo è il mio tentativo.

ANTONIO INTIGLIETTA:
Grazie. Adesso do subito la parola a Giorgio Oggianu, Presidente di DigitAbile Spa.

GIORGIO OGGIANU:
Buonasera, ringrazio gli organizzatori per avermi invitato a questa bellissima organizzazione che è il Meeting di Rimini. E’ il primo anno che vengo e credo che verrò anche nei prossimi anni. La DigitAbile Onlus è una cooperativa sociale di tipo B che si occupa di inserimento al lavoro di soggetti svantaggiati i quali, così come prevede la L. 381/1991, ne compongono la compagine societaria in misura superiore al 30%. DigitAbile Onlus nasce nel 2005 a seguito di un lungo e meditato percorso di spin off aziendale dalla cooperativa sociale Studio e Progetto 2, cooperativa di tipo A che si occupa di servizi di informazione ed orientamento professionale, rivolti in particolare ai giovani. Il percorso di spin off aziendale, avviato nell’aprile del 2004, ha visto coinvolti il consorzio CGM di Brescia, un’avviata cooperativa sociale di tipo B e i soci della già citata cooperativa “madre” Studio e Progetto 2, oltre a numerosi dirigenti comunali, assistenti sociali dei comuni, esperti nel settore delle nuove tecnologie e dell’informatica, archivisti, per un totale di oltre 50 persone che si sono impegnate, in gruppi di lavoro, ad approfondire da un lato gli aspetti valoriali e di governance della futura impresa e, dall’altro, gli aspetti tecnici legati all’analisi dei potenziali mercati (in termini normativi, dei potenziali competitors, delle fonti di finanziamento, ecc.). Gli elementi di fondo erano essenzialmente due, imprescindibili e compenetrati l’uno nell’altro: imprenditoriale e sociale. Attraverso il primo, fin dal 2004, si è potuto rilevare che la digitalizzazione ottica dei documenti poteva, così come oggi ben afferma anche il ministro Brunetta, costituire un settore di grande interesse e di sicura crescita. Attraverso il secondo, si è deciso di offrire nuove opportunità di lavoro ai soggetti che, per patologia, per abilità residue, per inclinazioni personali, non potessero o desiderassero (in base a un proprio progetto professionale) essere inseriti nei settori tradizionali della cooperazione sociale di tipo B. Tradizionalmente, infatti, in Sardegna, la cooperazione sociale di tipo B offre opportunità di inserimento in ambiti lavorativi qualificati ma limitati: in particolare, dalla manutenzione e gestione del verde alle pulizie, alla produzione di ceramica. Al fine di contribuire ad ampliare le possibilità di scelta, Digitabile decide, consapevolmente, di rompere gli schemi, ampliando le opportunità di inserimento mirato, offrendo occasioni “altre” e “ulteriori” di attuazione, per il soggetto in svantaggio, del proprio progetto personale e professionale. La missione della cooperativa sociale DigitAbile, infatti, è lavorare per costruire condizioni tali da far incontrare sistema produttivo e sistema dello svantaggio, costruendo o ri-costruendo quelle condizioni necessarie ed indispensabili a superare la complessità del gap esistente fra i due, mediante la progettazione di interventi personalizzati compatibili con le caratteristiche e con le capacità residue del soggetto inserito, nonché con lo specifico progetto di vita dello stesso. A tal fine, la cooperativa attiva percorsi – personalizzati e differenziati – articolati in tre tipologie di inserimento: inserimento sociale, inserimento socio lavorativo e inserimento lavorativo. Con particolare rifermento agli inserimenti lavorativi di fasce deboli (disabili fisici, sofferenti mentali, sofferenti intellettivi), scopo precipuo della cooperativa sociale DigitAbile è, quindi, operare inserimenti lavorativi tali da potersi definire “stabili e proficui”, in quanto e se rispondenti al progetto di vita, professionale oltre che personale, del beneficiario. Al fine di favorire l’emersione di tale rispondenza, un ruolo fondamentale è certamente svolto dalla costante attività di sostegno educativo, dalla formazione (sia teorica che tecnica) attivata, dalla promozione e condivisione dei valori legati alla cooperazione sociale e alla missione della cooperativa e dall’avvio di percorsi personalizzati di orientamento professionale. La cooperativa sociale DigitAbile, come citato, e proprio al fine di accompagnare il beneficiario in un percorso diretto all’emersione o costruzione del progetto personale, propone l’impiego di differenti strumenti orientativi, adottando una metodologia flessibile e, tuttavia, fortemente fondata sul bilancio delle competenze francese. La cooperativa, oltre agli appena descritti interventi diretti all’inserimento lavorativo in azienda, promuove, come sopra anticipato, interventi di inserimento socio-lavorativo, volti alla promozione delle capacità residue di beneficiari in particolare difficoltà, alla valorizzazione di tali capacità, allo sviluppo di nuove capacità e competenze in termini di sapere, saper fare e saper essere, alla elaborazione del progetto personale e professionale ai fini di un suo progressivo ed efficace inserimento lavorativo rispondente ai criteri di stabilità e proficuità sopradescritti. La cooperativa affonda le proprie radici nei principi ispiratori del movimento cooperativo mondiale ed in rapporto ad essi agisce: mutualità, solidarietà, democraticità, impegno, equilibrio delle responsabilità rispetto ai ruoli, spirito comunitario, legame con il territorio, un equilibrato rapporto con lo stato e le istituzioni pubbliche, la promozione umana guidano il pensare e l’agire dei soci. Le attività sviluppate in questi tre anni di operatività dalla DigitAbile riguardano i settori della digitalizzazione ottica dei documenti, della redazione di inventari comunali con etichettatura informatizzata, della gestione di archivi storici comunali. Recentemente la cooperativa ha sviluppato una piattaforma informatica che consente di poter adottare il telelavoro quale strumento sia per l’inserimento al lavoro dei soggetti svantaggiati (possibilità di lavorare a distanza nella fase di digitalizzazione e nella fase di data entry informatizzato) che per la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro di tutti i lavoratori, in particolare delle donne. Il ponte tra il limite e l’innovazione nella nostra cooperativa viene quindi vissuto e partecipato come una sfida possibile, sia rispetto alla crescita della persona, che rispetto al settore d’impresa scelto. Da un lato, la possibilità che le abilità residue dei soggetti svantaggiati, nonostante le limitazioni fisiche o cognitive, possano essere valorizzate e le persone incluse socialmente mediante un serio lavoro educativo e orientativo e, rispetto agli apprendimenti e acquisizione di competenze, attraverso la metodo della mediazione e dell’imparare facendo (Learning by Doing) in contesto lavorativo. Dall’altro, l’attività lavorativa di tutti i soci e dipendenti, svantaggiati e non, in settori fortemente innovativi sia sul piano del processo che del prodotto con garanzia per il committente di una qualità delle prestazioni e lavorazioni effettuate assolutamente simile alle prestazioni e lavorazioni delle imprese for profit. Tra le esperienze di innovazione compiute in questi tre anni e che mi piace ricordare, cito, in particolare, la partecipazione, quale capofila di una rete composta di professionisti, al primo importante progetto di promozione della domotica e ausili per il supporto ai soggetti diversamente abili che la Regione Sardegna ha bandito nel corso del 2008. Questa importante esperienza ci ha consentito: a) di approfondire le nostre competenze ed esperienze nell’adattamento delle abitazioni dei soggetti svantaggiati e nello sviluppo di progetti personalizzati capaci, con l’ausilio delle tecnologie, di assistere in maniera mirata e migliorare la qualità di vita dei beneficiari.
Ormai da più di venti anni si creano diversi tipi di ausili, hardware o software, capaci di fornire aiuto sia nel campo riabilitativo sia nell’accesso al computer. All’inizio gli ausili erano "rudimentali", semplici realizzazioni che lasciavano sperare nel futuro ma che non risolvevano definitivamente i problemi; oggi, gli ausili sono diventati apparecchiature o programmi sofisticati, in grado di risolvere con successo anche i problemi delle persone con gravi difficoltà. Ci sono, ad esempio, ausili in grado di controllare un intero appartamento – luci, televisione, porte, finestre o altro – e che permettono a disabili motori gravi di gestire autonomamente, in modo intelligente, la propria casa. b) di applicare i principi della domotica anche nelle attività ordinarie di promozione delle abilità dei colleghi inseriti. Così, ad esempio, il nostro Jacopo, persona affetta da sindrome di Down, grazie ad un intervento di tipo domotico di adattamento del posto di lavoro, ha potuto, con l’ausilio di una particolare tastiera, esercitarsi con un software nell’acquisizione e potenziamento dell’uso delle 10 dita nella digitazione sulla tastiera del PC senza la contestuale verifica della digitazione effettuata sulla stessa. Secondo gli studi più recenti, infatti, per i disabili cognitivi tastiere semplificate, schermi tattili e software didattici agevolano l’interazione con il PC e la riabilitazione.
In particolare, con riferimento alle tecnologie dell’informazione, noi riteniamo che esse possano contribuire a sostenere l’integrazione dei disabili nella società. Gli ausili mettono in grado le persone disabili di usare in completa autonomia un PC e riducono, anche se sicuramente non annullano, la loro disabilità. Questo determina un aumento di persone che possono svolgere una vita "normale" sia a livello scolastico che lavorativo. Spesso si tratta, infatti, soltanto di capire quale sia il posto giusto da assegnare in azienda ad una persona disabile che, se dotata degli opportuni strumenti, sarà in grado di svolgere correttamente le attività che le verranno assegnate. Ma se da un lato l’informatica e la telematica offrono moltissime possibilità di valorizzare persone disabili, esse stesse possono creare nuove barriere. Alcuni dei problemi che l’utente disabile incontra nell’utilizzo della tecnologia nascono dal fatto che i prodotti standard non tengono conto dei suoi bisogni speciali. Queste difficoltà possono evitarsi nello sviluppo del prodotto. Le limitazioni, infatti, non sono inerenti alla tecnologia, che è caratterizzata da un’enorme flessibilità, ma, paradossalmente, da mancate richieste poste alla tecnologia stessa. Le interfacce grafiche apparentemente così semplici possono diventare un grosso ostacolo per chi non può vedere la freccia del mouse muoversi sullo schermo. Per fare un esempio: un’icona sul desktop – che permette di aprire direttamente un documento di testo o di accedere alla rete senza bisogno di dare ulteriori comandi – sembra un apprezzabile passo avanti verso la semplificazione dell’uso del computer, ma può invece rappresentare un problema difficilmente superabile per chi non la vede e pertanto non riesce a selezionarla. Le nuove tecnologie possono migliorare la qualità della vita per le persone disabili solo se tali tecnologie sono sviluppate secondo quei criteri che permettono a tutti di utilizzarle. Gli individui affetti da disabilità visiva hanno problemi, per esempio, con le presentazioni multimediali, i caratteri troppo piccoli, i particolari contrasti di colore, le immagini troppo piccole. Poiché non esistono standard che definiscano le caratteristiche dei siti web, molti disabili della vista possono essere esclusi da siti potenzialmente loro utili a causa di un design non appropriato. Quanti sono affetti da problemi di mobilità fisica, anche gravi, come sclerosi multipla, paralisi o varie forme di artrite, possono incontrare difficoltà nel muovere il mouse o nell’usare una tastiera. Quanti sono deboli di udito o sordi hanno difficoltà a utilizzare video in rete, o sentire i suoni di avviso del computer. La tecnologia deve servire a migliorare la qualità della vita, non ad innalzare nuove barriere e nuovi steccati. Per fare in modo che sia uno strumento di integrazione sociale e di crescita democratica la cooperativa rispetta e mette in campo gli accorgimenti che permettono a chi ha particolari disabilità, di superare le proprie difficoltà senza incorrere in nuovi ostacoli. Occorre, poi distinguere tra persone con menomazione delle capacità intellettive e psicologiche, rispetto alle quali i problemi di accessibilità non sono quelli che, in senso stretto, si riferiscono alla pura operatività al computer, ma in senso lato quelli che riguardano la padronanza logica delle operazioni che si eseguono e persone con differenti deficit, per i quali, invece, il ricorso alla tecnologia informatica rappresenta una specie di protesi, ovvero uno strumento che consente di sopperire ad una funzione organica compromessa. In tal caso il criterio di valutazione è semplicemente quello della funzionalità, e dunque della sua accessibilità (fruibilità del dispositivo). Come tale, può essere direttamente accertato dall’utente finale, mentre altrettanto non si può dire nel caso del ritardo mentale. La differenza è importante: non è il disabile che si serve del computer (anche se apparentemente sembra sia così) né, tanto meno, che impara dal computer con maggiore o minore efficacia. E’ l’insegnante o il terapeuta che si serve di questo apparecchio per interagire didatticamente con la persona disabile. Per far questo egli deve tuttavia essere in grado di dominare la macchina, ovvero di gestirla e adattarla al proprio progetto didattico: obiettivi, contenuti, linguaggio, tempi, verifiche… Fondamentale diviene quindi, naturalmente, la scelta dei programmi e la loro modalità di somministrazione (ad esempio, un buon educatore/didatta deve sapere che i cambi di colore improvvisi, gli scatti, il refresh automatico, in alcuni soggetti, come le persone che soffrono di epilessia, possono provocare reazioni negative o addirittura delle crisi. Le persone che soffrono di disturbi epilettici, infatti, secondo le più recenti ricerche, sono insofferenti ai normali monitor: è bene che ricorrano, perciò, a schermi a cristalli liquidi. Questi schermi, però, consentono la visualizzazione delle immagini senza grandi varietà di colore, per lo più su scale di grigio, e permettono la visione su schermo con risoluzione non superiore a 800/600 pixel, più generalmente 640/480. Questo implica che un sito "accessibile" dovrebbe mantenere una dimensione delle pagine compatibile con queste risoluzioni). La nostra cooperativa pertanto impiega tecnologie diverse per soluzioni diverse. Come già sottolineato, infatti, è nostro principio peculiare personalizzare gli interventi. In questa logica si è inserita anche la elaborazione e l’operatività della piattaforma di telelavoro. Mediante la stessa i nostri soci possono lavorare da casa, anche in orari flessibili, conciliare i tempi di vita con quelli di lavoro, possono relazionarsi e rendersi produttivi anche a distanza: basti pensare che, oggi, grazie alle connessioni ad Internet, siamo in grado di collegarci da una sede ad un’altra – posta anche a molti chilometri di distanza – accendere un PC con un impulso a distanza e accedere, tramite accreditamento mediante user e password, ai programmi e lavori condivisi. Queste opportunità, studiate per i disabili, sono oggi estese ed applicate all’intera compagine sociale e rappresentano un modo nuovo di lavorare della cooperativa con i propri soci e committenti. Tutto ciò rispettando i bisogni di socialità e condivisione costante delle scelte societarie attraverso la convocazione costante di riunioni di coordinamento, di assemblee, di spazi di convivialità. Queste esperienze e queste idealità ci fanno dire che la nostra tensione all’innovazione e al cambiamento hanno favorito il superamento del “limite”. C’è ancora tanto da fare nella nostra realtà, sul piano culturale, economico, tecnologico, ma un ponte è stato creato e attraversato: la presa in carico della persona con handicap per la sua emancipazione e promozione nel rispetto della persona medesima e del suo Progetto personale e professionale. Da ciò la scelta di offrire nuove al territorio in cui operiamo nuove opportunità per l’inserimento sociale e lavorativo, proponendo inserimenti in settori fortemente innovativi ma sempre rispondenti al progetto di vita del diversamente abile e nell’ambito di una rete di collaborazioni con la famiglia, con organi istituzionali (AUSL, Servizi Sociali comunali, Centri per l’inserimento lavorativo dei soggetti svantaggiati delle Province…) e del privato (sociale e profit), capaci di co-progettare, talvolta co-gestire e garantire la bontà delle iniziative, mantenendo altresì la cooperativa competitiva sul mercato regionale a fronte del mantenimento del 52% di soggetti svantaggiati nella compagine sociale. Il coraggio di pensare che siamo tutti diversamente occupabili e che ognuno di noi ha delle abilità e capacità che, con peculiari metodologie di inserimento e di formazione in contesto lavorativo, possono condurre a valorizzare i beneficiari e renderli più collocabili sul mercato del lavoro e includendoli socialmente, rappresenta la vera innovazione che DigitAbile ritiene di aver apportato. Il limite viene, infatti, vissuto come l’avvio di un percorso, un punto di partenza per lavorare assieme alla persona e per la persona. L’innovazione di prodotto è solo lo strumento per raggiungere gli obiettivi fondamentali per cui DigitAbile opera nel settore sociale: la promozione umana, l’integrazione sociale e lo sviluppo del territorio; così come recita l’articolo 1 della L. n° 381/1991.

ANTONIO INTIGLIETTA:

Grazie. Adesso do la parola ad Andrea Stella che ci racconterà l’espressione e il punto da cui è nata l’associazione “Lo spirito di Stella Onlus”.

ANDREA STELLA:
Buongiorno a tutti. Grazie di questo invito al Meeting di Rimini, mi fa molto piacere. Io ho trentatré anni. Il 29 agosto del 2000 mi trovavo a Fort Lauderdale, in Florida, per un viaggio studio post laurea quando, in una strada privata situata in una zona della città apparentemente tranquilla, un individuo con il volto coperto, nel tentativo di rubarmi l’auto, mi ha sparato. Ho trascorso tre settimane in bilico tra la vita e la morte. Alla fine ce l’ho fatta, ma la diagnosi che mi hanno comunicato al risveglio dal coma è stata terribile e definitiva: paraplegia agli arti inferiori. Fino ad un mese prima la mia vita sembrava tracciata, mi ero laureato in giurisprudenza e avevo trovato lavoro in un noto studio legale di Padova. Prima di iniziare a lavorare, però, avevo deciso di recarmi all’estero per migliorare il mio inglese. Dopo questa esperienza, la mia vita è cambiata in modo drastico.
All’inizio è stata molto dura, ho fatto pensieri tremendi, ma poi, con il supporto e l’incoraggiamento dei miei genitori e della mia compagna di allora, sono riuscito a riprendermi e a superare il trauma. Un po’ alla volta sono riuscito a riprendere la mia vita, anche se nulla era più come prima. Fin da bambino mi era piaciuto navigare, ma scoprii che in carrozzina era impossibile: non esistevano barche accessibili. Tra le tante difficoltà che ho dovuto affrontare, scoprire che avrei dovuto abbandonare per sempre un’attività che amavo fu molto scoraggiante per il mio spirito. Tra i numerosi “mai” che ho dovuto accettare, quel “mai più” per me fu insostenibile. Io e mio padre decidemmo di risolvere il problema e così, con l’aiuto della mia famiglia, ho realizzato un catamarano completamente accessibile, dove anche le persone in carrozzina possono muoversi senza problemi. Abbiamo studiato gli spazi esterni ed interni in base alle esigenze di movimento della sedia a rotelle. I risultati sono stati sorprendenti: il catamarano “Lo Spirito di Stella” si è dimostrato più funzionale rispetto ai catamarani tradizionali e, oltretutto, dal punto di vista estetico, non ha nulla da invidiare alle altre imbarcazioni, anzi. Sulla barca, per la prima volta dopo l’incidente, mi sono sentito libero e indipendente. A questo punto avrei potuto tenere per me la barca e utilizzarla quando avevo voglia di una vacanza o di rilassarmi un po’… Ma mi sembrava una scelta ingiusta: anche altre persone con le mie stesse difficoltà potevano e dovevano provare quelle sensazioni. E’ nata così, nel 2003, l’associazione Onlus “Lo Spirito di Stella”. Nel 2004 sono tornato a Miami a bordo del catamarano, con alcuni amici disabili e campioni della vela quali Giovanni Soldini e Mauro Pelaschier. “E’ stato più facile attraversare l’Oceano in barca che Milano con l’autobus!”, è stato il pensiero che è sorto in me dopo la traversata e questa considerazione non mi ha più abbandonato. Così ho cominciato a ragionare sul fatto che se si può rendere accessibile una barca, lo si può fare anche con una casa o un autobus o persino con un’intera città! Alla volontà di permettere alle persone disabili di trascorrere una giornata a bordo della barca, si è sommata quella di diffondere una nuova cultura progettuale che
porti beneficio a tutti, e non solo alle persone disabili. L’Associazione “Lo Spirito di Stella” si pone numerosi obiettivi: la promozione di una nuova progettualità a beneficio di tutti, la divulgazione dello sport per le persone disabili, la promozione di iniziative di carattere sociale, in ambito sportivo e non solo. Tornando al catamarano, il primo al mondo completamente senza barriere, vediamo quali sono i suoi punti di forza. La decisione di scegliere un catamarano per sviluppare il progetto, è dovuta al fatto che il multiscafo, a differenza delle imbarcazioni a scafo singolo, comporta un’inclinazione ridotta dell’imbarcazione (massimo 4/5°) ed è quindi ottimale per ospitare persone in carrozzina.
Il primo punto da affrontare è stato quello di adattare gli spazi in modo da ospitare in maniera funzionale le carrozzine. Ho effettuato una ricerca a livello mondiale sulle dimensioni delle carrozzine, scoprendo che arrivano al massimo a 68/69 cm di larghezza: quindi, la prima operazione è stata quella di portare tutte le larghezze alla dimensione di 71 cm. La stessa misura è stata utilizzata per posizionare pulsanti e tasti in modo che anche persone con diversi problemi di disabilità potessero raggiungerli. L’altro punto era quello di creare una minor differenziale tra la dinette (parte centrale) e il pozzetto (parte a poppa). Si è intervenuti riducendo il differenziale di base e poi, al fine di gestire il passaggio della carrozzina tra una zona e l’altra, si è installata la pedana mobile che quando abbassata consente un dislivello minimo tra le due zone e quando è rialzata permette di creare il piano originario del pozzetto garantendo il completo utilizzo di tale parte (es. per poggiare le sedie attorno al tavolo). L’altro studio è stato quello effettuato sulla dinette: anche questa è stata studiata in maniera funzionale alle esigenze delle persona in carrozzina. E’ stato installato un montacarichi interno a scomparsa che consente di portare la carrozzina dalla dinette alle cabine e viceversa. La parte dove si è raggiunto un risultato eccezionale è stata quella delle cabine realizzate negli scafi. Le due a poppa sono state rese accessibili mediante uno studio preciso delle dinamiche di movimento delle carrozzine arrivando a realizzarle dotate di due bagni accessibili. Lo spazio è minimo, ben inferiore alle misure che ad esempio prevede la legge che disciplina la realizzazione dei servizi igienici accessibili nei locali pubblici, ma sufficiente perché un disabile in carrozzina possa autonomamente accedervi ed utilizzare la cabina e i servizi. Da questo si capisce che la realizzazione dei servizi igienici accessibili nei locali pubblici può avvenire anche se l’edificio non dispone degli enormi spazi chiesti dalla citata normativa. Ecco quindi che, applicando questo studio, molti locali potrebbero adattare minimamente l’esistente (a volte basta cambiare il senso di apertura della porta, il lavoro di un’ora di un falegname) per rendere accessibili i servizi. L’accesso all’imbarcazione avviene poi sul lato destro della barca sempre in orizzontale e pertanto non è necessario che ci sia un montacarichi esterno, che peraltro sfuggirebbe alla logica stessa con cui è stata concepita l’imbarcazione. Si è cercato infatti di non creare delle barriere psicologiche dal punto di vista visivo e quindi l’estetica del catamarano è rimasta integra (senza ausili particolari e senza maniglie che solitamente si vedono nei luoghi attrezzati per i disabili). Questi adattamenti hanno portato ad un miglioramento generale del confort e ad un aumento degli spazi (è stato ricavato un bagno in più rispetto al catamarano standard). L’Associazione porta avanti numerose attività tra cui: scuola vela gratuita per persone con difficoltà motorie, seminari nelle principali facoltà italiane di progettazione per trasmettere la filosofia progettuale di “Design for all” che ha ispirato il catamarano, un concorso di idee denominato “Progettare e realizzare per tutti”, attività culturali per ragazzi nelle scuole d’Italia. L’esperienza progettuale pensata per il mare, inoltre, verrà trasferita in un contesto abitativo, che verrà realizzato a fine anno a Bassano del Grappa.

ANTONIO INTIGLIETTA:
Grazie a te. Mi permetto di concludere questo interessante incontro dicendo tre cose che personalmente mi hanno colpito dalle testimonianze che abbiamo sentito. Voglio però
partire da una mostra che ho visto prima di questo incontro, la storia dei nostri amici napoletani nel quartiere Sanità. Alla conclusione di questa bellissima storia, tra le tante parole importanti ce n’è una che dicono, uno slogan: “Paion traversie, eppure sono opportunità”. È impressionante, perché si può stare davanti a quello che capita, a quello che accade, che probabilmente noi non abbiamo programmato, non abbiamo pensato – la vita è fatta di cose che capitano e accadono, che noi non abbiamo pensato, che noi non abbiamo programmato – anche dimenticandole; potremmo stare davanti a quello che ci capita sopportandolo o potremmo prendere sul serio quel che ci capita, cercando di capire che senso ha, che significato ha. Le testimonianze che abbiamo sentito sono di persone che hanno preso sul serio quello che capita, anche cose drammatiche, cose che capitano e che nessuno mai vorrebbe che capitassero, e che diventano opportunità. Una vita che rinasce, una vita che riprende. Qual è la condizione essenziale perché quello che capita non scivoli via ma diventi un’opportunità? Che noi prendiamo sul serio quello che avviene, e domandiamo perché, e lo viviamo fino in fondo, non lo lasciamo scivolare via. Ma la seconda cosa importante è che si può affrontare la vita se si parte da un positivo, non se si parte da un’immaginazione, non se si parte da un sogno. Quale positivo? Qual è il positivo? Riconoscere di essere amati. Impressionante, perché le storie di cui abbiamo sentito partono da persone che riconoscono di essere amati. Non si può riprendere la vita se non si capisce che la vita ci è stata data, che c’è qualcuno che ci ama, che ci vuole bene. Se ci pensate, l’io riprende solo se fa quest’esperienza. Riprende, riscopre una possibilità, quando fa l’esperienza di essere amato, di essere riconosciuto per quello che è, non per quello che vorrebbe essere. E allora lì riparte. Un terzo fattore, bellissimo: riparte una capacità di creare, di agire, di costruire, per il bene proprio e per il bene di tutti. E questo è l’esempio evidente, dalla costruzione delle finestre all’immaginazione di creare un lavoro che è disegnato sul singolo bisogno delle persone. Oppure, che la possibilità di costruire una barca, in cui è possibile riprendere una vita e un’attività, possa diventare un modello, un metodo con cui ricostruire una città, una casa. Cioè, una condizione per cui rispondo al bisogno di chi ha il mio stesso bisogno, risponde in verità al bisogno di tutti, no? Rende possibile a tutti di vivere meglio. Allora si usa la propria creatività, le tecnologie, gli spunti e le opportunità, per il bene proprio e per il bene di tutti. Ecco, mi sembra che queste storie ci introducano in un modo di stare davanti alla vita. Io vado via tenendo presente le loro storie, perché mi insegnano come stare davanti alla vita: paion traversie, eppure sono opportunità. Spero che queste testimonianze possano essere l’opportunità per ognuno di noi per affrontare la vita, non immaginando come dovrebbe essere ma affrontandola per quello che è, e vivendola fino in fondo in un’ipotesi positiva, perché costruisca la nostra umanità, il nostro bene. E costruendo il nostro bene,costruisca il bene di tutti. Grazie.

Data

26 Agosto 2009

Ora

19:00

Edizione

2009

Luogo

Sala Tiglio A6
Categoria
Focus