Il nuovo Areopago

Incontro di presentazione della rivista. Hanno partecipato: Stanislaw Grygiel, Docente di Antropologia Filosofica all’Istituto per la Famiglia Giovanni Paolo II, presso l’Università Lateranense di Roma; Francesco Ricci, Redattore della rivista "Il Nuovo Areopago"; Rocco Buttiglione, Docente di Filosofia della Politica all’Università di Urbino

 


FRANCESCO RICCI

Diamo subito la parola al Sig. Stanislao Grygiel di cui sicuramente alla maggior parte di voi non è necessaria la presentazione e quelli che ancora non lo conoscono lo conosceranno nel corso di questo incontro. Prego.

Prof. STANISLAW GRYGIEL
Parlerò brevemente, perchè tutto ciò che ho da dire l’ho già detto e scritto in questo piccolo articolo, sul perchè del «Nuovo Areopago».
Aggiungerò solo alcune idee.
Questa rivista, cioè il «Nuovo Areopago», è nata dall’incontro di amici che nella dimensione sociale che è l’amicizia hanno sentito il bisogno di essere se stessi, ancor più se stessi, come l’uomo può diventare se stesso solo nel dialogo è ciò che ci hanno insegnato Socrate, Platone, Hubert, Marxselle e soprattutto Cristo. Abbiamo deciso di creare una rivista, che potrebbe servire nella dimensione sociale a diventare più se stessi, dato che siamo tutti cristiani. La redazione è composta da tanti europei, ma tutti cristiani; per noi, modello del dialogo è la Trinità.
La strada verso questo modello redentore che è la Trinità passa attraverso la croce, la resurrezione; così l’uomo viene reso sacro; da qui anche ‘sacrificium’, fare sacro, rendere qualcuno sacro.
Con questa proposta, con questo amore all’uomo che si vuole rendere più sacro, andiamo verso gli altri. Non è una proposta politica, ma sappiamo tutti che nessun’altra realtà ha inciso sulla politica come la croce e la resurrezione.
Nonostante tutto, ripeto, non vogliamo dare delle risposte politiche, vogliamo dare anche questa proposta, per facilitare l’incarnazione della fede cristiana nell’uomo e nella cultura. Allora, è una proposta culturale, è una preparazione della terra per l’incarnazione nell’uomo dell’uomo pieno, compiuto.
Facciamo questa proposta nell’Europa, e volendo fare il dialogo dobbiamo prima sapere bene chi siamo come europei.

Perciò vogliamo approfondire la nostra realtà culturale europea Nel dialogo ci sono sempre i patti, ma il criterio sarà la capacità di accettare questa proposta dell’uomo così grande e così sacro, se le proposte che noi incontriamo in Europa e nel mondo creano uno spazio abbastanza grande per un uomo così, per una tale, grande proposta.
Se una proposta culturale non crea uno spazio così grande per la proposta cristiana (che crea anche la cultura speciale, singolare, particolare), allora è una prova che non è innamorata dell’uomo, non è umanistica, non ama l’uomo.

Nell’incontro, nel dialogo che noi vogliamo fare, le altre proposte saranno senza dubbio verificate, se creano questo spazio per l’uomo, se lo amano o no.
Sono tante le proposte oggi, ma pare che non diano questo spazio per l’uomo, queste proposte sono abbastanza pigre, creano una civiltà della pigrizia, non lavorano per l’uomo, non lo rendono sacro.
Il primo incontro tra questa proposta cristiana e le altre proposte, che cultura ha?
E avvenuto in Grecia, quando San Paolo ha incontrato sull’Areopago gli scienziati, i saggi greci, e quando ha annunciato loro il Vangelo, cioè quando ha cercato di far loro vedere l’uomo così grande, così sacro, l’uomo crocifisso e risorto.

Sappiamo tutti come è finito questo incontro, ma noi vogliamo seguire San Paolo e vogliamo correre anche noi il rischio di finire così come è finito l’incontro in Grecia di San Paolo.
Oggi, nel mondo e in Europa ci sono tante colline di Ares, Areopaghi, e vogliamo salire su queste colline. Ognuno di noi è una collina di Ares, dove si incontrano diverse proposte, e noi vogliamo portare la proposta cristiana dell’uomo crocifisso e risorto, dell’uomo sacro, in un confronto con le altre proposte, che abbastanza spesso riducono l’uomo ad un oggetto che si può manipolare e si manipola nella politica, nell’economia, nelle scienze, ecc, ecc…

Vogliamo essere l’occasione di una scintilla, vogliamo creare una scintilla che potrebbe dare la luce proprio su queste colline di Ares che siamo noi stessi. E tutto, grazie.

Prof. FRANCESCO RICCI
Diamo la parola adesso al Professor Buttiglione

Prof. ROCCO BUTTIGLIONE
Il professor Grygiel all’inizio del suo intervento diceva che questa rivista nasce da un incontro. Quando io sento la parola incontro, sempre mi ricordo la prima pagina del libro di Grygiel professore e amico, amico mio e amico di molti fra di noi qui, la prima pagina de «L’uomo visto dalla Vistola», dove dice che colui che mai nella sua vita ha fatto l’esperienza di un’incontro, di un’incontro vero, lascia questo mondo, senza in realtà mai aver saputo cosa significa vivere, senza in realtà mai aver conosciuto il sapore autentico della vita.
E io credo che sia questa l’intuizione culturale fondamentale, questa dell’incontro, da cui nasce la rivista, e da cui nasce forse anche tutto questo Meeting.

Cosa significa questa intuizione?
Significa che la persona, l’uomo, si accorge di se stesso nell’incontro con un altro; è dentro uno sguardo carico di amore, che è rivolto su di me, che mi si svela la ricchezza della mia persona.
E allora la pienezza dell’esistenza personale, usiamo questa parola, è la «comunità», perchè la persona vive nella pienezza del suo esistere personale solo nella comunità, la comunità che è generata in un’incontro, dalla comunità più piccola che è la famiglia, fino alla più grande che è l’umanità intera.
E un incontro, proprio per questo, impegna ad una fedeltà e ad una ricerca; mi è apparso qualche cosa a cui devo essere fedele, mi è apparso un volto vero della mia umanità che non devo dimenticare, che deve rimanere e maturare nella mia memoria.

E questa è una regola, una regola etica. Ci sono cose che non posso più fare dopo quello che ci è accaduto, lo dice anche San Paolo: poichè siete diventati templi dello spirito, dopo che lo spirito ha cominciato ad abitare in voi a causa dell’incontro con Cristo che vi ha fatti Cristiani non potete più essere come prima, non vi è più lecito; è l’impegno ad una fedeltà, ed è anche l’impegno ad una ricerca, l’impegno ad un esercizio acuto dell’intelligenza, per renderci conto di quello che ci è capitato.
Questa è la cosa più difficile. Noi viviamo in un’epoca che pretende di fondarsi sull’esercizio della ragione, ma è un’epoca che ha perduto il punto di riferimento autentico della ragione che è l’incontro.
La ragione, come semplice capacità di calcolo, non produce verità, non sa dirmi se è bene uccidere o salvare la vita di chi mi è nemico, non sa dirmi se è bene la violenza o la pace, non sa dirmi nemmeno se la guerra atomica sia un bene o un male per l’umanità, perchè il bene ed il male alla ragione intesa come pura capacità di calcolo sono totalmente estranei.

La nostra epoca è dominata da questo tipo di ragione che aumenta infinitamente la potenza dell’uomo, il sapere su puri oggetti, una pura capacità di calcolo che fa crescere senza limiti il potere, ma che non sa dirmi qual è il fine a cui devo tendere.
Dice un grande poeta che io sento molto vicino all’impresa del «Nuovo Areopago», Thomas Stearns Eiliot, che mille poliziotti che dirigono il traffico non ti possono dire nè da dove vieni, nè dove devi andare.
Il «da dove vieni» e «il dove devi andare» le certezze esistenziali fondamentali che ali mentano la cultura, avvengono in un incontro, nascono in un incontro.
Questo è ciò che ognuno di noi sperimenta nella sua vita individuale, ma ciò è vero anche nelle nazioni, ed è vero anche della umanità intera.
L’incontro di Socrate con i suoi discepoli fa apparire alcune evidenze della cultura, di cui vive fino ad oggi l’intera civiltà occidentale.
E l’incontro dell’uomo con Cristo fa apparire alcune evidenze della storia, le quali resta no come il punto di riferimento di qualunque esercizio umanistico della ragione; una ragione che vuole rompere con quelle certezze è una ragione che si autodistrugge, che si suicida.
L’opera forse più bella della cultura moderna, che è quella anche che segna la sua morte, credo che sia «la dialettica dell’Illuminismo», di Horkeimer e Adorno, che conclude appunto in questo: l’illuminismo che ha tagliato la radice con quelle originarie certezze finisce con il suicidio della ragione. La ragione che ha perso la sua radice in quelle certezze che nascono dall’incontro è una ragione che non ha più nulla da dire all’uomo; di ciò di cui non è possibile parlare bisogna tacere, (dice Wittgenstein) nel linguaggio formalizzato di una logica se parata dalla vita si deve tacere, ma ciò di cui non si può parlare sono le cose che veramente importano all’uomo: il destino, il senso della vita, l’amore, l’amicizia, la nascita, la morte.
Ecco, credo che questo definisca l’apertura di questa rivista, la rivista di una cultura che nasce da un’incontro, che ripercorre l’itinerario degli incontri che hanno costruito l’ethos dell’uomo europeo: Cristo, Socrate, San Benedetto, i santi che hanno fatto l’Europa, tutta questa storia; ultimamente nei mille incontri con l’uomo, le mille facce di quell’incontro con Dio che è la storia è anche una rivista che è capace di incontri, che non è chiusa a nessuno, perchè mentre ripercorre l’itinerario degli incontri che hanno costruito l’uomo europeo è continuamente aperta ad incontri nuovi.

E anche l’uomo che nega la storia, anche l’uomo che nega la tradizione, anche l’uomo più isolato, più perduto quando vive un incontro vero entra nella sfera della cultura.
Anche l’uomo che più ci è nemico, se riusciamo ad incontrarlo vede generarsi in sè e nel rapporto con noi un ethos, una dimora spirituale, che lo impegna ad una fedeltà, e fa nascere un dialogo, e crea nuova cultura, nuovi accessi all’unica casa della cultura dell’uomo.
Per questo una rivista che ha una sua identità è una rivista che è aperta ad ogni incontro, ad ogni incontro con chi fuori dall’ideologia, fuori dalla pretesa che una logica astratta, separata dall’incontro umano, sappia dire la verità, fuori da questa pretesa ha passione per l’uomo, ed ha amore per la verità; aperta a tutti quelli che vogliono vivere un incontro, ed impegnarsi alla fedeltà al valore che in questo incontro si manifesta.

Prof. FRANCESCO RICCI

L’amicizia che nasce dall’incontro di cui hanno parlato Grygiel e Buttiglione nel caso nostro ha una propria storia, che io vorrei per un momento raccontare, non solo per rievocare un passato o spiegare come è nata la rivista, ma in un certo senso per rivelarne il progetto. Infatti la rivista è nata da una amicizia che non coincide con l’idea della rivista, ma che risale ad almeno tre lustri, da quando cioè per un insieme abbastanza fortuito di circostanze ci è accaduto di cominciare a vivere una avventura umana e culturale che ci ha fatto scoprire un’Europa sconosciuta, l’Europa come continente sconosciuto.
Mi riferisco soprattutto a quell’aspetto della vicenda di questi ultimi 15 anni, che ci ha permesso di vivere una serie significativa di incontri in quel mondo, in quella realtà, in quel la parte del continente Europa che passa sotto il nome di Europa dell’Est, che quindici anni fa almeno era una formula pietosa per dire una cosa piuttosto violenta, piuttosto barbarica.

Perchè allora Europa dell’Est voleva sostanzialmente dire Europa del nulla, o almeno Europa della seconda classe.
L’avventura di questi tre lustri di incontri ci ha invece consentito la soprendente scoperta di una realtà di pensiero e di azione straordinariamente vicina all’uomo, straordinaria mente sensibile all’uomo e al suo problema umano e anche straordinariamente responsabile verso l’uomo e verso la sua umana esigenza
E questo è stato il primo risultato dell’avventura, la prima preda di questa caccia, per cos’1 dire: quello di accorgerci che esistevano luoghi abitati da persone, da uomini i quali possedevano davvero una dignità culturale che li faceva cittadini a pieno diritto dell’Europa vera, dell’Europa reale.
Ci ha liberato così da una falsa immagine dell’Europa e ci ha permesso di scoprire noi stessi, l’immagine integra dell’Europa coerente con la propria origine, con la propria storia.

Questo è stato il principio, l’inizio della composizione, ai nostri occhi, alla nostra coscienza, di una possibilità di unità de che andasse oltre la divisione, che andasse oltre la separazione, che andasse oltre la non conoscenza, che andasse oltre, a volte, la tentazione della non considerazione o forse addirittura del non rispetto, del disprezzo, e facesse di nuovo tornare possibile a una impresa umana tentare la costruzione di un’Europa e di una cultura europea che svolgesse coerentemente il progetto implicato nell’origine stessa dell’Europa.
Nel fare questa scoperta è anche accaduto qualche cosa che ci ha sorpreso, qualcos’altro: il fatto cioè che si potesse cominciare a pensare che quando si parlava della cultura europea non si dovesse per forza e solo parlare della crisi della cultura europea, e forse addirittura si potesse evitare di finire con l’identificare la crisi della cultura europea con una specie di inevitabile, inesorabile, distruttrice cultura della crisi; che invece in questa Europa comprensiva della realtà scoperta di questi luoghi, realmente e dignitosamente appartenenti all’Europa delle origini, del progetto e della promessa, fosse possibile scoprire una cultura positiva che, in forza di quell’assunzione di una responsabilità verso l’uomo, fosse capace di ridare alla cultura europea non solo il destino negativo di una cultura della crisi, ma di nuovo la capacità e la dignità di una cultura della proposta e di una cultura della speranza per l’uomo.

Di qui è nato il progetto, è nata l’intuizione, l’idea se volete, di una rivista che fosse una proposta di unità e di dignità per la cultura europea.
La proposta la si poteva formulare in sede teorica e la dignità la si poteva conquistare at traverso la qualità del prodotto. Si è pensato invece di presentarsi molto più poveramente sulla scena, non facendo leva su una capacità teorica o su una capacità che si potrebbe dire politica, quanto invece facendo leva proprio su questo avvenimento elementare, fondamentalmente umano che stavamo già vivendo.
Chi siamo noi per potere parlare di una proposta alla cultura europea, chi siamo noi?
E la risposta era semplice siamo questi uomini che al di là delle divisioni hanno cominciato a vivere una concreta amicizia, una esperienza dell’unità, e siamo uomini che hanno già cominciato nella spartizione, nella condivisione dei contenuti della loro esperienza umana, a diventare consapevoli che questi contenuti vissuti e condivisi all’interno della nostra amicizia posseggono la dignità di una possibilità di proposta, che va oltre le nostre persone e che può raggiungere altri e destare o ridestare la speranza, l’entusiasmo e più ancora l’iniziativa di altri.
E questo ha fatto sì che così, senza rispettare nessuna delle leggi tradizionali, delle leggi del mercato, delle leggi della composizione dei gruppi di pressione intellettuale, si cominciasse un po’ alla garibaldina, come si usa dire in Italia, un po’ così, allo sbaraglio, con molto senso di avventura, la pubblicazione di questa rivista, che oggi è messa a disposizione di tutti coloro i quali vogliono entrare nel cerchio di questa amicizia, entrare nell’avvenimento di questa unità e respirare la libertà di questa dignità dell’uomo e in particolare di questa dignità dell’uomo europeo, che ritrova la coscienza della propria identità e perciò ritrova la capacità di proposta della propria esperienza e della propria cultura.

La rivista è nata cosi con un primo approssimativo abbozzo; il primo anno, come avete potuto vedere, prevede (ed, è già pubblicato) dei numeri monografici su alcuni temi chiave. Abbiamo pensato come primo gesto, come primo momento, a una riflessione sulle radici dell’Europa era necessario ripensare alle nostre origini e rivisitarle, non come si visitano i musei, non come si visitano i monumenti, ma come un uomo ritorna alla propria nascita per ritornare ad essere consapevole della propria identità e del proprio destino, della propria vocazione; e insieme abbiamo pensato di percorrere i tratti fondamentali di questa memoria storica a cui praticamente è dedicato tutto il primo anno, perchè mi pare che anche io stesso secondo numero, dedicato alla scienza, appartenga come ad una rivisitazione della nostra realtà, della nostra identità, della nostra storia, perchè proprio fede e scienza fin dalle origini dell’Europa, la dimensione religiosa del mistero, la dimensione della conoscenza della realtà, della conoscenza empirica della realtà, costituiscono uno degli elementi fondanti dell’identità dell’uomo europeo.
I prossimi numeri continueranno questo lavoro per la memoria, questo lavoro della me moria; il terzo numero sarà dedicato agli archetipi, ai tratti esemplari della fisionomia fonda mentale dell’uomo europeo, nei personaggi della creazione poetica, letteraria, artistica, mentre il quarto numero sarà dedicato agli archetipi storici, cioè ai personaggi reali attraverso quali l’uomo europeo ha conosciuto se stesso, è diventato padrone della propria identità, si è come maturato ed è cresciuto nell’autocoscienza e nella sua capacità di rapporto, di dialogo, di nesso con la realtà.

Il primo anno dunque è come l’anno della memoria, Il secondo anno è in fase di gestazione, comunque vedrà ancora una serie di numeri, i quali avranno proprio come obiettivo quello di approfondire ulteriormente quest’autocoscienza dell’uomo europeo ripercorrendo alcune tappe fondamentali della costituzione di questa identità, i processi, naturalmente con le loro crisi e con le loro speranze, attraverso cui si è formato l’uomo europeo e si sono formate le nazioni europee.
Il primo numero del prossimo anno legherà idealmente il discorso svolto nel primo anno con quello che si continuerà a svolgere e che sarà dedicato ai santi. Non è infatti possibile pensare alla realtà dell’Europa senza leggerla attraverso l’esperienza degli uomini della santità, degli uomini che hanno vissuto tutto lo slancio della speranza che nasce dalle radici della fede e che rende l’uomo capace di quel rapporto realissimo con la realtà che è la carità.

Di qui poi il discorso procederà ulteriormente, ed io non anticipo un progetto dell’anno prossimo — ancora in fase di discussione in redazione — ma non mancheranno le occasioni per comunicar Certamente, noi pensiamo a questa pubblicazione come ad un dono, come a un regalo, non un’eredità (perchè grazie a Dio siamo ancora vivi e vegeti tutti, chi più giovane e chi meno), ma quell’idea di trasmissione, di tradizione che c’è nel passaggio dal padre al figlio di una ricchezza accumulata, questo mi pare essere il significato della rivista. La rivista intende mettere a disposizione di tutti il patrimonio di un contenuto che è nato, vive, e continuamente si arricchisce nell’uomo vivo, di questa amicizia di cui hanno parlato Stanislao e Rocco, e nel dialogo di questa amicizia, che si va nello stesso tempo approfondendo e dilatando. In questo senso la rivista intende essere innanzitutto uno strumento, un’occasione, uno spunto, per allargare la dimora di questo dialogo, per convocare ed aggregare altri; per cui è pensata come una conversazione familiare, domestica, a cui si invita ed in cui ciascuno della casa, ciascuno della famiglia, è come invitato a dire la sua esperienza, ad entrare nel dialogo. Idealmente, la rivista è come un campanello, un biglietto di invito, per convocare una riunione di famiglia (come la chiamerebbe Eliot) in cui ci si parla delle proprie esperienze, dei propri incontri, si entra nel dialogo con la ricchezza del proprio contenuto umano e si arricchisce ulteriormente il contenuto comune. Questo potrà anche voler dire delle proposte concrete di lavoro attorno alla rivista. La rivista non vorrebbe limitarsi ad essere letta e trattata come un contenuto teorico, che può essere assimilato per la via dell’intelligenza astratta, della conoscenza intellettuale; vuole piuttosto essere considerata come una presenza discorsiva di amici (insisto su questo tema) che vogliono entrare, che pretendono, che hanno la presunzione di entrare nella sfera umana e di stabilire un dialogo reale.
In questo senso, la rivista appartiene per sua intrinseca genesi e per sua consapevole intenzione, ad un avvenimento globale di aggregazione, di movimento, dentro cui la rivista vuole essere come il catalizzatore di avvenimento di movimento, dentro cui la rivista vuole essere come il catalizzatore di un avvenimento più grande, del significato di questo avvenimento che si vive, di questa realtà umana di novità, di speranza, di promessa, che si sta vi vendo. Entra perciò profondamente nella stessa dinamica di vita e di cultura a cui appartiene il Meeting, e di cui il Meeting è un momento forte, un momento anche emblematico.

Data

27 Agosto 1982

Ora

11:00

Edizione

1982

Luogo

Auditorium A1
Categoria
Incontri