UNA VITA FELICE PER DIO E PER IL RE. L’AVVENTURA QUOTIDIANA NELLE RIDUZIONI DEL PARAGUAY

Presentazione della mostra. Partecipano: Aldo Trento, Missionario e curatore della mostra; Luis Federico Franco Gómez, Vice Presidente della Repubblica del Paraguay; Darko Sustersic, Professore all’Università di Buenos Aires. Introduce Jesus Carrascosa, Membro del Consiglio di Presidenza di Comunione e Liberazione. In occasione dell’incontro intervento di saluto di Liz Cramer, Ministro del Turismo della Repubblica del Paraguay.

 

JESUS CARRASCOSA:
Buonasera, ho il piacere di presentare una cosa dall’immenso valore storico: le riduzioni del Paraguay, un’opera che sono riusciti a farci dimenticare ma che è indimenticabile. La memoria storica è la forza di un popolo: perciò chi vuole distruggere un popolo deve far fuori la sua memoria. C’è qualcosa di peggio che perdere la memoria storica. E’ accettare la versione del nemico, accettarla come propria, sommessamente. Oggi presentiamo l’opera in due volumi di padre Aldo, che è accompagnato da grandi amici, personalità politicamente rilevanti come il Ministro del Turismo e il Vice Presidente del governo. Li ringrazio tantissimo e sono felice, conoscendo padre Aldo da tanti anni, della compagnia che gli hanno fatto e dell’aiuto che gli hanno prestato.
Cedo la parola in primo luogo al Vice Presidente del governo, Luis Federico Franco Gómez, un importante medico chirurgo che ha fatto un grande percorso nella medicina e la cui dimensione ideale, la cosa che più amo delle persone, ho potuto intuire leggendo il suo curriculum e scoprendo che ha iniziato la vita politica a quattordici anni, iscrivendosi nel partito del PRL. Gli cedo subito la parola.

LUIS FEDERICO FRANCO GÓMEZ:
Grazie e buon pomeriggio a tutti. Cari amici, autorità, per me è veramente un piacere condividere assieme a voi questo momento. Il Paraguay è un piccolo paese che si trova nel cuore dell’America del sud. Da lì siamo arrivati con una doppia finalità: in primo luogo ribadire, ratificare il nostro impegno a favore dell’acculturamento e dello sviluppo del popolo Guaranì. Mi hanno chiesto di parlare circa una ventina di minuti e per non superare questo tempo dividerò la mia relazione in due parti. La prima è correlata alla presenza dei gesuiti, la seconda all’opera portata avanti oggi da Padre Aldo: e le due parti sono strettamente interconnesse. Nel 1492, data della scoperta dell’America, la provincia delle Indie dove si trova il mio paese, il Paraguay, era popolata da aborigeni, da nativi di diverse etnie, tutti con uno stesso obiettivo. Credevano nello stesso Dio e davano un grande valore alla fede, vivevano in famiglie separate, isolate tra loro. Non avevano la capacità di vivere e unirsi all’interno di nuclei famigliari. So bene che i prossimi relatori faranno riferimento al tema gesuitico e vorrei farvi partecipi di due o tre idee per me cruciali. In primo luogo, l’evangelizzazione dei Guaranì da parte dei gesuiti in prima battuta, dei francescani poi, è stata assolutamente utile e necessaria. Io sono cattolico, militante nel movimento della cristianità, un laico impegnato nella Chiesa e disposto a dimostrare che un laico può essere onesto, efficace ed efficiente nello svolgimento della funzione pubblica. Era questa la percezione dei Guaranì 400, 500 anni fa. Credevano in Dio, un essere superiore, soprannaturale, credevano alla persona di un capofamiglia e credevano all’unità della famiglia. Però vivevano sfortunatamente in modo separato, in zone remote, isolate. Quello che hanno fatto poi i gesuiti è stato unirli, dimostrare che era possibile vivere insieme: la maggiore conquista dei gesuiti è stata dimostrare che la vita isolata non serve, che quello che vale e giustifica è la vita all’interno di gruppi, di nuclei famigliari, tutti insieme. A partire da questo comincia un acculturamento importante del popolo Guaranì. E oggi, dopo 500 anni, abbiamo una situazione simile in Paraguay. Sfortunatamente nel mio paese ci sono ancora famiglie separate, emarginate, isolate. Non sono gli aborigeni. Oggi i nuovi emarginati, i nuovi isolati sono i malati terminali. Sono i malati di AIDS, le madri sole, isolate, sono i bambini di strada, gli anziani, tutti coloro che – figli di Dio – vivono in modo emarginato, isolato, senza che nessuno dia loro una mano. Ecco perché un Vice Presidente viene a Rimini a condividere questo momento: e ringrazio il vostro applauso per gli organizzatori della bellissima mostra sul lavoro dei gesuiti. Sollecito il vostro applauso. Hanno fatto una cosa meravigliosa.
Ma oggi sono anche qui a dirvi che vi è un nuovo processo in Paraguay; c’è una nuova evangelizzazione e c’è una nuova scelta preferenziale per i poveri, per gli emarginati. Mi riferisco in modo concreto a padre Aldo Trento che, nel centro di Asunción, riceve tutti i pazienti, quelli che non possono andare in nessun centro ospedaliero, né pubblico né privato. Quei pazienti colpiti dall’AIDS, condannati, letteralmente condannati a morire in casa. Quelli colpiti da tumore, i bambini abbandonati dai genitori, le madri sole e tutte quelle persone abbandonate, disorientate, sradicate. Oggi, grazie alla fondazione San Rafael e all’aiuto di molti di voi, di Comunione e Liberazione dell’Italia, oggi in Paraguay tutti i poveri, gli umili, i bisognosi sono ricevuti e curati nella clinica diretta e gestita da padre Aldo. Sono i poveri, quelli che non hanno neanche un centesimo ma che ricevono la migliore assistenza, come in un ospedale privato in Italia. Questo non sarebbe stato possibile senza il vostro aiuto, senza la vostra cooperazione. Allora, come non venire in Italia per dire a tutti voi grazie? Grazie a CL, per avere consentito a padre Aldo di essere presente tra noi e di portare avanti questa opera di evangelizzazione, di aiutare i poveri e gli emarginati. Forse non sapete dove va a finire l’aiuto degli italiani generosi: a persone che in Paraguay, senza risorse, non rimangono completamente sole. E oggi voglio darvi una testimonianza. Una donna, una ragazza di 18 anni, viveva una vita tranquilla. Ma si è poi ammalata di AIDS, è rimasta incinta, è stata abbandonata dalla sua famiglia. Ha cominciato a dimagrire vistosamente e la comunità le ha detto che si trovava in questa situazione perché si era allontanata del Signore, da Dio. Hanno messo insieme delle risorse, dei soldi, l’hanno caricata su una ambulanza e l’hanno mandata nella capitale perché potesse essere assistita. Era condannata a morte, non aveva alcuna possibilità. Si stavano raccogliendo dei soldi per darle una sepoltura cristiana e un’ infermiera le ha detto: “C’è padre Aldo. Nella sua clinica San Rafael ricevono i poveri, assistono i figli di Dio che non hanno avuto la fortuna di nascere con delle risorse. Mandiamola lì”. Allora è stata portata alla clinica e ha dato alla luce il suo bambino: oggi questa sorella che era condannata a morte si sta riprendendo, sta ricominciando a parlare, a camminare. E ringrazia Dio perché ha conosciuto padre Aldo e la salvezza.
Perché di questo si è trattato, questo hanno fatto i gesuiti in Paraguay: hanno portato la salvezza. E oggi in Paraguay riusciamo a recuperare delle anime grazie al lavoro che padre Aldo porta avanti, grazie alla struttura di San Rafael. Per questo, qualsiasi sforzo può essere poco, ma oggi sono felice, non ho bisogno di cenare, ho visto la grandiosità dell’opera dei gesuiti in Paraguay. E credetemi, ve lo dico con il cuore in mano, sto accompagnando un santo, un vero e proprio santo che sta facendo esattamente quello che hanno fatto i gesuiti 400 anni fa: salvare delle anime per la gloria di Dio. Grazie, grazie, e la mia benedizione per ognuno di voi.

JESUS CARRASCOSA:
Passo la parola alla signora Cramer, Ministro del Turismo della Repubblica del Paraguay.

LIZ CRAMER:
Buona sera a tutti. Innanzitutto, grazie dell’opportunità di parlare dal Paraguay, delle reducciones gesuitiche, e anche di accompagnare qui padre Aldo con questa sua opera. Io mi riferirò brevemente a un altro aspetto della nostra economia e della nostra società. Sono convinta che il turismo favorisca lo sviluppo economico ma anche la sostenibilità sociale. Per questo, e anche perché sono innamorata del mio paese, la vita mi ha dato l’opportunità di diventare Ministro del Turismo. Perché sono innamorata del Paraguay? Perché è una terra ancora da scoprire. La natura che c’è in Paraguay fa veramente impressione. Vi racconto qualche dato: in Paraguay ci sono 6.000.000 di abitanti su un territorio poco più grande dell’Italia. Per cui c’è tanta, tanta terra, tanto verde, tanta acqua. Di fatto, il nome “Paraguay” é derivato dal nome di un fiume. Le rovine gesuitiche sono al sud e adesso stanno diventando una grande attrazione turistica, dando un’altra forma di visibilità a coloro che abitano lì vicino. La settimana scorsa abbiamo inaugurato la prima Mesa Verde alla Missione della Trinidad, quella che ha il portico uguale a quello riprodotto nella mostra. E’ stata una grandissima soddisfazione perché la gente del paese, quella che discende dagli indiani, vede il turismo come una opportunità di sviluppo sociale. Il 70% della popolazione del Paraguay ha meno di 35 anni, quindi siamo un paese di giovani. Siamo l’unico paese in America Latina dove l’idioma, la lingua nativa, la lingua pre-colombiana è diventata ufficiale e parlata dalla maggioranza della popolazione. Quindi, noi parliamo guaranì e spagnolo. E allora, se volete vivere un’autentica esperienza latino-americana – dove c’è ovviamente la storia pre-colombiana, la storia coloniale e l’opera dei gesuiti come tema centrale, ma anche tanta natura, con anche il comfort di città sviluppate come la capitale -, vedrete una destinazione nuova, ancora in crescita ma soddisfacente e molto più ricca di autenticità. Mi auguro che oggi voi portiate a casa una curiosità in più per il Paraguay. Potete guardare la mostra e farvi un’idea di quello che vedrete là. Io vi garantisco soprattutto un paese spettacolare, con gente che è abituata a trattare bene l’altra gente: questo è un elemento essenziale della cultura guaranì. E se per caso, una volta in Paraguay, qualcuno vi invita con la erba mate, una tisana fredda o calda, prendetela perché da noi è un modo di dare il benvenuto. Vi aspetto in Paraguay. Grazie.

JESUS CARRASCOSA:
Grazie Ministro. Il professor Darko Sustersic è professore di storia dell’arte all’Università di Buenos Aires, un grande esperto del tema storicamente delicato e importantissimo delle reducciones.

DARKO SUSTERSIC:
Bene, io ho conosciuto padre Aldo in un momento estremamente drammatico. Stavano ridipingendo un museo di immagini gesuitiche e, con la scusa di restaurarlo, in realtà stavano impoverendo, svilendo l’autenticità gesuitica. Ho cercato aiuto in vari settori, ho scritto lettere ma nessuno mi ha sostenuto. Padre Trento ha capito la mia lotta e, nell’articolo che scrive il giovedì su un quotidiano, ha chiarito la situazione. In quel caso non si riferiva ai malati fisici ma a quelli culturali: infatti si stava perdendo l’autenticità della cultura guaranì. Con il suo sostegno e il suo appoggio, e anche grazie ai santi gesuiti che avevo invocato, questo lavoro deprecabile è stato interrotto.
Quando c’è bisogno di una conferenza, di una lezione agli studenti, di qualche missione, io sono sempre disposto. Allora, come non raccontare a voi qualcosa di ciò che sto facendo in questo momento? Il tema delle missioni gesuitiche non è così chiaro. Certo, si stanno portando avanti studi e ricerche. E poi c’è l’aspetto dell’arte nelle riduzioni, e l’arte è fuor di discussione. La storia invece si può discutere: i gesuiti erano buoni o non erano buoni? E i sociologi possono parlare dei metodi dei gesuiti. Ma l’arte rimane, e tutti la possono verificare e vedere per comprovare la realtà. Ruskjn ha detto una frase meravigliosa, straordinaria: “Solo attraverso l’arte si conosce pienamente una cultura. Le grandi nazioni scrivono le loro autobiografie in tre manoscritti: il libro delle loro vicende storiche, il libro delle loro parole e il libro della loro arte. Non è possibile comprendere alcuno di questi libri senza leggere gli altri due. Ma di questi tre libri, l’unico fedele è l’ultimo, quello della loro arte”. Questo dice Ruskjn, ma molti critici d’arte affermano che i Guaranì sapevano solo copiare. La colpa è anche di alcuni padri gesuiti. Sepp, Cardiel, parlano delle copie, dicono che i Guaranì copiavano. Ma altri padri non condividono questa opinione: elogiano la creatività dell’opera guaranì ed è questo l’aspetto che oggi vogliamo indagare, quello che vorrei mostrarvi nel poco tempo che ho. Vorrei sottolineare la straordinaria creatività dell’arte guaranì, che non dipende dall’arte europea, non è una copia. Gli europei hanno fornito gli strumenti, hanno reso loro possibile l’apertura all’arte, ma hanno rispettato le loro espressioni. Lo si può verificare nelle opere che ci sono rimaste.
Adesso vediamo alcune immagini: sto lavorando ad un libro di circa 400 immagini, oggi ve ne ho portate solo 50 perché possiate farvene un’idea. Il primo capitolo si riferisce alle immagini della conquista. L’arte gesuitica guaranì non è un’arte museale e neanche dell’inizio della Chiesa. Padre Montoya, ad esempio, dice che portavano le immagini nella foresta e con queste immagini convincevano i Guaranì, li conquistavano: è la ragione per cui queste immagini si chiamano “immagini della conquista”, “immagini conquistatrici”. Padre Roque aveva una Immacolata Concezione dipinta da padre Rodriguez: con questa ha fondato circa sette missioni e nell’ultima è morto, assassinato da uno sciamano che non voleva concorrenza. E hanno distrutto anche l’immagine perché ne erano terrorizzati, perché queste immagini conquistavano. La funzione dell’arte dunque non era la funzione che si ritrova in Europa, l’idea dei musei, l’idea delle chiese. No, l’arte funzionava nel bel mezzo della selva, della foresta. Qui abbiamo un’immagine delle rovine di Loreto, appunto, vedete la situazione della selva, della foresta…. Questa è un’immagine antica del padre Roque: vedete il colpo alla testa, il cuore attraversato da una freccia.
La prima pittura di un Guaranì è firmata “M. Habiju fecit Itapùa 1618”. La riduzione di Itapùa fu fondata nel 1615 e dopo tre anni abbiamo un Guaranì che dipinge un’immagine della Vergine. Non sappiamo se questo ritratto fosse una copia o meno, ma quello che è sicuro è che questi grandi occhi non li aveva il modello. Sono stati fatti dal Guaranì, dall’artista Guaranì. Questo quadro è conservato integro perché è stato mandato a Cordoba, da Cordoba a Buenos Aires, e adesso nel museo indicato. Tutte le opere di quell’epoca sono state in verità distrutte: era un’epoca di conquiste, di fondazioni, un’epoca in cui i bandeirantes, i portoghesi, arrivavano, distruggevano le missioni e si portavano via gli indios come schiavi. In poco tempo si sono portati via moltissimi Guaranì a San Paolo, oltre 150, per poi venderli come schiavi. Quindi distruggevano le strutture, le opere, e di questo periodo non è rimasto praticamente nulla. Ed ecco una cartina dove vediamo come le riduzioni gesuitiche circondino la foresta amazzonica, ma le più antiche sono quelle del sud. Queste sono state fondate a partire dal 1610. Poi vengono quelle dei Ciquitos, dei Mocho, poi quelle di Mainas, Orinoco. Vedete che, tutto intorno, i gesuiti sono penetrati nella foresta. E adesso vediamo una cartina solo dei centri dei Guaranì. I Guaranias si sono ritirati dalle zone dei bandeirantes portoghesi, su questi fiumi, il Paraná, l’Uruguay e il Paraguay: lì si sentivano protetti. Tuttavia i portoghesi hanno organizzato una grande spedizione con oltre 4.000 uomini e hanno seguito il fiume Uruguay: volevano impadronirsi di tutti gli indios guaranias. Allora i gesuiti, vedendo che gli spagnoli non li difendevano, hanno deciso di armare i Guaranias con l’arco, con le frecce. Era un’arma stupenda, ma la punta era di legno. Quindi, hanno costruito punte di ferro per le lance e con queste armi i Guaranì potevano combattere in parità di condizione. Poi hanno procurato loro una protezione per i corpi. E padre Torres ha fatto un’invenzione geniale, ha fabbricato dei cannoni con tronchi di bambù e di arancio che, avvolti in pelli, potevano sparare per ben cinque volte.
In questa cartina è indicato Mbororè, dove si è svolta la grande battaglia che ha deciso tutto. Vedete, è la regione del fiume Uruguay, dove è stato stabilito il destino del Sudamerica; se i portoghesi avessero potuto avanzare, si sarebbero impadroniti di tutti e di tutto e la storia sarebbe stata ben diversa. I Guaranias, con le imbarcazioni e con questi cannoni, obbligavano i portoghesi a scendere sulla sponda, dove si lottò per una settimana e dove i Guaranias vinsero. A partire da questo momento, i Guaranias e le missioni furono rispettati. Non vi furono più bandeirantes e i Guaranias ebbero la pace. Loro avevano una fiducia cieca nei gesuiti, grazie ai quali avevano potuto liberarsi dei nemici ancestrali che sembravano invincibili, sto parlando del portoghese, ovviamente. E i gesuiti hanno poi pagato anche un prezzo importante: molti di loro sono morti nella lotta contro i bandeirantes. Questo sangue mescolato, gesuiti e Guaranì, ha dato vita ad una nuova repubblica, non basata sull’autorità e il potere, come oggi, ma sulla cooperazione e sulla dedizione alla causa.
Ma continuiamo con il nostro discorso: una volta che i Guaranias sono tranquilli, finite le minacce, si inventano la loro arte. Qui abbiamo una scultura che si trova nella Casa de la Independencia di Asunción. La testa e anche le braccia possono essere tolte; è una invenzione dei Guaranias, una cosa che non hanno potuta copiare dall’Europa perché le statue, le sculture barocche europee non erano così. Tutte le altre immagini vanno nello stesso senso. Qui c’è un San Ignazio… vedete, si alza la testa. Si trova a Santiago. La maggior parte di queste sculture sono andate perse, ma alcune rimangono per conoscere la genesi, l’origine della scultura guarnì, l’invenzione di questo tipo di metodologia scultorea. E’ la prima tappa, statue che chiamavamo horcones perché sono tronchi con la testa che si può togliere: ma col passare del tempo queste statue mutano. Qui abbiamo una testa: quando i Guaranì scappavano, toglievano la testa e poi di nuovo scolpivano il corpo. Però la cosa importante di questa testa è lo sguardo intensissimo: e questa è l’originalità, la specificità dell’arte guaranì, il contatto dell’opera con lo spettatore, un contatto magico, sciamanico, ipnotico. Una Vergine – che è nel museo di San Ignazio Iguaçu, chiamata dai Guaranì tùpacu, cioè la madre – copiata: si ispira cioè ad un’opera barocca di Gregorio Hernandez di Spagna. Ma mentre la statua spagnola chiude gli occhi – vedete?, la Vergine abbassa le palpebre -, quella guaranì apre gli occhi: quindi, c’è un contatto diretto con la persona davanti, con lo spettatore. E abbiamo un altro esempio di un libro di padre Montoja, scritto a Madrid nel 1639: un Guaranì lo copia, fa un’incisione e poi raddrizza l’immagine, un terzo fa una scultura. L’immagine guarda avanti, con gli occhi aperti: è il contributo guaranì, comunicare l’opera d’arte. I santi comunicano tutto questo al popolo, alla gente, agli altri. E qui abbiamo l’immagine più grande, 2 metri e 40 circa, Santa Maria da Fé: è stata l’immagine che ha organizzato l’arte fino a Brassanelli. Quando è arrivato, è stato colpito da questa immagine: vedete l’importanza che ha il volto, lo sguardo, non è certo la copia di qualcosa di europeo. In Europa, la Vergine guardava il cielo, da un lato o dall’altro. Qui la Vergine guarda noi, lo spettatore, e questa è la caratteristica più forte dell’arte dei Guarnì che hanno fondato una vera scuola. Il ritratto di un padre missionario, fatto in Brasile, con la testa che si può togliere. Il volto ha uno sguardo sorprendente, che colpisce. A questo punto arriva Brassanelli e porta avanti la sua riforma. All’inizio vuole cambiare tutto, però progressivamente si rende conto che i Guaranias hanno una loro arte. Così, invece di cambiare tutto, lui prende degli aspetti di questa arte e li fa suoi. Brassanelli fa le pale d’altare con le cosiddette colonne di Bernini, colonne barocche, e questo è stato un contributo che i Guaranì hanno ricevuto. Qui c’è un Cristo, una Flagellazione di Cristo che chiede pietà al Cielo. Vedete? Il volto guarda l’angelo che gli porta sollievo, consolazione.
E adesso vediamo come copia l’artista guarnì: questo è di Brassanelli, le dita unite, l’anulare come Michelangelo, di cui era un grande ammiratore. I piedi sono barocchi, il tipico movimento barocco. E adesso vediamo l’opera dell’artista guaranì, apparentemente dritto, rigido. Tutta la sua attenzione si concentra nel volto: vi rendete conto che il Dio flagellato, pieno di dolore, aiuta lo spettatore. Una volta ho fatto una conferenza in un seminario: il padre mi ha chiesto questa foto. Poi ho saputo che, negli anni successivi, aveva sempre pregato davanti a questa immagine. E questo mi ricorda Juan Les Candon che è morto pregando. Racconta padre Perramas che le sue ultime preghiere le ha fatte nella dolce lingua guarnì. Lui riteneva che il guaranì fosse la lingua appropriata per parlare a Dio, più consona dello spagnolo. Ecco un’opera molto bella che ci ha lasciato Brassanelli, ammirata dai Guaranias e anche dagli europei; qui Brassanelli ha applicato tutta la sua conoscenza della mentalità guarnì. Era il primo etnologo: i gesuiti già conoscevano perfettamente la mentalità della nazione americana, in questo caso Brassanelli si è reso conto… Passiamo all’immagine successiva, l’angelo San Gabriele, costruito con una perfetta simmetria e planimetria: le due ali uguali, la stola che compie perfettamente il lavoro simmetrico. Era il suo modo di intendere l’aspetto sacro, sciamanico della cultura guarnì. Non fa un angelo sulle nuvole, che vola da una parte all’altra come nella cultura barocca. Fa un angelo molto speciale secondo la visione guarnì: questo angelo esprime questa dolcezza, questa familiarità, siamo ben lontani dalla rigidità del barocco e dalla Vergine che riceve l’Annuncio. Qui c’è una familiarità, una reciprocità che Brassanelli ha conosciuto dopo aver vissuto 40 anni nella cultura guarnì: ha conosciuto l’amore fra genitori e figli, l’amore di cui lui stesso è stato oggetto. Se guardiamo la prima immagine di Brassanelli, l’America, ci rendiamo conto della sua straordinaria evoluzione e del perché i missionari si innamorarono della cultura guarnì. E coloro che dicono che i gesuiti sfruttavano il popolo guarnì, che lo obbligavano al lavoro e che non capivano la sua cultura, beh, si sbagliano di grosso. Oggi gli antropologi hanno cambiato l’opinione: i gesuiti capivano la cultura guaranì molto meglio degli attuali antropologi o etnologi. Lo vediamo veramente nel settore dell’arte. Sfortunatamente il mio tempo è esaurito, mi dispiace. Grazie.

JESUS CARRASCOSA:
Ringrazio il professor Darko per questo studio, per questa lezione e per l’appassionata comunicazione della sua esperienza. La parola a padre Aldo. Questi libri sono una grande sorpresa per la maggioranza di noi, perché Aldo è conosciuto per la sua grande opera di carità, per la sua passionalità, per l’annuncio che ha fatto in Paraguay. E scopriamo che questi due volumi, eccezionali sia come fotografie che come contenuto, appartengono a lui. Sono frutto di due cose. Sono frutto del lungo silenzio e di una forte obbedienza, come per altri grandi autori che hanno obbedito, che sono stati umili nel silenzio. E’ stato il caso di padre de Lubac che, ritirato dall’insegnamento nelle cattedre cattoliche, nel silenzio e nell’obbedienza ha scritto uno dei suoi libri più importanti, Meditazioni sulla chiesa. Padre Aldo nel silenzio ha avuto questo frutto. La sua carità, la sua cultura, il suo studio dell’arte e della storia del Paraguay comprendono quelle condizioni che Giussani diceva: la carità, la cultura, la missione, come un modo per toccare la realtà, un modo per annunciare Cristo. Tutte e tre queste dimensioni sono integrali, e in padre Aldo sono integrali: nella carità c’è la cultura, nella carità c’è l’apostolato e l’annuncio di Cristo. E l’arte non è indifferente, mentre recupera la verità storica è un’arte piena di carità, piena del desiderio di annunciare Cristo. Lascio la parola a padre Aldo.

ALDO TRENTO:
Davvero voglio ringraziare la Madonna come mi ha insegnato don Giussani, perché sinceramente io non avrei mai pensato che Dio, dopo l’abbraccio di don Giussani, potesse fare di questo povero uomo quello che vedete. Perché anche quello che dico e che ho scritto è frutto degli anni della malattia, quando Giussani mi ha mandato in Paraguay, fa parte di quello che diceva Mounier: “E’ necessario soffrire perché la verità non si cristallizzi in dottrina…”. Prima delle opere di carità, prima di tutto, è nata questa passione per la realtà, per la cultura, per la tradizione, perché volevo capire dove si collocava il mio io dopo quell’abbraccio di Giussani.
“Carissimi amici universitari, vi auguro di avere tanta fede e tanta intelligenza da rinnovare la più grande impresa sociale e politica del vostro passato, l’impresa delle reducciones. La fede in Cristo è il mezzo per vivere più intensamente anche questo mondo” – le parole questo mondo sono sottolineate -. “Coraggio e arrivederci, don Giussani, Asunción, 23 luglio 1988”.
Cari amici, rivedervi un anno dopo per me è una gratitudine al Signore, e sono qui solo per testimoniare cosa è accaduto in questo anno dentro il tema di cui stiamo parlando. Il giudizio di Giussani mi ha accompagnato fin dal primo giorno che sono arrivato in Paraguay in quelle condizioni. Perché il giudizio di Giussani descrive la mia esperienza: e cosa è la mia esperienza? Un uomo che grida dentro la situazione che vive, abbracciando a 360 gradi quello che la vita mi presenta. Questo giudizio mi ha commosso fin dall’inizio. Mi sono chiesto: come è possibile che un uomo che non è mai stato nelle riduzioni – aveva letto solo un libro scritto in francese perché non c’era una letteratura italiana, l’ultimo libro era di Ludovico Antonio Muratori -, come è possibile che lui abbia detto queste cose? Come è possibile che lui, leggendo il libro di padre Antonio Zepp, si commovesse e dicesse alla Giovanna Tagliabue: “Come sarebbe bello che questo diario diventasse il libro del mese…”? Giussani, nella fede che viveva la passione per l’umano, esprimeva in questo giudizio quello che Voltaire, Montesquieu, Chateaubriand, Muratori, Chesterton avevano già detto, ma non con lo spessore e con la coscienza con cui don Giussani ci diceva queste cose. “Vi auguro di avere tanta intelligenza e tanta fede da rinnovare la più grande impresa sociale e politica del vostro passato”. Un uomo che è stato due volte in Paraguay, toccata e fuga.
Ora, sono due i punti che desidero sviluppare. “Abbiate tanta fede e intelligenza”: ciò che ha dato origine alle riduzioni è contenuto in questo giudizio, in cui l’esperienza della fede non solo si unisce in modo intelligente all’esperienza umana dei Guaranì, ma annuncia radicalmente la proposta cristiana, tenendo fede ai grandi principi della Conquista dei re cattolici. Perché non posso non commuovermi di fronte a quanto dice Isabella la Cattolica. Perché, se comprendessimo che cosa hanno voluto dire Isabella la Cattolica e Fernando il Cattolico, l’egida della vittoria, la controversia di Valladolid, non potremmo non piangere dalla commozione. Se conoscessimo Carlo V, non potremmo non dire che, realmente, io continuo quell’opera.
Dice Isabella, che concesse alla sede apostolica le isole e le terre ferme di mare e oceano, scoperte e ancora da scoprire: “Il nostro principale intento e il nostro unico fine è che questi popoli abbraccino la fede”. Capite cosa vuol dire? “Che questi popoli abbraccino la fede cattolica. E inviare a quelle terre lontane religiosi e altre persone, dotti e timorosi di Dio, per educare nella fede e nella civiltà, ponendogli un grande zelo apostolico. Per questo supplico il re Fernando e mio signore, molto affettuosamente, e raccomando e ordino alla mia figlia la principessa e a suo marito il principe, che così facciano e abbiano a compire. E che questo sia suo unico fine e che mettano in questa evangelizzazione molta diligenza e che non consentano che i nativi, gli abitanti di questa terra, per conquistare, soffrano nessun danno nelle loro persone e nei loro beni, ma che facciano il necessario perché siano trattati con giustizia e umanità. E che se facessero alcun danno, devono ripararlo”.
Lascio a voi leggere quello che dirà Fernando Valladolid, quando a Carlo V pongono il problema: “Maestà, se lei segue nella Conquista…”. Dopo la famosa controversia di Valladolid, per un anno Sepulveda e Bartolomeo de Las Casas si affrontarono perché il re aveva un problema: corrisponde o no alla volontà di Dio, la Conquista? Sospesero la Conquista per un anno e si affrontarono a duello, culturalmente. E solo quando Bartolomeo de Las Casas è sconfitto da Sepulveda, dopo che la corte degli avvocati dichiara che è secondo il disegno di Dio, la Conquista riprende. E quando gli dicono: “Maestà, se prosegue rischia il fallimento dell’erario dello Stato”, lui risponde: “Preferisco il fallimento dell’erario dello Stato che perdere una sola anima a Cristo”.
Perché Giussani mi ha mandato in Paraguay? Per lo stesso motivo per cui Carlo V ha dato questa risposta ai suoi consiglieri. Con questo spirito, con questa coscienza i gesuiti entrano e annunciano l’avvenimento cristiano ai Guaranì. Annunciano l’avvenimento cristiano! Luis de Montoya, il padre dei Guaranì, dirà: “Per due anni non abbiamo mai parlato della morale sessuale e matrimoniale, perché era impossibile che la comprendessero. Queste tenere piante che stavano uscendo alla vita, davanti a una morale di questo tipo sarebbero morte. Per due anni abbiamo annunciato solamente ed esclusivamente la bellezza dell’avvenimento cristiano ai Guaranì”. Chi erano i Guaranì, perché camminavano? Credevano in un Dio. Padre Nóbrega sintetizza il concetto di Dio che loro avevano nelle parole “tupa”: tu, meraviglia, stupore, pa: chi ha fatto questa cosa bella? Ma capite Il senso religioso, capitolo X? Capite perché quando sono arrivato lì, schizzato nella testa, di fronte alle cascate di Iguazú, Aguagrande, Itaipú, pietra che suona, mi sono commosso e ho dovuto andare a fondo? Dio crea l’uomo immortale, però entra il serpente, contamina la terra, il diluvio, l’uomo perde la sua immortalità. Da quel momento, camminando, suonando, cantando e ballando, l’Indios – da il Caribe alla Patagonia, dalle Ande all’Atlantico, cammina: buscadores de la tierra sin mal. Pellegrini dell’assoluto, direbbe Horkheimer, pellegrini in cerca della terra primigenia, come il cuore mio, come il cuore tuo! E quando arrivano i gesuiti, e i francescani, e gli annunciano che la terra senza male ha un nome, la Virgen Conquistadora di cui ci parlava Sustersic – “Io sono l’Immacolata Concezione” (dalla quale è nata la pasionaria italiana il cui significato simbolico non vi spiego) -, immediatamente aderiscono. Perché vedono in questo fatto, in questo avvenimento, la risposta al loro cuore, distrutto dal peccato, a quel vagabondare difficile, drammatico. E quindi aderiscono a Cristo, alla bellezza dell’avvenimento cristiano. Avvenimento che diventa una esperienza di felicità fino al punto che uno scrittore francese del ‘700 scrive un libro, La tierra de los feliciani, e Muratori, Il cristianesimo felice, e Chesterton, Il paradiso del Paraguay. Io ho copiato per il mio libro questi due titoli perché dicono tutto.
Quindi uno si domanda: perché il cristianesimo felice? Esiste un cristianesimo triste? Ecco la sfida fra francescanesimo e gesuiti. Ecco la sfida sempre presenta nella chiesa fra il cristianesimo felice e un cristianesimo triste, fra un moralismo che potremmo sintetizzare nel famoso Cristo della pazienza dell’iconografia francescana – i francescani sembrano in Paraguay non aver raggiunto la Resurrezione, per quello anche la cultura del popolo era segnata, i momenti più belli sembrano quelli del giovedì e del venerdì santo, ancora oggi sono sacri -, mentre per i gesuiti il cuore era la resurrezione di Cristo! Non troverete un’immagine del Cristo della pazienza nelle riduzioni gesuitiche
perché la vittoria di Cristo sul mondo è l’origine delle differenze ed è la ragione per cui i gesuiti sono stati cacciati via!
Perché una cosa è partire dal dolore, dal mio dolore e fermarmi al dolore, dalla mia depressione, e fermarmi alla depressione, e altra cosa è vedere che tutto questo è dentro un avvenimento più grande, la vittoria di Cristo presente. E questo ha creato quei 150 anni di felicità. Una felicità che coincideva non con la mancanza di limiti, di difetti. E’ quello che non sopporto quando giudicano la Conquista. Perché, o la Conquista la leggiamo secondo Peguy, o è meglio che chiudiamo i libri. Chi è arrivato ad Asunción nel 1537, il 15 agosto? Uomini, la spada e la croce, il peccato e la grazia. Perché camminano sempre insieme, dice Peguy, l’uomo che è buono per la grazia è buono per il peccato, e viceversa, sono della stessa massa. Non si può quindi leggere la storia latinoamericana, come nessuna storia del mondo, prescindendo da questa ontologia del cristiano. Ma in fondo è quello che Giussani mi ha fatto capire, è quello che Giussani mi ha fatto scoprire: che nel mio peccato, nella mia miseria, Cristo manifestava la sua vittoria. Che nella mia disperazione, Cristo mostrava la sua resurrezione. Per quello mi sono innamorato di san Rocco Gonzalez, figlio prediletto, l’architetto, il genio delle riduzioni, prete diocesano diventa gesuita, viene mandato nella prima riduzione, soffre una terribile disperazione con tentazione di suicidio, mi vedo in lui. E dice, scrivendo ai suoi superiori: “Reverendo padre, nel dramma che vivo e nella solitudine che soffro” – immaginatevi, nella selva, fra i cannibali, “quello che mi sostiene è la certezza dell’obbedienza per cui sono qui, è la certezza che questa è la volontà di Cristo”. E dopo due anni di disperazione – il Vice Presidente ha fatto un decreto meraviglioso, perché sono 400 anni che Roque ha dato inizio a questo esperimento, il 28 dicembre – parte: rio Paraguay, rio Paranà, fino a rio Uruguay e rio Grande del Sud, e costruisce queste grandi opere, dà inizio a questa grande esperienza.
Per cui, che cosa solo le riduzioni? E’ stato un tentativo umano, da parte dei figli di Sant’Ignazio, di dilatare quella compagnia nata a Monmartre, quella compagnia di amici che hanno creato nella selva altre Compagnie di Gesù. Un avvenimento che cambia la vita. Questa è la prima cosa. E’ un avvenimento che cambia la vita e che crea una civiltà. Immaginatevi, erano 2, 3 gesuiti per riduzione, a volte uno, come nel caso di Santa Maria de Fé, un vecchio di 80 anni senza denti che non poteva neanche parlare, che un altro padre dovrà andare ad aiutare. Se non fosse stata un’esperienza di libertà, come si spiegherebbe quello che è nato? Leggete la vita quotidiana nelle riduzioni gesuitiche, o il libro di Paramas, La Repubblica di Platone erano i Guaranì. L’unica differenza fra il De Legibus e il De Republica è nel concetto di famiglia e di educazione, che per Platone è altra cosa, ovviamente non è un concetto cristiano, umano. E padre Paramas lo sottolinea molto chiaramente. Per tutto il resto, un popolo di liberi, un popolo protagonista della sua vita.
Il gesuita aveva un padre grande, il parroco, e un padre piccolo, un cappellano che amministrava i beni. Se voi pensate allo sviluppo economico che avevano raggiunto, che il Paraguay oggi non ha più – alla fine, avevano quasi mezzo milione di vacche, quando sono stati cacciati via -, Se voi pensate che padre Zepp dice: “Nella mia riduzione si produce un acciaio più forte e più bello di quello di Milano…”. Il padre provinciale nel 1522 riunisce in Cordova un consiglio provinciale, non per accertare degli angeli o della Madonna ma dell’urgenza di creare la facoltà di matematica all’università di Cordova. Motivi: primo, perché un’università senza una facoltà di matematica non ha quell’onore che merita. Secondo, perché la matematica è essenziale ai fini dell’evangelizzazione, perché senza la matematica non si conoscono la fisica e l’astronomia, motivo per il quale molte spedizioni evangeliche sono naufragate.
Padre Andrea fu l’ultimo grande rettore di Cordova, l’hanno preso come un animale. Era di Majorca, un uomo eccezionale. Fa una battaglia dentro la congregazione perché la facoltà sia culturalmente qualificata, però con una finalità totalmente missionaria: l’annuncio di Cristo. E in questa battaglia esce vittorioso. Però nel luglio del 1768 viene portato prigioniero, come un malfattore, in Spagna.
E Francesco Xavier che, quando muore alla fine del 1500, il padre provinciale lo trova con una tonaca tutta rammendata di pezzi di tela, uno sopra l’altro, senza denti. “Mi sono messo a piangere” dice. “Ho visto più che san Francesco Xavier”. Voglio dire: perché Giussani ci ha detto così? “Rivivete quella grande esperienza che la fede di Cristo è il mezzo per vivere più intensamente anche questo – questo, sottolineato – mondo”. L’esperienza delle riduzioni è esattamente questo, questa bellezza umana di uomini trasfigurati dall’avvenimento cristiano. Non si può leggere diversamente! Anche le immagini che ha spiegato il prof. Sustersic non si spiegano se non dentro un uomo commosso e cambiato. Ma tutte le chiese della Chiquitania sono uno splendore di oro! Pensate, perché la preoccupazione delle Chiese piene di oro? Per loro era chiaro un concetto che è chiaro anche per me. Non si cambia il terzo mondo nel primo mondo senza l’incontro con la bellezza! Io, incontrando Giussani, ho capito che anch’io, uno sgorbio umano, sono bello agli occhi di Dio. E la bellezza è una visione totalizzante della vita. Per quello i gesuiti, come nel Medioevo, facevano questi templi a cinque, a tre navate. Fuori: “haec est domus Dei, haec est ianua coeli”. Lì, io, entrando nella Chiesa, dovevo vedere il paradiso, non c’era neanche nessun segno della passione e morte di Gesù, i simboli della passione e della morte in un altare laterale. Tutta la Chiesa era un forastare di angeli per indicare la bellezza, il paradiso, la presenza già oggi che siamo in questo mondo, la musica. La musica era la caratteristica dell’andare a lavoro, ai bambini, agli adulti. La missa major della mattina, della domenica, erano messe polifoniche.
Alcuni aspetti e l’ultimo punto, alcune figure. Perché, quando Carrón l’anno scorso ci insegnava a guardare chi vive questa tensione, é il metodo dei gesuiti. Pensate a Ruiz de Montoja, personificato da Robert De Niro, quello che uccide, quella nel film è la sua storia un po’ romanzata. Questo uomo, il padre dei Guaranì, quando muore in Lima, di ritorno dalla Spagna dove ottiene dal Re la grazia di fare un esercito per difendersi dai bandeirantes, gli indios di Loreto, Argentina, fanno 5000 km a piedi per andare a prendere il cadavere e portarlo a Loreto, dove ancora sono i suoi resti, nell’incuria e nell’abbandono totale in San Ignacio Mini. E’ una cosa impressionante. Padre Antonio Zepp, il genio delle riduzioni, che muore dicendo: “Mi sono fatto tutto a tutti”. E muore con la frase di San Paolo: “Cupio dissolvi et esse cum Christo”. Padre Smith – e termino -questo uomo svizzero a cui il provinciale, padre Schumacher manda una lettera dalla Svizzera. Gli chiede: “Come sta il biondo, alto, padre Smith?”. “Di salute molto bene e come missionario canto, ballo e suono. Tutti strumenti musicali chi li fabbrica? Padre Smith”. Per ultimo, padre Mazzetta e Cataldino, i due più grandi missionari delle Marche e di Napoli che sono all’inizio dell’evangelizzazione con i 140 italiani morti nelle riduzioni in 140 anni. Desidero terminare con la preghiera di Sant’Ignazio di Lodola che dice la bellezza di una storia di cui io mi sento un povero, però protagonista con loro di questo fatto così bello. Dice: “Ricevi, Signore, tutta la mia libertà, accetta la mia memoria, la mia intelligenza e tutta la mia volontà. Tutto quello che sono, quello che possiedo mi è stato dato da te. Io vengo e metto questo dono nelle tue mani, per lasciarlo interamente a disposizione della tua volontà. Dammi solo il tuo amore con la tua grazia e sarò sufficientemente ricco e non ti chiederò più niente. Amen”.

JESUS CARRASCOSA:
Grazie, Aldo, per il tuo intervento e per il tuo lavoro. Concludo con quello che abbiamo vissuto in questo momento e che avevo accennato all’inizio: la debolezza di un popolo è la sua memoria storica, la sconfitta di un popolo è quando un popolo accetta la versione del nemico come propria. Quello che abbiamo ascoltato oggi significa dissotterrare l’ascia di guerra su un argomento storico fondamentale, uno dei tre grandi temi con i quali normalmente si combatte la Chiesa: le crociate, l’inquisizione, la colonizzazione.
Il fondamento dell’attacco operato attraverso il tema della colonizzazione sono le riduzioni. Mi auguro e sono certo che tantissime traduzioni verranno fatte di questo libro. Lo scopo della presentazione di un libro è sentirsi provocati a leggerlo, in questo caso, leggere questo libro e visitare questa mostra che, sono certissimo, percorrerà il mondo intero. Grazie a tutti.

(>Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

23 Agosto 2009

Ora

19:00

Edizione

2009

Luogo

Sala A1
Categoria
Incontri