UN CAFFÈ CON…UN ARTIGIANO

Partecipa Alessandro Grassi, Grassi Vetrate Artistiche Srl. Introduce Francesco Liuzzi, Docente Scuola di Impresa della Fondazione per la Sussidiarietà.

 

MODERATORE:
Buongiorno a tutti, con l’incontro di oggi proseguiamo il percorso sul tema del lavoro, cominciato ieri con l’incontro con Franco Nembrini.
L’incontro di ieri ci ha come consegnato alcune parole e alcuni spunti di riflessione importanti sul tema del lavoro. Il lavoro ci è stato fatto vedere come qualcosa che nasce da un interesse, che è suscitato e rilanciato da degli incontri storici precisi che ognuno di noi fa, un interesse che incontra delle difficoltà, con l’espressione che ieri molto suggestivamente è stata utilizzata: “Occorre guadagnarsi il lavoro che si sogna”. Quindi un interesse che attraversa delle difficoltà ma che poi, dentro queste difficoltà, trova un punto di compimento e di espressione.
Queste due suggestioni dell’incontro di ieri oggi trovano un punto di vista straordinariamente interessante nell’incontro con la persona che ho il piacere di presentarvi, Alessandro Grassi, che fa un lavoro straordinario che adesso lui stesso ci racconterà, quindi non rubo neanche un secondo a questo. Alessandro Grassi fa l’artigiano, in un settore molto particolare che è quello delle vetrate artistiche, e gli chiederemo di raccontarci la sua esperienza lavorativa, cos’è per lui l’esperienza del lavoro.
Devo però dire una sola parola di introduzione che a me, nel dialogo con lui, ha già avuto modo di colpire, cioè che le cose che Alessandro Grassi racconta del suo mestiere innanzitutto illuminano una sensibilità rispetto al lavoro che, in qualche modo, è preziosa per tutti, e che in qualche modo il lavoro dell’artigiano, cioè il lavoro di qualcuno che con il lavoro delle proprie mani lascia un segno espressivo di sé nella storia di tutti gli altri, vuol essere, anzi forse vogliamo che sia, che diventi in qualche modo esemplificativo di ogni lavoro che ciascuno di noi fa, perché è il punto di compimento del desiderio che ciascuno ha rispetto al lavoro, cioè di poter lasciare un segno che dice qualcosa di me e che è utile per il mondo.
Do senz’altro la parola ad Alessandro Grassi, con la formula già dettata ieri per cui c’è un momento di racconto che poi sarebbe prezioso raccogliere con domande, interventi, stimoli, un conviviale paragone con l’esperienza di un’altra persona.
Grazie.

ALESSANDRO GRASSI:
Buongiorno a tutti, io mi chiamo Alessandro Grassi, sono di Milano e faccio l’artigiano, il maestro vetraio.
Che cos’è un maestro vetraio e che cos’è un artigiano?
L’artigiano è il protagonista. Ieri ho assistito al dibattito con Formigoni e il sindaco di Roma e parlavano di protagonismo.
Sì, l’artigiano è un protagonista del nostro tempo e sarà un protagonista del futuro perché l’artigiano lavora con le mani, con la mente e con il cuore. Lo è stato il primo uomo quando è venuto al mondo, ha costruito la sua casa, i suoi attrezzi per pescare, per andare a caccia, eccetera.
L’arte della vetrata ha 1000 anni di storia, 1000 anni durante i quali ha subito delle evoluzioni, sia artistiche, sia tecniche, ma soprattutto è un’arte espressiva della creatività dell’uomo.
Il colore è l’elemento base che ci colpisce. Le antiche cattedrali gotiche erano e rappresentano ancora adesso un esempio eclatante dell’arte della vetrata.
Le vetrate erano costruite in funzione dell’architettura, gli antichi maestri vetrai trasportavano i loro crogioli e le loro masserizie, i loro operai ai piedi della cattedrale e la cattedrale cresceva contemporaneamente alle vetrate. Ecco, una grande storia questa della vetrata legata strettamente alla storia dell’uomo.
E legata anche alla mia storia. Io sono nato in una famiglia di maestri vetrai, mio nonno ha avuto la fortuna di emigrare in Francia più di un secolo fa, ha frequentato la scuola delle belle arti, l’Ecole des beaux arts a Parigi e poi, affascinato dalle vetrate della grande cattedrale di Chartres, che è la più grande ed è un esempio incredibile di maestosità, ma soprattutto di lavoro nelle vetrate, si è fermato a Chartres e si è impiegato come garzone in una ditta di vetrate. Naturalmente ha fatto tutto l’itinerario che fa un garzone, ha pulito il laboratorio, ha fatto i lavori più umili, però ha imparato un grande mestiere. È tornato in Italia, ha insegnato a mio padre, mio padre ha insegnato a me e io ho insegnato ai miei figli, ai miei nipoti e ai giovani che lavorano con me. Soprattutto ai giovani, perché io credo che il lavoro che faccio io è un lavoro per i giovani, è un lavoro creativo, è un lavoro che porta lontano. E il giovane, nel campo dell’artigianato, ma soprattutto della vetrata, mette in campo le proprie capacità creative, intuitive, ma anche la propria libertà, libero di esprimersi in un campo decorativo molto interessante.
Chi sono i giovani che vengono da me? Sono i giovani che escono dalle accademie d’arte, dalle scuole artistiche, ma soprattutto hanno entusiasmo. Ecco, questo volevo sottolineare. Parlo dei giovani perché i giovani sono importanti nell’artigianato, l’artigianato morirà se non ha giovani che partecipano a questa attività.
Purtroppo, avere i giovani in azienda non è facile, bisogna fare una ricerca accurata, ma soprattutto per l’imprenditore, per il maestro vetraio, ma per tutti gli imprenditori artigiani, quando arriva un giovane lo devi mettere in regola, gli devi dare tutto ciò che è normale che si debba dare, però almeno per qualche anno il giovane impara.
Io anche in Regione presso i politici e sempre quando faccio delle discussioni su questo campo, dico che i giovani devono venire in azienda, la scuola bottega. un giovane quando ha finito la scuola dell’obbligo e non vuole più studiare ma vuole creare qualche cosa, deve venire nella bottega, stare vicino al maestro artigiano, imparare. Non è solo la scuola che ti dà un esempio di vita, è la bottega dove tutti i giorni, oltre a collaborare con il maestro, deve misurarsi con la realtà di tutti i giorni e anche con la presenza di altre persone. Perciò il giovane è un impatto e una persona importantissima nell’artigianato.
Questo posso dire nella mia lunga e cinquantennale esperienza, di aver visto passare nel mio laboratorio tantissimi giovani, alcuni dei quali dopo hanno formato le loro aziende, sono diventati anche loro artigiani, ecco perché noi chiediamo allo Stato che ci aiuti, ci dia una mano, ci mandi questi ragazzi, l’insegnamento nostro non costa niente, però costa mantenerli questi ragazzi finché non hanno imparato.
Parlare della mia azienda: non vorrei dilungarmi troppo, però noi siamo una delle ditte più importanti del mondo di vetrate artistiche. Me lo riconoscono i lavori che abbiamo fatto, soprattutto i lavori che abbiamo fatto all’estero, abbiamo fatto cattedrali in Singapore, otto cattedrali cattoliche in Africa, in America, non c’è angolo del mondo dove non siamo stati presenti nella decorazione di una cattedrale o di una casa, del palazzo di un re o di uno sceicco. Perché questo lavoro è importantissimo, è un’arte applicata, dove la componente tecnica dell’artigiano si mischia e corre contemporaneamente alla capacità artistica dell’artigiano stesso, o della collaborazione con gli artisti che in quel momento sono di moda oppure sono al culmine della loro carriera e vogliono cimentarsi nell’arte della vetrata. Praticamente un’arte applicata.
Se qualcuno ha qualcosa e vuole chiedermi, io sono più che felicissimo, io sono innamorato del mio lavoro e come tutti gli amori lo seguo al massimo della mia capacità, e sono anche partecipe ad alcune iniziative, sia del comune di Milano, sia in ambito internazionale per presentare, per spiegare il mio lavoro, affinché si capisca che la figura dell’artigiano non è la figura solita dell’artigiano che fa delle cose in sottotono, l’artigiano è un elemento importante anche nell’economia del nostro paese, perché noi abbiamo un milione e cinquecentomila aziende artigiane. Voi pensate, se potessimo tutti avere, senza gravare sui nostri costi, un garzone vicino che impara, potremmo togliere dalla strada un milione e cinquecentomila giovani, pensate che cosa bellissima! Noi li vediamo in giro, dopo la scuola, non sanno cosa fare. Venite, venite nelle nostre aziende a imparare!
Qualcuno ci dia una mano, specialmente i politici.

MODERATORE:
Ho da subito una domanda che a me interessa molto.
È chiaro fin da queste prime battute che questo lavoro nasce da una grande passione, da una grande passione trasmessa in una catena di eredità, però accolta come se fosse un incontro per sé, non una cosa scontata. Viene da una storia e, nei racconti che mi ha fatto, è per il mondo, cioè c’è una apertura che è per il mondo, in alcuni casi questo vuol dire per la fede di un popolo, ma può voler dire anche altro. A me colpisce molto questo fatto, che il gusto che è dato a me è per tutto il mondo, e vorrei che lei ci aiutasse ad approfondire questo punto.

ALESSANDRO GRASSI:
Io ho degli allievi, dei ragazzi, che vengono dall’America, dall’Africa, dal Giappone, da Singapore, dalla Russia. Vengono a frequentare il mio laboratorio per imparare questo lavoro. Noi italiani abbiamo una grossa fortuna, abbiamo ereditato una storia e un’arte incredibile che tutto il mondo ci invidia. Ecco, loro vengono per imparare un’arte che porteranno avanti nel loro paese. Io ho insegnato in Cina, in Giappone, ho insegnato in Australia, ho insegnato in Cile e sempre presso le università ho trovato delle persone, soprattutto dei giovani, entusiasti che mi hanno seguito, ai quali ho spiegato le tecniche e i segreti – che non ci sono più – i segreti del nostro lavoro. Ecco è questo: una visione internazionale del lavoro, dell’artigianato, essere orgogliosi di essere italiani ed essere chiamati all’estero a insegnare il nostro lavoro; quello che noi sappiamo e dobbiamo per forza insegnare agli altri, è un nostro dovere, il patrimonio che c’è dentro di noi, vecchi artigiani, lo dobbiamo trasmettere, non deve morire con noi.
Così avremo una società e dei giovani protagonisti, non nessuno.

DOMANDA:
I giovani italiani come si comportano nella sua bottega?
Nel senso, con entusiasmo? Perché anch’io ho un’azienda artigiana, però i giovani italiani non hanno più interesse e non hanno più voglia, la passione che lei ha, che io e mio marito abbiamo, non esiste più nella nostra gioventù. Vengono a lavorare per lo stipendio. La prima domanda è quanto devo lavorare e cosa mi dai. Io vengo dalla Brianza, quindi siamo nella zona dei mobilieri, per motivi scolastici ho portato i miei figli a vedere le botteghe degli ebanisti, dove c’erano maestri ebanisti che avevano dei problemi enormi perché non riescono più a trasmettere la loro arte, perché automaticamente, quando lei deve insegnare a un ragazzo ci perde delle ore. Io devo dare a questo ragazzo uno stipendio e devo equipararlo secondo le regole contrattuali. Come faccio io a sopportare un costo di questo tipo, oltre al fatto che io sono qua a insegnare a lui e non posso fare il mio lavoro?
Ha capito cosa voglio dire?
Quindi è questo che è un grosso problema. E, d’altra parte, è difficile anche capire, noi abbiamo gli stagisti che vengono, ma questi ragazzi non hanno più voglia di imparare, vengono perché la scuola li manda, ma non hanno dentro niente. È questo che è difficile trasmettere.
Mentre invece ci sono gli extracomunitari che hanno un atteggiamento diverso, vengono con un altro spirito, quindi vengono per rubare il mestiere, quello che da noi facevamo una volta, noi andavamo a rubare il mestiere, giusto? Adesso lo fanno loro, loro vengono a rubare il mestiere a noi.
Non so in che modo noi possiamo arrivare ad aiutarci per superare questo scoglio.

ALESSANDRO GRASSI:
Signora, io devo dire una cosa: sono molto ottimista riguardo ai giovani, io cerco di puntare sulla loro creatività, sul loro entusiasmo, dobbiamo dare loro l’entusiasmo che abbiamo avuto noi nella nostra creatività, nella nostra azienda. Noi lo facciamo per amore, per passione, e anche per denaro, però ciò che ci spinge è l’amore per il nostro lavoro.
Lei è della Brianza, in Brianza fanno i mobili, ma i mobili li fanno bene, chi parla della Brianza parla di mobili belli, non di mobili in serie. Io sono venuto a comperare i mobili in Brianza. Sono andato da un falegname, ho disegnato i mobili oppure li ho fatti disegnare da mia figlia e lui me li ha realizzati.
Ecco, io parlo di questi giovani entusiasti che ho trovato io, ai quali ho dato degli insegnamenti validi.
Lei dice che ci costano. Sì, ci costano, ecco perché io mi batto per averli nella mia azienda, ma non dobbiamo essere noi a pagarli, deve essere lo Stato a sovvenzionarli, perché saranno futuri artigiani, future aziende che pagheranno le tasse. Il nostro artigianato muore se non è aiutato dai giovani. Se rimaniamo noi, non serve più a niente, perché dopo di noi nessuno.
Invece dopo di noi, noi vogliamo dei giovani protagonisti. Il protagonismo è qualcosa che è dentro e che butti fuori se hai entusiasmo. È giusto, un giovane quando ha 18 anni viene e vuole sapere cosa prende di stipendio. E qui deve entrare in gioco lo Stato che ci deve aiutare, perché noi creiamo futuri artigiani, future imprese che renderanno allo Stato.
Lei sa senz’altro che la base economica della nostra nazione, l’ossatura, sono gli artigiani, le piccole aziende, non la Fiat o la Pirelli eccetera. Noi siamo i protagonisti. Noi viviamo tutte queste esperienze sulla nostra pelle. Se il cliente non la paga, lei cosa fa? Va a reclamare dove? Se non la paga, non la paga. Non c’è nessuno che ci aiuta. Sì, ci sono le nostre organizzazioni che fanno quello che possono, ma noi alla sera ci ritroviamo con i nostri problemi, e con cosa dobbiamo risolverli? Con il nostro cuore, la nostra mente, le nostre mani.
Il problema dei giovani, lo so che esiste, quando vengono da me dalle varie accademie mi dicono: “Signor Grassi, io vengo qui anche gratuitamente a imparare”. Ma come fai a tenerlo? Viene l’ispettore del lavoro e ti dice che fai fare un lavoro nero eccetera. Perciò noi siamo a un bivio, dobbiamo decidere, se lo Stato è questo stato che vuole i protagonisti e ci aiuta, riusciremo a sopravvivere. Diversamente siamo destinati a estinguerci. Nel mio caso spero di no, perché ho i figli e i nipoti. Sono riuscito a muovere un po’ delle acque di questo problema presso il nostro artigianato, che mi ha mandato dei ragazzi per imparare, me ne ha mandati due, e volevano mandarmi quelli che volevano loro. Ho detto: “No. Voi mi mandate gente che viene qui, guardo come sono, non per prendere un incentivo, ma devono avere delle capacità e soprattutto amare il lavoro”.
Noi abbiamo dei problemi perché oggi nessuno o quasi nessuno ama il lavoro, ma io credo nei giovani, perché noi parliamo poco dei giovani, sentiamo sul giornale che il tale ha scippato, ha preso la droga, ma ci sono migliaia di giovani che fanno volontariato, noi li vediamo qui, questi sono tutti volontari. Perciò ci sono i buoni giovani, solo che si parla solo dei balordi, e noi dobbiamo cercare i giovani in gamba per metterli di fianco a noi. Ripeto, qualcuno mi ascolterà e mi stanno ascoltando, non dobbiamo avere degli oneri a nostro carico, perché noi diamo del nostro. Quando tu dai un’esperienza, una capacità, un insegnamento a un giovane che sarà un futuro artigiano, ti crei un merito.

MODERATORE:
Mi sembra che quello che stiamo dicendo sia, pur in un contesto completamente diverso, molto vicino a quello che diceva ieri Franco Nembrini, quando diceva che molti insegnanti si lamentano del fatto che i giovani non sono più quelli di una volta, possono esserci dei tempi sociali innegabili, però ascoltiamo in queste parole il fascino di una posizione che parte da una stima, che la verifica in maniera esigente, ma che parte da una posizione positiva, e pur chiedendo l’aiuto allo Stato, comunque si mette in moto prima che l’aiuto arrivi.

ALESSANDRO GRASSI:
Il nostro entusiasmo è la prima cosa, il nostro amore per il nostro lavoro, che ci porta lontano. All’ultima inaugurazione che ho fatto della cattedrale di Singapore delle vetrate, avevo un cinese che traduceva ai cinesi quello che dicevo io. E io dicevo che noi italiani non siamo solo conosciuti nel mondo perché abbiamo solo gli spaghetti, la pizza e la mafia, ma noi abbiamo una tradizione di artisti, di cultura e degli esempi incredibili, e voi li ammirate qui, perché questo che ho fatto viene dall’Italia. Quando poi andiamo in Giappone, questi arrivano sotto l’aereo a prenderci con le macchine e facciamo conferenze alle televisioni. Io sono stato 15 giorni a Osaka, dalle 11 alle due del pomeriggio facevo lezione in diretta di vetrate, di arte italiana, di quello di cui dobbiamo essere orgogliosi. Noi dobbiamo portare avanti questo cartello, in alto, farlo sentire, siamo italiani, abbiamo le cose belle, sappiamo fare il bello e lo dobbiamo insegnare.
Ecco perché i giovani debbono portare avanti questa bandiera che noi portiamo in alto.
Lei troverà dei giovani che l’aiuteranno nella sua azienda, glielo auguro, però deve parlare loro con entusiasmo, avere sempre fiducia in questi giovani, perché troverà quelli che ameranno il suo lavoro. Lo so, ci sono anche gli svogliati, vengono anche da me. Io ricevo le scuole e vedo che si guardano in giro così senza entusiasmo, ma nel gruppo ce ne sono sempre 4 o 5 che chiedono: “Questo perché è così?” Si interessano. Coraggio signora, entri, che siamo qui protagonisti, non nessuno, e se lei è venuta qui è perché è protagonista signora.

DOMANDA:
Ci siamo dimenticati della fase di mezzo, dei genitori. Quante volte ci si scontra con “Stai attento a fare questa strada, perché quello che ti troverai davanti sarà un futuro con quattro o cinque punti interrogativi”; questo come lo trova lei sulla sua strada? Grazie.

ALESSANDRO GRASSI:
Io le dico signora che, almeno i genitori dei giovani che ho io, sono tutti entusiasti del lavoro che fanno i figli. Anche perché, in questo campo dell’artigianato, come in tutti i campi, il garzone se ha volontà, capacità, può diventare imprenditore, può diventare un lavoratore autonomo, può farsi le sue belle vetratine, mettersi il suo laboratorietto, poi se è bravo va avanti. Non è un lavoro di dipendenza per tutta la vita; se uno è bravo, se uno canta bene, prima o dopo lo scoprono e va in alto. E lo stesso è l’artigiano: se il garzone artigiano, se l’apprendista è bravo a imparare e in milanes dizemo “roba el mestiè”, se acquisisce il lavoro bene, domani sarà un futuro e autonomo artigiano che lavorerà bene. Adesso parlano tutti di computers, di università, di lauree eccetera. Ma io non ho la laurea, la laurea mia è stata la vita, io ho imparato, certo un titolo di studio ce l’ho, nel campo artistico, però – ha capito? – io la mia laurea l’ho maturata in laboratorio, quando mio padre mi diceva: “Allora, domani mattina vieni, e scopi tutto il laboratorio, pulisci per terra”, per imparare anche la modestia, perché noi dobbiamo essere bravi ma non dobbiamo mai dimenticarci le nostre origini e migliorare sempre. Io parlo sempre dei giovani, divento anche logorroico quando parlo dei giovani, perché io ricevo le scuole elementari, le scuole artistiche, i licei, tutti, e parlo del mio lavoro, ma non solo per insegnare loro, ma per far sì che il mio lavoro non muoia. Se non parliamo di queste cose, prima o dopo “Le vetrate, chi le fa, chi le fa, chi le vuole?” E invece noi lavoriamo in tutto il mondo, e non solo nel campo delle cattedrali eccetera, ma anche nelle case, negli arredamenti. Però bisogna battersi per quello in cui credi, e arriverai, e anche il giovane, se ci credi, arriva, perciò il genitore che manda il giovane, o mi presenta suo figlio, può star certo che avrà un futuro questo ragazzo. Dalla mia azienda sono nate altre dieci aziende. Io ho fatto un corso per la comunità Europea, diciotto ragazzi; bene, tutti e diciotto lavorano autonomamente, parecchie ragazze fanno le lampade, fanno le vetratine per l’arredamento, ma tutti e diciotto hanno trovato o un impiego in questo campo o lo fanno autonomamente. Perciò un futuro c’è per noi, non è una vita, è un’arte, e l’artigianato avrà sempre un futuro, perché gli uomini avranno sempre bisogno di qualche cosa che viene dal cuore, che è creato dalle immagini dell’uomo. Protagonisti, non nessuno, capito? Ha capito signora? Perciò coraggio, avanti su questa strada. E ci aiuteranno, vedrà che ci aiuteranno.

DOMANDA:
Stavo passando di qua per andare a pranzo, e quando ho sentito parlare di artigianato mi sono un attimino… Perché bene o male volevo portare qua la mia testimonianza. Io sono un artigiano parrucchiere, lavoro per conto mio, e son partito chiaramente da una bottega che c’era già, preesistente, una bottega di barbiere di mio papà, e vi dico che, non so come dire, io sto facendo il lavoro più bello del mondo. Ok? Ma me ne sono reso conto ultimamente, anche perché a volte il buon Dio usa un metodo che noi non capiamo immediatamente. Vi dico questo perché io nella mia vita avrei voluto fare tutt’altra cosa che il parrucchiere. Avevo altre mire, altri sogni, altre… e comunque mi son trovato in una situazione quasi costretto a fare… Quindi ho iniziato a dodici, tredici anni, quasi costretto, nel senso che mi vedevo sempre costretto a fare una cosa che a dodicitredici anni non mi piaceva, vedevo ragazzi che uscivano, che andavano e io dovevo stare lì comunque, per una serie di situazioni… comunque è stata una grazia, questa. Un artigiano che prende un ragazzo gli fa solo del bene, perché lo leva dalla strada, uno; e seconda cosa sono autonomo, padrone. Io ho preso le ferie per venire qua e non me le paga nessuno, sono giornate perse queste qua, ma non importa, ma non importa. Io a trentotto anni sono riuscito a fare cose che probabilmente, se avessi scelto quell’altra strada, non so, non sarei… mi perderei il bello della vita. Il poter stare a contatto col pubblico, si viene a sapere tutto di tutti, ma non in senso da pettegolezzo. Comunque il bisogno delle persone che si siedono lì da me è lo stesso bisogno di infinito che ho io, no? Cioè, non so come dire. Io devo essere solo grato alle circostanze che pure mi sentivo avverse. Essere artigiani è un investimento, l’artigianato è quello che tira veramente su l’Italia.

ALESSANDRO GRASSI:
È una passione che abbiamo dentro!

DOMANDA:
Io ho un’altra domanda. Due anni fa al Meeting i monaci della Cascinazza avevano come frase, titolo della mostra “Con le nostre mani, con la tua Forza”. Oggi a pranzo lei ha citato una frase dalla Preghiera dell’artigiano molto simile a questa. Allora io volevo chiederle due cose: uno, che cosa vuol dire questo per la sua esperienza, e se ci racconta di un’opera fatta che lei sente particolarmente vicina a questo concetto. Cioè dicendo, come diceva prima, “metti nelle mie mani qualcosa di Tuo”. Quando lei pensa questa frase, quale è la prima opera fatta che le vien voglia di raccontarci?

ALESSANDRO GRASSI:
Un esempio è stato il restauro delle vetrate del Duomo di Como. Era un’operazione quasi impossibile, perché dovevamo mantenerle in opera e restaurarle. Ecco, lì devo dirvi la verità: mi sono trovato vicino, molto, al Signore, nel ringraziarLo di avermi dato questa dote che io forse inconsapevolmente sapevo di avere, ma non avevo messo in evidenza. Mi son trovato vicino al Signore quando il Cardinale è venuto sui ponteggi a vedere il nostro lavoro e si è messo a piangere. Questo è un fatto che mi ha commosso ma che ricordo sempre con particolare attenzione, perché si è mosso qualche cosa dentro di me, in quel momento non pensavo più agli operai, non pensavo a niente, pensavo a quello che ero riuscito a fare ma soprattutto l’emozione che avevo dato a un’altra persona. Allora ho detto: “Signore, hai messo qualche cosa di Te nelle mie mani”. Qualche volta magari si sbaglia, anche lavorando si sbaglia, ma in quel caso lì ho suscitato un’emozione che ho provato anch’io in quel momento, ecco. Questo è stato il momento più bello della mia vita. Poi altri momenti significativi, ma quello mi ha commosso molto, molto, molto. Lo racconto poche volte, perché mi mette quasi a disagio la cosa. In quel caso mi sono sentito proprio partecipe di una cosa grande. Purtroppo non ho portato la preghiera dell’artigiano, ce l’ho, è bellissima, ma una frase importante di questa preghiera dice: “Signore, metti nelle mie mani qualche cosa di Te”. Allora il protagonista non sei più tu, ma qualcuno che ti spinge, che ti aiuta, che ti dice tutti i giorni : “Hai fatto qualcosa di utile per te ma anche per gli altri”. Lo ricollego ai nostri giovani, a cui dobbiamo dare il nostro insegnamento. È un nostro dovere, noi abbiamo dentro qualcosa di noi. Lei ha cinquant’anni di attività, io lo stesso. Abbiamo accumulato delle esperienze. Bene, parliamone a questi giovani! Io lo faccio sempre, quando vengono nel mio laboratorio le scolaresche, dico: “Guardate che questa è una cosa che noi facciamo con entusiasmo, con passione, che abbiamo imparato, che vogliamo trasmettere a voi”. Perché noi non dobbiamo morire, noi moriremo fisicamente, ma le nostre idee devono rimanere, il nostro esempio deve rimanere.

DOMANDA:
La cosa che volevo chiedere, che lei può fare, che sta già facendo, è richiamare il valore del lavoro delle proprie mani, del lavoro proprio come lavoro, perché la gente adesso non parla di lavoro, ma di posti di lavoro. Il lavoro è un valore, non è una cosa così solo per i soldi.

ALESSANDRO GRASSI:
No, no, no, il lavoro è lavoro, come dice lei, non solo per il lato finanziario che purtroppo ci deve essere, perché le spese le hai, però portare avanti un discorso educativo presso i giovani, un discorso che costruisce, non annienta l’entusiasmo che manifesto io quando parlo del mio lavoro, l’ha manifestato la signora e il signore del loro lavoro. Loro hanno parlato delle loro difficoltà; anch’io ho le difficoltà, però le supero tante volte con degli esempi, facendo delle cose particolari, dicendo: “Ragazzi sì, oggi voi faticate sulle cupole della Edison, che lui ha visto, a trenta metri d’altezza con le cinture e coi caschi fa molto caldo, però noi facciamo una cosa che domani rimane, parlerà di noi, e sarà il nostro esempio”. Noi dobbiamo giocare su queste frasi, ma soprattutto sul nostro esempio. Io sono venuto stamattina, ieri, qui e ho visto tanti giovani. Tutti son partiti da casa; potevano andare a fare le vacanze da qualche parte, si son sacrificati per venire qui. Ecco, questo è il loro lavoro, ma non è remunerato. È un lavoro a cui partecipano con passione. Questo è lo stesso del nostro lavoro. Dev’essere remunerato, chiaramente, però non dobbiamo essere noi, deve essere qualcuno che ci governa e che crei delle leggi ad hoc per favorire l’artigianato. Io sono, ripeto, sono, un artigiano che è sempre in positivo anche quando è in negativo; qualunque problema si presenta io lo risolvo perché dico: oggi fa brutto tempo, ma domani sarà bello. E allora questo ti salva sempre, hai capito? Comunque l’artigianato vivrà, di questo sono certo, perché i nostri giovani vivono e attuano sempre il loro entusiasmo, in ogni momento. Ci sono anche quelli che non lo fanno, però secondo me non sono la maggioranza, sono una minoranza di cui si parla sui giornali. Sui giornali non sentirai mai parlare dell’accompagnatrice che ho avuto io, che mi dice che le sue ferie al posto di farle al mare o in un villaggio turistico le ha fatte qui. Non parleranno mai di lei; parleranno del ragazzo che ruba o scippa la borsa alla vecchietta, hai capito? Viva i giovani!

DOMANDA:
Io ho una domanda abbastanza veloce da farle. Io studio economia al secondo anno e bene o male il Signore non mi ha dato un talento particolare artistico come quello che è stato dato a lei per lavorare le vetrate, no? Per cui io non posso dire – sarei un folle se dicessi – mi metto lì, imparo a far le vetrate e cerco di andare nei posti più belli del Giappone, per esempio. Però io sono appassionatissimo dell’attività economica, cioè io studio economia perché a me piace moltissimo.

GRASSI:
Tu studi perché il Signore ti ha dato questo dono, devi apprezzarlo.

DOMANDA:
E sono grato di questo, infatti. E tant’è vero che a Febbraio abbiamo fondato un club di economia, io e un paio di amici, adesso siamo già una quindicina, dove andiamo a incontrare artigiani come lei, imprenditori, professori, per capire come lavorate, per capire da dove viene fuori tutto quello che fate; abbiamo fatto la mostra dei benedettini, quella che ha citato lei. Però ho una domanda da farle. Io studio economia, cerco di leggere, sono appena tornato dall’Irlanda dove sono stato due mesi a imparare l’inglese, eccetera. Mi troverò tra tre o quattro anni a uscire dall’Università. La mia domanda è: come io, con il mio lavoro, posso dare una mano a voi artigiani a esistere, ad andare nel mercato internazionale, senza perdere quella passione che voi avete per il lavoro concreto, anche se io direttamente non posso parteciparne?

ALESSANDRO GRASSI:
Ma tu puoi partecipare al nostro lavoro! Puoi consigliarci come essere pagati, come fare i nostri investimenti ad esempio. Io compero dei vetri in Francia, in Germania, in Cina, tu puoi essere un supporto alle nostre attività, come tecnico; puoi suggerirci i modi di pagamento; i sistemi di pagamento più convenienti; tu puoi essere utile all’artigiano, col tuo lavoro; e a quanto mi dici lo fai con passione, con amore, altroché utile puoi essere! La tua attività può essere a supporto un supporto molto importante al lavoro artigianale. Ti ho detto, io lavoro per tutto il mondo, ho bisogno un consulente, che mi dica come devo essere pagato: in dollari? In yen? In marchi? Oppure in euro? Me lo devi dire tu, io lo chiedo a te, non lo chiedo ai miei operai, perché i miei operai non lo sanno, io non lo so. Tu mi devi insegnare come mi devo far pagare; t’è capiì?

MODERATORE:
Io voglio ringraziare veramente di cuore Alessandro Grassi per quello che ci ha trasmesso oggi, e mi permetto di sottolineare alcuni punti che come dicevamo ieri ci hanno colpito oggi e ci rilanciano a proseguire questo lavoro di questi giorni. Oggi abbiamo incontrato sicuramente una grande passione, una grandissima passione, però questa passione, che potrebbe essere sua e basta, diventa interessante per ciascuno di noi, perché è ricondotta alla sua origine, che è una storia fatta di volti, quindi il papà e il nonno, fino ad arrivare a riconoscerne l’origine ultima. Riconoscerne l’origine fa diventare consapevoli anche dell’utilità e della destinazione di questa passione, che è per il mondo, e questo si capisce perché ha costruito cose per il mondo, perché la bellezza che costruisce è per il mondo, fino ad arrivare alla gratuità con cui volentieri lancia l’imprenditorialità di altri, che è una cosa non banale, perché oggi come oggi concepire l’idea che io avvii un altro a diventare a sua volta un imprenditore è normalmente concepita come una minaccia. Una delle cose più commoventi che abbiamo sentito oggi è l’idea che lanciare un altro in una sua imprenditorialità fa parte del lavoro dell’artigiano. Quindi mi sembra che abbiamo avuto l’occasione di raccogliere per noi degli spunti per cui ringraziamo tantissimo Alessandro Grassi e ci diamo appuntamento domani alle 13.45 per un altro caffè, con un imprenditore, Graziano Debellini, che probabilmente alcuni di voi conoscono, che aggiungerà un altro punto di vista a questi suggestivi incontri che stiamo facendo in questo ciclo. Grazie mille, grazie ancora.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

26 Agosto 2008

Ora

13:45

Edizione

2008

Luogo

PAD. C1
Categoria
Incontri