UN CAFFÈ CON… UN PROFESSORE DI ECONOMIA

Partecipa Maurizio Dallocchio, Docente di Economia all’Università Bocconi. Introduce Gianluigi Da Rold, Giornalista.

 

GIANLUIGI DA ROLD:
Possiamo cominciare. Scusate il leggero ritardo. Il protagonista di questa conversazione è il professor Maurizio Dallocchio. È un bravo economista, soprattutto un docente di Finanza aziendale alla Università Bocconi, molto stimato e molto apprezzato dai suoi studenti. Ed è una persona competente, io credo, per farci capire non solo la natura di questa crisi ma anche a che punto siamo arrivati, quali possono essere le soluzioni. Io farò una piccola premessa. Quello che ci interessa maggiormente è capire effettivamente questa crisi, vedere come si sta sviluppando, a che punto siamo e dove è la via di uscita. Sto notando che anche negli ambienti accademici e fra gli economisti o nel mondo complessivamente si litiga ormai anche sulla crisi. Cioè, la settimana scorsa il professor Giavazzi, Francesco Giavazzi sul Corriere della Sera indicava, puntava il dito contro la corruzione politica fra le cause della crisi. D’oltre oceano qualche settimana fa è arrivato un giudizio impietoso di un premio Nobel del 2001, Joseph Eugene Stiglitz, che ha fatto un’immagine impietosa della finanza. Perché diceva: qual era la premessa della cartolarizzazione? La premessa poteva essere solamente una, non tanto algoritmi, quanto che nascesse al mondo un cretino al minuto. Ci sono opinioni molto differenti che non fanno concludere, non portano a una conclusione costruttiva, che poi è quella che ci interessa, senza trovare capri espiatori ma per vedere tutti noi come possiamo anche cambiare. Le discussioni c’erano già prima della crisi – voglio dire. Io ricordo sempre non tanto Roubini, Krugman che la predissero, o comunque, la indicarono ma un oscuro economista americano di origine slava, Hyman Philip Minsky, morto nel ’96, che prima di morire disse “arriverà una crisi terribile nel 2009”. Non so se faceva il profeta o comunque… Il problema che si pone è questo, quello che vogliamo sapere da un esperto, da una persona competente e che vede le cose un po’ freddamente, comunque le giudica in modo scientifico, è che la crisi ha ormai compiuto tre anni, si discute ancora sulle cause e non c’è un accordo tra gli analisti. Vorrei sapere se si è compreso un poco di più del meccanismo e a che punto siamo di questa crisi.

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Senti, Gianluigi, mi lasci rovesciare la prospettiva. Il titolo dell’incontro è Un caffè con … un professore di economia. Io sono convinto che l’economia e la finanza abbiano una responsabilità molto più modesta di quanto si creda. Lasciami dire perché. Il grande leit Motiv di questi giorni, secondo me, dà veramente la spiegazione profonda della crisi. Quella natura che ci spinge a desiderare cose grandi è il cuore. I signori che là fuori, politici, uomini di azienda, uomini della finanza, uomini del governo, dei sistemi, si sono impegnanti nel tempo hanno – o meglio, lasciami dire – non hanno avuto cuore, non hanno avuto un obiettivo ambizioso di lungo periodo, non hanno avuto una visione di insieme che andasse a beneficio di tanti, se non di tutti e non hanno avuto, in realtà, la percezione della responsabilità vera e del rispetto che dovevano avere di tutti noi e delle persone. In realtà, in modo cosciente o in modo incosciente, tutti i signori che citavo prima ma con una forte enfasi sulle variabili individuali non sulle variabili – sull’argomento poi ritornerò più volte – non sul fatto di essere banchiere o di essere ministro, non sul fatto di essere imprenditore o di essere a capi della Fed o della Consob. Tutti questi signori hanno agito con ingordigia, con superficialità, con disprezzo del rischio, anche se lo conoscevano bene, direttamente, e con una straordinaria concentrazione sul breve termine. Pensavano all’interesse tendenzialmente proprio o del proprio gruppo di riferimento, senza avere in realtà una visione di cuore, senza avere in realtà una percezione che fosse profondamente orientata non al domani mattina, non al guadagno di adesso ma al lungo periodo, a qualcosa che veramente ti aprisse i polmoni con l’idea di dire “sto facendo qualcosa di molto buono”. Tre parole, spero, semplici e cerco comunque di metterle semplici, sulla crisi. A mio modo di vedere che gli economisti prevedessero delle crisi … io conosco bene Roubini, oltre tutto tu sai che è della Bocconi. Io ho lavorato alla New York University, lo conosco molto bene. Lui di crisi si alimenta, per cui quando la crisi forse sta volgendo alla fine …

GIANLUIGI DA ROLD:
Sono gli specialisti in crisi …

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Ti scrive “la crisi non è finita”, ma tutto sommato lo farei anch’io se di crisi fossi diventato ricco. Ora, che gli economisti vadano a prevedere delle crisi o dei periodi di prosperità sta nel loro mestiere. Lui è stato lungimirante nel capire come si sarebbe manifestata. Questo sicuramente. Lui è stato più bravo degli altri nel capire che la bolla della liquidità e la bolla immobiliare avrebbero portato dei disastri nel vero senso della parola. Però prevedere crisi in qualche modo…, guardate, prevedo che entro il 2020 ci sarà una gravissima crisi del sistema cinese. Non ci vuole un genio, probabilmente l’uomo della strada lo capisce ugualmente. Pensate che in questo momento una casa a Shangai costa 200.000 dollari, una casa media, di media metratura, e che una buona famiglia a Shangai guadagna 4.000 dollari all’anno. Ci vogliono 50 anni di stipendio per comperare una casa. È insostenibile, lo si capisce evidentemente, per cui la previsione delle crisi è qualche cosa che è nelle regole del gioco. Io credo che le cause – per tornare dai macro sistemi agli individui, che secondo me sono i veri colpevoli – le cause della crisi siano di natura soggettiva e oggettiva. Così per condividere le cause di natura soggettiva e di natura oggettiva e per trarre delle considerazioni di natura semplice da un quadro che è tecnicamente piuttosto complicato, mi soffermo sulle cause soggettive. Due le ho citate di già: l’ingordigia e la superficialità. Superficialità non solo delle istituzioni, come dicevo, ma anche dei singoli -poi, intendiamoci, naturalmente, anche delle istituzioni. Voi pensate alle società di rating delle quali io sostengo la assoluta centralità nel sistema. Le società di rating sono come il maestro: il maestro dà i voti e comunica ai genitori se i figli sono bravi o non sono bravi. Il voto, che sia espresso in numeri o in altri termini, è indispensabile per percepire la qualità degli individui, almeno sotto certi profili. Il rating è praticamente la stessa cosa, la società di rating è un maestro che attribuisce dei voti a delle emissioni, che siano di uno Stato, di un’azienda, di una entità sopranazionale. La società di rating che attribuisce un bel 10 pieno, la tripla A, a una emissione, che è fatta male e che è poco conosciuta, è una istituzione superficiale. La società di rating ha profondamente sbagliato nell’attribuire il 10 a quella emissione.

GIANLUIGI DA ROLD:
Mi verrebbe da dire, chi fa rating alle agenzie di rating?

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Questo è il vero problema. Quis custodiet ipsos custodes? Chi lo sa, nessuno. Si autoregolamentano, anche se in questo momento soprattutto l’Unione Europea sta cercando, più che gli Stati Uniti, di dare degli orientamenti per cercare di governare queste entità che in realtà sono profondamente autoreferenziali. Cioè, riferiscono a se stessi, in buona sostanza. Ora, soggettiva ingordigia, superficialità è sicuramente una profonda sottovalutazione del rischio. Se uno si butta dalla finestra, tre volte può trovare i pompieri con il telone, la quarta volta si schianta per terra come Willy il coyote. Ecco, qui si sono buttati per tre o quattro volte e poi hanno fatto la fine di Willy il coyote effettivamente. Poi ci sono delle cause oggettive. Queste sono cause di natura tecnica. Tassi bassi per un sacco di tempo per cui io prendo denaro a prestito e lo pago poco e questo evidentemente è un grande vantaggio per chi prende prestito, è un grande vantaggio che in qualche modo ti affascina – perché non dovrei indebitarmi? mi indebito eccome, non mi costa niente indebitarmi -per cui lo faccio. C’è sicuramente una grande responsabilità di coloro che hanno costruito l’incostruibile, soprattutto negli Stati Uniti, generando la necessità di case che non c’era. Avete visto ieri i dati, dicono che le compravendite di abitazioni già costruite, non nuove, negli Stati Uniti lo scorso mese è sceso del 24,7%. Un inabissamento, ovviamente, non c’è domanda semplicemente perché le case sono troppe rispetto alle esigenze degli individui. L’ingegneria finanziaria sulla quale andremo, se lo ritieni, più avanti a fare qualche riflessione, perché nella mostra – veramente voglio ringraziare, insieme a Gianluigi Da Rold, gli studenti della Cattolica e della Bocconi che hanno fatto un lavoro stupendo su questa mostra, anche il paper che è stato prodotto è un lavoro di grandissima qualità, se avete tempo, vi invito a leggerlo – nell’ambito della mostra emerge con grande chiarezza che la finanza serve, serva a tanto, ma la finanza non serve per nulla nel momento in cui è fine a se stessa. L’ingegneria finanziaria intesa sostanzialmente a fare il gioco delle tre tavolette, per creare un gioco là dove in realtà non c’è nulla da giocare, è un qualcosa che preoccupa, qualcosa che sicuramente spaventa. Ecco, tassi bassi, case più del necessario, l’ingegneria finanziaria alla fine – fammi dire – mette la finanza al posto dell’economia reale. Ecco, queste sono probabilmente le cause più profonde. Tu mi hai chiesto dove siamo.

GIANLUIGI DA ROLD:
In che punto del tunnel più o meno.

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Tu lo sai che gli economisti amano descrivere le crisi con le lettere dell’alfabeto, tendenzialmente con le ultime lettere dell’alfabeto. La crisi a V, la crisi a doppia V. Siamo andati giù, abbiamo avuto un respiro ma forse torniamo giù di nuovo. Io credo che siamo in una situazione di tipica crisi a U, nel senso che siamo arrivati in una fase di stallo dalla quale non ci riprenderemo presto, ma sapete perché non ci riprendiamo presto? Perché l’economia è figlia della fiducia. Se non c’è fiducia, la gente non investe, non compra, non mira al lungo periodo, ma cerca in qualche modo di conservare quello che ha e questa è una profonda crisi di fiducia. Io mi ricordo che quando ero bambino a noi assicuravano due cose, quando c’era da cercare delle certezze – dimmi se anche per te era la stessa cosa, Gianluigi; una cosa era certa, la banca poteva essere ingorda, poco trasparente, poteva essere ostile ma era solidona, non ti fregava mai e, due, un posto sicuro dove mettere i soldi era il mattone. Ora, se voi ci pensate, questa crisi ha origine nel mattone e nelle banche, ci hanno buttato giù il mattone e la banca – e questo è vero in tutto il mondo – prima di riprendere fiducia state tranquilli che passerà tanto tempo. Per cui, fintanto che non si riprende con la fiducia, l’economia non può che stagnare, stagna con il nostro umore, stagna con le nostre percezioni, stagna con le nostre paure. Il ché vuole inevitabilmente dire che una volta che questi due grandi istituti – monadi, categorie logiche potentissime, la banca e gli immobili e poi chi dà loro fiato – riacquisteranno credibilità nel sistema, a quel punto stai sicuro che l’economia ridecolla. Anche perché per far decollare l’economia è necessario che ci sia una domanda. Se la domanda non c’è, perché la gente è impaurita, l’economia non decolla. Ecco perché dico che in questo momento siamo un una fase a L, la U è un po’ probabilmente lì da venire.

GIANLUIGI DA ROLD:
Va benissimo, è una risposta davvero molto interessante e di grande buon senso, devo dire. Quello che vorrei sapere, però, è in questi tre anni – perché anche se poi la crisi esplode nel 2008, ha dei precedenti che si vedono chiaramente nel 2007 – che cosa hanno fatto rispetto alle domande che ci si pone e alle necessità, i grandi organismi internazionali? Perché, si è detto più volte che questa è una crisi globale, mondiale, quindi la risposta può essere anche nazionale su alcuni temi ma è principalmente globale. Cosa si è fatto fino adesso? È stata incisiva, è stata importante? È servita a tamponare? Questa era la seconda domanda che ti volevo fare.

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Allora, guarda. Credo che se non ci fosse stata una risposta coordinata a livello internazionale, sarebbe stato sicuramente un nuovo 1929. Scusate, si parla del 1929 ma non c’era probabilmente nessuno dei presenti e certamente non c’ero io. Nel 1929 il prodotto interno lordo degli Stati Uniti in due anni scende del 30%. Il prodotto interno lordo è un brutto animale e poi non è neanche molto preciso. Però 30% è un numero che fa paura, molto semplicemente pensate che ciascuno di noi si ritrovi in tasca, nel senso più ampio del termine, 30% in meno di quello che aveva un anno fa. È un colpo mica da ridere. L’anno scorso, vi ricordo, il prodotto interno lordo del mondo è decresciuto dell’1 virgola %, il Italia è decresciuto del 5 %, nel ’29 negli Stati Uniti, che era già la più grande nazione al mondo quanto a prodotto interno lordo, del 30% in meno. Perché? Perché non c’è stata una risposta coordinata, una risposta di sistema, devo dire c’è anche stata una risposta sbagliata da parte del governo della Federal Reserve negli Stati Uniti in quel periodo, che fece una politica di troppo breve periodo, ma non è questo il tema. Tu mi chiedi, hanno ben risposto i governi e le grandi organizzazioni internazionali? Io ti rispondo con due colori. Hanno risposto con un bel bianco, gli Stati Uniti, la Federal Riserve – e poi ti dirò perché -, il G20, il Fondo Monetario Internazionale. Queste entità sono state veloci. Vi ricordo, fallisce Lehman Brothers, ed è il grande errore che commettono gli Stati Uniti, vi ricordo che si era sotto elezioni e che la gente voleva vedere sanguinare le banche; errore clamoroso, le banche possono essere bastonate in qualsiasi momento, ma delle banche il sistema ha bisogno anche perché, lo dicevo prima, sono uno dei perni nodali della fiducia. Può far piacere picchiare un banchiere quando il banchiere è su tutti i giornali come l’origine fondamentale della crisi, ma prendiamo una mazza da baseball, prendiamo un banchiere e gliela diamo in testa, ma fare fallire la banca è l’errore più clamoroso che si possa commettere. Vedremo – se sarà il caso – per quale ragione. Ma la parola fiducia che ho appena evocato credo che ne sia la testimonianza più chiara. Ora, fallito Lehman Brothers, la Federal Reserve in tre giorni lancia un piano di quasi un miliardo di dollari che mette a disposizione per salvare le altra istituzioni finanziarie. Questo è un colpo straordinario. Io vi ricordo, quando vi metterò il colore grigiastro, non nero, ma grigiastro per l’Europa, lo metterò ricordando anche a tutti voi che la prima volta che l’Europa cita un numero, e vi assicuro un numero del tutto a caso, 750 milioni di euro, dopo che in realtà la Grecia era letteralmente fallita, che poi il nome fallito non lo si pronunci è un altro discorso, ma comunque mette a disposizione virtuali 750 miliardi di euro. La FED in tre giorni ha messo a disposizione 1000 miliardi di dollari, veloce. Il Fondo Monetario Internazionale capisce che ci sono delle nazioni che sono in profonda crisi – i Paesi dell’area baltica in particolare, in Europa, l’Ungheria, in parte alcuni stati asiatici – e nel giro di due settimane mette a disposizione, mette sul tavolo 400 miliardi di dollari, velocissimi, tempestivi, in grado di ricostruire la fiducia perché se la risposta arriva in ritardo rispetto all’esigenza, la fiducia che è uno dei temi nodali dell’economia si sgretola. Per cui il governo americano e la FED, Fondo Monetario Internazionale, sono stati attenti, veloci, capaci di dare risposte coerenti con la gravità dei problemi. In Europa noi siamo sempre con la Banca Centrale Europea che deve rispondere non a un governo ma, nella migliore delle ipotesi, a 15, 16, in realtà, poi, a 27 governi, con il risultato che è intempestiva, frazionata in linea di principio, anche se autorevolmente rappresentata, sempre in ritardo, perché prima di assumere una decisione deve fare 27 telefonate. Il presidente della FED nel momento in cui deve assumere una decisione fa una telefonata e c’è un signore dall’altro lato del telefono che gli risponde immediatamente. Per cui la nostra risposta è scollata, intempestiva e probabilmente non in grado di ricreare fiducia. Un altro “bravo” in questo scenario a mio modo di vedere è stato il G20. G20 che è questa accozzaglia di personalità e uomini e donne politiche sicuramente di sensibilità, di percezione differenti; il rischio che si ritrovano e rilascino una dichiarazione che non conta nulla perché in qualche modo è raffazzonata sulla base delle esigenze di troppe persone, è un rischio troppo grande. Il G20 ha fatto tre cose importantissime: si è preso la responsabilità di coordinare gli interventi su tutti gli Stati e l’ha fatto. Si è preso la responsabilità di lavorare con il sostegno del Fondo Monetario Internazionale, e l’ha fatto, e ha trasformato una sorta di fumoso organismo di consulenza che si chiamava Financial Stability Forum, che era un insieme di qualificati scienziati, l’ha trasformato nel Financial Stability Board, cioè sostanzialmente un consiglio di persone qualificate che aveva la responsabilità di assumere delle decisioni operative nell’ambito di tutto il mondo – a capo, tra l’altro, c’è Draghi, che è un uomo illuminatissimo. Il Financial Stability Board ha dato delle indicazioni che sono state potentissime in questo momento di crisi. Per cui do un giudizio profondamente positivo.

GIANLUIGI DA ROLD:
Un giudizio positivo, anche se io credo che bisogna entrare un pochino poi nel meccanismo, cioè ci sono da rivedere alcuni comportamenti di carattere finanziario e sul mercato finanziario. Per carità, io ricordo un grande banchiere della Maison Lazard, Andrè Meyer, che diceva sempre questa frase quando si parlava di comportamenti etici, il suo credo era questo: “perché essere solamente antipatici quando è così semplice essere odiosi?”. Quindi il rapporto che esiste nel mondo della finanza non credo che sia quello di fratellanze strane, però che ci sia la necessità di correggere alcune distorsioni e di fissarle al più presto, è vero. Bene o male, già negli anni ’80, c’erano dei banchieri negli Stati Uniti, faccio l’esempio di un tale che può essere anche unico, ma non credo, tale Sidney Homer della Salomon Brothers, che faceva le obbligazioni, era chiamato il mago delle obbligazioni, vendeva le cedole e i titoli separatamente. Io credo che qua qualche correzione vada fatta. Si deve fare o no?

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Si deve fare, le correzioni sono strettamente necessarie, pensate, per colpa mia, sono arrivato in ritardo però, avevo una rappresentazione grafica da mostrarvi, è divertente. Questa rappresentazione grafica mostra la dimensione relativa, ed è qualcosa di interessante osservarla insieme, di quattro grandezze anzi ne bastano tre, la quarta la tralasciamo. Queste quattro grandezze sono rispettivamente, si fa fatica vederlo ma conta poco, il prodotto interno lordo del mondo, cioè quello che il mondo genera su base annua. Sono dati del 2008, ma è irrilevante, grande 1 il valore delle attività finanziarie che circolano nel mondo nello stesso periodo; grande 4 le attività finanziarie, sono quattro volte la ricchezza del mondo su base annua; poi ci sono le attività finanziarie cosiddette derivate ovvero sia gli strumenti finanziari che sono stati costruiti sugli strumenti finanziari originali, derivati vuole dire derivati dagli strumenti originali, banalmente azioni, obbligazioni; tutto quello che è stato costruito su azioni e obbligazioni vale 12, per cui 1 è il pil del mondo, 4 sono le attività finanziarie, 12 sono le attività finanziarie costruite sulle attività finanziarie. Che ci sia la necessità di rivedere qualche cosa, credo che sia implicito nei numeri, anzi sia esplicito nei numeri per la verità. Il problema è che cosa rivedere: allora io credo che non si possa genericamente chiedere sempre un intervento regolatore, perché il regolatore, scusatemi, alla fine rompe le scatole, il regolatore deve svolgere nel modo migliore la sua attività possibilmente però intervenendo con grande determinazione. Quando c’è una violazione forte del regolamento in campo, il bravo arbitro deve intervenire con il cartellino del colore appropriato e se del caso cacciare fuori i calciatori che non si comportano bene. Però un grande arbitro è anche uno che se ne sta stare zitto e in disparte quando la partita viene giocata in modo corretto. Qui il regolatore deve far balenare un paio di cartellini rossi ma poi deve tornarsene da parte, perché se il regolatore diventa il protagonista principale dei mercati, i mercati muoiono e in questa fase in cui i mercati hanno bisogno di riassumere ossigeno, coloro che reclamano una maggiore regolamentazione, una vigilanza più significativa, una più attenta e rigorosa supervisione da parte dei mercati, da parte di poi non si sa chi, in realtà non fanno nient’altro che impedire che i mercati ridecollino, il che non va bene assolutamente a nessuno. Io faccio di più, provo a dire che i mercati hanno bisogno anche della speculazione, perché se non ci fosse la speculazione faremmo tutti la stessa cosa e se facessimo tutti la stessa cosa i mercati non esisterebbero, compreremmo tutti e venderemmo tutti sulla base delle medesime aspettative. Lo speculatore è quello che va contro le aspettative e che crea la possibilità per i mercati di assalire e di scendere. Dello speculatore abbiamo bisogno, abbiamo bisogno di tutti gli operatori di sistema; il problema vero non sta a mio modo di vedere nel mettere dei bei ceppi alle caviglie a tutti gli operatori di mercato, degli operatori di mercato abbiamo bisogno, è che gli operatori di mercato si devono comportare in modo corretto, di nuovo con il cuore. Questa potrebbe essere una espressione generica che viene declinata per rabbonire una platea semplice, invece è la più difficile delle affermazioni che si possa fare, soprattutto se si prova a dare un contenuto, cioè cosa si può fare perché gli operatori non siano ingordi, mirati al breve periodo e in linea di principio staccati completamente dal mondo e incentrati solo su se stessi? Dico subito che sarà un processo lungo e che avrà bisogno di parecchi ingredienti, secondo me un argomento fondamentale deve essere modificato da domani mattina ed è la modalità di remunerazione di queste persone. Ora non c’è nessun docente in università Bocconi che abbia laureato tanti studenti quanti ne ho laureati io, conosco gli studenti da tantissimi anni, li ho visti in tutto il mondo e li ho visti molto da vicino nella mia università. Ci sono stati dieci anni, dieci, in cui non c’è stato uno studente, non è vero, adesso sto esagerando, però andiamo per massimi sistemi, non c’è stato uno studente che sia venuto a bussare alla mia porta e che non mi abbia detto: professor Dallocchio vorrei andare a lavorare in un banca d’affari. Tutti volevano andare a lavorare in una banca d’affari, sai perché? Perché ogni dipendente costava alla banca in termini di compensi, bonus, incentivi vari, sistemi di previdenza eccetera, 630 mila dollari a persona, circa 500 mila euro per ogni dipendente. Ora io non credo che la guardia giurata, la segretaria neo assunta, il giovane stagista guadagnassero 630 mila dollari a testa, il che mi fa dire che qualche migliaio di persone guadagnavano più di 10 milioni di dollari e che comunque un bravo studente dopo un anno poteva ragionevolmente aspirare a guadagnare 200, 300, 400 mila euro o dollari.
Ecco perché tutti volevano andare a lavorare nelle banche d’affari; l’errore a mio modo di vedere non è soltanto, l’avverbio soltanto è importantissimo, non è soltanto in una distorsione numerica che è evidente a tutti – o crei valore per 600 mila dollari o c’è un errore di fondo – ma è la modalità di remunerazione che va riformata.

GIANLUIGI DA ROLD:
Io vorrei farti un ultima domanda, perché poi vorrei lasciare parlare un po’ il pubblico, che mi hanno detto di farti i tuoi studenti. Alla luce di quello che è successo, tutto questo affresco, molto più un puzzle direi che un affresco, vorrei sapere se tu hai cambiato il metodo dell’ insegnamento, se è cambiato qualcosa nel contatto con gli studenti e rispetto alle materie che tu insegni.

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Sai, io insegno finanza aziendale, e la finanza aziendale è profondamente diversa dalla finanza di mercato.
Il mio maestro Giorgio Pivato, pochi anni prima di morire, scriveva nel 1979: “La finanza di azienda è una funzione ancellare della produzione, delle vendite, dell’organizzazione nelle aziende. Il suo obiettivo primario è il conseguimento di un durevole equilibrio fra la raccolta dei soldi e l’impiego dei soldi, insieme all’attenta gestione del rischio”. Lui dice: fai due cose bene, raccogli, impiega e gestisci il rischio. Così fai finanza per bene.
Poi scriveva da ultimo: “Le aziende industriali dovranno riflettere attentamente prima di fare della finanza un centro di profitto”. Questo lui lo scriveva nel ’79, io lo riporto nei miei testi da sempre e credo che questo sia il punto nodale. Partiamo da quello che c’è già. Quello che c’è già è che quando si parla di finanza è necessario cercare di capire che si parla di un insieme di strumenti che possono fare bene o male. Se fanno bene gestiscono il rischio, trovano i soldi e li impegnano bene. Questa è la finalità ultima della nostra materia.
Come ho cambiato l’insegnamento e come ho cambiato il rapporto con gli studenti?
Parto da questo ultimo. Ho incominciato a ragionare con gli studenti sul tema che non più e non soltanto la banca o la banca d’affari è l’approdo più giusto per la loro crescita. Se ne sono accorti anche loro, intendiamoci, sapete che delle migliaia di studenti che sono finiti nelle banche d’affari a lavorare nei 10 anni precedenti alla crisi, la metà è per strada. Magari ha guadagnato tantissimo negli anni precedenti. Adesso è per strada e non ha un mestiere, perché, attenzione, molti di questi signori andavano a fare i venditori. Ora, non vendevano spazzole, non vendevano macchine ma vendevano derivati che più nessuno vuole. Se tu sai vendere solo derivati non sai fare niente. Per cui si sono spaventati effettivamente, e hanno riscoperto l’industria, il commercio, i servizi e il mondo pubblico. La qualificazione che certa parte del mondo pubblico sta assumendo in molti contesti, – faccio parte del mondo universitario e mi piace pensare che questo sia uno dei tanti anche se la mia è una università è privata – fa sì che nel mondo della ricerca, nel mondo della salute, nel mondo anche delle entità locali si vadano sviluppando dei nuclei d’eccellenza a cui agli studenti piace partecipare. Per cui uno dei compiti che mi sono dato è quello di far scoprire agli studenti che esistono altri mondi che sono importanti e che hanno bisogno del loro contributo, perché sono quei mondi che poi generano, là fuori, un beneficio per se stessi in termini di soddisfazione ma per il sistema in termini di qualità complessiva della vita.
E poi sono ritornato su qualcosa che ho sempre considerato il perno, per la verità, della mia attività universitaria: l’esempio. Guarda, l’esempio è nodale. Esempio significa cercare di parlare bene e razzolare bene, o se volete, se siete un agente del male, parlare male e razzolare male, ma dare coerenza alle due cose. L’esempio significa rispetto, per prendere un valore importante, essere sempre presente a qualsiasi ricevimento studenti, essere sempre presente a qualsiasi lezione, dare un contributo concreto con il comportamento al miglioramento della percezione della qualità delle cose che gli studenti stanno facendo. Guarda, io ho tanti miei colleghi, (non è vero) ho qualche mio collega che, pur noto, pur stimato, pur scrivendo su molti giornali, non ha mai fatto un ricevimento studenti, non si è mai seduto in Consiglio di Facoltà, non sa cosa significhi fare una lezione e poi parla di università.
Ecco io trovo che questo sia incoerente e scorretto.
Se il modello che si va ad affermare è quello del grillo parlante, che dà una luce sfolgorante di correttezza, di rigore, di attenzione nella crescita del mondo universitario, nella crescita della carriera accademica, ecc. e non partecipa a un Consiglio di Facoltà, ecco credo che questo sia un modello che viene trasmesso agli studenti che siedono in Consiglio di Facoltà, perché ci sono anche loro e non lo vedono mai, ma forse il modello vincente è quello. E allora si torna alla de-responsabilizzazione, all’ingordigia, alla superficialità di cui prima ti avevo detto.

GIANLUIGI DA ROLD:
Ecco io, a questo punto, aprirei il dibattito anche tra il pubblico. Se ci sono domande, se qualcuno vuole rivolgersi direttamente.

DOMANDA:
Buongiorno e grazie per essere qua con noi. La mia domanda è su quello che lei ci ha detto. gli organismi internazionali, principalmente quelli americani e il fondo internazionale hanno emesso tantissima liquidità in maniera esponenziale. Ora la mia domanda è, se è tutto debito alla fine, a cosa può portare, quali sono le controindicazioni di questa medicina? Perché io ho due modelli opposti. Il primo è il modello giapponese, cioè della recente crisi giapponese, tantissima liquidità e praticamente hanno perso un decennio. Dall’altro, però, per bruciare tutto questo debito, non è che magari salta fuori una seconda Repubblica di Weimar, anche perché i giapponesi avevano una fortissima propensione al risparmio ma gli americani no. Ecco è questo che mi lascia perplessità. Grazie.

MAURIZIO DALLOCCHIO:
È una domanda importante, che ha una componente pesante. Non è una nuova Repubblica di Weimar, questo sicuramente, per una ragione semplice, che in realtà, la liquidità che è stata messa nei sistemi, è stata emessa da tutti. Gli economisti avevano previsto un’inflazione galoppante, perché il rischio evidentemente è quello: tanta più liquidità tanto meno vale. Il pericolo, però, è stato evitato ed è per questo che gli organismi sovra-nazionali hanno ben funzionato e si sono ben coordinati. Se tutti mettono lo stesso livello di liquidità nel sistema, i livelli relativi della moneta restano identici. Per cui non c’è stata inflazione. Se gli USA avessero immesso migliaia di miliardi di dollari nel sistema e l’Europa non avesse fatto lo stesso con l’euro, il dollaro si sarebbe svalutato in modo radicale rispetto all’euro. Non è successo. Allora, il coordinamento di sistema ha fatto sì che tutto il sistema fosse inondato di liquidità. Intendiamoci, questa liquidità era strettamente necessaria. Molti si chiedono: perché? E giustamente lei dice debito. In realtà impropriamente debito. Perché questo denaro dov’è andato a finire? È andato a finire sostanzialmente nel sistema finanziario, se volete banalmente nelle banche. Perché è andato nelle banche? Perché le banche hanno tre fonti di finanziamento che negli ultimi due anni, soprattutto dall’ottobre del 2008, fino a tutta la metà del 2009 si erano completamente inaridite. I depositi dei correntisti, i correntisti correvano a ritirare i soldi perché avevano paura che le banche saltassero; il mercato delle obbligazioni bancarie ma chi sottoscriveva una obbligazione bancaria dopo il fallimento della Lehman Brothers? E il mercato interbancario, cioè la banca che è in surplus presta alla banca che è in deficit. Ma le banche non si fidavano l’una dell’altra. Per cui le tre fonti di finanziamento delle banche erano aride. Lì o c’era un prestatore originario, e non poteva che essere un entità centrale, una banca centrale, o altrimenti le banche saltavano perché non avevano i soldi. E allora è stata una scelta obbligata quella di immettere tutta quella liquidità per far sì che le banche avessero le risorse da dare alle imprese, da dare alle famiglie, da immettere nel sistema.
Tutta questa liquidità, come ho detto, poteva avere due effetti. Uno generare inflazione e non credo che lo farà; vi dirò aspetterei con ansia di sentire che domattina l’inflazione tendenziale è tra il 2-3-4-%, perché non sarebbe un segno dei inflazione monetaria ma di ripresa della domanda. La seconda cosa che tutta questa liquidità può fare è di ingolfare il sistema, come quando nel nostro motorino da ragazzini acceleravamo, il carburatore tirava dentro troppa benzina e non riusciva a bruciarla. Se non riesce a bruciarla, il tema che si sviluppa è che questa liquidità finisce dappertutto. Cioè porta una riduzione nella percezione del rischio, il rischio che si ritorni a prima per la troppa liquidità nel sistema. La liquidità in questo momento è nelle mani delle banche centrali e delle banche. Se le banche e le banche centrali dovessero reimmettere tutta questa liquidità, andando in modo non selettivo a reinvestire su tutte le cianfrusaglie che il passato ci ha mostrato, questo sarebbe un grave pericolo.

DOMANDA:
Io ho una domanda un po’ più spicciola. Lei ha detto non c’è fiducia, il mattone non è più un valore, le banche hanno corso il rischio di fallire, ma noi i nostri risparmi dove li mettiamo?

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Allora, questa è una responsabilità enorme. Con una domanda spicciola mi dà una responsabilità enorme.
Allora, non esiste una ricetta per tutti, ovviamente. Perché evidentemente due parametri di base devono essere conosciuti: la dimensione del patrimoni e il tempo E conseguentemente il rischio al quale si è disponibili a far fronte.
Prescindendo da questo, dove mettiamo i soldi? Mettiamo i soldi in attività che siano molto liquide, in questo momento. Molte liquide vuol dire che siano prontamente trasformabili in cassa, per cui con un orizzonte di breve periodo. Mettiamo che abbiano un mercato, per cui non in attività che se domani devo smobilizzare le vendo a un terzo di quello a cui le ho comperate, in linea di massima che abbiano dietro un emittente o un garante credibile e solido nella stragrande maggioranza, per cui titoli di stato, titoli bancari, depositi magari anche vincolati ma con scadenze di vincolo piuttosto limitato, pronti contro termine, obbligazioni di entità sovranazionali, possibilmente dotate di buon rating. Al rating credo e credo ancora e se non ci credessi più sarebbe un disastro non solo per me, ma per il sistema, senza dimenticarci però che una porzione dei nostri investimenti deve sempre necessariamente essere anche orientata al rischio. Il che vuole dire azioni con una logica di selezione attenta del settore della azienda. Ma la stragrande maggioranza sta sul primo fronte.

DOMANDA:
Anch’io intanto vorrei ringraziarvi di questo incontro e poi vorrei chiedere una cosa, per quanto riguarda la continuazione della crisi. Quello che mi chiedo è se la crisi reale sta continuando non tanto perché derivi dalla crisi finanziaria ma perché c’è un problema strutturale nella nostra economia reale. Ovvero troppa produzione rispetto alla domanda.

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Allora, io ho usato un’espressione prima, che è stata un po’ la spina dorsale di quello che stavo dicendo, che è ingordigia.
Se voi prendete, le cinquecento più grandi imprese al mondo, la numero uno (l’anno scorso era la numero tre) è Walmart. Walmart è una grandissima realtà di distribuzione negli USA, che ha imposto un modello negli USA e anche in Europa, di grandissime quantità, a prezzo molto basso. In realtà un po’ tutti noi ci stiamo innamorando della quantità anziché della qualità. Il che comporta una sovrapproduzione, il che comporta un grande problema di smaltimento, il che comporta in realtà la necessità di sentirsi bene se si possiede tanto, non se si possiede il giusto, ma se si possiede tanto.
Questo è un tema al quale non gli economisti, forse neanche i sociologi ma ragionevolmente gli psicologi devono trovare una spiegazione ed è un tema, quella della voluttà e possesso, sul quale non sono titolato a parlare, ma che sarà sicuramente all’origine del problema del XXI e XXII secolo che saranno caratterizzati, naturalmente, dalla sovracapacità e dalla sovrapproduzione, con il grande problema dello smaltimento, che è un tema che in questo momento soltanto qualcuno, il più lungimirante, pone al numero uno nella scala dei problemi da affrontare, ma che è un problema enorme da affrontare. Questo tema può essere in parte affrontato soltanto con una forte capacità innovativa. È solo l’innovazione che può portare la produzione a livello di prodotti di mercati e tecnologie che ancora non esistono, evidentemente però l’innovazione richiede ricerca, la ricerca richiede un sacco di denari, un sacco d’investimenti, che attualmente non ci sono. Per cui il circolo è un circolo vizioso, nel senso che pochi investimenti, perché c’è poca fiducia, pochi investimenti uguale a poca innovazione, poca innovazione uguale tanta produzione di quello che già esiste. Per cui il problema che lei pone in evidenza è un problema vero, pesante. Sovrapproduzione e sovrapproduzione di cose standard, di cose normali, di cose comuni e non innovative.
Questo è un problema che obiettivamente non ha una soluzione di breve periodo. La soluzione si chiama innovazione.

DOMANDA:
Ciao Maurizio, da vecchio compagno di classe ti faccio una domanda difficile, penso in tema con quello che sono i contenuti del Meeting. Tu, come persona, e ti conosco bene e ti conosco come una splendida persona, quanto credi che nel breve periodo l’uomo possa essere rimesso al centro dell’esistenza e della attenzione rispetto a quanto adesso non lo sia il profitto? Ma questo te lo chiedo più che come professore della Bocconi come uomo.

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Senti. È un processo … hai visto ho proprio esordito dicendo che io mi sento male quando ci sono attacchi incondizionati a istituzioni. Muoia Sansone con tutti i Filistei: bruciamo le banche. Muoia Sansone con tutti i Filistei: bruciamo tutti i regolatori del mondo.
Sono gli uomini che hanno sbagliato, per cui la tua domanda è nodale, è centrale. Quando l’uomo riprenderà all’interno delle istituzioni il ruolo che nella politica aveva De Gasperi, che Cuccia aveva in Mediobanca, che queste persone avevano nelle grandi organizzazioni? Non lo so. Non ne ho la benché minima idea. Credo che ci siano, probabilmente, due entità che devono agire in modo combinato: la formazione, dalla prima elementare al dottorato di ricerca. Io quando consegno gli strumenti ai miei studenti, cerco di trasmettere loro la grande capacità di offesa che la finanza per esempio ha quando io gliela metto in mano. Per cui che ci sia la necessità dalla maestra elementare fino al capo dottorato di ricerca di trasmettere la pericolosità e la responsabilità degli strumenti che vengono consegnati con il sapere. Credo sia qualcosa su cui valga la pena di ripensare.
L’altro punto nodale è la società. I meccanismi di inclusione e di esclusione. Se noi come società riuscissimo ad escludere gli ingordi, ad escludere coloro che hanno una visione di breve periodo, coloro che non hanno il rispetto degli altri, dell’ambiente, escludere nel modo più vivace, più significativo, anziché accoglierli con le braccia aperte come se fossero i più bravi di tutti, credo che tutto andrebbe meglio. Non so dirti se questo secondo meccanismo passi attraverso la cultura, la religione, un revisione di natura sociale dei contenuti, dei nostri, non lo so, non lo so.
È una domanda troppo profonda, forse troppo antropologica.

GIANLUIGI DA ROLD:
Ci sono altre domande?

DOMANDA:
Buongiorno e vi ringrazio per essere qui. Io volevo fare una domanda di carattere diverso ma non del tutto fuori tema, anzi che nasce anche e soprattutto dalla considerazione di questa crisi. Io sono un futuro studente di economia interessato al momento al diritto economico. Quali sono le nuove frontiere di una, ad esempio di una regolarizzazione dei mercati? Come, anche solo parlando dei punti guida, delle linee guida, come si possono regolare i mercati finanziari, i mercati economici e quindi dare delle regole che possano, appunto, rimettere l’uomo, un uomo capace di responsabilità, al centro dell’attenzione e non più il profitto? Se e possibile, non dico concretamente ma almeno a livello di linee guida generali. Grazie.

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Volentieri, da più parte mi è parso di intendere che vi sia non criticità ma così un dubbioso rivolgersi al profitto come qualcosa, non dico di illecito, non dico di inopportuno, ma come qualche cosa che possa generare percezione negativa. Il profitto è nobilissimo. Il profitto, quando è svolto, quando è ottenuto con una attività economica rigorosa, attenta e naturalmente orientata al lungo periodo, è assolutamente un totem al quale ispirarsi. Che cosa nel sistema del regolamento deve essere modificato perché il profitto possa essere ottenuto sulla base dei presupposti che ho appena dato? Mi è difficile dire per tutta l’economia. Provo a dirlo per un operatore importante dell’economia: la banca.
Allora, la banca deve pensare di fare bene tre cose: non vi voglio annoiare con il conto economico di una banca, ma tipicamente la banca dovrebbe raccogliere soldi difendendo il risparmio, impegnare soldi con le famiglie, con le istituzioni, con le imprese, impegnare vuol dire prestarli. Attenzione a chi merita credito e, infine, dopo avere creato le condizioni per una corretta gestione del risparmio, dopo avere preso i denari da chi li ha e ridistribuiti a chi li può bene impiegare, deve cercare di gestire appropriatamente i rischi che conseguano a questa attività.
Su questo fronte non c’è niente da regolamentare, c’è semplicemente da dare tre parole, basterebbe, veramente, il decalogo.
Dopo, la banca nel tempo ha fatto altre cose, ne parlavamo a colazione noi due, ha incominciato a fare il cosiddetto trading. L’argomento che facevo prima, non vendi le spazzole ma titoli costruiti da titoli su titoli su titoli su titoli.
Lì hai bisogno, veramente, di una regolamentazione severa. Allora quello che è necessario andare a regolamentare è il trading ovvero sia le negoziazione di titoli e tutto ciò che deriva dai titoli originali. Questo, per me, fondamentale.

DOMANDA:
La prima è questa: ho capito che immettere liquidità è stampare moneta, ci sono ancora le riserve auree o è ancorato a qualcosa questa cosa o no?

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Si ma sono slegate in realtà dal valore del titolo cartaceo che c’è in circolazione.

DOMANDA:
Dobbiamo sperare che la marea sia uguale in tutte le parti del mondo

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Esattamente. Ho visitato la FED di New York, c’è un magazzino che sarà grande più o meno come tutta questa campata, pieno d’oro. L’ho visto fisicamente, è molto confortante sapere che esiste.

DOMANDA:
Noi ne abbiamo molto meno, forse, in Italia

MAURIZIO DALLOCCHIO:
No. Ne abbiamo di più. Ne abbiamo molto di più. E tant’è vero che per sanare i conti della Repubblica italiana, insieme ad altri due colleghi, l’anno scorso, nel 2008, abbiamo proposto a Banca d’Italia di vendere una parte del suo oro che era in eccedenza. La Banca d’Italia, non sono sicurissimo quindi prendete con beneficio largo largo largo d’inventario, credo abbia qualcosa nell’ordine del 13% in oro del valore della carta moneta in circolazione. Che è un valore enorme.

DOMANDA:
Come valuta l’ Opa di Olivetti su Telecom?

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Domanda troppo difficile e davvero troppo tecnica. L’Opa di Olivetti su Telecom era nelle dichiarazioni doverosa, perché non aveva senso che ci fossero quattro livelli diversi e una sola mucca da mungere.
Quindi, tecnicamente, io sarei stato favorevole. Se poi lei mi dice: è andata forse a beneficio di qualche azionista rispetto che a tutti gli azionisti, questo è un tema molto delicato.

DOMANDA:
Ultima cosa: si può parlare di finanza aziendale anche per un’impresa che si costituisce adesso? Cioè una micro-impresa? Cioè in un panorama dove c’è una tassazione che è nell’ordine dal 50 al 70% di imposte dirette – indirette? Lei che forma consiglierebbe per una piccola impresa che volesse partire ai giorni nostri?

MAURIZIO DALLOCCHIO:
Ma credo che se il decreto di semplificazione arriverà così com’è previsto, completamente in porto, anche una forma di società di capitali, per intenderci SRL in capo a tutti, possa essere sotto il profilo fiscale un buon viatico. Lo è sicuramente di più della società di persone che evidentemente ha lo schermo dell’individuo della persona fisica che sotto il profilo fiscale è quanto di più inefficiente si possa avere in una gestione di azienda.

GIANLUIGI DA ROLD:
Dobbiamo concludere. Domande interessanti, la signora quando poneva la questione delle Opa io penso che si debba scrivere un libro sulla storie delle Opa in Italia a partire dall’Opa Bastogi del ’74, sarebbe veramente interessante. Però quello che vorrei dire è questo in base alle risposte, alle domande fatte: paradossalmente la frase che comincia, che inizia con questa mostra, che è quella di Einstein, sul paradosso in fondo dei benefici di una crisi, è effettivamente indicativa ed interessante, perché io credo che alla fine si è concluso un ciclo, un periodo storico. Un periodo, chiamiamolo di cultura, di ideologia, che ha accompagnato questi anni.
Quindi io credo che la risposta che hai dato nei vari passaggi sia la migliore e cioè che finanza, economia servono a far crescere un contesto, una comunità, una società, a darci senso di responsabilità, sapendo che bene o male la libertà nostra, il benessere nostro è in funzione di altro. Vi ringrazio arrivederci.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

25 Agosto 2010

Ora

13:45

Edizione

2010

Luogo

PAD. B5
Categoria
Focus