TALENTI E CAPITALE UMANO

Talenti e capitale umano

Partecipano: Nerio Alessandri, Presidente e Amministratore Delegato Technogym; Andrea Zappia, Amministratore Delegato Sky Italia. Introduce Giorgio Vittadini, Presidente Fondazione per la Sussidiarietà.

 

GIORGIO VITTADINI:
Buongiorno. Benvenuti all’incontro Talenti e capitale umano, che continua il filone che nel Meeting è la presentazione di imprenditori e di realtà imprenditoriali che mostrano che l’Italia, seppur come numeri medi faccia fatica a svilupparsi, ha una varietà molto grande dal punto di vista imprenditoriale. Ci sono imprese di successo, imprenditori di successo e in particolare, ci sono imprese che puntano sul capitale umano, sui talenti, che sentono questo aspetto come una caratteristica fondamentale del loro sviluppo. Oggi presentiamo due tipi di imprese diverse. Una di origine italiana, un’eccellenza nel mondo. Dicevo prima a Nerio Alessandri, amministratore delegato di Technogym che ringraziamo per la presenza, che mi colpisce quando vado in America che la pubblicità di Technogym è su tutte le televisioni, è sentita come un’azienda americana. Questo vi dice il successo. La caratteristica interessante, di cui parlavamo prima, che loro puntano sulla persona. L’altra impresa oggi presente è diversa: Sky Italia, un’impresa che fa televisione di qualità, riferimento per tutti coloro a cui piace una televisione diversa. In rappresentanza di Sky abbiamo Andrea Zappia, Amministratore Delegato di Sky Italia. La prima domanda, molto informale è: cosa vuol dire per voi puntare sulla persona all’interno della vostra impresa? Comincia Nerio Alessandri.

NERIO ALESSANDRI:
Buonasera a tutti e grazie per l’invito. È un piacere essere qua. Il tema del capitale umano è il tema più importante per un’impresa. Io dico sempre: “Toglieteci tutto, ma non gli uomini, non le persone”, perché sono le persone che fanno la differenza e un’azienda può vincere in uno scenario internazionale solo se ha persone capaci ma soprattutto brave, cioè motivate. Il tema da affrontare perciò è quello dei talenti. Talenti si nasce o si diventa? Questa è la riflessione. Mi son fatto un’idea che talenti si può anche diventare. È chiaro che ci deve essere un presupposto positivo, ma sicuramente se ci si allena, si può migliorare costantemente. Questo è quello che sto facendo, l’allenatore: il che significa condividere prima di tutto un sogno con i propri collaboratori, un progetto, fatto di una visione su che cosa vogliamo costruire insieme. Nel nostro caso vogliamo essere il wellness, la wellness company, wellness evolution provider, cioè vendere, promuovere soluzioni per il benessere e la qualità della vita, e per il miglioramento della performance sportive. Technogym: ginnastica, movimento, stile di vita e soprattutto condividere il perché far parte di un progetto. È una domanda importantissima chiedersi il perché. La riposta al perché è la ragione della nostra esistenza: significa che noi dovremmo essere utili ai nostri clienti e al mondo. Nel nostro caso noi vogliamo aiutare il mondo a essere un po’ più bello attraverso la salute delle persone. Healthy people, healthy planet. Tutto questo passa attraverso la creatività delle persone, l’impegno, la passione. Ho cominciato questa azienda in un piccolo garage, molto giovane, a ventidue anni; quando assumevo le prime persone mi chiedevano se dovevano parlare con me o con mio padre, e quando andavo in banca, mi chiedevano se dovevano parlare proprio con me e io dovevo sempre giustificarmi dicendo che ero io il fondatore dell’azienda, anche se solo ventiduenne. Com’è stato possibile? Perché c’era un sogno. Semplicemente il sogno di realizzare un qualcosa che potesse lasciare un segno nel mondo, un prodotto. Un prodotto: il primo attrezzo da ginnastica l’ho fatto in un garage e piaceva ai frequentatori di una piccola palestra di Cesena, e lo facevo come hobby, perché nel frattempo lavoravo, visto che nella mia famiglia non c’erano molti soldi. Non mi potevo permettere di lasciare il posto fisso. Dopo un paio di anni, dissi a mia madre: “Guarda che io ci credo al punto tale che voglio mettermi in proprio” e lei pianse per un mese: “Ma come? Lasci un posto fisso e ti metti a far attrezzi da ginnastica per far fare fatica alla gente?”. Pensava che fossi matto. Ebbene il sogno qual era? Era quello di rimettere in moto il mondo. L’uomo è nato per fare trenta chilometri al giorno, i nostri antenati facevano venti, trenta chilometri al giorno per procurarsi il cibo, per lavorare la terra, per difendersi, per passare da un villaggio all’altro. Oggi ne facciamo meno di due, meno di uno. Quindi c’è bisogno di Technogym, utile per colmare quei ventinove, ventotto chilometri che mancano all’appello. C’è da fare, abbiamo mercato. Cosa significa questo? Oggi l’obesità infantile, e tutte le malattie derivate dai cattivi stili di vita, come la sedentarietà, il fumo, l’alcool, lo stress, fa sì che non ci possa essere un sostenibile sviluppo socio economico futuro. Detto ciò, ditemi voi se non è importante il talento. Talenti si può diventare, ma bisogna allenarsi. E concludo, non con una ricetta, ma con una esperienza fatta fino ad oggi. Io non sapevo fare praticamente niente. Ero un ragazzo di ventidue anni, figlio di operai. Non sapevo cosa fosse una fattura, una bolla di accompagnamento, non avevo neanche il telefono in casa, dovevo andare nella cabina telefonica a duecento metri da casa per telefonare con i gettoni perché a Caliseo, dove abitavo io, non c’era il telefono. Allenarsi cosa significa? Significa non dar nulla per scontato, significa avere fame di imparare, di sapere, di vincere, e ho cercato di trasferire questa fame agli altri, ai miei collaboratori, a tutti quelli che sono stati vicini a noi. E talenti, si diventa. Penso ai miei primi dieci collaboratori: due erano vicini di casa, l’altro era mia cugina, uno era il fratello del mio migliore amico, Ricci Giovanni. Sono ancora tutti in azienda. Ora siamo leader nel mondo, siamo stati fornitori ufficiali per cinque edizioni di Olimpiadi, e lo saremo anche alle prossime, a Rio, nel 2016. Siamo riusciti, per dirla con un’immagine, a vendere la birra ai tedeschi, perché vendere gli attrezzi da ginnastica in America è come vendere la birra ai tedeschi. Siamo riusciti a fare tutto questo con gente normale, che però ci crede. Perché ci credono? Mica perché li costringiamo. Semplicemente perché abbiamo cercato di rendere il più trasparente possibile l’azienda, facendo molta formazione, comunicando e condividendo la missione, la visione, i valori dell’azienda, ponendo degli obiettivi sempre più alti. Tutto questo allena, in tutto questo ci si allena a diventare talenti, cioè ad imparare e a esplorare. Ho appena scritto un libro e vi invito a leggerlo: Nati per muoverci. Nati per muoverci non solo con le gambe, ma soprattutto con il cuore e con la testa. Si può fare. Ci sono tanti giovani di fronte a me: questo Paese ha bisogno di voi. L’unico auspicio che faccio a tutti quanti è: sogniamo, continuiamo a sognare, come facevano i nostri genitori dopo la guerra durante la ricostruzione, perché si può fare, si può vincere e fare degli ottimi prodotti, venderli nel mondo, raggiungere il risultato. Questo grazie alle persone. Le persone sono la chiave del successo.

ANDREA ZAPPIA:
Buonasera. Per me è un piacevole ritorno. Anche l’anno scorso ho avuto il piacere di condividere un po’ di pensiero con una platea come questa. Parlare di talenti dopo Nerio è complicato, perché ha già fatto una carrellata piena di entusiasmo e di concetti fondamentali sulla ricerca del talento – anche perché lui stesso è un talento imprenditoriale straordinario, che ha costruito da zero un successo internazionale. Molti dei suoi punti sono validi sia per un’azienda nata da zero, imprenditoriale, con una radice locale forte ma capace di diventare un’azienda statunitense negli Stati Uniti, tedesca in Germania, leader dovunque, che per un’azienda molto diversa dalla sua, che nasce da un’esperienza internazionale, ma si stabilisce in Italia come totalmente italiana e si trova a condividere in pieno i principi che Nerio ha detto. Quello che mi ha più colpito del suo intervento è quello legato al perché delle cose, perché sta molto a cuore anche a me, in particolare nell’ultimo periodo. Quello che gli inglesi chiamano purpose: significa la ragione per cui siamo al mondo. Alla fine ciò che motiva di più, ed è forse la responsabilità primaria dell’azienda nei confronti di chi ci lavora, è quella di dare uno scopo a ciò che si fa. Credo che questo sia più forte di qualunque training, più forte di qualunque elemento di formazione che possiamo dare alle persone che lavorano con noi. Se sappiamo perché siamo dentro un’azienda, che cosa vogliamo raggiungere e fare veramente, ognuno di noi riesce a mettere ciò che di migliore ha e riesce a dare il proprio talento, qualunque sia. Un’azienda come Sky chiede talenti in maniera molto diversificata. Se vogliamo semplificare il nostro modello di business, in realtà molto complesso, facciamo tre cose: facciamo televisione, quindi contenuti; siamo un’azienda tecnologica, con una piattaforma, innovativa per quell’area; e siamo un’azienda di sale and marketing, con operazioni molto complicate. Abbiamo un tipo di talenti e innovazione molto diverso. La creazione del contenuto, che è la creatività un po’ più pura, anche se occorre fare dei distinguo. La maggior parte di chi lavora sui contenuti in Sky non è la persona che si inventa il formato MOD. Tante volte vedo giovani che dicono che hanno un’idea per un nuovo format televisivo ma in realtà è molto raro, oggi, partire da lì. La realtà e il mestiere della televisione è fatto da una cura del dettaglio spasmodica. L’innovazione che richiede sviluppa talenti costantemente, ed è frutto di creazioni a partire da grandi idee, ma soprattutto è frutto del fare day by day al meglio, per esempio, un programma sportivo. In questo Sky sport, che in questi anni è cambiato radicalmente, quando riparte la stagione, ricomincia da zero. Ripartiamo e cerchiamo ogni volta di essere migliori rispetto a quello che abbiamo fatto in passato, non accontentandoci mai. C’è innovazione, innovazione tecnologica profonda: abbiamo portato l’alta definizione, l’occasione di mobilità, l’on demand, il 3D, la capacità di vedere dall’inizio i programmi quando sono già cominciati. Tutto questo nasce da persone italiane che hanno del talento e hanno due sviluppi separati: c’è chi si inventa e trova l’idea originale, ma c’è anche chi è capace di aprire gli occhi, guardare fuori e prendere una buona idea, migliorarla e adattarla per l’Italia. Il terzo tema, che forse è meno visibile ma più importante, è l’innovazione e lo sviluppo delle persone in tutta quella macchina che c’è dietro alla televisione. Là dietro ci sono migliaia di persone di Sky che lavorano. Quello che per molti può sembrare il lavoro meno visibile della televisione, meno nobile della televisione, ha in realtà una nobiltà elevatissima. Oggi Sky è particolarmente forte nel mondo digitale. Il nostro costumer service è digital first. Quindi abbiamo recentemente assunto ragazzi che son capaci di pensare all’esperienza come nativi digitali. Tutto questo però credo che sia veramente incorniciato dal perché siamo qui. Ed è la prima cosa che cerchiamo di dire quando cerchiamo di attrarre un nuovo talento da noi.

GIORGIO VITTADINI:
Traendo spunto da quello che avete detto, come fate a fare la selezione del personale e lo sviluppo aziendale? Che cosa andate a vedere nelle qualità di una persona da scegliere per farla crescere nel percorso aziendale?

NERIO ALESSANDRI:
La prima cosa in assoluto è la motivazione. La motivazione, la passione, l’interesse personale: se coincide con l’interesse aziendale, con la passione alla tecnologia, al design, allo sport; e poi guardiamo se le persone sanno capire e ascoltare. Poi l’approccio: la prima cosa che mi interessa guardare è la curiosità. L’indice dell’intelligenza emotiva di una persona è la curiosità. Siate curiosi di esplorare, di imparare, curiosi di capire, di conoscere. Se una persona ha l’approccio giusto succede tutto. Fortunati si diventa nel momento in cui il talento, che dicevamo pocanzi, si incontra con l’occasione. Se non c’è la curiosità e non c’è la voglia di esplorare, le occasioni si riducono in modo esponenziale. Io di cose sbagliate ne ho fatte molte. Ma se pensavo di farne poche era molto improbabile che nascesse Technogym. Curiosità significa anche lavorare, ma lavorare divertendosi. Lavorare significa nobiltà del lavoro. Il lavoro è nobile. Lavoro nobile significa voler partecipare, far parte di un progetto che possa lasciare un segno nel tuo territorio, per il tuo Paese, nell’innovazione, nelle invenzioni tecnologiche. Ognuno di noi declina questo segno: se uno è ricercatore, vuol mettere il suo nome su di un brevetto, se uno è commerciale, vuole fare una vendita speciale, come nel nostro caso alla Casa Bianca. Se uno è un finanziario amministrativo vuole fare un’operazione di acquisizione che sia ricordata nel tempo. Ognuno di noi può ritrovare la sua soddisfazione, ma solo se ha quella curiosità e quella voglia. In un colloquio, che non deve durare più di tanto, sono poche le cose che contano. Non conta il titolo. Non contano la lauree fini a se stesse. Non conta il master. Quando uno ha fatto la laurea e il master non ha finito, ma inizia. È facile sbagliare la scelta delle persone. Quando mi si chiede quale sia la cosa più difficile per un imprenditore, rispondo che è scegliere le persone. Persone giuste, al posto giusto e nel momento giusto fanno la differenza. Come dico sempre, è inutile far andare un tacchino su per un albero, meglio farlo fare ad uno scoiattolo. Se trovi la persona giusta nel posto giusto hai già fatto il 50%, poi tutto il resto vien da sé. Le persone però sono condizionate dal loro Paese, dalla cultura del loro Paese e del loro territorio. Noi che esportiamo più del 90% del nostro lavoro in giro per il mondo non possiamo competere con una cultura che si basa su quello che è il percepito italiano. Molte volte le persone pensano che in giro per il mondo sia come in Italia, quando invece per università, giovani, aziende, concorrenza, mondo digitale, il livello competitivo è molto differente. Il talento cosa significa? Dipende con cosa ti confronti. Se una persona che lavora in Technogym è appagata dal fatto che si confronta con un suo collega di Cesena, che magari non viaggia, che magari è il suo dirimpettaio in ufficio, pensa di essere più bravo. Magari lui è contento e felice ma purtroppo sta guardando solo davanti al suo naso. Non è perché non faccio il Presidente o l’amministratore delegato dell’azienda vuol dire che il mio ‘io’, la mia autostima, la mia soddisfazione non possano trovare quello che merito per essere motivato. Quando facevo il cameriere, in uno di quegli hotel tra Cesenatico e Milano Marittima, io e il mio collega avevamo una sala da servire, e io volevo essere molto più bravo di lui. L’importante è far bene quello che stai facendo. Non devi essere frustrato perché quello che stai facendo lo bruci pensando a quello che dovrai fare ed essere insoddisfatto perché non sei in quella posizione o non hai quel titolo. Quello arriva da solo. Tu devi perseguire l’obiettivo come risultato, non il successo. Se pensi al successo non arriverà mai. Sono tutti piccoli aspetti che dicono di un approccio, che in un colloquio devi riuscire a capire e in pochi minuti, ed è molto difficile. Ecco perché si sbaglia spesso, perché il successo di una persona, in una azienda, è dato dall’approccio. Molti paesi, molte culture, soprattutto anglosassoni, aiutano, perché già fin dall’università, c’è un approccio, un desiderio di affermare la bandiera del proprio Paese. Cosa manca a noi? Manca l’orgoglio per il nostro Paese e della nostra bandiera. Parliamo tutti male dell’Italia, parliamo tutti male dell’Expo. Noi siamo fornitori ufficiali, partner dell’Expo, e quasi mi dovevo vergognare di questo fatto, almeno fino al giorno prima. Noi eravamo lì ed era la cosa più bella al mondo, ci credevamo e così è stato. Ma fino al giorno prima ci era quasi venuto un dubbio. È possibile che un Paese faccia il tifo perché vada male una sua eccellenza, un suo investimento? Una cosa da masochisti. Questo è noto a tutti ma tutti i giorni funziona che parliamo male dei nostri prodotti, delle nostre imprese, delle nostre persone. Rischiamo che i peggiori concorrenti dell’Italia siano gli italiani, per questo i tedeschi si divertono a guardarci litigare. Loro che hanno avuto un cambio dal marco all’euro con un vantaggio del 30% si sono comprati l’Europa senza fare una guerra. Ci siamo ritrovati con uno svantaggio dove loro sono riusciti a essere più competitivi. Grazie a questo e hanno venduto auto a tutto il mondo, prima di tutto l’Italia, per pagarsi l’integrazione con la Germania dell’est e fare flussi. È il Paese, è il sistema. Un individuo, un imprenditore, deve poi fare i conti con quello che è il mondo globale. Dico a tutti i giovani: non pensate alla solita America, la solita Germania, la solita Indonesia. L’America rimane l’America. Però ci sono paesi con tante opportunità. Andate a fare esperienze all’estero ma – cosa più importante – tornate in Italia. Dico sempre ai manager che lavorano in imprese internazionali: “Fate pure esperienze nelle multinazionali americane, però tornate in Italia. Tornate a dare la vostra responsabilità sociale come individui. Per Technogym è importantissima la responsabilità sociale di impresa. Questa è un’altra delle motivazioni forti per i talenti. Noi abbiamo lanciato l’idea del wellness nel mondo, abbiamo creato la wellness valley sul territorio, abbiamo voluto restituire al nostro territorio, la Romagna, un progetto sociale che possa culturalmente aiutare le persone a vivere meglio, aiutare le imprese, gli imprenditori, il turismo, le istituzioni, gli ospedali, le persone ammalate, a essere più produttive e creative, a essere più felici. Star bene conviene a tutti. Conviene allo Stato, per la dura spesa sanitaria, conviene alle persone per vivere meglio ma conviene soprattutto alle imprese per essere più produttive. Concludo dicendo: talento e risorse umane, ma quale sarà la nuova tecnologia del futuro? Dopo un’era basata sulla wellness, sulla green-economy, dopo un’era basata sul digitale, cosa succederà domani? Noi siamo convinti che sarà la wellness economy. La vera nuova tecnologia del futuro, dal mio osservatorio, sarà la creatività delle persone. Sempre di più la creatività delle persone. Si tornerà alle nostre radici, si tornerà a mettere l’uomo al centro. Chi farà la differenza non sarà il computer più potente, il web o l’applicazione – che comunque saranno commodities – non saranno assolutamente le informazioni. Il futuro sarà in chi sarà in grado di analizzarle queste informazioni. Tutto il resto, quel mondo digitale che tanto ci affascina in questo momento, sarà solo un mezzo. Ecco perché noi parliamo della wellness economy. Ecco perché siamo nati per muoverci, ecco perché l’uomo deve muoversi, perché se si muove è più felice, se si muove è più creativo e se si muove è più produttivo. Noi non siamo nati per mangiare, noi siamo nati per muoverci e poi abbiamo bisogno di mangiare. Quale sarà la sostenibilità? Sarà solo attraverso la prevenzione, i sani stili di vita. A maggior ragione, le risorse umane nelle imprese faranno la differenza. L’Italia ha un’opportunità straordinaria perché ha mens sana in corpore sano nella sua cultura di duemila anni fa. Possiamo far diventare l’Italia il più grande produttore di benessere la mondo, esportando la qualità della vita italiana, fatta di arte, cultura, cibo, design, moda. Expo è assolutamente la vetrina più straordinaria che abbia mai avuto l’Italia per vendere il suo made in Italy, per vendere la qualità della vita italiana.

ANDREA ZAPPIA:
Mi unisco all’entusiasmante incontro che ha fatto Nerio e condivido la sua visione del wellness; posso dire che per un pezzettino ci proviamo anche noi. Vorremmo che e persone si muovessero molto e che possano guardare televisione di qualità quando la guardano, e che questo tempo sia dedicato a programmi che fanno bene al loro wellness, mentale e non solo. Usiamo i mezzi dell’epoca digitale per portare questi contenuti dove vogliono, quando vogliono e consentire una scelta più vasta possibile. Tornando al tema della selezione dei talenti, è un problema per il quale non conosco un’azienda che abbia veramente raggiunto gli obiettivi. Tutte le aziende che conosco hanno un talent manager program. Non c’è nessuna che non lo abbia. Tutte hanno obiettivi condivisi dai vertici dell’azienda di prendere i migliori talenti sul mercato, di prendere quelli che servono, di prendere quelli giusti, nella quantità giusta al momento giusto e, come diceva Nerio, servono anche talenti diversi in fasi diverse dell’azienda. Non ne conosco una che sia mai riuscita veramente a rispettare il proprio programma e a farlo con continuità. Magari c’è un momento magico in cui riesce ad avere un team ideale, ma poi tenerlo insieme è riuscire a continuare a tenerlo motivato, a tenerlo lì capace di crescere insieme all’azienda. Credo che uno dei temi fondamentali su cui oggi ci confrontiamo con un innovazione cosi veloce è che o sei capace di guidare il cambiamento o questo ti travolge. Abbiamo letto e sentito di aziende straordinarie oggi sparite. Il che vuol dire che aziende come le nostre devono costantemente pensare a cosa viene dopo e pensare soltanto al futuro; pensando a quali cose dobbiamo riuscire ad inventarci, quali progetti, quali strategie cambiare per continuare a vincere. Credo che molti di noi cerchino le stesse cose, quando si cerca una nuova risorsa. Oggi più che mai cerchiamo persone propense al cambiamento. La velocità del cambiamento è straordinaria, anche se ancora c’è una resistenza in un Paese come il nostro, che è meraviglioso, ma è molto conservatore. C’è una resistenza al cambiamento, ed infatti oggi quello di cui abbiamo bisogno sono persone che abbiano veramente voglia nel corso della propria vita, della propria carriera professionale, dentro un’azienda o dentro più aziende, di affrontare sfide nuove; persone che non pensino di fare lo stesso mestiere per troppo tempo. Abbiamo bisogno di saltatori di ostacoli, di individui che quando trovano degli ostacoli non li vedano come recinti, ma come una bella fila di ostacoli da superare il più velocemente possibile. Questo tipo di attitudine è veramente fondamentale. In business complicati, anche operativamente, noi cerchiamo chi è capace ed adora il marginal gain. L’idea che io possa arrivare e fare improvvisamente un salto troppo lungo, un cambiamento troppo radicale è spesso velleitaria. In realtà i grandi atleti vivono di marginal gain, vivono della ricerca del proprio limite, vivono della capacità di trovare il luogo dove poter dare il loro cento per cento. Quando vi dicono di dare il centodieci per cento sappiate che è una stupidaggine. Tutti noi lavoriamo per avvicinarci, giorno dopo giorno, al nostro massimo, cercando di migliorare la nostra macchina – e questo è l’allenamento di cui si diceva prima. Cosa facciamo noi? Sky come altre aziende è molto strutturata, ha dei programmi molto efficaci che stimolano la cross experience. Abbiamo dei programmi per nuovi talenti che entrano e ruotano nelle diverse funzioni dell’azienda, prima di decidere un percorso di carriera. Stiamo cominciando a stimolare la cultura del talento. Lo abbiamo fatto con un piccolo esperimento nella moto 3: abbiamo fatto un team pensando di aiutare lo sviluppo del prossimo Valentino Rossi. Non siamo entrati nel moto gp, lo abbiamo fatto prendendo ragazzi italiani, preparando un team italiano con l’aiuto di Valentino Rossi. Questo lo usiamo come esempio internamente per dimostrare che la nostra volontà di investire sulla capacità di costruire un talento. Lo faremo anche in un programma che lanceremo l’anno prossimo, pensato ai ragazzi delle scuole medie inferiori e superiori, che si chiamerà Sky Academy, che consentirà a ragazzi giovani che spesso arrivano a decidere i percorsi di carriera che vogliono affrontare sulla base di pochi paradigmi, di scoprire tutti i mestieri che ci sono nella televisione e che oggi sono poco conosciuti, e che permettono di mettere in onda una trasmissione televisiva. Chiudo questo intervento sul tema dell’orgoglio, che Nerio ha così ben toccato. Non c’è dubbio che alla base delle persone che possono avere successo all’interno delle aziende, c’è il drive, cioè la motivazione, quell’energia interiore, quel fuoco interiore. È vero che si applica in qualunque mestiere si possa fare all’interno di un gruppo ed è fondamentale, è quello che ci guida tutti i giorni a ripresentarci alla mattina a lavoro. Sky cerca di farlo, nel suo piccolo, devo dire, tutti i giorni. Noi siamo molto orgogliosi del ruolo che abbiamo nel Paese e cerchiamo di farlo con il concetto di responsabilità. Come azienda pensiamo di avere una responsabilità nei confronti dei nostri utenti, dei nostri dipendenti, dei nostri clienti, ma anche del Paese in cui operiamo. Questo ci consente di poter offrire non solo direttamente, ma anche indirettamente. Penso a Sky Arte che non è determinante per un business-pay come il nostro, ma è fondamentale per determinare il ruolo che Sky ha dentro un Paese come l’Italia, di motore di innovazione culturale. Non a caso siamo diventati oggi la prima azienda culturale del Paese, oltre ad essere la prima media-company, per dimensioni, dell’Italia. Questa azienda è fatta da Italiani che hanno l’orgoglio di affrontare con grande amore e passione tutto quello che fanno. Amore e passione che cerchiamo in quelli che vogliono unirsi a noi. È difficile trovare in un colloquio questa forze ed è difficile trasmettere loro questa passione, sperando che la sposino e decidano di venire con noi.

GIORGIO VITTADINI:
Terza questione, che ha a che fare con i talenti. Il dibattito tra istruzione formale e formazione aziendale. A volte si discute riguardo al fatto che la differenza che tra il nostro Paese e gli altri è che non si investe in educazione. Pensate di fare voi la formazione o la chiedete a scuole e università?

NERIO ALESSANDRI:
La formazione fine a se stessa, più o meno cuba al cinque percento, nel senso che è dimostrato scientificamente che di un’attività fatta in aula nella testa delle persone rimane circa un cinque per cento. Diciamo quindi che serve ma non è efficacie. Ciò che invece, in base alla nostra esperienza, è assolutamente interessante è fare esercizio sul campo, cioè creare una situazione di confronto costante con chi ha già fatto delle esperienza simili, soprattutto con i fornitori. Sui fornitori noi crediamo molto all’open innovation, innovazione attraverso l’apertura alle start-up e verso tutti gli altri. La formazione perciò è la job-rotation, la formazione è fare più esperienze in paesi diversi, in ruoli diversi, nel gioco di squadra. Se tu per tutta la vita fai sempre la stessa cosa, puoi fare tutta la formazione che vuoi ma il miglioramento incrementale è minimo. Se vuoi fare un miglioramento radicale c’è bisogno di una discontinuità. Discontinuità significa fare qualcosa dalla parte opposta di quella che tu facevi. Se sono un tecnico nell’attività ricerca e sviluppo, magari posso essere indispettito con il personale delle vendite che non è bravo a vendere il mio prodotto. Ma se vado a vendere, riesco a capire meglio i venditori e il loro lavoro. E mi accorgo, magari, che ho fatto un prodotto che piaceva solo a me e che non ai clienti. Tornare a fare il tecnico, a questo punto, ti porta ad avere un approccio completamente diverso. Questo è un esempio che può essere replicato in tutte le aree aziendali. La formazione è perciò multidisciplinare, principalmente su due assi: il primo è quello sul processo, sulla competenza e sul meccanismo del processo e quindi dell’organizzazione che sviluppa il prodotto e le vendite; il secondo riguarda una formazione più trasversale, sulle specifiche competenze, dal parlare bene l’inglese, alle capacità di project management, eccetera. La formazione per noi è vitale. Abbiamo la nostra corporate university, ormai da quindici anni, che prima era piccolina mentre oggi è più importante dove facciamo formazione. Ha un programma che serve a conoscere le persone; la formazione spesso è molto interessante per conoscere le persone. La formazione la fai sul campo, la fai con la curiosità, la fai con il confronto, la fai con gli amici, la fai con altri tuoi conoscenti. In fin dei conti, la vera formazione è la curiosità, la sete e la fame di esplorare. La formazione intesa come andare a scuola e stare in aula, sinceramente, la trovo obsoleta. Oggi c’è anche una formazione digitale, ci sono delle piattaforme digitali più rapide, veloci, snelle, ci sono dei sistemi di confronto esperienziale. L’esperienza vale sul campo; per imparare come si serve un cliente, andare a fare il cameriere vale molto di più che fare un corso sulla customer satisfaction! Non mandiamo i nostri manager a fare i camerieri, ma li portiamo sulle linee di produzione, li portiamo dal fornitore cioè vanno a vedere cosa succede. Anche per quanto riguarda l’installazione, vanno a fare un’attività di assistenza tecnica. Andare sul campo e vedere dove succedono le cose è la vera formazione. È un modo molto più pragmatico, più anglosassone e noi su questo investiamo tantissimo e ci crediamo. Torniamo però al punto che riguarda la passione rispetto a ciò che si fa. Bisogna essere prima di tutto utenti, utilizzatori: se si lavora in una azienda automobilistica e non piacciono le auto, è difficile entrare nel merito. Se si lavora in una azienda sportiva come Tecnogym, creata sull’importanza dell’esercizio fisico, del movimento, e non ti piace i fitness, è difficile. Questo vale in tutti i settori. Anche per Sky credo sia così, perché se non ti piace l’intrattenimento, la cultura, e non ti piace quella che è la comunicazione, trovo difficile che si possano raggiungere dei risultati. Le persone hanno un potenziale molto più alto di quello che loro pensano: il problema vero è trovare il modo di dare apertura alle loro passioni, alle loro ambizioni. Il fatto di esplorare e di confrontarsi con altri permette di cambiare. Diceva giustamente Andrea – e concordo – che alle persone non piace cambiare. Non piace per una ragione molto semplice. Prima di tutto, perché bisogna assumersi il rischio di cambiare anche nella propria vita e nel proprio modo di essere. E soprattutto, cambiare comporta fatica, comporta un sacrificio. Se una cosa funziona e ha successo, significa che sta diventando già obsoleta. Se tu aspetti di cambiare le cose quando ti accorgi che le cose vanno male, nel lavoro o nel prodotto, è troppo tardi. Se vuoi anticipare il tracollo e stare sempre su, l’importante è cambiare costantemente. Cambiare deve essere divertente, deve essere bello mettersi in discussione; se la vedi in positivo, questa è un’opportunità, se la vedi in negativo questa è una costrizione ed è una frustrazione. E così torniamo ancora all’approccio. Io credo che il nostro Paese abbia delle grandi opportunità. Credo nella nostra azienda e lo stiamo dimostrando. Fare competizione in Italia, fare prodotti in Italia e competere nel mondo è come correre sul tapis roulant con uno zaino sulle spalle. Vedo questo, però, in positivo perché in questo modo ci si allena di più, chissà mai che un giorno ci potremo togliere lo zaino e riuscire ad essere ancora più veloci. L’allenamento, se è duro, può nel tempo essere un investimento. Su questo credo che abbiamo delle grandi opportunità. Pensate in grande!

ANDREA ZAPPIA:
Sul tema della formazione, interna ed esterna, in realtà non c’è una risposta univoca, perché le soluzioni devono essere create ad hoc. Oggi, credo, qualunque azienda decide di volta in volta se ha bisogno di andare a prendere un profilo con un certo tipo di esperienza e di formazione, piuttosto che cercare semplicemente un’attitudine, cioè una persona con certe caratteristiche personali da formare, da far crescere. In realtà, lo spunto che in questa domanda mi dà è per dire che tutte le volte che si cerca di inscatolare dentro una struttura troppo rigida questo tipo di gestione, si fallisce. Anche gli studi e le teorie organizzative credo siano abbastanza obsolete. Lo dico con i miei collaboratori quando mi dicono che i nostri organigrammi cambiano troppo in fretta. Per me potrebbero anche cambiare tutti i giorni, potrebbero anche non esserci, in alcuni casi. In realtà la strutture piramidali, tradizionali, con i percorsi di carriera predefiniti e la formazione tarata su quelle basi non sono più la realtà. Intorno a noi, in alcuni mercati più che in altri, il mondo cambia talmente velocemente che tu devi modificare non soltanto come fai le cose, ma anche l’organizzazione che sviluppi per raggiungere gli obiettivi. La costruzione di team veloci, di persone che sappiano lavorare molto insieme è diventata molto più importante rispetto che al passato. Dal punto di vista delle aziende, credo che sia fondamentale avere chiarezza di visione, di strategia e di piani ma poi essere capaci di trovare talenti, cioè la struttura di gioco più giusta per vincere. Nella formazione che scegliamo, dobbiamo essere molto pragmatici; il cambiamento, nella nostra epoca, è talmente veloce che richiede di essere pragmatici nel raggiungimento di una visione e di una strategia chiara.

GIORGIO VITTADINI:
Ultima domanda. Avete ancora un sogno nel cassetto?

NERIO ALESSANDRI:
Per me ogni giorno è come il primo. Una volta scrivevo le mie note e i miei appunti su foglietti di carta e mia moglie, poveretta, trovava questi biglietti dappertutto. Adesso lo faccio col telefonino, che è pieno di appunti. Il concetto è che vorrei fare molto di più di quello che faccio, perché si può fare ed è un’opportunità straordinaria per aiutare il nostro Paese, per aiutare le nostre imprese. Io credo molto nella responsabilità sociale di un’ impresa: l’azienda è patrimonio dell’umanità. Un’azienda crea ricchezza per i fornitori, per il territorio, per il Paese, per le tasse, per le persone che ci lavorano e per i clienti. Ringrazio tutte le persone che credono in Technogym, prima di tutto i nostri collaboratori. Questo credo che sia un privilegio: poter contribuire a far sì che il nostro Paese nel mondo sia conosciuto, e che i nostri prodotti siano apprezzati. Nel nostro caso, siamo presenti in cento paesi, sessantacinquemila centri nel mondo sono attrezzati Technogym, quaranta milioni di persone fanno ginnastica tutti i giorni con i nostri attrezzi. Il fatto che atleti, persone che non stanno bene, che hanno dei problemi di riabilitazione, piuttosto che persone che vogliono semplicemente tenersi in forma trovano un prodotto fatto a Cesena, credo sia un privilegio enorme. Il sogno è quello un giorno essere di consulenti dello Stato, degli Stati che possono avere problemi. Ad esempio, in Medio Oriente il diabete è arrivato al 23% della popolazione. Ci sono dei paesi che hanno un tasso altissimo di obesità. Il fatto che Technogym possa mettersi a fianco delle istituzioni per riuscire ad affrontare temi di questa portata è un sogno. Così come poter consulenti delle aziende che vogliono fare programmi di benessere per i propri collaboratori, e di miglioramento delle prestazioni della persona. Noi diciamo sempre che il corpo è il santuario dell’anima. Una mente vivace non può stare in un corpo ammalato. Non è possibile. Vorremmo essere consulenti delle persone per i loro stili di vita. E poi la tecnologia: Technogym è Apple like, vorremmo essere la Apple del wellness. Se volete, scaricate l’applicazione Technogym che abbiamo lanciato per EXPO. Si chiama Let’s Move and Donate Food. Quando ti muovi, il telefonino registra il tuo movimento, genera dei moves e questi si trasformano in pasti per i bambini che soffrono la fame. Abbiamo fatto un accordo con l’Organizzazione delle Nazioni Unite, che si occupa del World Full Program per sfamare i bambini che hanno problemi di nutrizione. Voi vi muovete, bruciate calorie e queste calorie le potete donare. La nostra azienda, così, finanzia i pasti. In questi ormai tre mesi di apertura di EXPO abbiamo raccolto più di trecentocinquantamila pasti. Questa è stata un’idea di un nostro collaboratore, e si è tramutata in una semplice applicazione. Ognuno di noi che ha un telefonino, scarica la Technogym Map e può contribuire a livello mondiale a donare dei pasti a bambini che soffrono la fame. Quando ho cominciato nel garage non me lo sarei mai immaginato! Quindi si può fare. E se è così, perché non continuare a sognare? È chiaro che bisogna fare anche un po’ di fatica, bisogna metterci dell’impegno, ma ne vale la pena. Grazie.

ANDREA ZAPPIA:
Il mio punto di partenza è privilegiato, perché penso di fare il mestiere più bello del mondo, e con me molti dei miei colleghi. Abbiamo la fortuna di lavorare in un’azienda meravigliosa, in una industria creativa, innovativa, in continuo cambiamento, dove ogni giorno sei capace di incidere. Siamo ospitati dai nostri clienti nelle loro case, entriamo e portiamo loro intrattenimento, arrabbiature se la loro squadra del cuore sta perdendo, qualche lacrima, qualche sorriso, divertimento, informazione, educazione. Siamo un prodotto non neutrale per loro, tant’è che ne parlano molto. Le interazioni che abbiamo con loro non sono mai neutrali. Anche quando sono contenti, sono appassionati, c’è molta intensità, perché entrando nelle loro case, partecipiamo ad un pezzo della vita emotiva dei nostri clienti. Di sogni ne abbiamo tanti. In realtà, è un continuo sviluppo di sogni, misti ad ambizioni. Se devo sceglierne uno, ne scelgo uno molto fattibile, credo, per quanto sia ambizioso nel suo disegno. Credo che abbiamo grattato la superficie della straordinaria creatività italiana nei contenuti audiovisivi. Oggi Sky ha un insieme di produzioni televisive in arrivo particolarmente entusiasmanti. Io credo che l’Italia possa costruire una nuova major come quelle americane che da anni producono le serie tv che ci hanno entusiasmato, che ci hanno fatto conoscere mondi diversi. Credo che Sky possa diventare uno tra questi studios, possa diventare un polo europeo e globale di creatività e di produzioni che siano veramente capaci. Per certi versi, mi ritrovo in quello che diceva Nerio prima quando noi ci sottostimiamo. Oggi le nostre produzioni sono totalmente all’altezza delle produzioni americane. Non lo erano in passato perché non lo volevamo, perché pensavamo che l’italiano fosse un limite. Tra due settimane, Channel Four in Gran Bretagna metterà in prime time una serie in tedesco sottotitolata. Gomorra è andata in onda in italiano, anzi in dialetto napoletano, sottotitolata in cento paesi del mondo. Non è vero che l’italiano di per sé è un limite. È un limite come pensiamo noi. Noi siamo il limite di noi stessi. Liberiamo le nostre ambizioni, liberiamo i nostri sogni e non ci fermiamo lì ma mettiamoci un piano concreto, fattibile, con le risorse giuste, sia umane che economiche e finanziarie. A me piace avere dei sogni che poi diventino realtà; cosa stiamo facendo oggi? Pensiamo in grande, e ci strutturiamo in grande. Sky, il team italiano, sta oggi rivestendo un ruolo importante all’interno di una Sky europea molto più grande, che ha grandi mezzi, grandi risorse e che cerca però grandi talenti e grandi idee capaci di pensare non più per il nostro territorio soltanto, ma con la creatività italiana per tutto il mondo. Questo è un sogno che siamo convinti si potrà realizzare.

GIORGIO VITTADINI:
Alla fine dell’incontro forse la questione che viene in mente è che il titolo era parziale, perché prima che talenti e capitale umano, bisognava usare la parola genio. Genio è l’idea di qualche cosa che sta alla radice della personalità umana: è la voglia di costruire, di creare e di generare. Il genio dell’umano. Fare qualcosa di nuovo che risponde al bisogno della gente. Ci vogliono talenti e ci vuole capitale umano, ma quello che abbiamo sentito stasera da Nerio Alessandri e Andrea Zappia è il genio che sta all’origine dell’impresa. Durante il Meeting abbiamo parlato di Abramo, una persona che rinasce da una fonte che non era prevedibile. Il genio, anche aziendale, nasce da qualcosa di non prevedibile, perché a ventidue anni, in un garage di Cesena, non è prevedibile che nasca un’impresa che vada in giro per il mondo. Oppure, non è prevedibile che in un mercato come quello televisivo italiano, intasato di polemiche riguardo al duopolio pubblico-privato, si inserisca un altro attore che fa della bellezza e della qualità il punto di entrata in questo mercato. Il genio è l’imprevisto che nasce e che sconvolge tutte le descrizioni. Quello da cui sono stato colpito stasera è il continuo scardinare gli schemi. Veniva detto prima: se inserisci in schemi la formazione, la scelta del personale alla fine le atrofizzi. Invece devi continuare a generare, creare, devi alzarti la mattina e avere in mente qualcosa di nuovo e la sfida con paesi che non sono la ripetizione di uno schema. Mi sembra che questo sia un tipo di azienda un po’ diverso da quello di cui si parlava venti o trent’anni fa: un’azienda stereotipata e schematica. Forse dobbiamo reinventare un’azienda esito di una creatività umana, e forse quando parliamo di crisi italiana, dobbiamo pensare che per superare la crisi dobbiamo guardare più a questo imprevisto che allo schema. Dobbiamo seguire i casi aziendali, e capire perché qualcuno va, e qualcun altro non va. Io, da statistico, sono sempre colpito da una cosa: questo 0+ che è l’Italia, non è uno 0+ uguale, ma è la media ha una varianza altissima. Ci sono imprese che vanno moltissimo e altre che non vanno, negli stessi settori, o in settori completamente nuovi. Allora, come mai qualcuno va e qualcun altro non va? Come mai gli stessi antecedenti portano risultati completamente diversi o opposti? Forse dobbiamo imparare di nuovo dalla realtà. Per chiudere, faccio un esempio su Milano. Nelle periferie milanesi ci sono i ruderi industriali. Dalle mie parti a Lambrate ci sono le industrie Innocenti, poi in Bicocca la Breda, la Pirelli, ad Arese l’Alfa Romeo. Dovresti avere una città che è diventata come Detroit, cioè una città in declino. Eppure Milano non è in declino. Ma allora: da dove nasce il nuovo lavoro, la nuova imprenditoria? È una domanda che faccio spesso, e finora non ho avuto risposte, perché nessuno è riuscito ancora a capire cosa sta succedendo a Milano. Mi hanno dato tante risposte, ma da un certo punto di vista forse bisogna guardare di più. Dove è finita tutta la gente che lavorava nelle grandi aziende e che comunque a Milano trova lavoro visto che, dal punto di vista del sistema universitario, negli ultimi anni Milano ha guadagnato il 15-20%? Bisogna guardare di più la realtà. Bisogna accorgersi di qualcosa che comincia anche sul piano aziendale, qualcosa di nuovo che non abbiamo previsto e che prima di incasellare dobbiamo seguire. Nerio Alessandri prima mi chiedeva prima qual è l’esito del Meeting. Sicuramente sul tema economico è questa capacità di osservazione, che forse è il primo fattore per uscire dalla crisi. Non continuare con gli schemi di quello che sapevamo.

NERIO ALESSANDRI:
Sono talmente d’accordo che credo, sulla base di quello che hai detto, che il vero tema futuro non è saper leggere e scrivere, ma saper disimparare e reimparare, cioè la velocità del cambiamento e del reinventarsi.

GIORGIO VITTADINI:
Stupendo. Grazie.

Data

25 Agosto 2015

Ora

19:00

Edizione

2015

Luogo

Sala Neri CONAI
Categoria
Incontri