STORIE DAL MONDO. FUOCOAMMARE

Presentazione e proiezione del docufilm di Gianfranco Rosi. Produzione: 21Uno Film, Stemal Entertainment, Istituto Luce – Cinecittà, Rai Cinema. Coproduzione: Les Films D’Ici e Arte France Cinema. Partecipano: Pietro Bartolo, Responsabile Presidio Sanitario di Lampedusa; Paolo Del Brocco, Amministratore Delegato RAI Cinema. Introduce Roberto Fontolan, Direttore Centro Internazionale di Comunione e Liberazione.

 

ROBERTO FONTOLAN:
Bene, buonasera. Chiudiamo questa intensa giornata di Meeting, ed è anche l’ultima sera del nostro piccolo ciclo sui documentari, con un regalo veramente eccezionale che viene da Rai Cinema di cui presento qui l’amministratore delegato, Paolo Del Brocco, che ci ha consentito questa serata. Il film che presentiamo è il notissimo Fuocoammare, film importantissimo che ha vinto un sacco di premi, sta girando tutto il mondo, è stato venduto in 70 Paesi ed è quasi un sigillo anche a questo filo che abbiamo seguito nella settimana di Meeting sul tema che tutti conosciamo, il tema di cui tratta questo film, che è appunto le storie di Lampedusa. Qui abbiamo forse il protagonista principale di queste storie, forse qualcuno di voi l’avrà già incrociato oggi al Meeting, lo abbiamo sfruttato e spremuto al massimo, è il dottor Pietro Bartolo, responsabile del presidio sanitario di Lampedusa. Faccio solo breve riferimento al fatto che oggi, come sapete, la giornata del Meeting è stata segnata dalla vicenda drammatica della scorsa notte, e alcuni incontri hanno subito dei cambiamenti importanti. Oggi in tutte le sale del Meeting vogliamo iniziare i lavori con un momento di silenzio, di raccoglimento, e invitiamo ad aderire a qualunque iniziativa che sarà indetta dalle autorità per aiutare in questo momento drammatico le popolazioni, le famiglie, le vittime del terremoto. Invitiamo tutti ad aderire alla proposta della raccolta fondi promossa dalla Presidenza della Conferenza Episcopale Italiana, che si terrà tra il 17 e il 18 settembre prossimo, una raccolta fondi che è già operante attraverso la Caritas. Ci uniamo ai sentimenti e alla preghiera del Papa di questa mattina, con il nostro pensiero che va alle vittime e alle loro famiglie, e l’invito a vivere con ancora maggiore serietà questi appuntamenti del Meeting, la giornata di stasera e poi l’ultima giornata di domani.
Detto questo, io mi taccio perché ci sono l’Amministratore Delegato di Rai Cinema, che come abbiamo detto ci ha consentito la proiezione di questo film, e il dottor Bartolo che poi ci dirà come è entrato, come è diventato una star del cinema. Pensate che ha un calendario di impegni, tra questo film, gli incontri, le richieste di incontri, le conferenze, le visite, e poi sta per uscire un suo libro nelle prossime settimane: e quindi invitiamo già tutti a tenerne conto e a farne tesoro. Do la parola a Paolo Del Brocco, che ci presenta questo lavoro di Gianfranco Rosi, un grandissimo, io ho amato tantissimo Sacro GRA, per esempio, essendo un milanese romanizzato. E’ un regista veramente eccezionale per la capacità che ha di entrare nelle sfumature. Allora, Paolo del Brocco ci presenta un po’ questo film, il dottor Bartolo ci dirà poi come è entrato in questa storia. Grazie.

PAOLO DEL BROCCO:
Intanto, devo portare i saluti di Gianfranco Rosi che non può essere qui perché è in giro per il mondo a presentare questo film che ci ha dato tanto, ha dato tanto all’Italia, ma io direi che ha dato tanto alla nostra umanità, che è sempre particolare rispetto a quella di altre situazioni, magari europee. Se uno nella vita può essere orgoglioso di una cosa, personalmente sono orgoglioso di aver fatto sì che l’azienda che dirigo abbia coprodotto e fortemente voluto questo film. E’ un film particolare – poi vi darò anche qualche indicazione per la visione – perché bisogna capire inizialmente cosa si sta vedendo. E’ un film che più lo vedi e più lo apprezzi, però non posso farvelo vedere due o tre volte di seguito, tutta la notte, naturalmente. Invito chi vuole a rivederlo, la seconda e terza volta lo si apprezza veramente molto di più, perché si entra già avendo capito di cosa si sta parlando. Non è un film classico, è un film che racconta un luogo: di solito in questo tipo di documentari si parte da un non luogo, invece Lampedusa è un luogo vero, forte, Lampedusa è un sogno, non so chi di voi c’è stato, ma io ho avuto la fortuna di andare più volte a Lampedusa e di conoscere i suoi straordinari abitanti, il suo straordinario popolo. Uno rimane affascinato, è veramente un qualcosa a sé stante, difficile anche da spiegare con le parole. Questo film racconta la quotidianità, le piccole storie di Lampedusa: non è un documentario, lo dico con grande chiarezza, non c’è un flusso che racconta l’emigrante che arriva. Certo, ci saranno anche delle cose molto forti, ma qui c’è un confronto tra una realtà quasi onirica che vive a sé stante come Lampedusa, e alcune persone che fanno una vita normale: c’è chi fa il dj, chi gestisce una radio, c’è zia Maria, con cui ho avuto l’onore di ballare – come vedrete, zia Maria è una fantastica ballerina, abbiamo passato un sabato sera meraviglioso in una balera di Lampedusa -, persone normali che svolgono la loro vita e sembra quasi che non si incrocino in tutto quello che avviene. Dall’altra parte, invece, abbiamo queste persone che prima di sbarcare non si sa chi sono: sembra quasi che prendano un’identità nel momento in cui sbarcano. E credo che nel film si capisca bene, è tutto un livello più alto del racconto classico e concreto dei fatti. In tutto questo, c’è però un collante, tra il mondo, fra la vita normale di Lampedusa – scusate, dimentico ormai il mio figlioccio Samuele, che è un ragazzino straordinario che vedrete nel film -, tra questi due mondi: e il collante è proprio Pietro. Pietro è quello che unisce, di fatto, questi due mondi, che dà il contatto che unisce questa vita semplice ma vera di Lampedusa, a questo fenomeno, purtroppo tragico. Dico solo un’altra cosa: è stato ovviamente un grande onore e un grande orgoglio poter portare a febbraio scorso, nel cuore dell’Europa politica, un film italiano, un film che sembra locale ma che è chiaramente non europeo, è mondiale, perché il tema appartiene a tutti noi. E questo è il grande vantaggio, la grande dote che ha il cinema, perché riesce a raccontare delle storie con un linguaggio a volte crudo, a volte meno crudo, ma che la cronaca non riesce poi ad approfondire così tanto. E credo che questo film, grazie agli straordinari personaggi come Pietro e a tutti gli altri che hanno partecipato, grazie al regista che è un genio assoluto oltre che un grande amico, abbia portato al centro dell’attenzione, a livello anche politico, non solo umano, questa tragedia. Ricordo quando il presidente Renzi chiese 21 Dvd da portare ai 21 Capi di Stato europei: li abbiamo fatti pirata perché non li avevamo, li abbiamo fatti noi, con etichette improvvisate, perché in quel momento il film era ancora in sala e ci sono delle regole. Abbiamo dato dei Dvd pirata ai Capi di Stato.

ROBERTO FONTOLAN:
Una missione pericolosa per l’Amministratore della Rai…

PAOLO DEL BROCCO:
Assolutamente. Essendo il film nostro, e noi eravamo tutti d’accordo, questo “pirata” mettiamolo tra virgolette. Però devo dire che il Governo ha sposato moltissimo il film, e tutta la politica in generale. Ed è importantissimo portare questi fatti concreti alla politica, perché poi è la politica che deve provare – la politica nazionale e soprattutto la politica internazionale – a risolvere questi problemi. L’altro aspetto che forse si vede – chiaramente non è un film di cronaca e non può raccontare tutti i dettagli – è che a Lampedusa, tra chi vive ed è nato a Lampedusa e chi ci lavora, ho incontrato dei personaggi straordinari, che non possono essere tutti rappresentati in un film di questo tipo, di cui forse non sappiamo nemmeno l’esistenza. Ci sono dei signori che si vedono un po’ meno, perché ormai ci sono queste navi che raccolgono queste persone già sulle coste dell’Africa, ma in realtà in alcuni casi non sono navi, partono da Lampedusa dei gommoni con dei signori della Marina, credo, che si fanno 15, 20 ore di gommone, magari col mare a forza nove, per andare a recuperare queste persone e riportarle indietro. Sempre loro li accolgono al porto, molto spesso in condizioni disperate. Non voglio dilungarmi, ma credo che sia, al di là del film, anche un’esperienza personale: c’era questo comandante del gommone che mi diceva: “A queste cose non ti abitui mai”. Pietro ce lo dirà sicuramente a breve, ma poi il problema è che questi signori vanno lì e a volte si trovano in queste situazioni in cui le persone sono in acqua. E ci sono dei protocolli, perché tu devi prendere il più vicino perché hai più possibilità di salvarlo, e devi scegliere chi salvare, perché se prendi quello lì, magari quello a venti metri, ora che arrivi, purtroppo non c’è più. E quindi sono racconti, non cronache: “Affondato barcone, morte 100 persone”, sembrano dei numeri quasi asettici. Invece, quando parli con queste persone che sono quotidianamente in contatto con questa tragedia, con questo problema enorme che poi diventa anche un problema a livello di coscienza personale, umano, veramente capisci che qualsiasi cronaca non fa comprendere la portata di queste cose.
Come diceva Pietro a Berlino, mi ricordo che c’era un giornalista che parlava di uno dei naufragi brutti, dicendo un numero che adesso non ricordo, 100 o 200 morti. Lui disse 364, e Pietro disse: “No, sono 366, perché quei due non sono numeri, sono persone, sono due vite”. Loro hanno veramente questo senso spiccato della vita e dell’umanità e noi crediamo di avere dato, come Rai, come servizio pubblico, doverosamente un contributo, un piccolo contributo, per quanto ci riguarda, a far sì che questo film portasse al mondo un tema che purtroppo non finisce, non sta finendo, anzi, se vogliamo sta peggiorando anche se il nostro Paese ha fatto tantissimo, e anche questo forse non viene molto pubblicizzato. Veramente l’Italia è un Paese che su questo tipo di problema sta facendo di tutto e ha una sensibilità estrema rispetto a tutti gli altri Paesi europei, non solo a livello politico e organizzativo, ma proprio riguardo alle singole persone che si occupano di questo tema, da chi va a salvare a chi se ne occupa nel centro di Lampedusa o in tutti gli altri centri di Italia. Scusate, mi sono dilungato ma il tema, come avete capito, mi appassiona particolarmente e credo che tutti noi dobbiamo dare un contributo, ognuno nel suo piccolo, per dare ognuno una mano a trovare una soluzione che forse è di là da venire ma che dovremo trovare per forza. Grazie.

ROBERTO FONTOLAN:
Grazie a Paolo Del Brocco. Di questo tema si è parlato a lungo anche oggi pomeriggio, c’è la mostra qua al Meeting, quindi veramente l’abbiamo nel cuore. Questa serata con Fuocammare per noi è un punto che compie anche il tragitto che abbiamo fatto questa settimana. Dottor Bartolo, allora, come mai è entrato in questo film?

PIETRO BARTOLO:
Intanto, buonasera a tutti, ringrazio gli organizzatori che mi hanno dato l’opportunità di essere qua questa sera. Proprio in questo secondo ho ricevuto un comunicato, purtroppo, è andato a fuoco il centro di accoglienza di Lampedusa. In questo momento stanno lavorando per spegnerlo: non è la prima volta, speriamo che non succeda niente di grave. Io sono entrato per caso. Pensate, da 25 anni mi occupo di immigrazione a Lampedusa, perché il fenomeno è iniziato nel 1991, e ho visto tutti gli sbarchi, li ho visitati uno per uno, ne ho visitati circa 300 mila. Purtroppo detengo anche un altro triste record, forse sono il medico che ha fatto più ispezioni cadaveriche del mondo. Non so quanti sono, circa mille, probabilmente, e tra questi ci sono tanti bambini, tante donne, e potete immaginare che cosa significa, per una persona, anche se sono un medico – ma non è che un medico è un robot, il medico è una persona – vedere queste cose per me è bruttissimo, sono cose che ti rimangono e ti sconvolgono la vita, ti sconvolgono l’anima.
In 25 anni ho cercato, in tutti i modi, di mandare questo messaggio, di fare capire quello che succedeva nel Mediterraneo, quello che succedeva a Lampedusa. Perché, sapete, sono stato intervistato da tutte le televisioni del mondo: ogni volta che succedeva qualcosa a Lampedusa, arrivavano tutte le televisioni, ma tutte veramente. E io cercavo di spiegare, di raccontare anche le cose che mi fanno male, però forse non sono mai stato bravo abbastanza: se ne parlava per due, tre giorni, dopodiché non se ne parlava più. Dopo 25 anni, nessuno conosceva nulla, nessuno sapeva niente: io dico che per 25 anni ho lavorato nel buio più totale.
Poi è arrivato un signore che io ritengo essere un genio, come ha detto il dottor Del Brocco, si chiama Gianfranco Rosi. E’ venuto nel 2014, quando il centro di accoglienza era chiuso perché era andato a fuoco, e quindi non arrivavano più le navi di Mare Nostrum: li portavano in Sicilia, ci bypassavano. Lui è venuto proprio in quel periodo, doveva fare un cortometraggio. È rimasto là tre settimane: il giorno prima di partire, di andarsene, perché aveva deciso di non farlo più, è venuto nel mio ufficio e si è presentato dicendo che aveva qualche problema. Io non lo conoscevo, non l’avevo mai visto. Mi ha chiesto se lo potevo visitare perché aveva un problema di salute, effettivamente l’ho visitato e aveva qualche piccolo problema respiratorio. Gli ho dato una terapia e lui ha continuato a farmi delle domande sull’immigrazione. Gli ho detto: “Scusi, ma è venuto qua per farsi visitare o per sapere qualcosa?”. Al che, lui mi ha detto: “Guardi, io sono il regista Gianfranco Rosi”. Al che mi sono un pochino agitato, il maestro Rosi, lo conoscevo per i suoi documentari. Mi disse che se ne stava andando perché non aveva trovato materiale di ispirazione. Allora ho chiuso la porta e ho detto: “Lei non se ne va, il documentario lo deve fare perché per me è molto importante”. E gli ho dato, per convincerlo, una pen drive. Gli ho detto: “Qui dentro, maestro, c’è tutta la mia vita, 25 anni di immigrazione”. Lui se n’è andato, si è visto la penna, l’indomani è venuto e mi ha detto: “Grazie, il film lo faccio”.
E da lì è iniziata questa avventura bellissima. La sua genialità è stata nel fatto che ha girato un film da solo, con una telecamera che utilizzava lui, non c’era nemmeno un cameramen, non c’era nessuno, e non ci ha fatto sentire il peso della telecamera. Tant’è vero che noi, io, il bambino e tutti i pochi che eravamo in quel documentario, aspettavamo sempre che lui girasse. Poi, invece, la penna se l’è tenuta. A gennaio è tornato a Lampedusa e mi ha detto: “Dottore, Pietro” perché poi siamo diventati amici, “ti riconsegno la penna come ti avevo promesso, perché il film l’ho consegnato”. “Quando l’hai girato?”. E lui: “Tu non ti preoccupare, io l’ho consegnato a Berlino per il festival”. Al che io gli ho detto: “Ridammi la penna” e lui me l’ha data. In quell’occasione, ho pensato di controllarla, chissà, magari aveva preso qualcosa. Ma lui ha detto: “Guardala”. L’ho messa nel computer per vedere se mancava qualcosa e così, ad un certo punto lui mi dice: “Ferma, ferma, questa scena non l’avevo vista!”. E io: “E’ un anno e mezzo che te la guardi, questa penna!”. E ancora: “Ferma, ferma!”. E’ la scena che poi vedrete nel film, dove c’è quel barcone, quel peschereccio: sono arrivati in 840, è stato uno sbarco pesantissimo. Ho portato 68 persone al Pronto Soccorso per gravissima ipotermia, a una donna si erano rotte le acque e il bambino era sofferente, gravissimo. Aveva la cute verde, la mamma non aveva più le contrazioni ma le aveva avute, non era riuscita nemmeno ad aprire le gambe per partorire, perché a bordo erano tutte stipate. L’ho fatta partorire, è stato un parto difficilissimo. E quando ho finito, ho fatto quel monologo che vedrete: lui se n’è andato senza nemmeno salutarmi, è partito per Berlino, ha ritirato il documentario, l’ha smontato e rimontato, ed ecco il film completo con quella scena. Il film è uscito subito dopo. Questa è la sua genialità: io lo ringrazio veramente di cuore perché mi ha permesso di mandare in tutta l’Europa e forse anche nel mondo quel messaggio che non ero riuscito in 25 anni a mandare. Di questo gli sono grato. Era quello che volevo perché io non sono un attore, non sono un produttore, non me ne frega niente. Sono un medico che vuole continuare a fare il medico: ma per me era importante mandare un messaggio che facesse vedere al mondo intero che cosa succede nel nostro Mediterraneo, quali sofferenze portano queste persone. Io lo ringrazio per questo e ringrazio anche voi.

PAOLO DEL BROCCO:
Posso chiedere una cosa? Vorrei fare capire con un esempio. Siamo una sorta di compagnia di giro, sono grato di questa amicizia, però è possibile capire il senso dell’accoglienza della gente di Lampedusa solo andando lì. Proprio questa persona che Pietro ha fatto partorire dà il senso della grande partecipazione della gente, in modo semplice, a questo grande dolore.

PIETRO BARTOLO:
Lo racconto volentieri, perché tutta questa immensa sofferenza alla fine ha dato origine a un fatto bello, positivo, anche se mi è costato tanto dal punto di vista dell’emozione. Era una donna giovanissima, una nigeriana che aveva subito una gravissima sofferenza fetale. Era notte, l’ho portata immediatamente al poliambulatorio: noi non abbiamo una sala parto, quando devo fare partorire qualcuna, la metto su una normale barella, una sedia da visita ginecologica. Ero da solo, cercavo di stimolare il parto ma ogni volta che aumentava il flusso dell’ossitocina, per far aumentare le contrazioni, c’era una decelerazione del battito cardiaco, segnale di grande sofferenza fetale. Doveva partorire, se no rischiavano di morire la mamma e il bambino. E allora, ho deciso di fare una grossissima incisione, un’episiotomia, noi la chiamiamo così. Ovviamente mi sono raccomandato alla Madonna di Porto Salvo, i riminesi sanno chi è, la nostra protettrice. Ho fatto una grossa incisione, ho tirato fuori questa bambina che stava malissimo, l’abbiamo rianimata, dopo di che mi sono occupato della mamma per ricucirla: non so quanti punti ho dovuto darle, un centinaio. Appena finito, ero stanchissimo e anche provato, perché avevamo rischiato il tutto per tutto ed era andata bene per entrambi, la mamma e il bambino. Ero quasi felice. Sono uscito in corridoio, ho pensato che alle due di notte non ci fosse nessuno e invece, con mia grande sorpresa, ho trovato più di 50 donne lampedusane che in silenzio – non so come l’avessero saputo – aspettavano con ansia di sapere come era andato il parto. La cosa bella è che avevano portato un mare di roba, dai pannolini ai vestitini, anche una carrozzina. Questo per dirvi qual è lo spirito e il cuore dei lampedusiani, un grande popolo, un popolo di mare, un popolo pescatore. Tutto quello che viene dal mare per loro, per noi, è benvenuto. Noi diciamo sempre che questa gente per noi è un bene, che è proprio il tema di questo evento.

ROBERTO FONTOLAN:
Naturalmente staremmo qui ore e ore a sentire questi racconti, però la serata è dedicata al film e quindi, e siccome è un film impegnativo, partiamo con la proiezione. Ringraziamo e salutiamo i nostri due ospiti di questa sera, il dottor Bartolo, che è stato in giro per il Meeting tutto il giorno e che molte persone hanno avuto occasione di incontrare. E ringrazio ancora il dottor Del Brocco e Rai Cinema per questa occasione che ci è stata regalata. Vi auguro buona visione e noi con i nostri documentari ci rivedremo l’anno prossimo. Bene, arrivederci.

BARTOLO e DEL BROCCO
Grazie, veramente. Grazie

Video.

Data

24 Agosto 2016

Ora

21:00

Edizione

2016

Luogo

Sala Neri CONAI
Categoria
Incontri