SCOMMETTERE E INVESTIRE IN ITALIA

Scommettere e investire in Italia

Scommettere e investire in Italia

Partecipano: Graziano Delrio, Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture; James Hogan, Presidente e CEO Etihad Airways e Vice Presidente Alitalia SAI; Pierluigi Stefanini, Presidente Unipol Gruppo Finanziario. Introduce Bernhard Scholz, Presidente Compagnia delle Opere.

 

BERNHARD SCHOLZ:
Buongiorno a tutti. Vorrei darvi il benvenuto con una citazione: «Abbiamo scelto di venire in Italia perché la competenza e il capitale umano che si trovano qui sono rari. La selezione è basata sulla vicinanza e la possibilità di collaborare con alcune delle migliori Università mondiali per il nostro settore come il Politecnico di Milano e l’Università di Pavia». Queste sono le parole di Fabrizio Francesconi, responsabile per l’apertura di una nuova sede della società americana Invent Scents a Milano Fiori, Assago. Invent Scents produce sensori particolari per gli iPhone, per altri smartphone e farà delle ricerche per applicare questi sensori a telecomandi televisivi. Io volevo cominciare questo incontro con questa citazione, perché è vero che sono calati tanto gli investimenti in Italia, e di questo ne parleremo, e sappiamo anche le motivazioni come la burocrazia, le tanti leggi, i processi amministrativi e la pressione fiscale. Sappiamo tutto, però questo Paese ha qualcosa per il quale vale la pena investire. Sono grato di avere oggi con noi Graziano Delrio, Ministro dei Trasporti e delle Infrastrutture, James Hogan, Presidente e CEO di Etihad Airways e Vice Presidente di Alitalia e Pierluigi Stefanini, Presidente Unipol Gruppo Finanziario Spa.
Come ho detto, dal 2008 in poi gli investimenti in Italia hanno avuto un calo importante di 4%, 5% sul Pil, cifre enormi se consideriamo poi i numeri reali. Ma al contempo, negli ultimi mesi, vediamo un’inversione di tendenza. Adesso i numeri non li dico perché so che si dimenticano subito. Si ricomincia ad investire. Abbiamo a livello europeo due piani che agevolano questo: il piano Draghi, il cosiddetto Quantitative Easing, recepito positivamente dai mercati, e poi il piano Juncker, che vuole dare 315 miliardi per agevolare gli investimenti in infrastrutture. Il Governatore di Banca Italia, Ignazio Visco, ha infatti detto che dopo questi grandi approcci a livello europeo la variabile decisiva per il ritorno a crescita stabile sono investimenti privati e in infrastrutture. Questo è il compito che dobbiamo affrontare insieme e che non può essere delegato a qualcuno, riguarda tutti, privati e pubblici. Quindi vorrei iniziare a sentire James Hogan, che come sappiamo è Vice Presidente di Alitalia, perché come sappiamo Etihad Airways ha fatto questo grande investimento sulla società italiana. È anche Vice Presidente di Air Berlin, di Jet Airways (non si fa mancare niente in termini di compiti internazionali) e anche Vice Presidente del World Travel and Tourism Council e membro del Board of Governors della IATA (International Air Transport Association). È australiano, è nato a Melbourne. Ha iniziato a lavorare nel ’75, ha ricoperto diversi ruoli ed incarichi importanti, da subito, incarichi importanti di tante società nel mondo del turismo, dei trasporti, dei servizi; ed è diventato nel 2006 Presidente e CEO di Etihad Airways. Hogan ha firmato uno dei più grandi ordini di aereo-mobili nella storia, penso che sia il più grande, non solo uno dei più grandi: nel 2008 ordinò duecentocinque aerei per una cifra di quarantatre miliardi di dollari. Perché cito questa cifra? Perché vuol dire che stiamo parlando di investimenti lungimiranti, a medio-lungo termine e questo è una prospettiva che vorrei sottolineare, perché in questo momento tanti investimenti sono molto brevi, senza rischio a lungo termine, invece noi abbiamo bisogno di investimenti che vanno al di là dell’immediato. Nel 2011 questo piano ha già cominciato a diventare redditizio, avendo già quattordici milioni di guadagno, e poi quarantadue milioni di utili netti nell’anno successivo. Quello che si sa poco è che Etihad Airways ha acquistato anche quoto di minoranza non solo in Air Berlin ma anche in Air Seychelles, Aer Lingus, Virgin Australia, Air Serbia, Darwin Airlines, e poi anche come sappiamo 49% di Alitalia. Mister Hogan, perché conviene investire in Italia?

JAMES HOGAN:
Grazie, buon giorno a tutti! L’interprete avrà a che fare con un accento australiano. E’ importante nel rispondere a questa domanda innanzitutto capire Etihad Airways: abbiamo solo undici anni di vita, il nostro quartier generale è ad Abu Dhabi, capitale degli Emirati Arabi Uniti, e abbiamo anche tanti competitor come la Emirates, ma anche la Qatar Airways. E quando nel 2006 abbiamo deciso di lanciare questo progetto, avevamo una visione chiara. Innanzitutto la sicurezza, poiché in questo settore la sicurezza è fondamentale. Volevamo anche essere i migliori, e quindi abbiamo deciso di puntare sulla business class, la first class, e la economy ma essere i migliori in ognuna di queste categorie. Come compagnia aerea ovviamente dovevamo investire: abbiamo investito in Abu Dhabi in molti settori, nell’occupazione, ma abbiamo sviluppato anche dei programmi per i giovani e anche nel settore dell’aviazione aerospaziale abbiamo investito proprio nell’innovazione, nella ricerca e nella creazione di posti di lavoro. Ovviamente abbiamo investito per guadagnare. Quindi come nuova compagnia aerea abbiamo cominciato proprio da zero, e non avevamo un retaggio precedente. Questo ha significato quindi anche la creazione di strutture, non potevamo costruire su qualcosa di preesistente. Quindi da un punto di vista di mercato globale, abbiamo davvero raccolto una sfida importante. Abbiamo oltre cento destinazioni in tutto il mondo, abbiamo una flotta di oltre cento aeromobili e, come diceva il dottor Scholz, il nostro piano di sviluppo è molto chiaro per il futuro, e abbiamo, come diceva lui, ordinato oltre duecento aeromobili anni fa. Abbiamo dovuto trattare a lungo per raggiungere un accordo, un programma di sviluppo non solo per la Etihad ma anche per tutte le altre compagnie in cui abbiamo quote di partecipazione, che fossero Air Berlin oppure le altre compagnie citate, proprio perché questo investimento portasse frutti a tutti.
Abu Dhabi: perché abbiamo deciso di creare una compagnia aerea nel golfo, con un investimento di questa entità? Ci sono motivi tecnologici e di geografia, poiché in solo tre ore di volo possiamo raggiungere tantissime destinazioni dell’emisfero meridionale ma anche del nord. Quindi siamo vicinissimi a tante destinazioni chiave e anche la Cina non è poi così lontana da lì. Quindi questa destinazione aveva molti vantaggi dal punto di vista infrastrutturale, e abbiamo visto anzi che già da fine anni ’80, tutto il comparto asiatico nel settore dell’aviazione ha assunto una nuova importanza, e anche noi quindi abbiamo deciso di puntare su questa zona. E poi ovviamente c’era una questione di scala: come creare una rete di destinazioni che fosse competitiva anche da un punto di vista di costi, di efficienza? Quindi questo ha fatto sì che operassimo questa scelta, ovviamente abbiamo anche studiato quello che facevano i nostri competitors. Ovviamente nessuno di noi può prevedere il futuro, abbiamo fatto dei piani ma abbiamo pensato che fosse anche importante investire in altre compagnie, come la Virgin Australia, per coprire anche Bring AspenSidney, da cui raggiungiamo tantissime destinazioni; poi appunto dalla Germania con Air Berlin possiamo raggiungere velocemente anche Düsseldorf, Stoccarda, tantissime località strategiche all’interno della Germania e dell’Europa. Il nostro investimento poi comprende anche l’India, con la Jet Airways, che copre anche qui tantissime rotte diciamo locali e che ci permette di essere diventati negli ultimi quattordici mesi il più grande operatore aereo in India. Quindi grazie a questi investimenti possiamo coprire il sud-est asiatico, l’Austral-Asia, l’India e poi l’Europa. Il nostro investimento si è basato su un approccio strategico, abbiamo visto un’opportunità e l’abbiamo colta e sviluppata in questo modo.
Ma devo ammettere che quando ho affrontato il progetto Alitalia, ho subito detto: no. No, perché vedevo un business che per molti anni aveva affrontato molte fasi anche difficili, e solitamente quando si decide di investire in un progetto si vuole investire in un progetto che risulti vincente sin dall’inizio, quindi è ovvio che bisogna vedere anche in prospettiva un ritorno finanziario. Quando il Governo ci ha chiesto di vagliare una proposta in materia, all’inizio, devo essere sincero, la prima risposta è stata no. Poi il Governo ha detto: magari fate una due diligence, un’analisi più approfondita e magari scoprirete che c’è un potenziale di successo. Quindi abbiamo deciso allora effettivamente di passare ad un vaglio più dettagliato, e abbiamo iniziato trattative. L’Italia è un Paese meraviglioso, anche da un punto di vista di trasporto aereo, avete un mercato interno molto forte, avete anche un mercato pan-europeo molto forte, sia come rotte di destinazione che rotte di partenza. Ci son tantissimi voli che arrivano e partono per gli Stati Uniti, e soprattutto gli italiani viaggiano, viaggiano molto. Quindi da un punto di vista di traffico questo è molto importante. Il flusso di rotte è molto interessante. Però bisogna anche considerare altri aspetti. Abbiamo visto che a volte, a livello di gestione, ci sono state anche interferenze politiche che ci sembravano un ostacolo al pieno sviluppo. Quando poi il Premier e anche altri funzionari ci hanno presentato il progetto, avevamo delle perplessità, però ci hanno anche presentato in un certo senso tutti i punti che dovevano essere risolti per avere successo pieno. Però noi siamo stati molto chiari dall’inizio e abbiamo posto delle condizioni specifiche rispetto al passato, che ovviamente non ci riguardava. Il passato doveva essere passato. Soprattutto rispetto anche al coinvolgimento di Unicredit e Intesa, volevamo che tutto fosse chiaro. Poi c’era anche la questione dei sindacati e volevamo anzi che la compagnia avesse un piano industriale ben strutturato anche da questo punto di vista. Ma ci sono stati dati dei motivi per avere grande fiducia, e quindi abbiamo visto sin da subito un atteggiamento positivo e costruttivo da parte del Governo e degli altri azionisti: anch’essi condividevano la volontà di lasciarsi il passato alle spalle. E anche da parte dei sindacati c’è stato un atteggiamento assolutamente positivo e costruttivo, perché l’investimento era di grande entità. Dovevamo anche garantire che il piano industriale fosse in grado di dare già i primi frutti dopo tre anni, poiché capite bene che quando si va a ristrutturare qualsiasi attività non si possono avere dei risultati dall’oggi al domani. Questo ha implicato anche l’implicazione di tutti i comparti dell’azienda, quindi dagli equipaggi degli aerei, a tutto il personale tecnico. Abbiamo investito davvero tantissimo tempo in incontri con tutto il personale di Alitalia, per presentare il nostro piano industriale. Abbiamo anche presentato un documento molto corposo, infatti per noi era fondamentale, era fondamentale che tutti i dipendenti di Alitalia capissero, condividessero e credessero nel progetto, poiché capite bene che il coinvolgimento del capitale umano è altrettanto importante quanto quello del capitale finanziario, e soprattutto ci voleva anche una condivisione di visione e di valori, che è fondamentale per garantire il successo di un progetto del genere. Devo ammettere che tutto il personale di Alitalia è stato straordinario. Hanno capito il bisogno di un cambiamento radicale e quindi hanno deciso di abbracciare questo cambiamento, questa evoluzione del business. Tutti i dipendenti quindi hanno partecipato e quasi tutti i mille e cinquecento dipendenti hanno trascorso un soggiorno ad Abu Dhabi di formazione, per capire anche la nostra filosofia aziendale; e con questo non voglio dire che quello che era stato fatto fino a quel momento da Alitalia in passato fosse sbagliato, diciamo che noi avevamo un’altra filosofia aziendale, un altro approccio. La reazione del personale è stata straordinaria: hanno condiviso da subito questa volontà di essere i migliori della nostra categoria. Io sono stato chiarissimo sin dall’inizio: ho chiarito subito i miei obiettivi e soprattutto questo approccio, questa necessità di un cambiamento di mentalità, affinché Alitalia diventasse una delle compagnie aeree di maggiore successo in Europa e nel mondo. Poiché questo marchio fa parte del cuore pulsante dell’Italia, l’idea era di valorizzarlo. Ogni volta che si sale su un aereo dell’Alitalia, dovrebbe essere come salire o comunque essere in Italia. E quindi abbiamo investito con questa idea in mente. Il marchio Alitalia è davvero uno dei più forti nel mondo, credetemi. Quindi anche gli investitori, insieme al Governo, fin dal primo giorno hanno condiviso queste strategie. E c’è stato grande sostegno da parte di tutti, un supporto trasversale a tutti i livelli. Poi gli azionisti, anche loro hanno compiuto dei sacrifici. I sindacati hanno capito il bisogno di rimodellare l’azienda. E devo dire che poi a poco a poco, nel giro di dodici mesi, c’è stata davvero una ricostruzione straordinaria. Ebbene questo è un investimento strategico a lungo termine, anche perché riguarda nuove tratte tra Milano, Roma, Abu Dhabi, coinvolgendo anche Venezia. Adesso abbiamo collegato anche la Air Berlin in questa rete di destinazioni, stiamo studiando interconnessioni anche con l’India, con la Cina, con città importanti. Stiamo mettendo a punto un catalogo di tratte davvero strategiche ma siamo davvero orgogliosi del fatto di aver coinvolto venti neolaureati che sono venuti ad Abu Dhabi, e di aver assunto ad Abu Dhabi nuovi ingegneri giovani, talentuosi. Quindi davvero è un partenariato a tutto tondo che abbiamo messo in atto.
Abbiamo cinque obiettivi strategici: innanzitutto vogliamo fungere da guida per tutti i nostri partner e vogliamo riportare già dal 2017 la compagnia aerea Alitalia a una piena redditività.
Inoltre vogliamo garantire l’afflusso di grandi capitali per nuovi investimenti, vogliamo che gli azionisti vedano dei risultati per continuare a sostenere questo processo di evoluzione. Vogliamo però crescere organicamente, facendo leva su collaborazioni con le altre compagnie aeree con cui operiamo.
E abbiamo un team di gestione che è davvero impegnato a fondo in questo progetto di cambiamento.
Quindi, considerando il punto iniziale, come vi ho detto avevo molti dubbi rispetto a questo progetto di investimento in Italia, dodici mesi dopo, posso dire con fierezza e certezza che è stato un ottimo investimento. Abbiamo affrontato nuove sfide, molte rimangono ancora da affrontare a pieno ma abbiamo imboccato la strada giusta, quindi è stato un ottimo inizio. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
C’è stato un piccolo passaggio nell’intervento di Mr. Hogan che vorrei sottolineare. Lui ha detto che quando si è cominciato a collaborare, tra l’altro in due sensi, non ci si è fermati a vedere quali sono stati gli errori del passato, lamentandosi di tutte le cose che non funzionavano, ma si è intrapresa una nuova strada.
Dico questo perché tanti cambiamenti necessari sono bloccati perché siamo fermi sulle mancanze del passato: le contempliamo, ci lamentiamo, ci lecchiamo le ferite, invece di capire che quelle mancanze sono l’apertura verso qualche cosa di nuovo. Mi sembra un passaggio molto importante, perché la mancanza della quale qua parliamo è considerata come una risorsa, non come un freno.
Parliamo di Unipol. Pierluigi Stefanini, oltre a essere Presidente del gruppo Unipol è anche Presidente della Ugf Banca (adesso non dico tutti gli incarichi che ha!), è anche nel Consiglio di Amministrazione della Banca Nazionale del Lavoro, ha avuto incarichi come Presidente della Lega COOP di Bologna, è stato Vice Presidente della Lega COOP dell’Emilia Romagna.
Il gruppo Unipol è il secondo gruppo assicurativo del mercato italiano, il primo per il ramo danni, ed è tra i primi dieci in Europa. Ci sono 14mila dipendenti, 16 milioni di clienti, è infatti l’ottava compagnia assicurativa europea, ma l’unica, tra le prime dieci, che opera solo in Italia.
Quindi abbiamo, a differenza della società Ethiad, una società completamente italiana. Ritengo molto interessante questo, perché il problema di investire in Italia non esiste solo per chi viene dall’estero, esiste anche per chi è in Italia, per tutte le ragioni che ho accennato prima.
In più Unipol ha fatto una grande scommessa perché in mezzo alla crisi, nel 2011-2012, ha acquisito FonSai, una scommessa importante, un grande investimento, anche un grande rischio, salvando migliaia di posti di lavoro. Quali sono allora per una società di servizio importante italiana, i rischi e i vantaggi di investire in questo Paese che, anche per tutte le problematiche che dovete affrontare, non vi fa mancare le complicazioni amministrative, giuridiche, soprattutto per quanto riguarda un settore come il vostro?

PIERLUIGI STEFANINI:
Grazie dell’invito, buongiorno a tutti, grazie Bernhard per l’introduzione così gentile e positiva su di noi.
Non sono qui per lamentare i difetti e i problemi, perché non credo sia lo spirito né vostro né di questo confronto e dunque tutti gli aspetti che non vanno ve li risparmio anche perché li conoscete bene e vi potrei soltanto annoiare. Vorrei sottolineare invece alcuni aspetti che nel nostro modo di vedere l’attività e la prospettiva, riteniamo siano centrali, siano gli elementi su cui cercare di impegnarsi, di costruire una prospettiva per il nostro Paese.
Lo dicevi adesso anche tu Bernhard, noi nel 2011, fine 2011, quando lo spread era 570, la crisi politica era molto delicata e difficile, decidemmo di investire in modo importante, rilevante, addirittura più che raddoppiando le nostre dimensioni. In pochi mesi intraprendemmo questo percorso che poi, vi dico solo due numeri, ci ha portato a un risultato che riteniamo molto soddisfacente, molto importante.
Perché lo abbiamo fatto? Perché pensiamo che sia importante, nella crisi che viviamo e che ci colpisce in modo grave, sia dal punto di vista sociale ma anche valoriale. Voi capite bene che le attività di impresa, soprattutto nella crisi, si chiudono molto spesso in casa, si difendono, hanno paura, approcciano in modo difensivo le questioni. Noi riteniamo invece che questo sia sbagliato, sia il modo peggiore per fare impresa. Noi abbiamo fatto questa scelta appunto per cercare di crescere sul mercato, di diventare leader come è successo, ma anche di dare un contributo al Paese, di fare in modo che quello che facciamo ogni giorno abbia un’utilità, abbia dei benefici, trasferisca alla collettività una parte del lavoro che svolgiamo. E’ il nostro modo di intendere la nostra responsabilità sociale: non soltanto guardare a noi stessi ma cercare di contribuire al benessere del Paese.
L’abbiamo fatto salvaguardando un’importante identità, quella del Gruppo Fondiario SAI, che era più grande di noi, quindi con una consapevolezza dei rischi che andavamo ad incontrare inevitabilmente, ma anche cercando di favorire, investire e rafforzare gli elementi importanti che dentro a quel gruppo c’erano e ci sono. Noi poi li abbiamo acquisiti e abbiamo fuso insieme le competenze professionali, le capacità tecniche, la presenza e l’esperienza sul mercato. Abbiamo cercato di mettere in evidenza gli aspetti positivi che nell’attività delle imprese sempre ci sono.
Lo abbiamo fatto investendo in modo significativo, perché in questa operazione il gruppo ha investito chiedendo al mercato un miliardo e 400 milioni di euro, una cifra in quel momento molto rilevante, ma se pensate che, chiudendo il 2015, noi al mercato andremo a restituire un miliardo, credo che abbiamo dimostrato che era un investimento utile.
Il secondo elemento che vorrei sottolineare, è quello di aver scommesso sul Paese. I nostri asset finanziari, il 70% degli oltre 60 miliardi di investimenti che abbiamo, sono investiti su titoli italiani.
Noi abbiamo fatto una scelta Paese, con tutti gli elementi anche di incertezza, di preoccupazione che inevitabilmente ci possono essere, ma abbiamo pensato che fosse doveroso, fosse responsabile investire sul Paese, cercare, soprattutto in un momento così difficile, così delicato per la tenuta dei conti pubblici, del debito, dei parametri europei, di fare una scelta Paese. E credo che sia giusto muoversi con questa intenzione, con questa ottica. Terzo esempio, che è connesso all’acquisizione del Gruppo Fondiario SAI: noi abbiamo acquisito dentro al Gruppo Fondiario SAI una catena di alberghi, che sia chiama Atahotel. E recentemente abbiamo acquisito un’altra catena di alberghi, che si chiama UNA Hotel, e auspichiamo di diventare il primo operatore italiano nel settore alberghiero, con tutte le implicazioni di sistema che può avere questo tipo di scelta, di prospettiva. Dico cosa a voi note, banali se volete, scontate, ma sarebbe importante riuscire a costruire una prospettiva, concepire il settore del turismo con un approccio sistemico, appunto, mettendo insieme gli aspetti di natura infrastrutturale, di mobilità con quelli di servizio, di cultura, di storia. Pensiamo solo, dico una cosa nota a tutti, l’agroalimentare che importanza può avere per costruire una strategia sistemica sul turismo. Finisco, perché il tempo deve essere rispettato, sottolineando due aspetti. Il primo: cercare di (e noi ci stiamo provando, anche se è difficile, perché in un Paese dove purtroppo la demagogia e il populismo sono molto presenti anche nelle aule parlamentari, lo dico in modo molto esplicito, si sottovaluta, non si valorizza, non si porta in modo adeguato, significativo il settore assicurativo a giocare un ruolo chiave nel Paese) avere una funzione di supporto, di compartecipazione, direste voi di sussidiarietà. Il settore assicurativo può svolgere un ruolo chiave, strategico in alcuni ambiti chiave del Paese, dal Welfare, della tutela del territorio (pensiamo alle catastrofi naturali, al cambiamento climatico). Purtroppo, però, in queste settimane in Parlamento, di fronte alle norme riguardanti l’RC Auto, finisco subito, non voglio entrare in tecnicismi, si corre il rischio di far prevalere un approccio punitivo, superficiale, demagogico nei confronti del settore assicurativo, peraltro penalizzante i cittadini onesti. In ultimo sottolineo la responsabilità verso il bene comune. Noi abbiamo bisogno di rafforzare, come Paese, se vogliamo scommettere, investire, come dice il titolo di questo incontro, abbiamo bisogno di incrementare la responsabilità. Ognuno nella sua azienda, nel suo luogo deve chiedersi qual è la responsabilità che ha, deve chiedersi a chi risponde, deve chiedersi quali progetti vuole costruire, deve chiedersi in modo serio, impegnato, affidabile, per creare fiducia, se può investire, appunto, nel futuro. Con tutti i limiti, i difetti e anche gli errori noi ci stiamo provando, Il messaggio che vorrei comunicare è questo:, l’acquisizione del Gruppo Fondiario SAI non è solo un’operazione di tipo industriale, finanziario, assicurativo, ma anche un’operazione importante per il nostro Paese. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie, Pierluigi. Io penso che l’idea della cooperazione, della collaborazione, in generale come tra l’altro è emerso a livello internazionale anche nell’intervento di James Hogan, sia sicuramente una sfida enorme, un punto che deve qualificare sempre di più la modalità con la quale lavoriamo. Il Welfare del futuro non ci sarà se non si comincia a basarsi su una collaborazione fra privati, fra privati e pubblici, dove evidentemente al pubblico spetta l’indirizzo e il controllo. Ma l’operatività, l’investimento, non può non essere anche in gran parte, dei privati. Questa è una grande sfida del futuro, non è il tema di oggi, ma visto che è stato accennato, mi premeva sottolinearlo. Signor Ministro, Lei conosce, per biografia, molto bene la pubblica amministrazione di questo Paese. È stato sindaco, eletto con grandi maggioranze, in Emilia-Romagna per due mandati, e poi è stato anche Presidente dell’ANCI (dell’Associazione Nazionale Comuni Italiani), nel 2013 è diventato Ministro per gli Affari Regionali e Autonomie nel Governo Letta, nel febbraio ’14 Sottosegretario della Presidenza del Consiglio dei Ministri nel Governo Renzi, e dall’aprile di quest’anno Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti, che, secondo me, è il Ministero più diversificato, più complicato, più complesso di tutti. Quali sono le priorità che ha il Governo per investire in questo Paese e per aiutare altri a investire in questo Paese?

GRAZIANO DELRIO:
Grazie. Allora, buongiorno a tutti. Grazie al Presidente Scholz per l’invito. Mi fa piacere ritornare qui al Meeting, perché credo che sia un’occasione importante di confronto e anche politica, in senso nobile. Noi abbiamo come priorità, intanto, quella di ragionare sulle nostre infrastrutture con un atteggiamento molto orientato al bene della nostra comunità. Lo diceva Stefanini adesso, c’è un tema di bene comune, c’è un tema di difesa del patrimonio comunitario del nostro Paese. L’infrastruttura è il mezzo, non il fine, non è un fine della politica costruire un porto, un aeroporto, fare in modo che un’opera pubblica vada a compimento nei tempi giusti. Le infrastrutture sono un mezzo, un mezzo di connessione, sono un mezzo, però, importantissimo, molto sottovalutato. Per questo io ho detto subito, raccogliendo l’eredità difficile di Maurizio Lupi, che aveva così bene operato al mio posto, ho detto subito che sulle infrastrutture il Paese comincia a ragionare in termini di quelle che sono utili e quelle che non sono utili. Cosa vuol dire? Vuol dire che dobbiamo imparare a ragionare in maniera molto pragmatica. Ci può essere un’infrastruttura utilissima: per esempio, io ritengo un’infrastruttura utilissima il fatto che ci siano connessioni veloci in Sicilia, quindi, investiamo in questo, abbiamo messo i fondi per fare questo. Ma ritengo altrettanto utile che ci sia una infrastruttura dolce in Sicilia che consenta a un turista italiano o straniero che sia, di godersi il barocco siciliano tra Catania, Siracusa, Noto. Allora quella è una infrastruttura utile allo sviluppo della Sicilia. Non va a trecento all’ora, non è la velocità il criterio. Il criterio è se io riesco a creare attraverso un’infrastruttura o a sostenere con l’infrastruttura uno sviluppo autopropulsivo, non assistenziale. Allora è evidente che lo sviluppo autopropulsivo al sud può avvenire solo se c’è una grande messa in gioco del talento, dell’imprenditoria personale. C’è un dato interessantissimo dei primi mesi del 2015: il 40% delle nuove startup di giovani sotto i 35 anni è al sud e nel mezzogiorno. Finalmente i ragazzi del mezzogiorno non contano più sull’aiuto per entrare nel settore pubblico ma si mettono in gioco. Si mettono come dire alla prova, ci provano. Falliranno, come tutti, come fanno quelli del Nord, come fanno quelli di tutta Europa, ma intanto si mettono in gioco. E quindi lo sviluppo di una parte del Paese che oggi è largamente disconnessa dal resto del Paese, come il nostro Mezzogiorno, lo sviluppo si basa su un pilastro che è quello della autoimprenditorialità, quello della capacità dei giovani, delle persone di rimettersi continuamente in gioco, di puntare sulle proprie qualità ma anche sul fatto che esistono dei servizi. Sul fatto che vi siano servizi cosiddetti fattori igienici, come li definiscono i sociologi, cioè servizi che ti permettono di avere una mobilità decente, che ti consentono di avere dei servizi di raccolta rifiuti, di organizzazione delle acque e così via, all’altezza di una comunità intelligente, una comunità europea. Quindi noi abbiamo bisogno di ragionare di infrastrutture utili. Ora abbiamo fatto l’alta velocità al Nord. Bene. La dobbiamo portare anche al sud. Perché? Perché è giusto, perché è serio, perché è importante che nel nostro mezzogiorno sia a disposizione una mobilità adeguata per gli spostamenti di affari. Io ho salutato con grande piacere il fatto che ALITALIA abbia messo 140 voli settimanali in più verso il mezzogiorno nel 2015. Questo è un segno di attenzione al Paese. Perché è chiaro che lo sviluppo turistico può avvenire solo se abbiamo non un volo al giorno da molte delle nostre località turistiche, ma come hanno i turchi, e come hanno altri paesi, 20, 30, 40 voli. Voi capite allora che l’infrastruttura a questo punto diventa lo strumento con cui tu accompagni lo sviluppo. Intanto diciamo quali sono le infrastrutture utili e scegliamo queste infrastrutture a seconda delle esigenze dei nostri territori. Però l’alta velocità al sud la dobbiamo fare, la facciamo. Cerchiamo contestualmente, però, di non promuovere un modello unico di sviluppo, un modello solo veloce dello sviluppo, ma anche un modello differente, perché l’Italia è unica anche perché è appunto l’Italia. Per esempio, ha molto successo nell’Alto-Adige il trenino che porta su negli altipiani. Ha molto successo anche turistico, quindi, vedete, stiamo attenti, c’è il rischio di creare dei pensieri unici anche sul tema dell’infrastruttura. Poi l’altra grande priorità è valutare sulla base dell’utilità. Guardiamo i dati: l’Italia è un Paese che ha già tante strade. Ne ha a sufficienza, ne ha davvero di strade. Poi dobbiamo renderle più sicure, uno degli elementi prioritari della nostra azione di Governo è spostare i fondi sulla cura e la manutenzione dell’esistente. La cura e la manutenzione sono due parole a cui io sono molto affezionato, perché sono due parole che vanno al di là del tema delle infrastrutture. Sono due parole che indicano attenzione, che indicano rispetto verso quello che c’è già, che indicano volontà di mantenere sicurezza. Noi abbiamo bisogno moltissimo di investire in cura e manutenzione. La crisi ha portato a questa conseguenza: che si è dimezzato il volume dei lavori pubblici in Italia, da oltre 40 mld a 20 mld. Ha portato come conseguenza che gli investimenti esteri, di persone dall’estero, si è praticamente azzerato, è ricresciuto un po’ nel 2013 e per fortuna nel 2014 è ricresciuto ancora di un 20%. La crisi ha comportato anche un difetto nella cura, nella manutenzione delle nostre strade, delle nostre ferrovie, del materiale rotabile che gira per le nostre città.. Noi dobbiamo investire moltissimo nella cura e nella manutenzione, abbiamo dato mandato ad ANAS, a RFI di investire moltissimo nella cura, nella manutenzione dell’esistente e nel materiale rotabile. Dovremmo cambiare più di 700 treni, dovremmo cambiare quasi tutto il parco veicolare degli autobus nell’arco dei prossimi dieci anni, perché abbiamo il parco veicolare più vetusto d’Europa. L’investimento di Etihad in Alitalia è stato importante anche perché consentirà un rinnovo della flotta, quindi più sicurezza, più comfort, più efficienza nel lavoro. Voi avete visto il dramma della A19, dell’autostrada Palermo-Catania. Qui c’è un problema però. Non tutto è politica. Parliamone un attimo, non tutto è responsabilità della politica. Se per esempio non ci sono attenzioni sufficienti, non è tutta colpa del Parlamento di Roma. Se per esempio c’è una società che gestisce un’autostrada e c’è una frana che viene giù da venti anni, e ci si accorge che la frana viene giù da venti dopo che sono state sradicate tre strade, io voglio che quelle persone che hanno ignorato per venti anni quell’allarme si assumano questa responsabilità. Non voglio piangere perché crolla il pilone, vorrei evitare che il pilone crollasse. Questo è possibile solo se chi era responsabile della prevenzione del dissesto idrogeologico, se chi era responsabile del monitoraggio del dissesto idrogeologico, chi era responsabile della manutenzione di quella strada, se quella persona ne risponde. Noi dobbiamo smetterla di pensare che tutto dipenda dal fatto che i politici se ne fregano, qui c’è un problema di responsabilità a vari livelli, anche amministrativi, anche puntuali. Questo è un Paese che deve imparare a tutti i livelli ad assumersi le proprie responsabilità e ad assumere delle decisioni che siano conseguenti. Stefanini dice: “Sapete noi gestiamo i fiori degli assicurati, quindi dobbiamo farlo con rigore, con scrupolo e rigore”. Bene, noi gestiamo i soldi dei cittadini, quindi dovremmo farlo con molto più scrupolo e molto più rigore, perché ogni soldo che gestiamo come politici e amministratori pubblici è un soldo che ci viene consegnato da dei cittadini, da persone che in qualche modo fanno un deposito di fiducia nei nostri confronti. Perché non c’erano investimenti esteri e cominciano a risalire? Per un fatto di fiducia e di reputazione. Non mi fido dell’Italia. James Hogan è stato convinto, non so quante cene abbia dovuto pagare Maurizio per poterlo convincere nell’arco di due, tre anni. Non pensate che questo sia il frutto di due pacche sulle spalle, “ma sì, vieni che l’Italia è bella”, non è così. Smettiamo di raccontarci queste cose. Se non c’è disciplina, se non c’è rigore, se non c’è attenzione, se non c’è costruzione giorno per giorno delle soluzioni, le soluzioni non arrivano, semplicemente, non arrivano. C’è bisogno di un lavoro serio, disciplinato, rigoroso, su come noi amministriamo i nostri fondi pubblici. L’altro tema è avere una programmazione intelligente, capace: perché in Italia, per costruire un’opera pubblica di 50 milioni di euro noi impieghiamo dieci, dodici anni? Io mi sono divertito nelle prime settimane a esaminare tutte le cause che bloccano l’esecuzione di un lavoro pubblico. Allora, tu sei un investitore straniero, e vieni da me; una grande compagnia di assicurazione viene da me: io voglio investire in Italia, mi puoi garantire che questa cosa si farà in questi tempi, e con questi costi? La risposta è: attenzione, noi facciamo fatica a dire sì, onestamente parlando. Perché? Perché basta che una ditta fallisca, o che faccia un ricorso. Tutte queste cose le stiamo risolvendo con le semplificazioni, con la grande spinta che stiamo mettendo nel riformare tutte le procedure della pubblica amministrazione. Non pensiate che quando il Presidente Renzi spinge così forte sulle riforme, lo faccia perché ha desiderio di nuovismo. Lo fa perché altrimenti questi investitori scappano via. Noi semplifichiamo rapidamente le procedure. O noi siamo in grado di fare rapidamente la programmazione, siamo in grado di risolvere rapidamente le questioni di giustizia civile, o altrimenti gli investitori vanno da un’altra parte, semplicemente. Quando ero a Palazzo Chigi ho affrontato la crisi del porto di Taranto, e ricordo che questa cosa mi diede una commozione enorme perché c’erano gli operai del porto assieme a noi, e questi investitori, queste grandi compagnie portuali dicevano “noi andiamo via, perché sono dodici anni che dovevano partire questi investimenti e non sono partiti, punto”. Il fatto che operai e sindacati si appellino al buon cuore di una multinazionale che trasporta milioni di tir, di container in giro per il mondo, questo appello cade nel vuoto ovviamente, capite? Se noi vogliamo bene a quegli operai, a quelle famiglie, se vogliamo difendere il loro posto di lavoro, dobbiamo fare in modo che quando si dice che si fa un dragaggio in porto, lo si faccia non in dieci anni, ma in dieci mesi, come si fa a Rotterdam. Ma questa non è mania di nuovismo, di efficientismo, di riformismo, metteteci tutti gli ismi che volete. Questo è avere davanti agli occhi le famiglie di quegli operai che se non fai così perderanno il posto di lavoro. Quando parliamo di disoccupati al sud, e non costruiamo le connessioni giuste tra i porti, gli aeroporti, tra l’alta velocità e gli aeroporti, tra i sistemi degli interporti dove vanno le merci e i porti, se non facciamo le connessioni giuste, se non pensiamo alla logistica, noi non stiamo semplicemente dimenticandoci di qualche centinaio di container per qualche giorno in più, noi stiamo perdendo la strada dell’occupazione, la strada dello sviluppo, stiamo perdendo l’opportunità di dare lavoro a delle famiglie, capite? Questo è il senso di un impegno molto, molto forte su tutta la parte di accelerazione e di tentativo di far ripartire gli investimenti. C’è quindi un atteggiamento molto pragmatico nell’ottica delle nostre priorità. Per esempio, c’è un giudizio anche molto semplice sul fatto che se noi non sappiamo selezionare le opere, se non sappiamo mettere a bando di gara dei progetti già definitivi, cioè non preliminari, rischiamo molto in termini di corruzione e di inadempienza. La corruzione non è solo un moto dell’animo comune a tutti gli umani, che uno domina più o meno. Dobbiamo fare in modo che questa tentazione non venga. Per fare in modo che non ci sia la tentazione di corruzione o di spreco di denaro pubblico, bisogna che mettiamo a gara, cioè che mettiamo a sistema per poter essere costruiti, solo delle strade o dei porti o degli aeroporti che abbiano dei progetti assodati. Se io metto a gara un progetto di un grande viadotto, un progetto preliminare senza avere fatto le indagini geologiche, senza avere fatto tutta una serie di indagini sismiche, senza avere fatto tutta una serie di altre cose, voi capite che il preventivo, che era cento, diventa duecento dopo pochi mesi, e quindi attenzione: non giudichiamo solo da un punto di vista etico il fatto della corruzione, cerchiamo anche di togliere l’acqua in cui nuota la corruzione, e per togliere l’acqua in cui nuota la corruzione le ricette sono, e questa è l’altra priorità che abbiamo messo nel codice degli appalti. Dobbiamo semplificare moltissimo. Non è vero che complicando le norme ottieni più legalità, è assolutamente evidente: non è moltiplicando le leggi che tu ottieni più legalità. Noi sappiamo, ce lo insegnavano i romani, che laddove c’è più società civile più maturità civile, più educazione civica, c’è più controllo e quindi meno corruzione. Ubi societas, ibi ius. Per poter ottenere una lotta efficace alla corruzione, la semplicità è la ricetta principale. La semplicità è la vetta più difficile per qualsiasi politico. Per qualsiasi sistema politico ragionare in termini semplici è complicatissimo, anche per l’impresa. Ho letto una volta un libricino di un grande imprenditore che diceva che la semplicità era la cosa più complicata da ottenere, anche nel fare prodotti, tant’è vero che se voi guardate il vostro iPhone, più sono semplici più hanno successo. La semplicità non è solo un valore evangelico, è un valore anche economico. Dobbiamo essere molto semplici, e dobbiamo essere capaci, per combattere la corruzione, di mettere a gara dei progetti che siano solidi, fatti bene, di mettere a gara delle robe sostanziali. Io vorrei che noi italiani la possibilità di fare come si fa nel capodanno ebraico: si prende una pietra e a capodanno la si butta nell’acqua nel lago, nel mare, in modo che vadano a fondo tutti i torti commessi e quindi si ricomincia. Io vorrei che noi avessimo questa possibilità: ricominciamo. Ricominciamo progettando le opere, pensando soprattutto ai quasi trenta milioni di pendolari che si muovono ogni giorno. E quindi ricominciamo, visto che abbiamo fatto l’alta velocità, adesso facciamo un bel trasporto regionale, un bel trasporto pubblico, le metropolitane nelle città, facciamo dei treni decenti che trasportano gli impiegati, gli operai, i professionisti che girano sulle nostre reti ferroviarie. Vorrei che ricominciassimo da lì, a vedere le infrastrutture e a farle nei tempi giusti con i costi giusti, senza compromessi con nessun tipo di illegalità. Non sottovalutiamo questo tema del trasporto pubblico locale, del trasporto pendolare, e non sottovalutiamo come nel trasporto si inverino anche i diritti civili. Stiamo attenti perché i mezzi non sono solo mezzi tecnici. Dentro quei mezzi, dentro una metropolitana non c’è solamente della struttura di metallo, dei vagoni, un conducente, gente che si occupa della bigliettazione e così via. La metropolitana è molto di più. Tant’è vero che nel 1955 Rosa Parks, che poi diventò protagonista dei diritti civili, avviò la protesta, come sapete, contro la segregazione rifiutando di alzarsi dal posto sui cui s’era seduta in un autobus. È da lì che è partita la ribellione civile dei neri d’America contro la segregazione. Attenzione, i luoghi pubblici, le scuole, gli ospedali, i tram, gli autobus, gli aeroporti, i porti, i luoghi pubblici sono molto di più che infrastrutture. Sono luoghi in cui noi ci sentiamo o a casa nostra, cioè parte di una comunità, o ci sentiamo esclusi. Per questo è così importante che l’Italia ricominci a ragionare in termini diversi e in termini sempre più efficaci, efficienti, della sua costruzione, della sua infrastruttura. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie Ministro. La competitività può essere vissuta o concepita al modo del capitalismo selvaggio oppure può essere vissuta come ciò che sprona al meglio all’interno di una concorrenza con certe regole adeguate, perché emerga proprio quello che è utile, quello che è giusto, quello che è adeguato rispetto ad una vita sociale. A questo punto la domanda ad Hogan: sta diventando più competitiva negli ultimi tempi in questo senso?

JAMES HOGAN:
Si parla di impegno e credo che l’impegno vada di pari passo con la fiducia, abbiamo trascorso dodici mesi a negoziare la conclusione dell’accordo con Alitalia. In alcuni momenti, ci siamo trovati in situazioni difficili perché avevamo concordato delle condizioni poi nei documenti legali non le trovavamo. Nel momento in cui si decide di investire è necessario istituire un rapporto di partnership, di collaborazione, perché questo porta alla fiducia. Per esempio, ad Abu Dhabi si investe in determinati Paesi non soltanto in base a quelli che sono i risultati delle diverse compagnie, ma si tiene conto anche di altri aspetti. La buona governance è fondamentale per Ethiad. Si tratta di vedere quindi quali sono gli aspetti principali, qual è la situazione e garantire che gli obiettivi perseguiti possano essere raggiunti. Quello che dobbiamo fare è ottenere il rispetto dei nostri clienti italiani; insomma gli italiani devono cominciare ad acquistare i biglietti aerei di Alitalia, questa è fiducia. Ma anche l’infrastruttura è importante. Il Ministro ha parlato di inter-modalità, del rapporto tra il trasporto su strada, aereo e su rotaia. Ci sono una serie di aeroporti in Europa dove è molto facile operare proprio perché c’è questo continuo scambio, questa intermodalità. Questo è molto importante per quanto riguarda gli investimenti.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. Domanda a Pierluigi Stefanini: dal punto di vista del lavoro con la Pubblica Amministrazione, quali sono le priorità che voi vedreste come necessarie per rendere più veloce, più efficace la collaborazione con la Pubblica Amministrazione?

PIERLUIGI STEFANINI:
Prima ho fatto un cenno velocissimo, ci torno un attimo solo. Parlo del settore assicurativo. Faccio tre esempi, il primo è quello del Welfare. Per favorire un Paese che cresce e si sviluppa, è fondamentale avere un Welfare che funzioni e soprattutto un Paese che si avvicini agli standard europei. Qual è un punto secondo me che purtroppo fatica? Che noi siamo presi dall’Europa, dal tema dei parametri di bilancio, cose ampiamente note, ma trascuriamo invece una serie di elementi di contenuto strategico che potrebbero aiutarci a progredire e a migliorarci. Sul Welfare, faccio solo questo esempio, anzi due. Ci sono dei gap storici da colmare ma l’assetto dei fondi pensioni in Germania, è per noi lontano anni luce. E’ allora è chiaro che arrivare lì è molto difficile, ma almeno si potrebbe provare ad avvicinarci, a ridurre questa distanza. E’ evidente che il settore assicurativo può svolgere un ruolo chiave per cercare di contribuire, essere collaborativo e sussidiario al pubblico. Altro esempio, la sanità privata, intendo dire tutte quelle attività che possono, governate e indirizzate dal pubblico, essere esercitate in modo adeguato, efficiente, intelligente da soggetti privati, nelle varie forme; o quelle forme di coperture assicurative che possono contribuire a ridurre la mancanza di copertura che ha il pubblico per ragioni oggettive, strutturali. In Francia esiste un sistema mutualistico sanitario formidabile, provare ad avvicinarci a quel tipo di esperienza potrebbe aiutare il Paese a progredire. O ancora, lo citavo prima, il cambiamento climatico come fenomeno globale enorme e le ricadute su un Paese come il nostro, che ha un assetto idrogeologico del territorio molto difficile: esistono esperienze europee che fanno vedere che la collaborazione tra lo Stato e le Assicurazioni possono in parte contribuire a ridurre il livello di inefficienza del sistema e aumentare il livello di prevenzione, che è fondamentale. Se noi non interveniamo in modo molte volte preventivo sull’assetto del territorio, poi ci capitano addosso dei fenomeni drammatici con dei costi sociali-economici enormi. Questo per dire che gli spazi di lavoro comuni si possono determinare. Infine, lo citava il Ministro e sono molto d’accordo, mi auguro che su questo possiamo fare un passo avanti importante, stanno fiorendo, e qui c’è anche un elemento di ricchezza e, tu stesso Bernhard lo citavi all’inizio, esperienze di nuove intraprese, di nuove attività, di giovani che hanno il coraggio e anche, se vogliamo, un po’ l’azzardo di provare a fare impresa. Noi abbiamo sostenuto delle Startup: guardate, a parte il costo di investimento, hanno avuto delle ricadute secondo me potenziali sulla nostra azienda molto interessanti. Perché? Perché ci aiutano a innovare il nostro modello. E’ molto importante questo, ci fanno vedere con un’ottica se vogliamo più adeguata, di come non è solo un problema di innovazione tecnologica, che è di base, ma anche di come quell’innovazione tecnologica viene utilizzata per produrre benefici sociali sulla vita dei cittadini. Questi giovani ci hanno dato degli spunti per il nostro lavoro assicurativo molto interessanti, che cercheremo di produrre e di mettere in valore. Infine, è vero quello che dicevi tu, Bernhard, che, come dire, qui c’è una sfida che riguarda tutto il Paese, riguarda tutti noi, dunque lo dico con grande umiltà e rispetto. Noi abbiamo bisogno di fare un salto di qualità nella correttezza, nei comportamenti, nel rigore, e se dovesse capitare che qualche volta c’è qualche fenomeno o qualche tentativo di corruzione, abbiamo bisogno di avere una condizione ambientale nella quale sia possibile denunciarlo, contrastarlo, metterlo in evidenza e reagire, non come singolo operatore, ma come sistema che crea una condizione nella quale sia possibile farlo. Questo è un elemento fondamentale, perché molte volte purtroppo questo pesa nelle attività di quelle imprese sane, pulite, che fanno bene il loro lavoro e che si ritrovano poi ad avere una situazione molto, molto negativa. Parliamo di infrastrutture, parliamo di logistica, parliamo di quelle persone che lavorano materialmente e gestiscono i sistemi di mobilità delle merci, delle persone. Qui c’è un fenomeno di abbruttimento del mercato del lavoro molto grave, molto grave, e noi dobbiamo riuscire, anche perché alla fine, a forza di spremere i costi, di ridurre i costi, si creano situazioni di illegalità diffuse, di sfruttamento, con fenomeni molto pericolosi e di abbruttimento sociale che dobbiamo cercare di trovare la strada per reagire e respingere, di farlo anche qui però in un’ottica condivisa, di collaborazione, dove non c’è il singolo che si arrangia, che reagisce per conto suo, ma dove c’è un ambiente, un contesto, un sistema pubblico, insieme al privato, che costruiscono condizioni di mercato del lavoro decenti, dignitose, di rispetto delle persone. Insomma, a mio avviso ci sono tanti elementi importanti di potenziale opportunità per il Paese. Ha ragione ancora il Ministro nel dire: facciamo ancora uno sforzo per cercare metodologicamente di costruire processi, percorsi, tempi, vincoli, obiettivi, risultati, che siano misurabili, siano trasparenti e siano oggettivi. Questo credo sia in assoluto l’aspetto più delicato e difficile ma al tempo stesso credo di natura strategica. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Ultima domanda al Ministro Delrio. Io vorrei formulare questa domanda, vorrei prendere spunto da un’osservazione che ha fatto James Hogan dicendo che quando noi abbiamo cominciato, lo dico adesso con le mie parole, a lavorare insieme in un certo modo, con una certa diversità, le persone stesse sono cambiate, ma non perché glielo abbiamo chiesto, sono cambiate perché c’è stato un cambiamento culturale, perché si è visto un beneficio, si è visto qualcosa di positivo. La stessa cosa che adesso Pierluigi ha richiesto, dicendo: è possibile uscire da certi problemi della società civile per rendere la vita in questo Paese più interessante, più bella, più costruttiva? Perché la formulazione del Ministro, Ubi societas ibi ius, è una sfida enorme, perché da una parte dice che senza società civile, senza educazione civile, è molto difficile che poi le regole tengano. Al contempo, è questa la mia domanda, sappiamo anche bene che certe regole possono aiutare la responsabilità a un coinvolgimento positivo, e altre possono trattare la popolazione con grande sospetto, col massimo controllo, producendo però paradossalmente alla fine il contrario, cioè un mancato coinvolgimento del singolo che si sente semplicemente controllato da un’amministrazione anonima nella quale non vede nessun senso. Nelle riforme che voi fate, c’è un’idea che va in questo senso, cioè di sostenere la crescita di una società civile, in modo da responsabilizzare anche attraverso una riforma della pubblica amministrazione?

GRAZIANO DELRIO:
Beh sì, diciamo che ovviamente il tema della responsabilità delle persone nella costruzione della comunità dipende molto anche dalle scelte che fa la politica. E’ evidente che quando tu scegli per esempio di fare un dibattito pubblico su un’opera pubblica e dici: questi sono i dati, cosa ne pensate? E’ utile quest’opera? Vi interessa discuterne? C’è un grande politologo americano che dice che la sfida del futuro sarà non tra comunismo, capitalismo, eccetera, eccetera, ma sarà tra chi stimola la politica per la ricerca dei beni comuni, dei beni collettivi, e chi invece stimola la politica delle paure. “Stai attento la tangenziale passerà dietro casa tua, quindi opponiti”. Non è importante se quella tangenziale lì libera quartieri interi dal traffico. Se io come sindaco, come politico, non vado da quel cittadino e gli dico: “Guarda hai ragione, quello è per te un problema. Ok, perfetto, metterò le barriere antirumore, però quel problema lì mi serve per risolvere 100 altri problemi. Tu non sei solo, non vivi solo, vivi in una comunità, ne hai i benefici e ne accetti anche le regole e quindi questo è un modo per.”… Allora, questa politica che alimenta un dibattito pubblico trasparente, dice “non costruisco questa strada o quest’altra infrastruttura perché me l’hanno proposta. No, voglio vedere i flussi di traffico, posso vedere i flussi di traffico? E’ realmente necessario? Prima di tutto voglio sapere: è realmente necessario?” Questo è il punto. E’ vero che dobbiamo far lavorare le imprese e, dobbiamo sviluppare l’economia. Però, attenzione, per quale scopo? Attenzione, è utile, è realmente necessario? Il dibattito pubblico, è dunque un primo elemento. Un altro elemento l’abbiamo messo nel codice degli appalti, lo sa bene Maurizio: non sovrapporre alle norme europee già esistenti, non sovrapporre altre norme. Perché se i danesi, i tedeschi e così via, possono fare le cose con 4 regole, noi dobbiamo farne 40 perché abbiamo la mafia, ecc.? Oh, attenzione, la mafia bisogna combatterla fino in fondo, quindi siamo a pancia bassa. Ancora una volta: la politica della paura o la politica dei beni collettivi? Perché devo impedire alla mia comunità di svilupparsi per la paura? Non fate le grandi opere, non fate Expo, non fate questo, non fate quest’altro, perché comunque lì ci sarà la corruzione. No, io non mi faccio dominare dalla paura, no, no, non è possibile. Se un Paese, una grande potenza mondiale, si fa dominare dalla paura siamo spacciati, siamo finiti. Abbiamo paura dei privati? No, i privati ci possono aiutare, ci possono aiutare nella sanità, ci possono aiutare nelle infrastrutture. Non ho paura del capitale privato, io. Ho paura che non sia utilizzato per scopi collettivi. Questo è il punto. Quindi, quando noi facciamo ancora una volta la scelta del dibattito pubblico, la scelta del divieto del gold plating, cioè delle sovrapposizioni, quando facciamo la scelta di semplificare, stiamo cercando di attivare tutta questa energia che c’è nel nostro Paese e che oggi è come bloccata. Quindi non possiamo più permetterci questo blocco perché questo blocco significa che noi arretriamo. Io non sono convinto che il lavoro che sto facendo sia così straordinariamente importante. Però che negli ultimi tempi il PIL ha ricominciato a crescere, l’occupazione si è stabilizzata, abbiamo cominciato a mettere in fila tutte le riforme più importanti che l’Europa ci chiedeva e quindi, come dire, gli investimenti sono ritornati, c’è un po’ più di fiducia, di patrimonio di fiducia. Cerchiamo di fare in modo che questo patrimonio di fiducia che si sta creando piano piano nella gente riesca in un qualche modo a trasformarsi in un’energia positiva e in una collaborazione positiva con tutte quelle grandi e fortissime potenzialità che ha questo bellissimo Paese che si chiama Italia.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie. James Hogan ha parlato di “A wonderful country” e questo dovrebbe aiutarci nel trovare le motivazioni giuste per un impegno importante. Ringrazio lui in modo particolare di essere venuto a Rimini, ringrazio il signor Ministro, ringrazio Pierluigi di essere venuto a questo incontro. Penso che sia stato un incontro interessante, significativo, che ci aiuta a fare scelte più adeguate nel futuro. Grazie.

Data

24 Agosto 2015

Ora

11:15

Edizione

2015

Luogo

Sala eni B1
Categoria
Incontri