NUOVO RINASCIMENTO: SCIENZA E ARTE NEL TERZO MILLENNIO

Nuovo rinascimento: scienza e arte nel terzo millennio

23/08/2011 - ore 19.00_x000D_ In collaborazione con Centrica Srl. Partecipano: Cristina Acidini, Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze; Marco Cappellini, Amministratore Delegato di Centrica; Vito Cappellini, Presidente del Centro di Eccellenza per la Comunicazione e l'Integrazione dei Media (MICC) dell'Università di Firenze. Introduce Alessandra Vitez, Responsabile del Dipartimento Mostre della Fondazione Meeting per l'Amicizia fra i Popoli.

In collaborazione con Centrica Srl. Partecipano: Cristina Acidini, Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e per il Polo Museale della città di Firenze; Marco Cappellini, Amministratore Delegato di Centrica; Vito Cappellini, Presidente del Centro di Eccellenza per la Comunicazione e l’Integrazione dei Media (MICC) dell’Università di Firenze. Introduce Alessandra Vitez, Responsabile del Dipartimento Mostre della Fondazione Meeting per l’Amicizia fra i Popoli.

 

ALESSANDRA VITEZ:
E’ un grande onore e un grande piacere avere qui con noi questi ospiti. La dott.ssa Cristina Acidini, qui alla mia sinistra, si è laureata a Firenze in Storia dell’Arte, dal 1981 è funzionario del Ministero per i Beni Culturali e ha lavorato in diverse Sopraintendenze, occupandosi di territorio, restauri, valorizzazione del patrimonio artistico e storico. Sopraintendente dell’Opificio delle Pietre Dure dal 2000 al 2008, dall’ottobre 2006 ha avuto l’incarico di Sopraintendente del polo museale fiorentino, assumendo la guida degli oltre venti musei che comprendono tra gli altri le Gallerie degli Uffizi e dell’Accademia. Dal 2008 ha la responsabilità della tutela del patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico per la città di Firenze. Ha organizzato mostre e tenuto conferenze in vari Paesi del mondo, ha scritto libri, saggi e romanzi. Poi alla mia destra il professor Vito Cappellini. Nato a Pistoia ha conseguito la laurea in ingegneria elettronica presso il Politecnico di Torino. E’ professore di Comunicazione e Immagine presso l’Università di Firenze. E’ Presidente del Centro di Eccellenza per la Comunicazione e l’Integrazione dei Media. Coordina le nuove tecnologie sulle vie della cultura, gallerie virtuali in Italia e anche in Giappone. Poi più a sinistra abbiamo il dottor Marco Cappellini, che da vari anni si occupa di multimedialità e beni culturali. Nel 1999 con altri quattro soci ha fondato Centrica, una azienda che ha sviluppato competenze e tecnologie per la diffusione della cultura attraverso Internet e canali digitali come XLimage e il recente Uffizi Touch, presentato all’Expo di Shanghai del 2010 come installazione interattiva touch screen di grande formato e disponibile da pochi mesi anche come applicazione per iPad, iPhone, iPod Touch sull’Apple Store. La versione di Uffizi Touch, presentata oggi, contiene un’altra innovazione, X-Knowledge , riconosciuta dall’Agenzia dell’Innovazione per l’Italia degli Innovatori 2011 e 2012.
Questo incontro “Nuovo Rinascimento: scienza e arte nel terzo millennio”, nasce come frutto di una recente collaborazione e di alcuni incontri intrapresi negli ultimi mesi.
La speranza da parte mia e di tutti gli organizzatori del Meeting, è che questa collaborazione che nella giornata di oggi fa un primo piccolo passo, possa diventare con i nostri ospiti e amici qui intervenuti, sempre più ampia e proficua. Abbiamo infatti il desiderio di continuare a lavorare insieme, nel futuro, alla progettazione e realizzazione di una o più grandi mostre che sono proprio una caratteristica del Dna del Meeting, fin dai suoi esordi.
Le mostre educano alla bellezza, a quella bellezza a cui il cuore dell’uomo anela, per questo motivo la nostra attenzione alla bellezza è a 360°. “Fate cose belle, ma soprattutto fate diventare le vostre vite luoghi di bellezza”: questa frase del Santo Padre Benedetto XVI è uno scopo per noi reale da perseguire e una strada concreta su cui camminare. Siamo fatti per la bellezza e l’incontro di oggi è particolarmente significativo in questo Meeting dedicato alla certezza, perché ci aiuterà a dare un contributo a questo tema.
Abbiamo oggi la possibilità, attraverso l’ausilio di nuove e straordinarie tecnologie, di vedere in un modo non solo migliore ma assolutamente nuovo e straordinario alcuni tra i capolavori artistici più belli della storia dell’umanità, che non a caso si trovano a Firenze patria della lingua italiana e delle arti.
Mi ha molto colpito, quando sono stata a Firenze, la visione delle immagini delle opere d’arte attraverso queste nuove tecnologie e la possibilità di cogliere alcuni particolari dipinti dall’artista non visibili ad occhio nudo. E lì ho compreso di più l’importanza del particolare, come ulteriore possibilità di cogliere la drammaticità e l’orizzonte del tutto.
La possibilità di conoscere i particolari o alcune specificità nuove ci consente di conoscere l’opera nella sua interezza e quasi intuire ultimamente l’animo e il genio dell’artista fino a cogliere il significato, l’istante pieno di significato in cui è stato pensato quel particolare.
Possiamo paragonarci con le opere d’arte utilizzando la tecnologia moderna e su questo il prof. Vito Cappellini potrà farci e donarci un’ampia panoramica anche sui nuovi strumenti e sulle diverse modalità di approcciare l’arte che esistono al giorno d’oggi. Infatti il prof. Cappellini e la dott.ssa Acidini hanno organizzato un grandissimo evento in Giappone, una super galleria virtuale a Tokyo che aprirà il 21 novembre con l’inaugurazione e con la partecipazione della dott.ssa Acidini e chiuderà l’8 dicembre. Quindi vediamo come questa cosa prende proprio nuovi orizzonti. Allo stesso tempo il dott. Marco Cappellini ci parlerà di Centrica che crea applicazioni che mirano ad una maggiore circolazione della cultura e dell’arte, quindi ci mostrerà qualcosa proprio a riguardo del dispositivo Uffizi-Touch che va proprio in tal senso. Adesso io lascerei la parola prima di tutto al professor Vito Cappellini che ci introduce proprio alla tecnica.

VITO CAPPELLINI:
Grazie alla dott.ssa Alessandra Vitez che ha già detto molto di quello che volevo dire io, perché ha fatto un intervento estremamente preciso sulla linea di quello che noi facciamo. Ricordo questo, che la nostra avventura, se vogliamo chiamarla così, a Firenze, ma direi poi in senso più ampio in Italia e nel mondo, è iniziata circa venti anni fa. Noi all’università di Firenze studiavamo già da molti anni le immagini, le immagini digitali, che sono poi quelle che vedremo fra poco e direi in modo quasi ineluttabile, essendo a Firenze, avvenne più di vent’anni fa un incontro importantissimo fra noi, Università di Firenze e gli Uffizi, Galleria degli Uffizi, in realtà con quello che si chiama oggi il polo museale fiorentino, qui rappresentato dal Sopraintendente Cristina Acidini, che comprende ventiquattro musei. Allora Sopraintendente era Antonio Paolucci, che tutti conoscete, attualmente Direttore dei Musei Vaticani e devo dire, se ora mi lega a Cristina Acidini, lo dico apertamente a tutti, un’amicizia di lavoro e di collaborazione incredibile, devo dire che anche con Antonio Paolucci nacque subito, venti anni fa, questa, direi, anche simpatia reciproca, nel senso che lui mi chiamava un po’ il suo tecnico e io sono un tecnico, anche se sono ingegnere, professore, ma sono un tecnico e naturalmente lui, e Cristina Acidini ora, sono la cultura, sono l’arte, sono diciamo quello che l’artista del Rinascimento, se vogliamo restare un attimo sul Rinascimento, ha poi tradotto sulla tela o sul materiale che ha utilizzato. Questo incontro di venti anni fa portò subito a fare delle esperienze in un laboratorio che creammo proprio anche all’interno degli Uffizi per acquisire le immagini delle opere d’arte. Devo dire che io sono legato molto al Giappone, lo ha detto Alessandra Vitez, per vari motivi, e soprattutto in questo momento così delicato per il Giappone, in cui abbiamo tutti una particolare attenzione per questo popolo che è lontano, ma in fondo così vicino a noi, soprattutto per l’amore che ha per l’arte. Ecco, devo dire che appunto in Giappone, negli anni 2000, io trovai un grande sponsor, una società Top, tipo il nostro più grande editore d’Italia, che per tre anni ci ha sostenuto come sponsor, pagando le spese, noi contribuendo con le nostre forze, cioè con la nostra “man power”, come si dice in inglese. Ci ha sostenuto per acquisire per tre anni, tutti i lunedì, perché è solo di lunedì che si può andare, come sa benissimo la Sopraintendente che giustamente non ci fa andare gli altri giorni eccetto il lunedì e Paolucci faceva lo stesso, queste opere. Tre anni ci sono voluti per acquisire tutti gli Uffizi, cioè 1.400 opere, che sono quelle della galleria vasariana e anche le opere che sono nei cosiddetti magazzini, come li chiamo impropriamente io. Fu un’opera ciclopica. Centrica, la società che qui è rappresentata da Marco Cappellini, fu l’attrice primaria di questo lavoro. Devo dire che oggi, nel 2011, oggi 23 agosto, nessun museo al mondo – lo dico con fierezza perché è un traguardo che abbiamo raggiunto in questi venti anni di lavoro – nessun museo al mondo ha tutte le opere digitalizzate come gli Uffizi. Louvre, National Gallery, Prado, insomma tutti i grandi musei hanno delle sezioni digitali di altissima qualità, anche su Internet e lì c’è una polemica nel senso buono che non sto ad aprire, cioè ci sono aspetti positivi e negativi, però nessun museo ha questa completezza che qui avete davanti in questo apparentemente piccolo schermo, che potrebbe diventare anche grande tre metri, perché Centrica riesce a fare anche questo e che Marco Cappellini sa. Io chiudo rapidamente dicendo che quindi nacque questa idea che ora stiamo allargando a tutto il mondo, perché ci sembra giusto che il patrimonio culturale artistico, in questo caso di Firenze, ma dell’Italia insomma, sia di tutti con queste gallerie virtuali. Abbiamo creato questa sigla, Nuove Tecnologie sulle Vie della Cultura, New Technology on the Culture Roads, e presentiamo il nostro lavoro da anni in Giappone. Ripeto, dal 21 novembre all’8 dicembre ci sarà una grandissima galleria virtuale a Tokyo, che poi andrà un po’ in giro da Tokyo in altre città. Allora, o siamo riusciti a fare questo lavoro con questo primo sponsor, però negli ultimissimi anni, cioè da quattro cinque anni, abbiamo fatto un altro salto, cioè su poche opere, diciamo una trentina, ne vedremo poi in dettaglio cinque o sei al massimo, anche perché ci vorrebbe una settimana, abbiamo acquisito una risoluzione ancora più elevata. Ecco, per darvi un’ idea di queste acquisizioni, io c’ho la telecamera come voi, giapponese, che fa immagini bellissime, si può fare lo zooming, però per fare le cose che vedrete dopo, soprattutto quelle di altissima qualità, ci vogliono, immaginate, mille scatti di queste singole immagini di camera, che poi vengono collezionate insieme, si dice mosaicatura, e che è una cosa di estrema difficoltà. Pensate che ogni pixel, cioè ogni elemento di immagine o punto di questi milioni e miliardi di punti, va accanto all’altro senza sovrapporsi. Sembra facile, ma con fierezza sempre posso dire che solo noi al mondo abbiamo un sistema di qualità, non dico di precisione che ce l’hanno molti, ma di qualità migliore, perché la qualità vuol dire tre cose: vuol dire acquisire immagini a questa altissima risoluzione spaziale, per cui si vedono dei punti che sono i dettagli più infinitesimi, lo vedremo dopo nella madonna del Magnificat che è l’esempio più alto di risoluzione; vuol dire anche la fedeltà del colore, perché se io vado agli Uffizi a vedere un’opera, vedo direttamente qual è il colore che ha steso l’artista. Noi siamo riusciti con degli spettrometri, con macchine insomma più o meno complicate, a tradurre il colore che c’è nell’opera in un colore elettronico fedele. Non riusciamo a farvelo vedere oggi, ci vorrebbero dei schermi tarati, ci vogliono delle procedure, però noi siamo in grado di riprodurre su schermo touchscreen o plasma il colore fedele, come l’artista l’ha creato nell’opera. Questo è ancora uno dei problemi più aperti nel mondo, perché per acquisire il colore ci vuole l’illuminazione, la luce cambia, allora c’era certamente meno luce, insomma Cristina Acidini sa benissimo quello che intendo dire. L’ultimo problema è quello di non avere deformazione dell’immagine, cioè l’immagine deve essere fedele dal punto di vista geometrico in tutti i dettagli. Finisco dicendo che noi, come centro di eccellenza dell’Università di Firenze Comunicazione Media, lavoriamo su questo da vent’anni. In realtà il centro è nato in questa forma dieci anni fa, con un decreto del Ministero della Ricerca e siamo attivissimi a Firenze e in Italia, anche in Giappone e nel resto del mondo e concludo ringraziando di cuore il Meeting di Rimini e Alessandra Vitez che è venuta a trovarci più volte a Pistoia. Ci siamo incontrati alla Farnesina proprio per il Giappone, quindi direi di nuovo che il Giappone è la nazione che io devo ringraziare, per l’aiuto che ci ha dato. Ma ringrazio il Meeting di Rimini e tutta questa organizzazione bellissima perché essere qui fra voi è veramente una grande gioia e una speranza per il futuro, grazie.

ALESSANDRA VITEZ:
Ora passo la parola alla dott.ssa Acidini che esaminerà con noi alcune opere e vi assicuro che rimarremo a bocca aperta. Prego.

CRISTINA ACIDINI:
Scusate ma io mi devo alzare, ringrazio a mia volta l’organizzazione, la dott.ssa Vitez e tutti i colleghi che sono venuti ad impostare questo incontro, che mi auguro sia il primo di una serie di collaborazioni che potremmo sviluppare negli anni. Mostrerò una per una cinque opere. E’ stata una scelta difficile, dolorosa, avete già sentito quante sono già state acquisite sia con alta risoluzione, sia ad altissima definizione da Centrica Hitachi, tuttavia bisognava sintetizzare e all’interno di questa sfida, ho la sfida ulteriore di dedicare non più di cinque o sei minuti a ciascuna. Quello che desidero che condividiate è come, con le tecnologie prima introdotte, si possa sperimentare un approccio nuovo ad un opera d’arte, un opera d’arte che ha la caratteristica preziosa e da difendere, di essere reale, di essere un oggetto che sta in un posto e solo lì, a meno che non lo si sposti per una mostra ma poi torna al suo posto. Un oggetto che occupa spazio nelle tre dimensioni, che ha un peso, che ha una storia, che ha una storia da raccontare non uguale a quella di altri originali e tuttavia, attraverso questo ingresso straordinariamente innovativo che l’acquisizione ci consente e la navigazione all’interno della riproduzione rende veramente un’esperienza ulteriore, si può avere un approccio nuovo e diverso. Direte, cosa è cambiato dall’epoca in cui la prima fotografia restituì l’immagine dell’opera d’arte e cominciò a far viaggiare ciò che prima solo i copisti o i disegnatori potevano riprodurre? Beh, è cambiato che noi adesso entriamo in una zona che è quasi al confine con la microscopia, con l’approccio che è possibile attraverso un microscopio, quindi vediamo scaglia per scaglia, pennellata per pennellata, filamento per filamento ciò che il pittore ha steso sulla tavola o sulla tela. Questo ha molte conseguenze, intanto, e la chiudo subito perché non credo che vi interesserebbe, ha anche la funzione di monitorare lo stato dell’opera: se acquisiamo un immagine a quel grado di nitidezza e di risoluzione di visibilità e poi negli anni si va a rifare un immagine del genere, possiamo controllare se qualcosa è cambiato nella sua struttura superficiale, vale a dire se ci sono rischi per la sua conservazione. Questo è per gli addetti ai lavori, se vogliamo. Per andare ad un approccio che possa interessare il pubblico dei fruitori del patrimonio artistico, non esito a dire che è un approccio decisamente alternativo e per qualche verso migliore rispetto all’originale. E mi spiego subito. Nulla sostituisce una visita agli Uffizi, salire quelle scale o affidarsi all’ascensore, sentire il rumore degli altri visitatori intorno, delle guide che parlano, vedere il sole che fa il suo percorso o la pioggia che all’esterno invece ingrigisce i toni del cielo e dell’atmosfera, nulla sostituisce questo! Nulla sostituisce di andare di sala in sala, con il proprio tempo, con la propria percezione, con le proprie emozioni, creando i propri ricordi, ma detto questo, se noi ci mettiamo (prendiamo la prima opera) davanti all’Annunciazione di Leonardo Da Vinci, non la vediamo così, perché davanti c’è un gruppo di giapponesi o perché davanti, e ci deve restare, c’è un vetro antiproiettile, che per quanto sia dell’ultima generazione, trasparente con spessori controllati, è pur sempre una barriera. Perché quando sono lì davanti, e questo succede a me che ho il privilegio ed il dovere di vederla, non dico ogni giorno, sarebbe troppo godimento, ma di tanto in tanto, neanche io riesco a cogliere tutto quello che c’è da vedere, perché l’impatto di un opera d’arte di quel tenore è un impatto veramente forte, coinvolgente, emozionante: si tende a vedere l’insieme e magari ci sfuggono i dettagli. Allora per seguire un percorso all’interno di un opera d’arte, questo è un “Virgilio” che ci guida attraverso passaggi e labirinti e perfino ci aiuta a superare dei rischi, quello cioè appunto di perder di vista le infinite, come dire, erogazioni di bravura che un maestro del calibro di Leonardo, Botticelli, di altri può avere dedicato alla singola opera. Ecco, noi vediamo quest’opera, crediamo di conoscerla, c’è l’Arcangelo Gabriele, c’è la Vergine Maria, c’è l’ambientazione in cui la salutatio angelica ha luogo. L’ambientazione già è abbastanza singolare, Leonardo poco più che ventenne negli anni ’70, già affrancato dall’insegnamento del suo pur grandissimo maestro, Andrea del Verrocchio, concepisce una annunciazione en plein air. Questo è abbastanza singolare, perché non avviene nel chiuso di una camera o nella situazione illuministica di un porticato, ma avviene proprio fuori dalla casa, dove lo scorcio ci consente di intravedere la camera di Maria. Maria legge su questo magnifico leggio ornato all’antica, legge all’aperto, legge le Sacre Scritture contro un paesaggio che ha caratteristiche reali ed immaginarie al tempo stesso. Un impalcata di cedri, di cipressi, che allude al paesaggio toscano ma insieme una visione nel profondo, nel lontano orizzonte che ha caratteri fantastici. Ecco, come possiamo introdurci in questo complesso universo di segni che Leonardo giovane, torno a dire, ma già indipendente, ha voluto comporre? Prendiamo proprio quel paesaggio, quel paesaggio centrale, verso il quale convergono le linee di fuga, sia quelle intuitive sia quelle reali, geometriche del cantonale bugnato della casa o del piano del leggio che pare un sarcofago di marca verrocchiesca. Andiamo in fondo, andiamo a vedere quella montagna lontana argentea, la cui sommità è avvolta di nubi impalpabili e ai cui piedi si stende una visione assai più complessa di quella che possiamo percepire nei minuti pochi o tanti in cui stiamo davanti al quadro. Perché questa la possiamo vedere, rivedere, studiare e approfondire. Ci accorgiamo che c’è ai piedi del contrafforte montuoso più vicino una vera e propria città portuale, una città portuale dipinta da Leonardo in punta di pennello e con un pennello certamente sottile, in cui i toni azzurrini, bianchi e dorati costruiscono l’immagine tridimensionale di una città che ha le sue torri, i suoi baluardi le sue fortificazioni, i moli, i fari, i pontili e poi nel mare leggere feluche o le più pesanti galere ed un porto che si rispetti, ha anche un isolotto e sull’isolotto c’è un faro, che rammenta, ma forse perché siamo toscani e la suggestione è forte, la torre dei venti o del Marzocco costruita dal Ghiberti davanti al giovanissimo porto, allora giovanissimo, di Livorno. Forse non è Livorno, forse è una reinvenzione, certamente è un paesaggio ricco di spunti naturalistici, guardate il riflesso del faro nelle acque ferme di questo specchio, che non sappiamo se sia mare o golfo o addirittura immenso lago, e che ha un altro sviluppo. Se noi ci portiamo, come stiamo facendo adesso, a sinistra, vediamo che una nave a vela sta entrando in una sorta di fiordo e che il fiordo a sua volta è animato e popolato e ci sono campanili e torri e cupole e case, forse addirittura la suggestione d’Oriente è forte, sembrerebbe di poter ravvisare il Corno d’oro a Costantinopoli e scorgere un qualcosa dei minareti, che sarebbero stati costruiti dopo la conquista di quella città nel 1453 da parte dei turchi. Ho già esaurito i miei minuti. Torniamo rapidamente al primo piano, questo solo per dire come un quadro così vi può risucchiare, vi può tirar dentro e non lasciarvi uscire. Torniamo in primo piano per vedere i fiori, e vediamo fiori come non li ha mai dipinti nessuno prima e come per decenni, e forse secoli, non se ne sarebbero dipinti dopo, non sono i fiori del Botticelli, non sono i fiori dei miniatori, non sono i fiori dei fiamminghi, sono esclusivamente fiori di Leonardo, ottenuti sul fondo scuro, denso di questo verde che serve per la base del prato e che vediamo allo stato puro, là, esatto, dove l’ombra dell’Arcangelo mette la sordina, per così dire, ai toni chiari. Lì vediamo il prato predisposto da Leonardo con intonazione scura e poi animato da gorghi di erbe. A Leonardo sono sempre piaciuti i gorghi, i vortici, le spirali, queste forme che la natura incessantemente crea e distrugge. Ecco gorghi d’erbe e petali di fiori che sono costruiti con pochissimo colore, addirittura sulla trasparenza oscura, è un modo di fare i fiori che nessuno, torno a dire, prima di lui ha avuto e che dimostra non solo un attento interesse per la natura, conosciamo gli interessi botanici e naturalistici di Leonardo, ma anche capacità di soluzioni pittoriche totalmente innovative. Solamente i pittori olandesi del Seicento sarebbero ritornati a far qualcosa di simile, a disegnare cioè il chiarore di un petalo, di un profilo floreale sul fondo oscuro. E poi non possiamo guardare la Madonna e su di lei chiuderemo, questa Madonna fanciulla, adolescente addirittura, che in atto dignitosissimo accoglie il saluto dell’angelo con sorpresa, interrompendo la lettura, la lettura delle Sacre Scritture, su un leggio ornatissimo e protetto. Il libro stesso è protetto da un velo la cui trasparenza virtuosisticamente si protrae a balzi, per così dire, cade sul piano del tavolo, traborda al di là del leggio e Maria ha questo volto innocente, assorto, incorniciato con grande sapienza di capelli e di velo. Ricordiamo che la Madonna doveva avere la testa coperta nella iconografia che vigeva nel pieno ’400, dopo le cose si sarebbero modificate ed attenuate, ma, in quel momento, doveva assolutamente avere una copertura. Eppure Leonardo è riuscito a trovare un punto di incontro, a mostrare questa chioma fluente e come a lui piaceva dispersa nell’aria, sensibile al vento, quel vento divino che arriva con l’angelo, con le sue ali battenti ancora mentre atterra sul prato ed è così forte l’impeto del vento che le fa scivolare dalla testa il velo che si poggia sulla chioma effusa sulle spalle. E’ un espediente pittorico di una delicatezza e di una raffinatezza straordinari e si capisce che anche in questi tratti, così se vogliamo accessori, c’è già tutto Leonardo, c’è il genio che avrebbe indagato la natura e l’arte con la medesima passione.
Non posso restare, altrimenti vi farei vedere la camera di Maria ed il mattone rotto nel marciapiede tutto intorno alla casa ed il fiocco agitato della manica dell’angelo che non si è ancora ripreso da questo suo volo precipitoso che si è concluso ai piedi della Madonna.
Ma dobbiamo passare a Botticelli. Perché tre Botticelli? Un privilegio ingiusto, esagerato, forse, ma non sono solo io che amo Botticelli ai vertici della passione, è in realtà l’intero pubblico degli Uffizi che ha identificato nel Botticelli il pittore simbolo del Rinascimento e di quella galleria, e dunque i suoi quadri belli e tuttavia ancora, dopo secoli di studi, misteriosi, forse meritano che pratichiamo questa piccola parzialità a suo vantaggio.
Misteriosi perché? Perché non sappiamo in realtà, specialmente i due grandi capolavori, la Nascita di Venere che qui vediamo e La Primavera, che lo ha reso ancor più famoso, non sappiamo in realtà per quale nucleo della famiglia Medici venissero dipinti. Erano certamente quadri della famiglia Medici, ma non sappiamo se erano per Lorenzo il Magnifico, come ci piace credere o piuttosto per i cugini, un pochino più poveri, un pochino meno famosi, che però i documenti ricordano come proprietari di alcuni quadri del Botticelli. Questo è poi ancor più misterioso perché salta fuori dal punto di vista critico, dal punto di vista delle notizie, solamente nel 1550, prima stava in una casa Medici, non sappiamo dove, e che cosa rappresenta? Lo sappiamo bene, la nascita di Venere, in realtà sarebbe l’approdo di Venere, lo sbarco di Venere. Venere sta arrivando a Citera o forse in Toscana, e sta arrivando sopra un improbabile mezzo di trasporto che è un enorme pecten jacobaeus che l’ha portata per mare, la conchiglia da cui, appunto, sta per scendere.
Mi avevano chiesto anni addietro di scrivere un libro sulle allegorie mitologiche di Botticelli, di cui questa fa parte, ed avevo detto no! Non lo scrivo, hanno scritto tutti sul Botticelli, che di nuovo c’è da scrivere mai e poi sono quadri questi che non sono mai stati tutti insieme prima di esserlo, come ora, nella sala del Botticelli agli Uffizi. Non sono una serie, non sono un ciclo, ognuno ha la sua storia, ma mi mostrarono delle fotografie, allora si usavano, non c’era nemmeno il virtuale, anzi delle trasparenze di altissima risoluzione ed io, in una di quelle, vidi una cosa che non avevo mai visto, neanche di fronte all’originale, perché l’originale ha davanti i giapponesi ed il vetro e quindi, ecco che l’immagine soltanto, l’immagine su cui ci si può soffermare e tornare e interrogarla e sondarla, l’immagine mi restituì un dettaglio, uno spunto. Quel piede, il piede di Zefiro volante che insieme con la sua amata Aura ha seguito e sospinto il viaggio per mare della Dea, quel piede si infila nell’acqua, quell’acqua chiara e trasparente che non è l’acqua del mare. Il Botticelli non l’ha mai visto il mare, è andato una volta a Pisa è non gli è piaciuto. E’ l’acqua d’Arno, nei suoi momenti migliori, nelle sue distese più larghe, nel suo scherzare, come si diceva allora, alle pile dei ponti, nel creare trine e merletti, onde, piccole onde, frammentate. Ecco, quel segno bianco che è un onda, significa che il vento sta ammarando, se mi passate la parola novecentesca. Il viaggio è finito, siamo arrivati, metto i piedi nell’acqua. Ecco, solo quello scatto di fantasia straordinario che mi fu reso noto attraverso un immagine, mi convinse a scrivere il libro e a continuare ad interessarmi di Botticelli. Questa finezza pittorica è fatta tutta attraverso segni bianchi quasi impercettibili, la tecnica di Botticelli è una cosiddetta tempera grassa, non vuol dire niente, ce lo siamo inventati noi, perché la tempera è la tempera e l’olio è l’olio, ma questa via di mezzo singolare, che negli anni ’80, in questi grandi quadri e specialmente in questo, Botticelli riesce a realizzare, è stata nominata tempera grassa. Quindi un qualcosa che esegue velature raffinatissime sotto di sé ma dà anche corpo e luminosità. In questo caso poi, nella nascita di Venere, il sottofondo alabastrino, e questo nemmeno l’alta risoluzione riesce a farlo vedere, è stata la stratigrafia che lo ha mostrato, è una preparazione unica, non ne conosciamo altri esempi, che dà alla tela una qualità traslucida e luminosa. Ma vediamo qualche altro dettaglio, le chiome della dea per esempio, uno dei tratti più distintivi, più memorabili di questa immagine che ha costituito forse il canone della bellezza femminile di quel tempo.
Ecco, vediamo che Botticelli li ha trattati uno per uno, ciocca per ciocca, ha voluto insistere sui movimenti anche impercettibili di fili che sfuggono alla ritmica delle ciocche maggiori, per così dire, e si intrecciano nell’area mettendo in figura quel precetto che Leon Battista Alberti, qualche anno prima, aveva enunciato: sette sono i movimenti delle chiome al vento e tutti elencati uno per uno, li ritroviamo in questo annodarsi e snodarsi liberamente. Vedete con quanta finezza, davvero da miniatore. Pare che Botticelli avesse fatto un apprendistato da orafo e questo anche giustifica la sua passione per il cesello, per la rilegatura, per tutto ciò che è approfondimento e impreziosimento formale.
Si potrebbe andare avanti con i fiori, che costellano la veste e il mantello della Dea assistente. Nella mia interpretazione, ma è una delle mille possibili, è la città stessa di Firenze che in sembianze di Flora, Fiorenza, accoglie la Dea, perché l’allegoria che questo fatto mitologico rappresenta ci è ancora sconosciuta, ma è un ipotesi possibile che Venere, Dea dell’amore e dell’incivilimento dell’uomo dallo stato brutale, approdi in Toscana sotto l’egida dei Medici e sia accolta direttamente dalla città di Firenze.
Abbandoniamo anche Venere al suo sbarco e dedichiamoci ad un altro grande quadro, questo ancor più complesso, ancor più difficile, La Primavera, che è in qualche modo un banco di prova per tutti gli storici dell’arte del Rinascimento, un quadro al quale non si riesce a negare un pensiero coraggioso, un’avventura interpretativa. Nel 1929, un grande studioso d’allora, Luigi Dami, scrisse sulla Primavera e si pensò che avesse già detto tutto, scritto tutto. Invece da allora, scaffali interi di libri e di articoli si sono aggiunti all’interpretazione che allora vigeva. Anche questa ci piacerebbe tanto credere che fosse stata dipinta per Lorenzo il Magnifico, però, l’unico fatto certo, e mi pare che in questo Meeting, almeno qualche certezza vada data, è che nel 1498 si trovava in casa dei cugini. Allora tutti noi ci affatichiamo ad elaborare teorie per cui sia passata dal più famoso, Lorenzo il Magnifico, al meno famoso cuginetto, però la certezza era quella che stava in casa dei Medici in via Larga, ma in casa del cugino. Perché è così importante sapere in casa di chi era e in casa di chi eventualmente era stata prima? Per cercare di arrivare a forzare questo scrigno chiuso che è il mistero racchiuso in essa, il significato vero. Certo lo sappiamo tutti chi c’è è chi non c’è. Mercurio, le grazie ma qualcuno dice che sono le Ore, Venere con il figlio Cupido sopra, questa bellissima Dea, infiorata completamente, che crediamo sia Flora, e poi la ninfa Clori ed il vento Zefiro. Fin qui ci arriviamo anche se con elementi di discordia, però poi dare un senso a questo dispiegamento di semi-divinità e di divinità pagane e giustificare la loro presenza nel boschetto di arance ed allori e motivare i gesti che ognuno di loro compie, è tutt’altra faccenda. Per quello si sono scritti volumi e si occupano interi scaffali.
Vediamo qualche dettaglio delle bellissime fanciulle, Grazie od Ore che esse siano e attraverso sempre questo ingresso così ravvicinato e quasi indiscreto, riusciamo a vedere che benché siano vestiti di veli sottilissimi, impalpabili a cui il restauro del 1982 ha restituito una totale trasparenza, questi veli in realtà sono costruiti come abiti e con sorpresa scopriamo che questa Grazia o Ora abbia l’abito addirittura slacciato sulla spalla, forse per danzare più liberamente o sottolineare la libera sensualità del suo movimento. Noi riusciamo a scorgere le asole che danzano con lei, che si muovono una ad una, asole finissime, piccoli cappi di filo d’oro a cui dall’altra parte corrispondono bottoncini, pure d’oro, evidentemente piccoli gomitoli che qualcuno pazientemente ha creato. Ecco, fino a questo punto possiamo entrare nel mondo del Botticelli, che è un mondo di composizioni molto impegnative, pensate che queste figure sono grandi poco meno del naturale, ma anche di dettagli, di raffinatezza sbalorditiva. Concediamoci ancora un particolare e poi l’abbandoneremo, andiamo sulla Ninfa Clori e cerchiamo nella zona in cui si consuma l’unico atto apparentemente violento e certamente molto dinamico di quella che sembra una composizione statica e serena e che invece contiene al suo interno i germi di una feconda violenza. Perché il vento Zefiro, che sta come un vento deve fare, soffiando, dalla bocca manda una raggiera di fili bianchi che il pittore, con una tecnica da fumettista, ha disegnato e poi riempito lievemente di pittura bianca. Sono i soffi del vento, i soffi del suo fiato che poi, in un breve tragitto, entrano nella bocca di Clori e generano immediatamente i fiori. Quello che stiamo vedendo è la nascita dei fiori, una nascita ovviamente non naturalistica, una nascita simbolica, frutto dell’incontro tra la ninfa della terra Clori, come la clorofilla verde, fragrante e Zefiro, l’azzurro vento favonio che fa rinascere la terra durante la primavera, dopo il duro inverno. Ecco, questo particolare straordinario che poi ritorna, se vi ricordate qualcuna delle fiabe dell’infanzia, ritorna nella favolistica, la fanciulla che dalla bocca per incantamento manda fiori, perle e pietre preziose, è una sorta di fiaba che Botticelli ci ha raccontato ma che tutta insieme configura certamente un messaggio.
Lo dico con una frase sola perché non posso riassumere i libri e intanto ci prepariamo al prossimo quadro di Botticelli, terzo ed ultimo di questa splendida serie. Secondo me, questo che abbiamo visto, la cosiddetta “Primavera” è il trionfo della città di Firenze nelle sembianze di Flora che, recuperata la pace nel 1480 dopo un biennio di guerra che aveva visto Firenze quasi sola contro il resto d’Italia, torna a fiorire nell’amore e nelle grazie e nella gentilezza della natura e dei sentimenti e da quel momento appunto fecondo e rapinoso nascono i fiori che tappezzano il prato ed il mondo.
Ecco, ci congederemo da Botticelli con la Madonna del Magnificat.
E’ una immagine di una bellezza che merita davvero un approccio tutto suo, perché lì, nella sala del Botticelli, è troppo sovrastata dalla Primavera, dalla Nascita di Venere, da quella che non mostro, Pallade con il centauro, un’altra immagine misteriosa ed arcana. Quindi una Madonna con un altro universo straordinario. La Madonna sta col bimbo Gesù sulle ginocchia, insegnandogli ad ascoltare, forse è presto perché impari a leggere e scrivere, ma certo la Madonna sta facendo, con l’assistenza di questi giovani intorno, un azione riferita alla scrivere. Noi riusciamo ad entrare nel suo libro ed in quell’intreccio straordinario di mani, dove la mano del bambino riesce a toccare insieme il braccio materno ma anche le pagine, le pagine del Magnificat che dà il titolo, quel bellissimo inno biblico, “Magnificat anima mea dominum…ecc.”. Si riesce a vedere appunto che, nell’incrocio delicatissimo delle dita infantili, sia la madre che il libro sono toccati insieme, come se il bambino partecipasse a questa lettura o scrittura che essa sia, perché la Madonna sta apprestandosi, avendo intinto la penna nel calamo sta apprestandosi a continuare la scrittura. E chi le regge l’inchiostro? Un fanciullo. Un fanciullo che sta facendo un equilibrismo con la mano, perché con il mignolo e l’anulare regge in aria il libro. Guardate, il libro non ha leggio, non è appoggiato da nessuna parte, lo reggono questi due ragazzi, l’altro ha le dita sull’altra pagina e, con le due dita libere, tiene il calamaio sospeso perché la Madonna possa intingere il pennello. Quale virtuosismo, quale facoltà inventiva ha condotto il Botticelli ad una soluzione così unica, così inspiegabile, così non necessaria, se vogliamo, e tuttavia di un eleganza sopranaturale addirittura? E chi sono questi fanciulli? Anche qui si entra nel campo delle teorie. Tutti i cinque giovani rappresentati potrebbero e dovrebbero essere angeli, però la mia sensazione è che questi due giovani siano anime umane o giovani, magari viventi, che vengono presentati e raccomandati alla Madonna ed al bambino dal committente, che potrebbe essere il loro padre o la loro madre e che vengono quindi, vedete, abbracciati, sostenuti, presentati a tanta augusta e divina coppia di personaggi con tutti i riguardi che meritano ed hanno il privilegio di reggere il libro, il calamaio alla Madonna. L’angelo che li incoraggia si piega su di loro, altri due angeli invece compiono un’altra azione, ma anche questa la diamo per scontata ma sbagliamo, sbagliamo a darla per scontata, perché dove siamo? Siamo in un ambiente chiuso da cui si vede il paesaggio, ma che l’ambiente è chiuso lo dimostra quella bellissima modanatura in pietra serena, che definisce una sorta di finestra circolare.
Ed in quella finestra circolare si incastrano due angeli, che tengono una corona d’oro, sulla quale piove la luce divina da sopra, che è quella evidentemente riassunta dall’immagine solare del Padre Eterno. Ed allora che soggetto è questo? Perché l’incoronazione della Vergine è un soggetto molto frequentato in arte ma avviene in Paradiso, avviene nel Paradiso aperto nella corona di nubi di angeli in cui il Padre Eterno, nella sembianze della prima o della seconda persona della Trinità, conferisce alla Madonna la corona di Regina dei cieli. Come è che questa avviene in una stanza ed avviene mentre la Madonna scrive e legge? La mia sensazione, e non altro può essere, è che i due angeli e la corona siano stati inseriti dopo, su richiesta del committente. Il quadro, pensatelo per un attimo, è già perfetto, con la Madonna, il bambino, l’angelo presentatore e i due fanciulli col libro ed il calamaio, ma forse il committente gli ha detto che voleva anche l’incoronazione. Ora questa non può avvenire in una stanza, eppure il miracolo il pittore glielo ha realizzato, la stanza si spalanca, dall’alto dei cieli piove la luce e piove una corona fatta di stelle, una corona che neppure i due angeli osano toccare, tanta è la sua santità e il pittore ha potuto farci capire questa santità proprio interponendo tra le dita degli angeli e la corona stessa un velo così trasparente, così evanescente, così ottenuto con filamenti di bianco in assoluta abilità proprio pittorica, che ci rendiamo conto di quanto sia santa quella corona. E’ un accorgimento pittorico che vi assicuro davanti al quadro non si percepisce, non si vede. Solo così, seguendo, come dire, seguendo la propria curiosità, perché quella è la guida migliore, il voler vedere fino in fondo come sono ottenuti certi effetti, si riesce a capire. Infine si riesce a capire, si riesce a capire che proprio in virtù di questa, che io credo sia un aggiunta, o comunque di questa intersezione virtuosistica, Botticelli padroneggia l’intersezione di due tipi di luce soprannaturale: quella della corona stellata e quella della luce divina che spiove. Si intrecciano, si intersecano ma nessuna raggiera perde la propria identità, ed anche per questo governo delle linee dorate, Botticelli davvero merita tutta la nostra ammirazione, non solo per questo, ma certamente anche per questo.
Sto sforando i tempi e me ne scuso, ma sarò il più breve possibile con l’ultimo quadro, che però qualche attenzione la merita, perché stiamo per vedere il Tondo Doni di Michelangelo Buonarroti. L’unica pittura certa su tavola del grande maestro che è agli Uffizi ed un’altra certezza è che era per i signori Doni. I Doni si potevano permettere di avere, lui mercante, Agnolo, e lei nobildonna, Maddalena Strozzi, di avere una camera del legnaiolo più alla moda di Firenze, Francesco Del Tasso, in cui questo faceva da capo-letto con quel fior di cornice che gli fu fatta dal legnaiolo stesso, forse su progetto di Michelangelo e di avere nella loro casa di corso dei Tintori una coppia di ritratti – lui e lei – fatti dal giovane Raffaello, che faceva il suo soggiorno fiorentino dal 1504 al 1508. Quindi gente che – come dice il Vasari – spendeva malvolentieri, però sapeva come investire. E questo capo-letto straordinario Michelangelo lo dipinse, noi crediamo per le nozze, ma le nozze sono nel 1504, un po’ troppo presto. Lo sviluppo formale e cromatico ci porta quasi alla soglia della Cappella Sistina (1508). E quindi come si spiega? Non si spiega, per ora. Si potrebbe spiegare, conoscendo un po’ la cronologia delle opere di Michelangelo, con un suo eterno essere in ritardo nelle consegne. Quindi i due si erano sposati nel 1504, ma forse il capo-letto lo hanno avuto qualche anno dopo. E però, che capo-letto! Un dipinto immenso, perché veramente è uno dei tondi più grandi dell’arte fiorentina di tutti i tempi, in cui avviene una scena ancora da decifrare fino in fondo. Perché la Sacra Famiglia in primo piano compie un gesto sul quale a lungo la critica si è interrogata: è Maria che porge il figlio all’anziano retrostante o è l’anziano che porge il figlio a Maria? E perché lo chiamo l’anziano? Perché, mentre per generazioni lo si è chiamato senza tanti problemi San Giuseppe, ultimamente, un’interpretazione assai autorevole, lo ha candidato ad essere il Padreterno. Perché solo il Padreterno, secondo Mons. Timothy Verdon, che è storico dell’arte insigne nonché uomo di Chiesa, potrebbe avere il diritto di un accostamento carnale con Maria così intenso, così ravvicinato, accogliendola addirittura nel proprio grembo, mentre il rapporto tra san Giuseppe e la Madonna è sempre all’insegna di una rispettosa distanza reciproca nell’iconografia tradizionale. Ma chiunque sia il venerando anziano, porge o riceve il Bambino? Certamente c’è un passaggio, c’è un passaggio che si tenderebbe a interpretare dal Padreterno eventuale o da san Giuseppe alla Madonna e la Madonna si volge a ricevere il Bambino, il quale è così incerto di quel passaggio che si aggrappa, come un gatto che si senta in pericolo e ficca le unghie, ai capelli di lei. E guardiamolo il volto della Madonna, questo volto ispirato dalla testa dell’Alessandro morente, di cui esisteva a Firenze una bellissima versione, oggi pure negli Uffizi. Ecco, è stato scritto che la Madonna è a capo scoperto. Non è vero, guardandola e guardandola bene, si vede che non solo ha una sorta di bandana che le ferma i capelli sulla fronte ma ha una cuffia in piena regola, di cui vediamo l’orlo verde, i risvolti dorati e addirittura l’interno multicolore; quindi un copricapo in piena regola che le racchiude la treccia pesante. E’ stato scritto – ma non è vero – che il Bambino ha l’aria sonnolenta, quasi presentisse il sonno della morte; ma non è vero, ha uno sguardo – ingrandiamolo – vivacissimo e anche un po’ malizioso, tutto orientato verso la Madonna, nella cui presa non si sente forse totalmente sicuro e quindi vigila su questo passaggio. Il Bambino ha qualcosa nei capelli e quel qualcosa è tuttora inspiegabile: è una fascia che ferma anch’essa questi riccioli abbondanti e torniti, che appassionava Michelangelo. Il tema della benda, della fascia, del legaccio, del passante, del nastro, del vincolo è in Michelangelo scultore e pittore presentissimo e talvolta anche immotivato. Così, per esempio, come un piccolo atleta che stia affrontando una prova difficile, Gesù Bambino ha una fascia tra i capelli, e quella fascia è di color viola cenerino con lumeggiature d’oro, cioè è preziosissimo. E ricordiamo che poi Michelangelo si rifiuterà di adoperare l’oro nella volta della Sistina, quindi questa è la prima e, per quanto sappiamo, unica volta in cui il nostro grandissimo artista, nella sua veste di pittore, usa l’oro. E poi un ultimo – ultimo davvero – dettaglio (sono fuori tempo massimo): qui nei contorni si vede molto bene la tecnica di Michelangelo, che avrebbe poi applicato nella volta Sistina e anche nel “Giudizio”, quella cioè di predisporre un lineamento – uso la parola di Leon Battista Alberti – oscuro, piuttosto spesso, e di mangiarselo poi dall’interno con il colore via via sovrapposto, finché non ne resta che un ombra, un sospetto, un fumus. Quindi Michelangelo non fa i contorni come noi che non sappiamo dipingere o i bambini a scuola che intorno lo rilegano con la linea di pittura. Non è così, crea questo contorno e lo divora dall’interno, ma poi – ecco, questo io davvero l’ho scoperto qui con quest’immagine – aggiunge qualcosa, se necessario. E quel che aggiunge è una linea rossa – che ora dobbiamo riuscire a trovare perché ora ve l’ho promessa, quindi va trovata, eccola, questa linea rossa, non so se riuscite a vederla, tra il braccio della Madonna e l’ignudo dietro -, c’è come un rinforzo del contorno, una linea rossa, quella sì aggiunta – posso provare a farla vedere, ecco da quassù in coincidenza col braccio dell’ignudo a quaggiù – un rinforzo rosso, che serve a staccare, perché in quel passaggio l’incarnato del braccio della Madonna va a cozzare, ad accostarsi all’incarnato dell’ignudo, che in realtà è molto più lontano nello spazio e al suo panneggio color carnicino chiaro a sua volta. Quindi dev’essere stato un pensiero di Michelangelo, a dipinto magari già finito, che ha deciso di rinforzare lo stacco tra quelle due partiture cromatiche, che altrimenti rischiavano di confondersi per l’osservatore. Questa e mille altre osservazioni e finezze potremmo ricavare da questa visione ravvicinata, ma con la linea rossa di Michelangelo ho finito il mio tempo e vi ringrazio della vostra attenzione.

ALESSANDRA VITEZ:
Ringrazio la dottoressa Acidini perché è commovente il modo con cui racconta del suo lavoro. Prima ha fatto un passaggio che mi ha veramente colpito: la scontatezza, quello che pensiamo già di sapere, non ci permette di conoscere; si conosce per amore e la dottoressa è stata proprio la testimonianza di questa passione che ci ha permesso questa conoscenza. Quindi grazie veramente.
Ora il dott. Marco Cappellini ci parlerà di Centrica di Uffizi-Touch, di tutta questa tecnologia e si fermerà dopo, con chi vorrà, a mostrare, a utilizzare questa strumentazione.

MARCO CAPPELLINI:
Grazie Alessandra, grazie dell’ospitalità. Mi metto qui, così inizio già ad adoperare questo strumento che poi sarà a vostra disposizione per chi sarà interessato a utilizzarlo e a scoprire l’arte attraverso questi strumenti.
Questa che vedete è una installazione e una tecnologia che abbiamo sviluppato nel corso degli anni. Qui vedete una sintesi di quello che Centrica, la società che ho fondato insieme ad altri soci nel 1999, ha realizzato. In questo caso ci sono gli Uffizi attraverso 1146 opere, quindi gli Uffizi sia nella parte esposta al pubblico normalmente, sia nella parte del Corridoio Vasariano, che è disponibile per la visita su prenotazione e ci sono anche 100 opere dei depositi che normalmente non sono esposte ma vengono esposte solamente in alcune occasioni. Quindi all’interno di questa installazione è possibile andare a scoprire queste opere ed è possibile scoprirle attraverso vari percorsi. Ve li faccio vedere così dopo potete anche voi utilizzarli.
Partiamo dai 4 percorsi che vedete in basso: gli artisti, le opere, una mappa che vi permette di accedere alle opere attraverso le varie sale e l’epoca storica, ovvero una via di accesso alle opere attraverso dei periodi.
Proviamo a scegliere il menù degli artisti. Gli artisti sono esplorabili in questo modo: io posso andare a scorrere i nomi degli artisti oppure posso ricercare un artista che mi interessa. Basta inserire le prime lettere del nome, io stavo cercando Botticelli, ma vengono fuori dalla ricerca anche altri artisti. Concentriamo l’attenzione su Botticelli e in questo modo vi faccio vedere anche la differenza nella qualità che abbiamo raggiunto e che abbiamo visto poco fa con queste digitalizzazioni che sono pur sempre eccezionali rispetto a quello che normalmente si vede, ma sono di un gradino inferiore e tuttavia utilissime, ad esempio in questo caso per andare a scoprire il Botticelli che è raffigurato in questa opera. Abbiamo per ogni opera una scheda informativa, in questo caso “L’adorazione del Magi” e per ogni opera è possibile capire qual è la dimensione dell’opera rispetto a una figura umana, cosa che è estremamente utile nel momento in cui la visione è così ravvicinata e si perde di vista quale sia la dimensione dell’opera rispetto appunto a una figura umana e quindi le dimensioni reali.
E’ possibile fare per ogni opera delle operazioni tipo quella che sto facendo, quindi una misurazione virtuale sull’opera stessa; questo mi permette ancora meglio di capire quant’è la dimensione effettivamente reale che sto esaminando. In questo caso vedete che il volto di Botticelli è più o meno di 5,73 cm di larghezza.
Un’operazione che è molto interessante realizzare attraverso questo strumento è l’operazione del “confronto”: io posso prendere “L’adorazione del Magi” che ho appena visto, posso prendere un’altra opera di Botticelli e andare a fare dei confronti su come il Botticelli abbia disegnato e abbia dipinto i personaggi in queste due opere. Quindi faccio un’operazione che nella realtà è un po’ difficoltosa e questo è un valore aggiunto. Potrei fare la stessa operazione con un’opera del Botticelli e una di un altro autore che è all’interno della collezione della Galleria. Questa è una delle caratteristiche di questa istallazione, installazione che è stata presentata per la prima volta, è stata selezionata per l’EXPO di Shanghai, quindi è stata a Shanghai nel Padiglione Italia e sulla base di questa installazione e delle opere che avete visto prima digitalizzate, abbiamo anche creato una mostra virtuale che quindi è stata la seconda tappa in questo viaggio di mostre virtuali che stiamo realizzando.
All’interno della mappa posso, ad esempio, scegliere la tribuna. Scelgo la tribuna e scelgo la Lucrezia Panciatichi del Bronzino e posso fare un’operazione, torniamo un attimo sulla tribuna, che è una delle novità che abbiamo realizzato negli ultimi tempi: i “suggerimenti”. Analizzo un’opera e sono curioso di vedere quali altre opere all’interno della collezione degli Uffizi abbiano una iconografia che ricorda quest’opera? Il sistema mi suggerisce altre opere simili e posso passare da un opera all’altra. In questo caso è stato fatto un ulteriore lavoro aggiuntivo e quindi posso concentrarmi su un dettaglio e nel momento in cui mi concentro su un dettaglio, in questo caso su un gioiello, le opere che mi sono suggerite dal sistema nella parte inferiore cambiano e io posso andare a vedere ad esempio quest’altra opera e in quest’altra opera mi viene evidenziato il dettaglio e il gioiello che è assimilato al tematismo che io sto analizzando. Questa operazione, che è dal punto di vista dell’operatore, quindi in questo caso per me semplicissima, presuppone un lavoro piuttosto complesso dal punto di vista tecnologico. Il software che permette questa operazione è un software che abbiamo realizzato negli ultimi anni e anche questo è all’interno della selezione dell’Agenzia dell’Innovazione dell’Italia degli Innovatori e quindi è stato riconosciuto come una innovazione italiana, ma presuppone che ci sia un esperto di dominio che scelga quali sono, in questo caso se stiamo parlando di gioielli, i gioielli da mettere in relazione tra un opera e l’altra. Si vede dunque molto bene la fusione e l’integrazione di competenze estremamente diverse, chi sviluppa software e chi è a conoscenza del valore e della storia dell’arte. Solo così riusciamo a rendere la conoscenza che spesso è implicita nelle opere un po’ più esplicita.
Il nostro desiderio e il nostro impegno come azienda è nel sviluppare delle tecnologie che rendano la cultura e la conoscenza più facili da fruire su dispositivi digitali e su canali digitali. Sapete che sempre più il digitale si sta diffondendo, sempre più i canali sono molteplici e potenti.
In questo momento sono passato su l’ultima via di accesso che è quella temporale e in questo caso vedete che il tempo è stato suddiviso in periodi che hanno un significato semantico: l’arte romana, l’arte medioevale, il rinascimento che ovviamente per gli Uffizi è estremamente importante. Nel momento in cui io seleziono un periodo, questo periodo e il tempo, gli anni che sono all’interno di questo periodo vengono esplosi sempre di più, fino a che io riesco a focalizzarmi addirittura su cinque anni. Io vedo che in cinque anni, dal 1465 al 1470, all’interno della Galleria degli Uffizi, queste sono le opere che fanno riferimento a quel periodo. E di nuovo con un clic, in questo caso raggiungo il dittico dei Duchi di Urbino di Piero della Francesca e di nuovo, con la facilità che avete visto anche prima, riesco ad individuare un dettaglio e se sono curioso di capire quali altri paesaggi all’interno della Galleria degli Uffizi sono collegati, perlomeno virtualmente, a questo paesaggio, attivo questa funzione di suggerimenti e magari seleziono quest’altra opera, “Le nozze di Cana”, e mi vado a focalizzare su un dettaglio che altrimenti non avrei visto.
Dicevo prima, cerchiamo di sviluppare delle tecnologie che permettano l’accesso a questa qualità su più canali digitali. Di Uffizi-Touch abbiamo realizzato recentemente una applicazione per dispositivi Apple, quindi iPad, iPhone, iPod Touch, che ugualmente permette di entrare nel dettaglio. E’ necessario in quel caso avere il collegamento wireless o il collegamento ad Internet, perché all’interno di un dispositivo come questo io riesco ad accedere alla stessa qualità che avete visto su questo schermo. Ovviamente questo è possibile perché parte delle informazioni stanno nel dispositivo, parte delle informazioni stanno sui nostri server. Il software che permette questo tipo di operazione è il software che è alla base di tutto ciò che avete visto oggi, che si chiama XLimage e che è un po’ la nostra innovazione partita quasi 10 anni fa e che via via facciamo evolvere.
Io con questo ho dato un po’ il quadro sia di cosa fa Centrica sia di queste innovazioni che permettono un contatto più ravvicinato e, come abbiamo sottotitolato Uffizi-Touch, una nuova esperienza con l’arte. Per tutti coloro che sono interessati a sperimentare direttamente e toccare direttamente, sono qui a disposizione e quindi vi aspetto.

ALESSANDRA VITEZ:
Direi che ci siamo immersi nella bellezza, abbiamo visto come l’arte e la tecnologia possono dialogare positivamente e questo ci ha reso partecipi di nuovi orizzonti tecnologici nella conoscenza artistica.
Ringrazio di cuore i nostri ospiti, rinnovo il desiderio da parte mia e di tutti i miei collaboratori di poter continuare a lavorare con questi amici nel segno della bellezza.

VITO CAPPELLINI:
Vorrei aggiungere solo una cosa, che in attesa di tornare qui con voi in questo splendido, meraviglioso “ambiente” l’anno prossimo, vi invitiamo a Firenze il 9-10-11 maggio 2012, a quella che noi chiamiamo EVA, Electronic Imaging Visual Arts. Già Alessandra e Marco sono stati da noi. L’anno prossimo, a maggio, quindi a metà di percorso, prima di tornare tra di voi a agosto 2012, e lo speriamo veramente, vi invitiamo il 9-10-11 maggio a Firenze.

ALESSANDRA VITEZ:
Benissimo, grazie, buonasera.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

23 Agosto 2011

Ora

19:00

Edizione

2011

Luogo

Sala Mimosa B6
Categoria
Focus