LE NUOVE TECNOLOGIE. INNOVAZIONE E FORMAZIONE ALL’IMPRENDITORIALITÀ

Le nuove tecnologie. Innovazione e formazione all'imprenditorialità

Partecipano: Luca Conti, Giornalista e Consulente per Social Media; Simone Crolla, Consigliere Delegato della American Chamber of Commerce in Italy e Deputato al Parlamento italiano, PdL; Gianluca Dettori, Director at Iubenda e Partner dPixel Srl; Marco Marinucci, Fondatore e Direttore Esecutivo di Mind The Bridge; Marco Zamperini, Chief Innovation Officer NTT DATA Italia. Introduce Santiago Mazza, CEO di Fotonica Srl.

 

LE NUOVE TECNOLOGIE. INNOVAZIONE E FORMAZIONE
ALL’IMPRENDITORIALITÀ

Ore: 11.15 Sala C1 Siemens

SANTIAGO MAZZA:
Buongiorno a tutti e grazie a tutti per essere qui con noi a trattare questo importante argomento: fare impresa noi giovani. Vi racconto brevemente qual è la mia esperienza. Tutto parte da due incontri: uno, circa un anno fa, in Silicon Valley che si trova in California, questo luogo magico, dove c’è tanta, tanta voglia di fare impresa, tanti giovani che si mettono in gioco. Le aspettative di questo viaggio erano, per il mio lavoro, aspettative di conoscenza, di andare a scoprire quale fosse l’innovazione tecnologica dentro alle migliori aziende del mondo in ambito digitale, quali Google, Sisko, Skype, alcune fondazioni come Mind The Bridge. Al rientro da questo viaggio, sono tornato sicuramente con tanta innovazione tecnologica, ma la prima cosa che ho scoperto in Silicon Valley è stato l’entusiasmo delle persone, dei giovani, dei ragazzi, la voglia di mettersi in gioco, di ascoltare il proprio talento, anche rischiare pienamente la persona. Questo era molto interessante ed è quello che ho imparato in questo viaggio in Silicon Valley. Il secondo incontro, o l’imprevedibile momento, come cita la mostra dei giovani, siete voi, il Meeting di Rimini. Cinque anni fa, ho conosciuto il Meeting e sono rimasto scioccato, scioccato dalla voglia, sempre identica, uguale a quella scoperta un anno fa in Silicon Valley, una voglia di ragazzi, di giovani, di confrontarsi, di andare a scoprire, proprio in un rapporto molto più ampio, di confronto a livello internazionale, come accade qui.
In questi giorni per la prima volta ho avuto l’onore di visitare tutto il Meeting di Rimini, viverlo appieno, e ho sentito parlare di tante situazioni difficili in cui il nostro Paese, l’Italia e anche il Paese in cui vivo, a cui appartengo, San Marino, stanno attraversando. È vero, è reale, non bisogna nasconderlo, però è altrettanto vero che, se il Meeting di Rimini esiste da 33 anni, ed è vero che in Silicon Valley si può fare impresa, allora io dico che l’Italia ce la può fare, anche San Marino ce la può fare. Parte da noi, da noi giovani. Bisogna che riscopriamo completamente la voglia di verità, in un rapporto estremamente legato con l’infinito, perché questo ci crea, ci pone delle domande a cui, attraverso un confronto, possiamo trovare delle risposte. Voglio presentarvi i relatori di questo tavolo: Luca Conti, Giornalista e Consulente per Social Media; Simone Crolla, Consigliere Delegato della Camera di Commercio degli Stati Uniti in Italia; Gianluca Dettori, Partner di dPixel; Marco Marinucci, Fondatore e Direttore Esecutivo di Mind The Bridge e Marco Zamperini, Chief Innovation Officer di NTT DATA. Inizio subito con la domanda a Simone Crolla, a cui chiedo di raccontarci di cosa si occupa la Camera del Commercio degli Stati Uniti in Italia, e quali sono gli strumenti che avete sviluppato per fare impresa, per aiutare i giovani a fare impresa.

SIMONE CROLLA:
Grazie Santiago, un grazie al Meeting per concedermi quest’opportunità sicuramente molto bella, molto importante e molto viva, come ha raccontato anche Santiago. Io vengo quasi tutti gli anni e sono sempre stato un interessatissimo spettatore di molti dibattiti. Trovarmi da questa parte del tavolo mi fa onore e anche molto piacere. La Camera di Commercio Americana in Italia, per rispondere alla tua domanda, è la sede della Confindustria Americana in Italia. È nata a Milano, nello specifico nel 1915, e da allora rappresenta gli interessi di tutte le multinazionali americane che sono presenti qua in Italia, quindi dalla Google, alla General Electric, a tutte quelle che conosciamo e anche a quelle meno conosciute. Da molti anni in qua rappresentiamo anche le tante aziende, soprattutto piccole e medie aziende italiane, che hanno un interesse negli Stati Uniti, o perché esportano dei prodotti, o perché hanno fatto un investimento produttivo, e sono tante la aziende che lo fanno, o perché, tramite noi, vogliono entrare in contatto appunto con il mercato degli Stati Uniti. Spesso e volentieri siamo riconosciuti molto più efficaci di altri organismi, anche nazionali, per quanto riguarda i contatti di business con gli Stati Uniti. In tutto questo abbiamo ideato, avendo oltre 500 soci (quindi grandi aziende), anche dei programmi che possono essere di aiuto a giovani imprenditori o alle piccole e medie imprese in generale. Un esempio di questo è quello che citava Santiago all’inizio: abbiamo fatto, e facciamo ogni anno, un interessantissimo viaggio in Silicon Valley, dove portiamo piccole aziende, ma anche grosse aziende, in questo caso italiane, che hanno necessità di entrare in contatto con i cosiddetti key people americani, che possono dare loro delle opportunità, delle prospettive, che possono insegnare loro come sviluppare un progetto concreto, e creiamo questo legame in un viaggio che dura di solito una settimana e che ci ha portato, tra gli altri, anche a incontrarci con Marco Marinucci di Mind The Bridge, per vedere proprio dal vivo quello che lui fa per le start-up che riesce a far andare in America e a far sviluppare là. Quindi noi siamo un ponte di dialogo molto costruttivo e molto operativo con gli Stati Uniti. All’interno delle nostre attività, ne segnalo una che probabilmente ha molto a che fare con il tema di cui parliamo. Ci siamo inventati, tre anni fa, un evento, che si svolge in Italia, prevalentemente online ma che ha anche dei momenti fisici, che si chiama Brain Calling Fair. Praticamente è una specie di chiamata del cervello, delle idee. Sostanzialmente chiediamo ad alcune grandi aziende, americane o italiane, di essere disponibili a ricevere progetti, idee, suggestioni da parte di chiunque, di studenti piuttosto che di persone normali, perché noi reputiamo che il talento, la capacità, la creatività italiana possa risiedere in ciascuno di noi, anche in quella persona che magari, con molta umiltà, al mattino ci fa il cappuccino al bar e che però ha delle idee geniali ma che, comunque sia, visto il suo contesto, non riesce a trasmettere a nessuno. Allora Brain Calling è un modo molto democratico di far arrivare il proprio progetto a una grande azienda, che magari poi lo valuta interessante e lo può sviluppare insieme a te. Non è una business plan competition, non devi arrivare con un progetto già perfetto dalla A alla Z, perché probabilmente queste competenze non tutti le hanno. Basta avere una buona idea, e l’azienda che poi la riceve tramite noi, tramite questo Brain Calling Fair, se l’idea è valida, se ci sono degli spunti interessanti, la prende, la sviluppa insieme a te, e alla fine questo può generare sicuramente anche una nuova impresa, un modo anche di lanciare occupazione in una maniera più innovativa, più creativa. Negli anni passati, Brain Calling si è sviluppato soprattutto su Milano e su Roma. Migliaia di persone, studenti, persone anche più adulte e piccoli imprenditori hanno mandato i loro progetti a specifiche aziende che partecipavano a questo progetto, e ha funzionato. Abbiamo riscontrato due cose: la prima è che sicuramente in Italia c’è un grande fervore imprenditoriale, c’è una grande tensione e pulsione creativa, ci sono persone di ogni età – studenti soprattutto, perché è il bacino normale di Brain Calling – ma persone di ogni età, che hanno delle idee imprenditoriali che, se aiutati a svilupparle, a metterle operativamente in moto, a definirle meglio, possono sicuramente produrre grandi vantaggi per la nostra società. Oppure altre aziende che hanno ricevuto progetti interessanti, che però sono entrati in contatto con una persona, con un essere umano che altrimenti non avrebbero conosciuto e al quale hanno detto: “Guarda, il tuo progetto mi interessa, è carino, è fatto bene, però a questo punto ho conosciuto te e mi interessi tu”. Alcune aziende hanno sfruttato queste opportunità per fare il classico recruitment, perché sono riuscite a trovare una persona che si è rivolta loro già con un progetto tarato sulle esigenze di quell’azienda, ma, così facendo, hanno incontrato una persona che poi hanno assunto ed è diventata un collaboratore di quell’azienda. Quindi, ripeto, questo per noi significa due cose: da un lato, che in Italia ci sono giovani, ci sono persone, ci sono talenti, c’è molto da fare e quindi, in quest’ottica, non siamo secondi a nessuno, abbiamo tantissime potenzialità inespresse; e, dall’altra parte, che, comunque sia, le nostre aziende, americane o italiane che siano, sono sempre alla ricerca di stimoli, di spunti nuovi che possano renderle più competitive e che, in un certo senso, puntano anche alla valorizzazione dei tanti talenti italiani. Quindi, per sintetizzare e lasciare spazio a tutti gli altri interventi, la Camera di Commercio americana, oltre a rappresentare gli interessi delle aziende americane qui, e italiane lì, cerca di offrire, grazie al proprio network, ai propri contatti e alle proprie iniziative, opportunità concrete per chiunque, dall’imprenditore che vuole esportare, dal giovane che ha dei progetti, che ha delle idee, che tramite noi le vuole realizzare, anche con un progetto molto bello, Brain Calling Fair, che, tra l’altro, quest’anno per il quarto anno sarà soltanto un progetto digitale, cioè vivrà tutto l’anno su internet, nel nostro sito, sito che tra l’altro – lo faccio disinteressatamente – è molto bello ed è molto efficace grazie alla collaborazione della Fotonica di Santiago Mazza. E funziona molto. Questo consente a tutti di avere quelle opportunità che oggi in molti non riescono a cogliere, perché tutti viviamo con una specie di soffitto di cristallo sopra la nostra testa e non riusciamo a fendere per cogliere quelle opportunità che invece sono a portata di mano. Grazie Santiago.

SANTIAGO MAZZA:
Grazie Simone per il tuo intervento. Ogni volta che citiamo in ambito digitale la parola piattaforma, è veramente importante sottolineare che le piattaforme e le tecnologie chiaramente non sono nulla se non ci sono delle persone a idearle, a pensarle e a guidarle, come in questo caso Simone Crolla con la Camera di Commercio degli Stati Uniti. Marco, voglio farti una domanda legata sempre alla tecnologia: soprattutto questa tecnologia, nel rapporto con i giovanissimi, che ruolo ha? E come un giovane, se non giovanissimo, dovrebbe approcciare la tecnologia?

MARCO ZAMPERINI:
Ti ringrazio per la domanda. Io ringrazio voi per la pazienza che avete di seguirci con questo caldo terrificante. Se si potesse usare la tecnologia dell’aria condizionata, saremmo tutti contenti.
Io sono qui in rappresentanza di mia figlia Blanca di 11 anni, che non è potuta venire perché sta tenendo un corso a Stanford sulle tecnologie, però ho portato un contributo video in cui Blanca vi spiega.

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Grazie a mia figlia per la sua testimonianza. Questo era un estratto delle Iene, la trasmissione di Italia Uno, che è andata in onda ad aprile quest’anno.
Vedendo Blanca e il suo amico Leonardo, abbiamo l’impressione che loro siano molto competenti. È quasi impressionante da certi punti di vista. In realtà io vi ho fatto vedere questo video perché credo che la responsabilità di cui ci dobbiamo fare carico, è quella di istruire questi bambini che hanno una familiarità naturale con l’interfaccia. Loro istintivamente diventano confidenti con la fenomenologia della tecnologia, usano immediatamente l’I-Phone, l’I-Pad, i terminali Android, riescono ad avere un’interazione istantanea con la tecnologia, ma non hanno nessuna comprensione di questa tecnologia, perché nessuno li educa alla tecnologia. Nel migliore dei casi, nelle loro scuole i corsi di informatica sono introduzione all’utilizzo degli strumenti di produttività individuale di una multinazionale americana. C’è molta strada da fare, sia per prendersi cura di questa generazione, che saranno gli imprenditori di domani, almeno ce lo auguriamo, sia per aiutare le famiglie a interagire con questa generazione che sta crescendo, perché spesso, sarà capitato anche a voi, questi bambini ci fanno anche un po’ paura, e questa loro apparente comprensione della tecnologia ci consente di assolverci dal nostro compito educativo, perché diciamo: sanno tutto loro, sono loro che ci insegnano. È falso. È un lavoro difficile, ed è più difficile perché, tra l’altro, come sapete, il ritmo di aggiornamento delle tecnologie è continuo. Ogni due anni, sostanzialmente, il parco delle conoscenze viene rinnovato. Ieri ho avuto la possibilità di visitare la mostra sui giovani che c’è qui al Meeting e effettivamente mi sembrava che mancasse un po’ questo messaggio. È vero, la scuola, è vero, l’università, è vero, il mondo del lavoro, ma io penso che uno spazio importante, che necessita di intervento, sia lo spazio della famiglia rispetto all’educazione all’uso delle tecnologie, perché è lì che i bambini, in maniera anche un po’ disordinata, entrano in contatto con la consolle del gioco, il telefonino, il palmare, il computer e spesso sono lasciati soli con loro stessi, ripeto, grazie al fatto che ci sembra sappiano fare tutto. Mentre invece loro usano tutto molto bene, però nessuno gli spiega le cose e questo credo che sia un ruolo importante, anche perché se incanalata bene, questa loro capacità di comprendere in maniera istintiva la tecnologia può essere un potenziale immenso per il nostro Paese, altrimenti il rischio è quello di trasformare questi bambini in una massa di consumatori di tecnologia, neanche troppo svegli, e non è certo quello che ci interessa.

SANTIAGO MAZZA:
Mi permetto di sottolineare che questo aspetto, legato alla tecnologia e ai giovanissimi, è anche una questione di buonsenso dei padri di famiglia. Io sono papà della mia Giorgia, che ha 4 anni, e ritengo che sia determinante accompagnare i nostri figli in ogni momento, chiaramente, soprattutto in rapporto con la tecnologia. Per la mia generazione, anni ’70, dove una volta i miei genitori mi lasciavano nelle piazze e io andavo a giocare dalla mattina alla sera e tornavo a casa quando era tardi oppure quando sentivo l’urlo di mia mamma di rientrare a casa perché la cena o il pranzo era pronto, per la mia generazione era diverso. Ecco, in ambito tecnologico, oggi, i bambini lasciarli nelle piazze da soli, nelle circostanze in cui viviamo, non è più possibile. È la stessa cosa su Internet, come se nostro figlio, o nostra figlia, mia figlia Giorgia, la lasciassi dal mattino alla sera davanti al computer in ambiti tecnologici dove, appunto, ci vuole buon senso e un rapporto estremamente diretto con i nostri figli in relazione alla tecnologia.
Nel ’99 ha fondato un’importante società, Vitaminic, la piattaforma per la distribuzione della musica digitale. Investitore, in questi ultimi 10 anni, in diverse imprese digitali, oggi è il fondatore e presidente della dPixel, società di consulenza specializzata nelle venture capital tecnologiche. Gianluca, ti chiedo cortesemente di raccontarci brevemente innanzitutto di cosa ti occupi, e la domanda che avrei piacere di condividere col pubblico è: quali sono le motivazioni per cui tu incontri tanti giovani, tantissimi giovani e quali sono i motivi per cui tu dai fiducia ai giovani e in Italia li chiamano anche giovanissimi, quindi ragazzi dai 22 ai 23 anni e addirittura anche più giovani?

GIANLUCA DETTORI:
Sì grazie Santiago, grazie per l’opportunità per essere qui a raccontarvi questo mondo.
Io ho preparato delle slide che hanno più che altro delle immagini che vorrei usare per farvi entrare nel mondo che io vedo tutti i giorni e che mi preme che possiate vedere anche voi, che il resto dell’Italia possa vedere un mondo che non vediamo normalmente. Innanzitutto mi presento rapidamente: io, classe ’67, ho avuto la fortuna di lavorare in Olivetti, quindi la tecnologia fin dall’inizio, diciamo, del settore di Internet e dopo Olivetti ho lavorato in più motori di ricerca al mondo – si chiamava Laicos, quando Google ancora non esisteva – e poi ho fatto l’imprenditore. Ho fatto la mia società, finanziato da venture capital. Quando poi sono uscito dalla mia società, ho fatto un po’ di surf per un paio d’anni, e poi ho cominciato a reincontrare giovani ragazzi, giovani imprenditori. Quindi oggi vorrei parlarvi di questo, che non ha niente a che fare con lo spread, di un’intera generazione, parliamo di milioni di ragazzi, i nostri figli, ragazzi che io vedo, che incontro a migliaia in giro per l’Italia, che hanno una caratteristica comune, hanno voglia di fare, hanno una grande forza creativa, hanno le idee, hanno i talenti e sono dotati di imprenditorialità, cioè hanno la voglia di affermarsi, di dire la loro, di fare qualche cosa.
Noi siamo abituati, quando pensiamo al tema della start up, a personaggi come questo qua. Questo è uno dei guru dei social media, diciamo uno dei teorici che ha teorizzato i social media ed è il fondatore di LinkedIn, società di grandissimo successo quotata in borsa. E’ Reid Hoffman. Quindi siamo abituati a vedere nelle società start up, società americane che oggi sono potentissime – come avete visto, questa settimana Apple è diventata la società di più grande capitalizzazione di borsa nella storia dell’economia -. Le società più potenti al mondo sono tutte nate e gestite da amministratori delegati, che sono gente come questo qua e tutti questi imprenditori, da Steve Jobs a Bill Gates a Reid Hoffman, hanno sempre avuto dietro, in una fase spesso iniziale, molto iniziale della loro società, un venture capitalist, magari poco noto al mondo, ma tutte queste società sono partite grazie al fatto che a un certo punto hanno incontrato un venture capitalist. E io ho incontrato questo signore qua, che, quando ero in Olivetti, era il capo del capo del capo del capo del mio capo, quindi in realtà non sapeva neanche chi fossi e poi quando fondai la mia start up aveva fondato un fondo di venture capital in Italia, il primo fondo di venture capital in Italia, fondo da cui sono nate società come Tiscali, Hugs, Venere e Vitaminic, la società che ho fondato anch’io.
Elserino Piol è stato appunto amministratore delegato dell’Olivetti per tanti anni ma, pochi lo sanno, è stato anche un venture capitalist per molti anni. Ha finanziato più di 200 società tecnologiche nella sua carriera, alcune sono andate bene, alcune sono andate meno bene, alcune sono andate benissimo, alcune sono andate malissimo e questo è un po’ un Leit-motiv del nostro mestiere.
Quindi oggi vi voglio parlare di questo mondo che c’è oggi delle start up. Questa era la mia società, è una foto degli anni del 2000 circa, 2001, in Inghilterra, ci occupavamo di musica digitale, facevamo il 70% di ricavi in Inghilterra ai tempi e questa è una foto che avevamo fatto in Inghilterra al nostro off site meeting, amministratore delegato, direttore di Business Development, quel ragazzo al centro e Responsabile del mobile. Come vedete dalla nostra età, al tempo, parliamo comunque di una generazione di questo tipo. Ecco, però, io vi vorrei parlare oggi non della bolla, della new economy, di questa cosa che è ormai vecchia di tanti anni, ma di un’intera nuova generazione di imprenditori che ho incominciato a incontrare dal 2002-2003, dopo lo scoppio della bolla.
Imprenditori come questi che, nel 2004, hanno fondato per esempio Bacheca, che oggi è il più importante sito di annunci gratuiti in Italia ed è l’emulo di Craigslist negli Stati Uniti, Paolo Geymonat e Rivetti, una società che oggi da lavoro a Torino a un centinaio di ragazzi e che ha un sito che è visitato da circa 6 milioni di persone al mese, quindi fornisce un servizio gratuito a sei milioni di persone al mese e ha creato 100 posti di lavoro. Da questa società poi sono nati degli spin-off e questo è uno e l’abbiamo finanziato noi. Questo è Luca Russo, fondatore di Sealab, società di social media marketing che abbiamo finanziato e che ormai adesso è diventata una società che ha 30 dipendenti, molto profittevole, in forte crescita e fattura circa quattro milioni di euro l’anno. Tutto questo è successo nel giro di quattro anni. Sono tante le storie di cui vorrei raccontarvi e potrei raccontarvi, ce ne sono molti di questi ragazzi. Non trovando in Italia il contesto favorevole per far nascere la propria azienda, cosa fanno? Vanno all’estero e tipicamente vanno in Silicon Valley.
Questo è Augusto Marietti, lui è amministratore delegato di una start-up che si chiama Mashape e l’ho conosciuto appunto anni fa, venne da me a raccontarmi insieme ai suoi due cofondatori il suo progetto. Un progetto incredibile, subito ci aveva colpito molto e una delle cose che ci aveva colpito in particolare, è che Marietti al tempo aveva 20 anni ed era amministratore delegato, il direttore tecnico ha 17 anni, insomma la persona più vecchia in azienda aveva 23 anni. Vorrei raccontarvi un aneddoto. Un giorno parlavamo del loro progetto e ho detto: “Ma ragazzi, voi vi rendete conto che volete far concorrenza a Google, volete far concorrenza ad Amazon, volete far concorrenza ad aziende cosi?”. Questi mi guardano e mi fanno: “Beh, che c’è, hai paura?” e io, allibito, ho tirato giù le orecchie e ho continuato ad ascoltarli. Purtroppo, dopo un anno che eravamo disponibili a investire, cercavamo coinvestitori e non li abbiamo trovati, a quel punto ho detto: “Ragazzi andate in Silicon Valley e cercate fortuna lì, perché qua non sono in grado i aiutarvi per un progetto così ambizioso come quello che avete”. Un anno dopo su TechCrunch, diciamo la pubblicazione più importante nella tecnologia digitale e nelle start-up al mondo, salta fuori questo articolo su questi tre ragazzi. Ripeto, il direttore tecnico 17 anni, sul curriculum mi scrive: “Io ho 17 anni, scrivo software da quando ne ho 11”. Quindi parliamo di quella generazione che Marco Zamperini ci ha fatto vedere e che quando ha 17 anni ha ormai 6-7 anni di ingegneria software alle spalle. Insomma, i ragazzi, tre italiani in Silicon valley, rifiutano un’offerta di acquisizione e accettano un finanziamento di venture capital, adesso non si leggono i nomi, ma praticamente qui c’è la seria A del venture capital mondiale, il fondatore di Amazon, Jeff Bezos, Index Ventures, che ha finanziato Skype, finanziano con un milione e mezzo di dollari il loro progetto. Purtroppo nemo propheta in patria e questo è uno dei problemi più grossi che, secondo me, oggi ha l’Italia. Noi stiamo perdendo i cervelli, i talenti più promettenti, giorno dopo giorno, che se ne vanno perché non riescono qua a trovare ascolto, non riescono a trovare ascolto, attenzione.
Ciò nonostante esistono invece casi di successo italiani: questo Jobrapido, società fondata in un scantinato di via Ripamonti da un amico, Vito Lo Mele, il fondatore amministratore delegato, nel 2003, oggi dà lavoro a 150 persone; è una società che è diventata leader al mondo nel suo settore. Jobrapido è un motore di ricerca di annunci di lavoro, operativo in 44 lingue, quindi in 44 mercati da Milano, che impiega fondamentalmente ingegneri, creativi, grafici, software-hardware designer e che un gruppo quotato inglese, il Daily Mail ha comprato per circa un centinaio di milioni di euro. È stata acquisita qualche settimana fa questa società e ci siamo persi un pezzo di tecnologia italiana che oggi è nelle mani di un azienda quotata inglese. Ciò nonostante il software continuerà ad essere fatto in Italia, lo sviluppo potrà essere fatto a Milano, e la società dà da lavoro a 100 persone e facilmente tra 4 o 5 anni potrebbe avere 4-500 dipendenti. In Italia abbiamo non solo dei bravi imprenditori tecnologici, ma dei veri e propri guru come Massimo Banzi. Eravamo colleghi in Olivetti tanti anni fa, lui oggi ha creato un intero movimento, il movimento dei Makers, che in tutto il mondo veramente apre uno spiraglio per la nostra economia completamente nuovo, quello della personal fabbrication, dell’artigianato elettronico. Vi consiglio di perdere 5-10 minuti e andare a vedere il suo talk su ted.com, che spiega tutto, meglio di quanto potrei fare in vita mia. Insomma io vorrei raccontarvi di gente, di ragazzi che vedono un futuro diverso, come questi che abbiamo finanziato recentemente in Sardegna, Sardex: una moneta complementare che, fondamentalmente, sviluppa l’economia locale, la sussidiarietà locale, attraverso una moneta complementare basata sulla fiducia reciproca tra i membri della comunità. Un futuro diverso, un’economia diversa. Io non capisco una cosa: sono anni che in maniera testarda in dPixel andiamo in giro per l’Italia a porci questa domanda e praticamente, per come la vedo io, noi italiani abbiamo il più alto tasso pro-capite di talenti imprenditoriali al mondo, però abbiamo uno dei più bassi tassi di investimento pro-capite e start up al mondo. Per fortuna qui al Meeting di Rimini abbiamo sentito il nostro Ministro Passera annunciare a Settembre ormai, quindi domani, finalmente, un pacchetto di misure per incentivare questo fenomeno. Noi, nella nostra azienda, in maniera testarda, da anni ci crediamo e abbiamo deciso di fare il nostro lavoro sul campo e abbiamo trasformato i nostri uffici in un camper, che chiamiamo il Bar Camper e giriamo le università, i centri di ricerca, andiamo nelle città, siamo stati un mese in Calabria, abbiamo trovato 100 start up in Calabria, nelle università calabresi e andiamo in giro ad ascoltare i ragazzi per cercare di finanziarli ed aiutarli. Io avevo preparato anche un piccolo video, ma non so se c’è tempo

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Questa è la partenza del tour nazionale che abbiamo fatto dall’università UniCal, in Calabria: 36 mila ingegneri, fisici, chimici veramente dei cervelli incredibili. Vengono sul camper, ci raccontano la loro idea, ascoltiamo le cose più interessanti, li portiamo in una start up school di due settimane, li aiutiamo a scrivere il business plan e poi li presentiamo a tutti gli investitori che conosciamo, oltre ad alcuni di questi finanziarli direttamente noi con il fondo che gestiamo.
Ci accompagna in questo tour anche il nostro carissimo amico funky professor, ovviamente. Spero di avervi dato questo senso di energia. Noi riceviamo qualcosa come 1500 business plan all’anno, io dico che in Italia ce la possiamo fare. Grazie.

SANTIAGO MAZZA:
Grazie Gianluca, bellissimo vedere il filmato del Bar Camper che parte e va ad incontrare i ragazzi in giro per tutta Italia. Fantastico, si può fare impresa e incontrare persone anche dentro un camper. Bellissimo, straordinario. Hai citato due cose, una riguardo alla politica, quindi al Ministro Passera, qui al nostro tavolo abbiamo l’onorevole Simone Crolla e volevo fare una domanda in merito: il tuo ambito di competenza dentro il Parlamento, Simone, cosa sta facendo per favorire l’imprenditoria giovanile?

SIMONE CROLLA:
Lo ha detto bene anche Gianluca: il ministro Passera a settembre presenterà il Digitalia che contiene tutte le novità che sono state preparate e scritte e pensate all’interno dell’Agenda Digitale Italiana, che è stata una grande novità che questo Governo ha portato sul tavolo. Agenda Digitale Italiana, lo dico con un pizzico di orgoglio, è stata stimolata da un gruppo di lavoro della Camera di Commercio Americana, chiamata Digital Advisor Group, che ha prodotto le linee guida che poi sono state riprodotte e utilizzate per l’Agenda Digitale e di conseguenza poi il Decreto Digitalia. Per circoscrivere meglio questo aspetto, qualche numero, sappiate che la Internet Economy in Italia rappresenta già oggi circa il 2% del Pil della nostra economia e questo significa oltre due miliardi di euro di capitale. Alcune previsioni indicano che entro il 2015 arriveremo a circa il 3 – 3,5% del Pil, quindi vuol dire che è uno, se non l’unico, dei driver della crescita italiana e questo va accompagnato e il Decreto Digitalia e tutte le iniziative private ottime che abbiamo ascoltato sono fondamentali. Oggi il 2% del Pil in Italia è rappresentato oltre che da Internet, dalla ristorazione, poco più dall’agricoltura. Allora perché non possiamo prevedere, ed è magari una provocazione ai futuri governanti, che non nasca una specie di Ministero, di Dipartimento, che si occupi soltanto di digitale, di internet eccetera, visto che l’agricoltura ha il suo Ministero ed il resto anche, visto che è un qualche cosa che è in forte crescita? Quindi a livello di Parlamento c’è sicuramente questa sensibilità e in Commissione Trasporti è stato approvato un altro Decreto, quello a firma Palmieri, Gentiloni, Rao, sempre sul tema iniziative digitali, sul tema della burocrazia senza carta, quindi con forti risparmi, con la semplificazione e con anche molte iniziative volte ad incentivare la nascita delle start-up, perché, giustamente Gianluca lo diceva, siamo un Paese dove nascono meno start-up al mondo. Le ricerche dicono che in America tutte le nuove aziende che producono valore, che producono occupati, vengono fuori da start-up. Pensate che la sola nascita di Facebook ha creato negli anni 180.000 nuovi posti di lavoro, non in Facebook, ma in tutte le imprese collegate, la così detta Facebook Economy, cioè tutti quelli che sviluppano le applications poi per Facebook, figurarsi poi in tutti gli altri modi. Quindi sicuramente c’è molto da fare in questo campo ed è su questo che la politica, per quel che può e spesso e volentieri può poco, ma soprattutto la società civile si deve indirizzare. Io, e concludo, mi sono posto il problema, da politico, di come dare strumenti ai giovani italiani, affinché possano poi essere in grado di sviluppare una start-up, una nuova azienda. Sempre Gianluca diceva che abbiamo un “brain drain” cioè un fenomeno di cervelli in fuga che è elevatissimo in Italia. Negli ultimi venti anni, i nostri migliori cervelli espatriati hanno prodotto brevetti per un valore di circa 4 miliardi di euro. 4 miliardi di euro che sono tolti alla nostra società e vengono messi in produzione altrove, però sono sicuramente persone che si sono formate in Italia, perciò hanno un costo su tutti, ma la loro produttività sta fuori. E allora che cosa bisogna fare? Io ho depositato una proposta di legge molto semplice, che stranamente non c’era, e cioè il “prestito d’onore”. Banalmente oggi, se uno studente italiano vuole frequentare un master all’estero, un PhD all’estero o è assolutamente bravo da guadagnarsi una borsa di studio, e sono poche, o ha le spalle molto coperte e ha una famiglia che può garantire l’oneroso costo di vivere all’estero e di frequentare, oppure non può ed è una occasione persa e allora “il prestito di onore” funziona in modo che, tramite le banche, viene concesso a studenti meritevoli, che si laureino entro i 25 anni, che abbiano un cursus impeccabile, un incentivo per ottenere un tasso del 1% massimo del valore di circa 30/40 mila euro per iscriversi e frequentare questi corsi. Le banche perché possono rilasciare questo finanziamento, altrimenti non lo farebbero? Perché c’è un fondo che viene creato dallo Stato, che previene il rischio di insolvenza da parte di questi studenti, perché magari le banche non vogliono avere il rischio che poi il loro prestito non venga ripagato e questo fondo creato dallo Stato viene alimentato prendendo i soldi che oggi vengono dati ai partiti politici. Si tratta semplicemente di togliere un po’ di soldi ai partiti, che poi, nelle degenerazioni che abbiamo letto, vediamo che vengono spesi per acquistare diamanti o ville, e di usarli per fare sì che le banche possano finanziare il futuro dei nostri giovani. Questo è importante, perché soltanto con competenze, con capacità e con skills tu puoi tornare nel tuo Paese e dare modo poi di mettere a frutto in Italia le tue competenze. Questo mi pare che sia un qualche cosa di trasversale, molto utile, al punto che nel Decreto Sviluppo approvato, di Passera, nelle ultime settimane di lavoro prima delle vacanze, all’articolo 24 c’è scritto che “le aziende possono ottenere sgravi fiscali, come credito di imposta, se assumono giovani altamente qualificati”. Bene, e allora “il prestito di onore” è il primo pezzo, cioè consentiamo ai nostri studenti di qualificarsi veramente, dopo di che anche un mercato asfittico come quello italiano, grazie anche a queste innovazioni del Decreto Passera, potrà assorbire questi laureati. Quindi miliardi di brevetti dei nostri migliori cervelli forse non vedranno più luce solo in Silicon Valley o a Shangai, ma cominceranno a rientrare o a rimanere anche in Italia. Questo è il mio personale contributo a questo dibattito.

SANTIAGO MAZZA:
Approfitto per salutare tutti gli amici che stanno seguendo il live, importante novità per il Meeting di Rimini di quest’anno. Per la prima volta il Meeting di Rimini ha deciso di andare in ambito social, grazie anche a Luca Conti che sta coordinando, insieme a Bardazzi, tutto il mondo social del Meeting. Tornando sull’Italia, tornando un po’ su di noi, non è vero che per fare impresa, per sviluppare un attività in ambito digitale bisogna andare a Milano, Roma, nei grossi centri. Si può fare in tantissime città, anche in città come Senigallia, qui vicino nelle Marche, qui vicino a Rimini, dove Luca Conti ha fatto e fa la sua professione di giornalista, tesa a raccontare quello che è il mondo dei social. Chiedo proprio a Luca, è possibile veramente fare impresa stando a Senigallia?

LUCA CONTI:
Buongiorno a tutti. Prendo un po’ alla larga la domanda di Santiago, a cui comunque risponderò fra pochissimo. Prima vorrei fare un paio di domande a voi che siete qui in sala, vi ho contato e più o meno siete 400-500 persone. Chi di voi ha meno di 30 anni alzi la mano per cortesia. Direi, forse un po’ meno della metà. Chi di voi si è collegato ad internet nelle ultime 24 ore? Ecco, abbondantemente sui 2/3, se non di più. Chi di voi ha un profilo su twitter? Qui le mani scendono, siamo meno della metà. Chi di voi ha un profilo su Linkedin, che è stato citato prima? Siamo su un 40%, ottima media. Chi di voi vive in una città con meno di 100.000 abitanti? Ancora 40%. Vi ho fatto queste domande per trarre alcune osservazioni e per dare un contributo al dibattito, che è anche on line con #meeting su Twitter, siamo anche in diretta su Youtube e saluto chi ci segue, anche chi ci segue registrato, visto che anche voi che siete qua, potrete rivederci. L’Italia è uno dei Paesi europei che ha più sofferto, rispetto ai nostri competitor principali, di un digital divide, cioè di un divario digitale che ha fatto sì che ancora oggi una piccola percentuale di italiani non possa godere della banda larga. Questo è un problema ormai in via di risoluzione, se non già risolto, visto che la popolazione non raggiunta da banda larga, o dal telefonino o dalla linea fissa, ormai credo che sia meno del 3%. Quindi questo significa che non necessariamente bisogna essere di una grande città per godere dei benefici che la rete ci può dare. Un problema che abbiamo in Italia, e su cui forse bisognerebbe fare attenzione, aldilà di tutti i ragionamenti che ovviamente sposo sui giovani e sullo stimolare i giovani, è che, forse, bisognerebbe stimolare gli over-cinquantacinque, non necessariamente a creare una start-up, perché forse a 55 anni si hanno altri pensieri e non ci si può permettere un livello di rischio tale da lanciare una start-up, però in Italia oggi abbiamo meno della metà degli over-cinquantacinque rispetto a Regno Unito che si collega ad internet. Questo cosa significa? Significa che risorse, investimenti, pubblicità, opportunità, anche per le start-up che sono state citate o che i nostri giovani stanno lanciando, trovano un mercato più difficile, perché si compra meno online, si passa meno tempo online e questo non per la fascia under trenta, che ormai è online ed è collegata con tutti i mezzi. Dovremmo forse pensare a delle politiche e anche noi, visto che la percentuale di persone che si collega ad internet tutti i giorni, quindi che capisce il valore di internet, qui in sala è alto, potremmo cercare di evangelizzare anche gli over-cinquantacinque e forse Blanca potrebbe darci qualche idea in questo senso. I social network, in particolare, ci possono dare delle grandi opportunità. Io sono qui invitato dall’organizzazione un po’ per darvi la mia testimonianza, non ho molto paura a promuovere me stesso, anche perché altrimenti non sarei arrivato dove sono arrivato e vi consiglio in questo senso di approfondire il tema del personal branding, cioè di usare la rete, soprattutto se siete entrati nel mondo del lavoro da poco, anche se volete cambiare lavoro o fare carriera, di usare la rete per farvi conoscere meglio e per promuovere meglio le vostre attività. Ma al di là di questo, sono forse uno dei pochi casi in Italia di persona che, attraverso il proprio blog, che quest’anno compie 10 anni, il blog si chiama “pandemia”, lo trovate all’indirizzo pandemia.info, ha fatto un percorso tale che mi ha portato ad inventarmi di fatto un lavoro. Gianluca citava “Seolab”, l’agenzia di Torino, con cui ho anche collaborato, che fa social-media-marketing, cioè usa i social network, i blog, face-book, twitter per aiutare le aziende a comunicare, a fare marketing online. Io da libero professionista ho cominciato a fare questo lavoro proprio nell’ambito del social media marketing, quando ancora non si chiamava neanche così, nel 2007, ormai 5 anni fa, dopo aver acquisito una serie di competenze da autodidatta, semplicemente usando gli strumenti messi a disposizione da tante start-up, prevalentemente internazionali, come i blog prima, LinkedIn poi, Twitter. Strumenti quindi che mi hanno permesso da un lato di informarmi con canali non tradizionali e dall’altro di portare dall’estero in Italia delle competenze. Fatto sì che, nonostante io sia laureato in scienze ambientali e non abbia un percorso né da informatico né da economista, o sia esperto di marketing, ho subito trovato, una volta che mi son messo a fare il libero professionista, aziende anche internazionali che mi hanno trovato su LinkedIn per chiedermi di collaborare con loro, nonostante io fossi a Senigallia, a casa mia, emerito sconosciuto, prima di avere il mio blog. Questo cosa significa? Significa che ognuno di noi, senz’altro con tempo, impegno e fatica, perché non basta avere un blog in 2 minuti e pubblicare 10 articoli in un mese per dichiararsi esperti di social media, come poi qualcuno prova a millantare. Ci vuole un po’ di tempo, ci vuole senz’altro grande passione, però è possibile oggi, io direi da qualsiasi parte d’Italia. Suggerirei invece che la fuga da cervelli, una fuga verso dei paradisi caldi, collegati bene a internet, dove lavorare sotto una palma, oppure fare la stessa cosa dal sud Italia, che ha bellissime località che permetterebbero, con un’ottima connessione, di lavorare veramente dalla spiaggia. Quindi questo è possibile, tutto sta a usare gli strumenti che abbiamo nel modo più consapevole e produttivo possibile. Non vi ho fatto la domanda e chiudo, su chi di voi è su Facebook, perché so sa già la risposta e so che in Italia su circa 27milioni di persone che si collegano a internet ogni mese, circa 22-23 sono su Facebook, quindi significa che tutti lo usiamo e mediamente lo usiamo tanto perché la media è di circa 7 ore al mese per utente, che è una media altissima, perché tutti gli altri siti stanno sotto le 2 ore. Quanti di noi usano Facebook consapevolmente o sanno che oltre a Facebook ci sono altri social network che permettono di impiegare produttivamente il nostro tempo per coltivare relazioni professionali, trovare magari un partner per sviluppare un’idea o proporsi ad un datore di lavoro per fare il lavoro dei propri sogni? Probabilmente anche nella fascia under 30, che sta tutto il tempo sul social network, ancora pochi veramente sanno e sono consapevoli di come usarli. Il messaggio con cui voglio chiudere è che tutto sta a noi, se usare internet come la televisione, quindi fruendo passivamente dei contenuti o limitarci a produrre contenuti con le foto delle vacanze, o se invitare i nostri collaboratori a promuovere le nostre attività in rete e allo stesso tempo usare internet, non necessariamente per lavorare, ma per lavorare meglio. Grazie.

SANTIAGO MAZZA:
Tutti abbiamo citato su questo panel, persone che vanno all’estero, che vanno a fare impresa, vanno a fare carriera all’estero. Queste persone, lo dico io, sentite l’accento non tipicamente romagnolo, che sono nato in Argentina, se mantengono la propria identità, non vanno via, non vanno via all’estero, vanno a confrontarsi all’estero, che è diverso, vanno a rapportarsi veramente a livello di competitività e questo fa soltanto crescere. Non soltanto la persona, ma la persona con la sua origine, in questo caso il Paese, che è l’Argentina per me e San Marino. Una persona che occupa un posto di alto privilegio, che lavora dentro Google, che ha fondato Mind the Bridge è Marco Marinucci. Marco, ti chiedo di raccontarci cosa fai tu in Mind the Bridge. Questa è la prima domanda. La seconda domanda che volevo farti è proprio legata appunto a questa fuga di persone, se effettivamente condividi con me che c’è un capitale che non va via, ma comunque ritorna in Italia, perché comunque crea lavoro, crea un confronto diretto con un luogo, come in questo caso Silicon Valley, dove la competitività in ambito tecnologico è altissima.

MARCO MARINUCCI:
Grazie Santiago, grazie intanto per l’invito. Sì, son venuto da lontano, io vivo a San Francisco da una decina d’anni e son fuori dall’Italia da una dozzina. Però devo dire che mi sono trovato a passare gran parte del mio tempo a guardare l’Italia e quindi l’idea di Mind the Bridge è stata proprio quella di cercare di cogliere un poco l’opportunità di cui si parlava prima, quella consapevolezza che c’è un’opportunità in Italia oggi che non è ricoperta abbastanza, che non è sfruttata abbastanza. L’opportunità di opzioni, di cervelli che in Italia ci sono nella stessa forma in cui si trovano in California, con lo stesso Dna degli studenti di Stanford. Quest’opportunità in effetti l’abbiamo messa in pratica, capendo anche che spesso quello che serve è avere una comunità di riferimento, che ti possa dare un po’ di spinta, un po’ di adrenalina, un po’ di pro-model, far vedere come poter arrivare a fare quello che spesso noi, a questo tavolo, ci siamo trovati a fare per serendipity, per casualità, per le nostre storie, che poi magari possiamo raccontare. L’attività che abbiamo messo in piedi, come una fondazione puramente non profit, è basata proprio su uno spirito di give-back, che tra l’altro è molto forte culturalmente in California. L’idea è proprio quella di utilizzare anche una rete di riferimento che possa aiutare su varie forme, quella finanziaria è una, ma soprattutto come rete di riferimento per segnare una via. Utilizzando spesso una rete che già esiste, Silicon Valley di italiani che qua spesso sono totalmente sconosciuti e che invece a Silicon Valley hanno scritto la storia di pezzi di tecnologia. Dico nomi totalmente a caso: Faggena ha inventato il primo microprocessore, Crea, Sangiovanni, Vincentelli, il fondatore della Logitech. Purtroppo questi non sono mai stati visti dall’Italia come un’opportunità di poter utilizzare questa esperienza personale per aiutare chi oggi invece parte senza avere dei modelli di riferimento vicini. Per tenere insieme le due cose, abbiamo fatto partire questa fondazione non profit nel 2007, facendo almeno due azioni: una è quella puramente educativa, quindi cercando di raccontare un po’ i modelli di cui Gianluca ci parlava un momento fa. Devo dire che cinque anni fa, quando siamo partiti, se ne parlava molto meno, oggi apri il giornale, ogni giorno c’è sulla prima pagina un riferimento al tema dell’innovazione, della creazione di start-up. C’è anche spesso un uso improprio che va benissimo, vuol dire che finalmente se ne parla, però quando siamo partiti, cinque anni fa, c’era la totale mancanza di conoscenza di temi molto semplici, che sono quelli del venture capital, del fare impresa non per viverla, diciamo passarla come generazione, ma come un’attività che uno fa per creare valore, venderla e farne partire un’altra, fare partire quell’attività di imprenditore seriale che diventa un lavoro di per sé, che può creare tanti posti di lavoro, tante ricchezze.
L’attività che facciamo quindi è solo un po’ educativa in Italia, utilizzando la Silicon Valley come lo spazio e il modo in cui questi progetti possono essere accelerati. La Silicon Valley, nella mia definizione, è in realtà un acceleratore di 100 km, proprio per la densità di talento che c’è, di tecnologia. La Silicon Valley è, per chi fa tecnologia o che fa mondo di start-up, è Disney per i bambini, è giocare da un giorno all’altro in serie A, se ti piace tirare di pallone. Essere coinvolti anche temporaneamente, avere un’esperienza, ti dà una carica di energia positiva che poi puoi portare a casa. E questo è un po’ quello che facciamo, riuscire ad immergere in un contesto che è semplificato da tanti punti di vista, che ti dà un’adrenalina, ti dà un doping che è legalizzato. Questo è quello che ti crea la Silicon Valley. Quindi l’attività non è quella di spostare i progetti più interessanti e portarceli in Silicon Valley, perché non avrebbe senso. Il senso invece è cercare di sfruttare i contesti che possono aiutare lo sviluppo di società dove magari, potenzialmente, tutta la parte di sviluppo, la creazione di lavoro rimane in Italia, rimane vicino alla spiaggia, rimane in quei centri dove comunque la conoscenza tecnica esiste e spesso è superiore a tanti altri contesti blasonati, però magari sfruttando l’espansione internazionale, perché oggi hai questa opportunità. Il modello che stiamo portando avanti è proprio quello di creare potenzialmente un ponte che possa far sfruttare queste opportunità con delle società tipicamente duali. Non è la risposta per tutti, la Silicon Valley non è una panacea, non è il risultato che può servire come soluzione di tutti i problemi. E’ però decisamente un’ispirazione. Il tema di positività con cui volevo concludere è racchiuso in una survey di qualche tempo fa. In essa si chiedeva, ai giovani ventenni di tutti i principali Paesi del mondo, quale pensassero essere il proprio potenziale di creazione del proprio futuro, quindi quanto pensassero di essere in grado di poter avere un’influenza sul futuro. I dati erano proprio la fotografia del problema principale che esiste in Italia. Nel range di tutti i Paesi mondiali, Italia e Stati Uniti erano agli opposti dello spettro. Negli Stati Uniti il 64% dei giovani ventenni pensavano di essere al controllo, pensano di poter influenzare il proprio futuro. Dalla parte opposta dello spettro dei Paesi, San Marino non c’era quindi non posso dire, però c’era l’Italia dove era esattamente l’opposto, il 23% dei giovani italiani pensava di poter avere un potenziale impatto sul futuro. Secondo me questa è stata la fotografia del tema principale dei problemi dei giovani che si affacciano al mondo del lavoro, come prima attività post-studio. La parte interessante che colgo e che porto come tesoro, da questo viaggio che ho fatto qui, è che in effetti ho l’impressione che questa tendenza sia cambiata. Ho visitato la fiera, la mostra dell’imprevedibile e secondo me si coglie, proprio in questo contesto, in questo popolo che popola il Meeting di Rimini, un senso di positività che è un passo storico. Adesso non so se è mai esistita la generazione dei bamboccioni, come era stata chiamata, ma anche se fosse esistita, credo che ora ci sia un’altra generazione, che proprio in questi momenti stia cercando di fare dell’altro, e lo faccia in maniera forte e chiara, ponendo l’operatività prima di tutto. Mi sembra che sia un po’ il messaggio di Gandhi che dice: “Costruisciti il mondo in cui vorresti vivere”. Quindi credo che questo sia il messaggio che mi voglio portare a casa e che colgo dal Meeting di Rimini. Grazie.

SANTIAGO MAZZA:
Marco, volevi aggiungere qualcosa?

MARCO ZAMPERINI:
Se posso fare un commento, non vorrei essere monotono ma insisterei sul ruolo della famiglia. Sapete tutti che Steve Jobs diceva questa frase “stay young, stay foolish”. Io vorrei trovare una mamma italiana che permetta a suo figlio di essere affamato. Questo, scusate la battuta, è un problema del nostro Paese, che i primi a non credere nei nostri figli siamo proprio noi. I primi a non lasciarli volare con le loro gambe siamo proprio noi. Allora, per cambiare un sistema, è vero, ci vogliono interventi del Governo, ci vogliono dei venture capitalist, però dobbiamo dare fiducia ai ragazzi, perché questo fa definitivamente la differenza. Questo è uno dei motivi per cui la Silicon Valley è là dov’è e non è in Puglia, che è anche una regione lunga e stretta, per similitudine, ma dove non avviene. Noi siamo qui a fare questa avventura del bar camper, ad esempio, che vi ha raccontato Gianluca, e sapete qual è la cosa più pazzesca quando incontriamo i ragazzi sul bar camper? Che i ragazzi si emozionano e sono stupiti del fatto che qualcuno li ascolti per davvero. Perché siamo in Italia e perché magari siamo nel sud, e loro sono abituati ad essere ignorati, non ascoltati da un sistema di relazioni aziendali, famigliari che tende a penalizzare i giovani. Sono stupito di essere seduto vicino a un politico che è più giovane di me. Ho quasi dieci anni più di te, è una cosa pazzesca. È vero. Sono contento di questa cosa, spero che cambi, però il cambiamento, se vogliamo davvero dare delle possibilità, parte da noi, altrimenti i nostri giovani se ne andranno per forza. Scusate lo sfogo.

SANTIAGO MAZZA:
Andiamo a chiudere questo bellissimo incontro con l’augurio che, ovviamente, sia stato utile a comprendere ancora di più non soltanto le tecnologie, perché le tecnologie sono soltanto uno strumento, ma quanto noi persone possiamo usare questi strumenti. Dopo quanto esposto dai relatori, posso affermare che oggi è veramente possibile sviluppare imprese digitali in Italia. Sta ai giovani dare ascolto al loro proprio talento, prendendo proprio coraggio, pronti a cogliere gli imprevedibili istanti, dando spazio alla nostra persona, creando un nuovo concetto di impresa. Un nuovo concetto di impresa, dove l’impresa tende a generare benessere per tutti, innanzitutto realizzando prodotti e servizi destinati al soddisfacimento dei bisogni dell’uomo. Questo è importantissimo, perché mi auguro che la nuova generazione dei nuovi giovani abbia un nuovo concetto di fare impresa digitale, dove il fine non sia fare i soldi assolutamente, ma i soldi siano visti come strumento. Questo ci tengo a dirlo, perché penso che sia anche uno dei motivi per cui stiamo vivendo questa crisi. La soddisfazione dei collaboratori, dei clienti e dei conferenti di capitale costituisce l’obiettivo primario dell’impresa. “L’impresa tende dunque al profitto non come fine, ma come mezzo”, questa è una citazione del libretto di Compagnia delle Opere che ho fatto proprio mia nella quotidianità. E anche ho preso spunto, come hanno fatto tante persone che hanno visitato la mostra, tra cui Monti, Passera, da una frase finale di Giussani che dice: “Aspettatevi un cammino, non un miracolo che eluda le vostre responsabilità, che elida la vostra fatica e che renda meccanica la vostra libertà”. Grazie.

Data

24 Agosto 2012

Ora

11:15

Edizione

2012

Luogo

Sala C1 Siemens
Categoria
Incontri