LAVORO E CRESCITA

Lavoro e crescita

Partecipano: Raffaele Bonanni, Segretario Generale CISL; Fulvio Conti, Vicepresidente di Confindustria per il Centro Studi, Amministratore Delegato e Direttore Generale di Enel; Elsa Maria Fornero, Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali. Introduce Bernhard Scholz, Presidente della Compagnia delle Opere.

 

LAVORO E CRESCITA
Ore: 11.15 Sala A3

BERNHARD SCHOLZ:
Buongiorno a tutti e benvenuti a questo incontro su uno dei temi più decisivi di questo periodo: lavoro e crescita. Sono due obbiettivi condivisi da tutti e certamente sono condivisi, anche se per responsabilità diverse, dai nostri ospiti di oggi. Saluto in modo cordiale e ringrazio per la sua presenza il Ministro del Lavoro e delle Politiche Sociali, Elsa Maria Fornero, il Segretario della CISL Raffaele Bonanni e il vicepresidente di Confindustria e Amministratore Delegato dell’ENEL, Fulvio Conti.
In un momento di difficoltà, in un momento di crisi, la cosa più importante credo sia affermare ciò che tutti abbiamo in comune e ciò per cui uno si impegna e tutti ci impegniamo insieme.
Un’Italia saldamente ancorata al contesto europeo e capace di affermarsi con prodotti e servizi sui mercati internazionali, creando occupazione e benessere per tutti; se questo scopo è chiaro, possiamo discutere liberamente delle misure da applicare, ma penso soprattutto delle responsabilità che si deve assumere ognuno, sia chi lavora nelle istituzioni, sia chi lavora nella società civile. Non aiuta nessuno coltivare sospetti che gli imprenditori siano disinteressati alle sorti dei loro collaboratori e che i collaboratori siano disinteressati allo sviluppo dell’azienda e che i politici siano solo interessati alla loro visibilità. Il Presidente del Consiglio, Mario Monti, ci ha ricordato che una generazione perduta si è generata per comportamenti che non hanno tenuto conto delle nostre reali possibilità e hanno sottovalutato le responsabilità. L’Italia per ritrovare la strada della crescita, della produttività dell’imprese, della occupazione, specie per i giovani, deve puntare sulla persona, sulla grande energia del desiderio di bene per sé e per tutti che in questo Meeting viene confermato e dimostrato giorno per giorno. Sono queste le esperienze, come ci ha scritto nel suo messaggio il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, che costituiscono un patrimonio di risorse e di energie indispensabili per mantenere viva la capacità imprenditoriale e di innovazione, che ha accompagnato le fasi di più intenso sviluppo economico, culturale e sociale del Paese. L’Italia ha sempre dimostrato di farcela e anche questa volta lo dimostrerà,
Sono due i turni di questa discussione che abbiamo previsto, in un primo turno vogliamo parlare delle condizioni della crescita e in un secondo turno parleremo dell’occupazione, del nesso fra occupazione e crescita, perché così scontato come sembra, così non è. Cominciamo con le imprese. Certamente il prodotto interno lordo, il famoso Pil, non è l’unico indicatore dello stato di salute di un Paese, ma è altrettanto certo che, in una situazione di debito pubblico così elevato e con la necessità di creare occupazione, è assolutamente necessario arrivare ad una crescita anche del Pil. A Fulvio Conti una prima domanda: quali sono per le imprese italiane, le aspettative e le responsabilità per fare in modo che questa crescita che tutti desiderano, avvenga?

FULVIO CONTI:
Domanda molto complessa quella che ci rivolge l’amico Bernhard Scholz, a cui bisognerà rispondere, passando non soltanto dal nostro Paese, ma da quello più allargato dell’Europa e del mondo. Noi siamo un’economia, comunque, prevalentemente manifatturiera, non soltanto legata al mondo del nostro Paese, ma legata strettamente alle dinamiche delle economie dei Paesi che con noi si relazionano, sia in Europa, sia nel modo intero. Guardando a questa dinamicità delle economie, il quadro che ne emerge, misurato con la misura sintetica del Prodotto Interno Lordo, non è ancora confortante. Quest’anno 2012 prevediamo una discesa del Pil del 2,5%, il fenomeno continua ad essere evidente, anche nel terzo trimestre ci attendiamo una caduta delle attività manifatturiere, accentuata anche dalle molte economie dei paesi emersi o in via di emersione i cosiddetti BRICS. La Cina rallenta dal 9% al 7%, 2 punti di Pil in meno della Cina vogliono dire, miliardi e miliardi di Euro di esportazione, di commercio internazionale che si riflettono sulla nostra economia nazionale. La stessa economia europea soffre, nel secondo trimestre di quest’anno il Pil ad oggi nell’Eurozona è di meno 0,5%. Cosa comporta questa dinamicità dei mercati così problematica? Che dobbiamo aspettarci un 2013 ancora probabilmente negativo. Noi stimiamo che il Pil del 2013, pur in miglioramento rispetto a quello del 2012, sarà purtroppo negativo, perché l’eredità della pesantezza del 2012 si rifletterà ancora una volta nel 2013. La domanda elettrica, tanto per citare un rapporto molto immediato di consapevolezza di andamento dell’economia, mostra un -2% ad oggi, nonostante l’incremento dei consumi legati all’effetto dell’aumento della temperatura. E’ una dimostrazione che il sistema, soprattutto quello industriale, sta subendo i contraccolpi di alcuni fenomeni importanti. Il primo fenomeno è la caduta molto, molto forte della domanda interna: tutti noi consumiamo meno, consumiamo meno perché abbiamo meno reddito disponibile, consumiamo meno perché abbiamo paura dell’avvenire e, chiaramente intendiamo risparmiare per far fronte alle eventuali crisi successive, consumiamo meno, perché riducendosi il rapporto con il flusso di reddito, si ha da servire un debito, si ha magari un mutuo per la casa o si hanno altri impegni che si sono presi. Tutto questo porta ad una riduzione significativa dei consumi.
Il secondo argomento è che se non c’è una ripresa della domanda, nemmeno a livello internazionale, calano anche la domanda per investimenti e questo purtroppo è un fatto che stiamo verificando. Ci sono alcuni settori industriali che stanno almeno al 60% rispetto al 2009, 60% in meno, il paradosso è che l’occupazione non sembra diminuire molto, non aumenta l’occupazione, ma non diminuisce, per quale motivo? Perché si passa da avere gente impegnata a gente in Cassa Integrazione.
Questo è il quadro. In questo quadro cosa deve succedere per creare una scossa, per creare discontinuità, per rimettere il meccanismo del lavoro e degli investimenti in funzione? Partiamo da un’altra considerazione: questo è un Paese lento, un paese che sta invecchiando, che ha le lentezze legate ad una pesante burocrazia, ad una avversione, molto sentita in molte parti dell’Italia, per gli insediamenti industriali, ad un eccesso di frammentazioni dei poteri che porta a ritardi incredibili, ritardi che in altri Paesi non si potrebbero nemmeno immaginare, nella scelta dell’investimento da fare per un certo tipo di sviluppo. Se uno chiede una autorizzazione per fare un capannone e ci impiega 300 giorni, mentre in Germania ne bastano 60, se deve fare 17 richieste di tipo burocratico per poter costruire un capannone, è evidente che questo fenomeno non si riuscirà mai a risolvere. La vera riforma, che questo governo ha la possibilità di compiere o almeno di iniziare, è quello di sburocratizzare il Paese, di renderlo intelligente, di renderlo leggero, di renderlo, come posso dire, non indifferente alle esigenze di sostenibilità ambientale, di correttezza di funzionamento, di capacità di dialogo con il territorio. Gli industriali chiedono tempi certi per poter provocare una scossa con gli investimenti che sono disponibili e che vengono apparentemente rifiutati. Da chi? Da un sindaco, da un presidente di provincia, da un presidente di regione, che da una parte ti dice “no, in my back yard”, come si dice, “non nel mio giardino”, ma qualche volta ti dice “not in my term of office”, “non quando sono io al comando”, perché mi dai fastidio. Questo è un atteggiamento da sconfiggere in questo momento e per sconfiggerlo, signori, per sconfiggere questo atteggiamento, non c’è bisogno di citare l’ottimo e mai troppo compianto De Gasperi, che diceva che “gli statisti sono quelli che pensano a lungo tempo e i politici quelli che pensano al breve termine”, abbiamo bisogno di fare una semplice considerazione, che in un parlamento che è prevalentemente composto da avvocati, le cose si ingarbugliano. Non per venire meno e fare un affronto alla nobile professione dell’avvocato, ma il problema di questo Paese, essendo lento, essendo frammentato, essendo fatto dai piccoli borghi, piuttosto che dal sentimento nazionale, è evidente che più leggi fai, meno leggi osservi e questo crea una discontinuità che gli industriali avvertono e che dobbiamo in qualche modo curare. Allora, la ricetta è sicuramente avere fiducia, gli industriali hanno il dovere della fiducia, nessuno che fa il nostro mestiere è in grado di poter dire, lascio la fabbrica, non me ne importa più niente, me ne vado da un’altra parte, vendo, chiudo. No, gli industriali stanno ancora qui perché siamo una colonna portante del Paese e continueremo ad essere quelli che investono, quelli che credono, quelli che lavorano, quelli che hanno un rapporto corretto coi propri collaboratori, quelli che cercano di essere un fattore di sviluppo. Io rappresento un’azienda che si chiama Enel e che di questo ne fa una religione e la applica continuamente. Ma non riusciamo ad attrarre investimenti esteri, per quale ragione non riusciamo ad attrarre investimenti esteri? Perché non c’è certezza del diritto, ci vogliono dieci anni per finire una causa, ci sono lungaggini burocratiche, abbiamo esempi di aziende, mi viene in mente l’Ikea, che voleva mettere uno shopping center in uno snodo autostradale e che non è riuscita a farlo, perché non ha avuto il permesso per ragioni ambientali, in uno snodo autostradale. Per non citarvi i problemi che ha l’Enel a fare un investimento produttivo. Ci sono investimenti produttivi che sono stati debitamente autorizzati e che sono stati bloccati da dieci anni, perché c’è un signore che dice: qui non si fa; ma è già fatto, è già autorizzato. Sono queste le cose che dobbiamo sconfiggere e non c’è bisogno di tante chiacchiere, c’e bisogno di impegno politico forte, di coesione sociale che consenta, in un ramo del parlamento o nell’altro, di avere il coraggio di disboscare il sistema legislativo, di togliere leggi, non di farne di nuove.
Perché noi abbiamo 4 o 5 volte di più norme, normative, primarie e secondarie rispetto a paesi come la Francia e la Germania. Ecco una delle ricette che dobbiamo applicare: sburocratizziamo il Paese. Gli industriali sono pronti a ripartire, stanno già facendo la loro parte e la fanno, credo di poterlo dire, con estremo rispetto delle normative, con assoluta consapevolezza del loro impegno, con l’apertura, come è giusto che sia, al dialogo continuo e costante con le forze sociali e solo abbiamo bisogno di avere un quadro certo.
Ultima considerazione, poi lascio la parola agli altri colleghi: noi abbiamo anche l’esigenza di ribilanciare il carico ed il gravame che abbiamo sul costo del lavoro. Oggi come oggi un lavoratore prende 1100,1200,1300 euro e l’azienda paga 3000 euro, c’è un rapporto sproporzionato, perché c’è un carico, un gravame di tipo fiscale, previdenziale, sul costo del lavoro che non ha confronti con il resto del mondo, non ha nemmeno confronti con i nostri competitors. Dobbiamo ribilanciare il carico fiscale a favore dei lavoratori, possibilmente riducendo il costo del lavoro, perché riducendo il costo del lavoro, che è uno dei due ingredienti, oltre agli investimenti produttivi per migliorare la redditività, si può tornare, per le famiglie, ad avere maggiore reddito a disposizione, per le aziende, ad avere un costo complessivo della produzione inferiore e per il sistema paese, ad avere fiducia nel futuro. Grazie per il momento.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie a Fulvio Conti. Raffaele Bonanni a sempre affermato anche con coraggio in controtendenza che i sindacati devono, sì, tutelare i lavoratori, ma devono anche contribuire a creare occupazione, quindi allo sviluppo delle imprese, qual è la responsabilità dei sindacati?

RAFFAELE BONANNI:
La responsabilità del sindacato è sempre stata una grande cosa, una grande risorsa per il Paese nei momenti difficili. In questo momento che è difficilissimo, però, è anche un momento che può essere di svolta, perché è dalle difficoltà e dalle doglie del parto che nasce la vita ed è dalle gravissime difficoltà che nasce una nuova situazione in cui ci possiamo scrollare di dosso tutte le scorie e le resistenze, le ruggini, tutto ciò che si frappone ad una situazione virtuosa. L’Italia si salva se tutti i talenti vengono messi in moto. La straordinaria realtà associativa italiana, sindacale o imprenditoriale che sia, è una risorsa prodigiosa per il Paese se viene messa in moto, se il Paese riacquista fiducia in se stesso e se riesce a trovare interlocuzioni, alleanze per smuovere da cima a fondo questo Paese che è distrutto dal torpore. Sono vent’anni che abbiamo rinunciato ad essere protagonisti della nostra storia, basta con le false illusioni di chi promette che il potere grande che ha lo usa per tutta la comunità, è tutta la comunità intera che deve trovare risposta in se stessa. E per quel che mi riguarda, per quel che riguarda il sindacato, io dirò subito, dico a Conti, ma dico anche al ministro Fornero, che l’accordo interconfederale, che appena l’anno scorso abbiamo sottoscritto, sulla maggiore produttività delle aziende, dove in sostanza l’idea era ed è quella di utilizzare pienamente gli impianti, pienamente gli impianti lavorando sugli orari, per utilizzare pienamente gli impianti, io non capisco perché questo accordo è andato nell’oblio, proprio quando, al di là di ciò che ha detto Monti che io stimo, però devo prendere atto che qui ha dismesso la casacca di tecnico e ha indossato la casacca di un politico che vuole rassicurare i mercati. Però lo sappiamo, i mercati non sono né ciechi, né sordi, vedono e sentono una realtà in sofferenza, quella italiana, in sofferenza per condizioni interne, perché tutti i fattori della produzione sono rovinati, non gestiti da vent’anni. E i Paesi che hanno tirato di più in questi anni, penso ai Brics, alla Cina, all’India, penso al Brasile, penso alla Corea, penso al Giappone, questi Paesi stanno depotenziando la loro spinta, quindi le nostre esportazioni non potranno esprimersi fino in fondo, quindi non sono un vagone utile per appoggiarsi, come si dice ogni volta. Gli stessi Stati Uniti, non mi pare si stiano espandendo e neanche la Germania e il Paese Italia va male, quindi può andare bene solo se ci rendiamo conto che tutto dipende da noi. Possiamo fare miracoli se ricerchiamo miracoli attraverso una forza collettiva, un moto di popolo che si oriento in una direzione e chieda alle forze politiche, istituzionali e sociali di fare qualcosa. Non capisco perché Confindustria non pone il problema di quell’accordo interconfederale, non capisco perché tutto il sindacato non utilizza quella spinta. D’altronde l’unico modo per rafforzare le aziende, Bernhard, lo ripeto, è questo: se vanno bene le aziende andrà bene l’occupazione, se vanno male le aziende, molti lo scordano, è una battuta appunto molto banale, ma molti lo scordano, se vanno male le aziende, noi avremo più disoccupati e i giovani, di cui tutti parlano, non avranno spazio. Quindi è l’utilizzo pieno degli impianti che potrà permettere a noi di creare un clima adatto per lo sviluppo. Io parlo prima delle mie responsabilità. Io spero, caro Conti, che alla ripresa, nei primi giorni di settembre, Confindustria con il Sindacato apra una discussione a tutto tondo su questo aspetto e faccia tutto ciò che possa generare una situazione nuova ed è su questa spinta e da questa credibilità che potranno discendere altre soluzioni. Per esempio penso a quello che stamattina lo stesso Ministro Foriero, che mi è parso aver detto in una trasmissione radiofonica, ed io condivido davvero, tantissimo su questa aspettativa.
Le tasse, le troppe tasse: i tedeschi pagano il 39%, i francesi il 41%, gli spagnoli il 31%, gli Italiani pagano più del 44%, più altri punti di tasse locali. Questo schiaccia i consumi interni, rovina i consumi interni per un Paese manifatturiero come il nostro, secondo solo ai tedeschi. Non ci sarà ripresa nel Paese se non circoleranno soldi, non ci sarà, lo dice ora anche il Fondo Monetario Internazionale, lo dicono eminenti economisti, premi Nobel. Diminuisci le tasse, i prodotti si vendono di più, la macchina economica si rimette in moto e pertanto in questo modo perfino l’erario pubblico più che svantaggiarsene se ne avvantaggia. E’ così banale, ma questa è la sfida. E’ vero che bisogna trovare altre fonti di approvvigionamento per sostenere il debito, ma si può fare in tanti modi. Vendiamo i beni immobiliari dello Stato, lavoriamo fino in fondo contro l’evasione fiscale, riduciamo sprechi ed inefficienze. La spending review che stiamo portando avanti, parliamoci chiaro, è stata intercettata dal ceto politico che non vuol abbandonare i propri campi di governo, altro che servizi ai cittadini: tante tasse e pochi servizi. Questa è la sfida importante, ma l’altra questione, e lo dico a Fornero, ma anche a Conti, è una questione che mi sta qui: l’unico strumento per stimolare la contrattazione aziendale, che serve a trovare i sistemi per rendere più efficiente la produzione, che rende forte l’azienda e più forte il salario per la produttività che porta a una maggiore retribuzione, l’unico strumento, che era quello di far pagare solamente il 10% invece del 30% e più, è stato ridotto a più della metà. Non l’ho detto mai fino adesso, per mesi e mesi e mesi questa storia è stata abbandonata a se stessa. Io stesso ho avuto modo di parlare con Grilli, con Passera e alla fine, dopo tante difficoltà, hanno detto: “Va beh! Ci daremo da fare”. Il risultato è, seppur meglio così che niente, e non si giustificava il niente di prima, è una riduzione a metà. Il Governo, per prima cosa, deve rimettere in piedi questo meccanismo. Lavoratori in carne e ossa che producono, perché ci sono tante aziende che producono bene, hanno dovuto rinunciare a un pezzo del loro salario, ed in questo momento è un delitto, è un delitto sociale ed economico. Quella cosa va ripristinata e poi sulle tasse in generale sono d’accordo con Fornero e l’abbraccerei fortissimamente se prendesse fino in fondo questa missione, perché è interesse dei lavoratori, dei pensionati e degli italiani in generale.
Detto questo, per quel che riguarda le nostre questioni, poi ci sono altre questioni. Infrastrutture. Stiamo male, negli anni Settanta eravamo per pochi chilometri autostradali secondi ai tedeschi, solo per pochi chilometri, con 3100 chilometri, ora stiamo dietro ai francesi e perfino agli spagnoli che, con i loro 12000 km, hanno il doppio dei nostri 6000. Sono trent’anni, quarant’anni che non si progetta nulla, non c’è un aeroporto italiano collegato con l’Alta velocità. Andiamo a vedere a Lione, a Parigi, a Francoforte, a Madrid, in Italia non c’è, 100 aeroporti in Italia, nessun collegamento ferroviario. Andiamo a vedere le metropolitane, non c’è una metropolitana degna di questo nome. Andiamo a vedere il Project Financing: non ci sono i soldi dello stato, ci possono essere i soldi dei privati che investono. Il Regno Unito utilizza per il 50% delle proprie opere il Project Financing. In Italia il 2%, quindi né soldi pubblici, né privati, ma dove andiamo… L’energia, approfitto della presenza di Conti, che è un super esperto di questo: un Paese che fa ricorso solo agli Idrocarburi che costano un sacco di soldi e inquinamento; dove sono andati i finire gli ambientalisti? Dovrebbero gridare tutti i giorni contro questo scempio di una energia che costa l’iradiddio e che ci inquina pure, mentre si fa saltare il rigassificatore di Brindisi, progettato da 10 anni e gli inglesi sono fuggiti. Mi dispiace per una persona che io stimo molto, il Ministro Clini, che l’altro giorno se ne esce su questa vicenda, su questa “via crucis” di Porto Tolle, di una regione molto importante che ha bisogno di energia a basso costo; siamo ancora all’olio combustile che inquina e costa molto, per le sofisticherie di alcuni che hanno fermato per anni, anni e anni l’utilizzazione del carbone pulito, che è l’unica fonte di energia alternativa alla energia nucleare che non vogliamo. Benissimo, non vuoi il nucleare, prendi quell’altra e dice Clini, che io stimo e che chiamerò, appena dopo l’incontro, “Non so se servirà”. Dopo cinque anni che abbiamo perso tempo, per la verità 8 anni, qualcuno mette in giro che l’Enel non è più disposta a fare l’investimento? Ora qui c’è Conti poi può rispondere. L’investimento si deve fare, quell’investimento è importante; come a Fiume Santo, alcuni protesteranno per l’Alcoa che fa alluminio in Sardegna perché è una produzione energivora. Tutti a fare discorsi su questo, però nessuno vuol mettere mano all’altro impianto che va avanti a olio combustibile e invece là c’è bisogno di fare qualcosa col carbone o altra energia che costa poco. Diversamente gli americani andranno via, è inutile dire che gli americani, che hanno guadagnato prima, non andranno via; andranno via, andranno in altri Paesi. E lo stesso riguarda le tasse come dicevo, riguarda le municipalizzate, riguarda le pubbliche amministrazioni. Voglio dire al Governo, che nei prossimi giorni convocherà le banche, che le banche non hanno dato un soldo né a imprese, né a famiglie, comprano a poco con i soldi dei contribuenti della Banca Centrale e rivendono a molto agli stessi Stati che pagano, comprando i Titoli di Stato. Così è in grado anche mio zio di fare il banchiere. Su questi temi Monti farebbe bene a convocare le banche, a convocare le imprese, ma non facesse l’errore di non convocare il sindacato. Ci possono essere anche pezzi di sindacato che non vogliono saperne della responsabilità, ma c’è un pezzo di sindacato, importantissimo e maggioritario del sindacato, che della responsabilità fa il suo punto di forza. Qualcuno, e chiudo, nei giorni addietro – perché io sono d’accordo con Bernhard, l’altro ieri ho apprezzato quello che ha detto – ha detto che siamo vissuti al di sopra delle nostre possibilità e al di sotto delle nostre responsabilità. Parole giuste e sante, ma ecco chi vuol prendersi delle responsabilità. Vedo poteri forti scrivere quello che vogliono, di liberismo e così via. Io rispondo a chi a fatto il furbetto in questi giorni scrivendo, rispondo, e chiudo, come ha fatto De Gasperi nei primi anni del dopoguerra, nel primo Congresso della Democrazia Cristiana: a chi lo trascinava da una parte verso il socialismo e il comunismo, dall’altra parte verso il liberismo, lui ebbe a dire una cosa che mi è rimasta nel cuore: “Noi non siamo né comunisti, né liberisti, siamo solidaristi, perché crediamo nella persona, nella sua vocazione a stare con l’altro, alla relazione, a prendersi la responsabilità e costruire il bene comune”.
Monti ricorra a queste energie se vuol governare l’Italia, giacché è l’unico uomo che ha credibilità in Italia per, oggi e domani, governare l’Italia, fa bene a collegarsi con i corpi intermedi, con la società organizzata. E’ l’unico modo per farcela e far diventare le sue parole ottimiste parole fondate davvero sulla roccia e non solo sul suo desiderio.
Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Ministro Fornero, il suo governo aveva come obiettivo di conciliare rigore e crescita, che da un certo punto di vista è la quadratura del cerchio. Si è impegnato, avete fatto delle riforme, lei, in un modo particolare, ha fatto la riforma delle pensioni, la riforma del lavoro, riforme che hanno costato anche dei sacrifici che questo Paese ha colto bene e questo non è scontato. Volevo chiederle, quanto queste riforme aiutano anche la crescita? Perché senza crescita e solo con il rigore, sappiamo tutti, non siamo neanche in grado di affrontare i problemi più emergenti, in questo Paese.

ELSA MARIA FORNERO:
Grazie! Grazie intanto per questo invito, sono contenta di essere qui oggi in mezzo a voi; è difficile parlare dopo un intervento appassionato come quello di un, posso dire, sindacalista di lungo corso, per un ministro tecnico di breve corso, ma cercherò di farlo con la stessa franchezza, con lo stesso, se possibile, con lo stesso calore, che Bonanni ha usato.
“Crescita e occupazione” sono temi molto complessi ma anche, se posso dire, molto affascinanti. Io di mestiere faccio l’economista. Un’economista premio Nobel americano, Bob Lucas, diceva che quando cominci a pensare alla crescita, è difficile pensare a qualunque altra cosa, nel senso che la crescita è un tema che prende. Ecco, io direi che questo è quello che in un certo senso il Governo deve fare da oggi in poi. Perché dico da oggi in poi, come se in questi otto mesi non fossero stati un lavoro per la crescita? lo dico nel senso che questi otto mesi, almeno nella mia interpretazione, sono i mesi in cui noi abbiamo lavorato alle precondizioni per la crescita. Lo ribadisco, lo ha fatto molte volte, ancora domenica, qui, il Presidente Monti, la prima precondizione era allontanare il Paese dalla crisi finanziaria, una probabilità non remota, una probabilità vicina, e la crisi finanziaria non è un qualcosa di astratto, che tocca gli altri, che tocca le banche per intenderci, è un qualcosa che tocca tutti noi, tutte le famiglie, i giovani come gli anziani. Quindi cercare di arginare la possibilità vicina di una crisi finanziaria è stato il primo compito di questo Governo. Non si può crescere se si è sotto l’incubo di una crisi finanziaria; quella era la prima precondizione per la quale il Governo ha lavorato, ma poi ce ne sono molte altre di precondizioni, nodi, vincoli, lacci e lacciuoli, come li chiamò molti decenni fa, alcuni decenni fa, se non sbaglio, il Governatore Carli, lacci e lacciuoli che stanno nell’assenza di competizione. Il provvedimento sulle liberalizzazioni è qualcosa che va in questa direzione, non abbiamo certo fatto tutto, non abbiamo fatto tutto, ma il provvedimento sulle liberalizzazioni non lo dobbiamo intendere come un qualcosa che viene tolto a qualcuno, ma come nuove opportunità che sono date a tutti e questa è una precondizione per la crescita. L’altro, il decreto sulle semplificazioni: il dott. Conti diceva prima “abbiamo bisogno di una burocrazia diversa” e io condivido, il Governo condivide. Noi sappiamo di avere una burocrazia che sotto molti profili frena l’iniziativa privata, il merito, la dedizione, l’impegno. Non si può crescere con una burocrazia che frena, deve esserci una burocrazia che vigila, controlla seriamente tutto, ma favorisce l’iniziativa, la stimola, la incentiva; questa è, di nuovo, l’operazione di precondizione sulla quale il Governo ha lavorato e sta ancora lavorando. Il decreto, quello della spendig review, della revisione dei meccanismi di spesa: se ci pensate questo decreto di revisione dei meccanismi di spesa, ne abbiamo parlato molte volte, non è solo un provvedimento finalizzato a spendere meno in ambito pubblico, ma è un provvedimento finalizzato a spendere meglio in ambito pubblico, cioè trasformare radicalmente la pelle della pubblica amministrazione in modo che sia, questo sì, al servizio delle famiglie, al servizio delle imprese, al servizio della comunità. Questo è un passaggio culturale molto importante. Fatto questo sulle precondizioni, uno dice “sì va bene, ma allora la ricetta per la crescita qual è?” e qui il compito del Governo, anche perché il nostro tempo è breve, il compito del Governo è quello di instradare il Paese su un sentiero che torni ad essere di crescita. Lo dico perché noi oggi parliamo di crescita, ma guardate, tra le tante illusioni che si possono nutrire e che qualche volta vengono anche propagandate, c’è l’illusione che la decrescita sia un fatto positivo, sia un fatto che fa stare meglio tutti noi. Non è così, noi abbiamo bisogno della crescita, perché dalla crescita viene il lavoro, dalla crescita viene reddito, dalla crescita viene il benessere.
Ma non può essere una crescita qualunque, non una crescita, per esempio, che non sia rispettosa dell’ambiente. Sono certa che Corrado Passera ha molto parlato, perché questo è uno dei suoi temi, della sostenibilità della crescita e tutti usiamo dire crescita sostenibile e ci domandiamo esattamente qual è il contenuto di quell’aggettivo “sostenibile”. Sappiamo che è qualcosa che ha a che vedere con l’ambiente, ma sappiamo anche che è qualcosa che ha a che vedere con la distribuzioni dei redditi, con il contrasto alla povertà, con l’aiuto alle famiglie, alle persone in difficoltà, questa è una crescita sostenibile. La crescita soltanto affidata allo slogan “andate e arricchitevi”, che è un po’ lo slogan che oggi viene usato in Cina, e funziona, perché hanno tassi di crescita, li hanno avuti, anche adesso hanno tassi di crescita molto alti, ma alti rispetto ai nostri, anche se in diminuzione rispetto a quello che la Cina ha realizzato nei 7-8 anni passati. Con tassi di crescita dell’8% e l’imperativo lì era arricchitevi! Lo stato vi dice di arricchirvi. Noi diciamo arricchitevi tutti con il lavoro, con la trasparenza, con il rispetto delle norme, quelle sul lavoro, quelle ambientali, quelle che riguardano, per l’appunto, il vivere comune, il vivere civile, arricchitevi, pagate le tasse e attenzione, per l’appunto, agli elementi di solidarietà che fanno di una convivenza, di un Paese, un paese civile.
Allora questi sono gli elementi e si diceva: ricetta dov’è? Non esiste una ricetta unica per la crescita, non esiste l’economista che va in giro per il mondo con la sua valigetta degli attrezzi, come sarebbe ambizione degli economisti, e arriva in una qualunque parte del mondo e dice “ecco queste sono le ricette che funzionano per la crescita”.
Le ricette vanno adattate, perché si devono inserire nel corpo sociale e quali sono, allora, le ricette per l’Italia? Sono tanti, tanti tasselli. Noi abbiamo ancora bisogno di risparmio, l’Italia è un Paese, per fortuna, che ha un grande debito pubblico, ma come sapete tutti è un Paese dove la gente è attaccata al valore del risparmio, fa fatica, ma è ancora attaccata al valore del risparmio e quindi, non io, non voglio spezzare nessuna lancia in favore del sistema bancario, ma voglio dire che una distruzione del sistema bancario sarebbe anche una distruzione del risparmio delle famiglie, cosa che noi non possiamo permetterci e non vogliamo. Noi vogliamo, e io credo che gli interventi che sono stati fatti sul sistema bancario abbiano soprattutto questa motivazione, salvaguardare il risparmio delle persone, perché la fiducia nel risparmio, nella moneta, è un altro dei pre-requisiti fondamentali perché l’economia possa funzionare bene, dare lavoro, possa crescere.
Dopo il risparmio ci vuole l’investimento. Senza investimento, che rinnova gli impianti, le fabbriche, i luoghi della produzione, che innova i processi produttivi, la governance delle imprese, le modalità organizzative delle imprese stesse, le compartecipazioni ai processi gestionali e decisionali dell’impresa, senza rinnovazione, difficilmente c’è crescita, in particolare della produttività. Allora abbiamo bisogno di investimento, ho detto, in capitale fisico, investimento in innovazione, ma abbiamo bisogno, in questo Paese, tantissimo, di investimento in capitale umano. L’investimento in capitale umano è soprattutto investimento nei giovani, perché sono i giovani portatori del grande capitale umano che può essere messo esattamente a frutto per la crescita del Paese. Qui dobbiamo fare, probabilmente tutti, io vengo dal mondo universitario, l’Università può fare molti mea culpa, ma tutti possiamo farli, abbiamo troppo poco guardato alle difficoltà di incontro tra l’offerta di capitale umano e la domanda, le nostre imprese si lamentano del fatto che i nostri giovani non sono preparati, però i nostri giovani, quando vanno all’estero, sono considerati molto preparati. Qui c’è una difficoltà di incontro su cui dobbiamo interrogarci: i nostri giovani preparati, quando trovano occupazione, e quelli preparati la trovano, penso agli ingegneri, però la trovano, qualche volta ad un livello sia di competenze e responsabilità sia di retribuzione che non rispecchia tutta la loro preparazione.
In un certo senso noi li mortifichiamo e questo è qualcosa che è uno spreco, dal punto di vista, di nuovo, di una società che vuole crescere. Allora noi dobbiamo fare investimento in capitale umano, che vuol dire essere molto più attenti ai percorsi formativi, anche di professionalità artigianali, di professionalità che abbiamo dimenticato, che abbiamo abbandonato, che abbiamo forse anche un po’ mortificato. Poi c’è un grande capitale umano che, un Paese che vuole crescere, non può permettersi di sprecare e questo sono le donne, e noi stiamo sprecando generazioni di donne. Voi direte, lei è ministro, le pari opportunità, si!, è vero, io sto, stiamo cercando, ma lo dobbiamo fare tutti insieme, dobbiamo vincere resistenze, perché il capitale umano delle donne non vada disperso, e sapete cosa vi dico, che qui c’è una associazione fortissima con i requisiti della crescita. Una crescita si deve basare sul pieno riconoscimento del merito, non di parentele, non di ambienti che si frequentano, non di collegamenti: deve essere il merito.
E allora, ricordate che è proprio il non riconoscimento del merito che penalizza le donne ed è il non riconoscimento del merito che penalizza la crescita. Alla base, in molti settori, oggi, abbiamo più o meno distribuiti, in modo paritetico, uomini e donne. Sali ai vertici e le donne scompaiono, il famoso soffitto di cristallo: è che gli uomini sono, meglio delle donne, in grado di comandare, di avere posti di responsabilità, di gestire, voi lo credete?, Io no! E allora queste sono le cose che dobbiamo rimuovere, questo fa parte dell’investimento in capitale umano. Sono molti i fattori che vanno rimossi. C’è un’altra cosa che tocca la crescita e lo voglio dire, perché io credo che l’Italia sia unica. Noi siamo a Rimini, ma noi non possiamo dimenticarci del mezzogiorno, il Paese non può crescere se alimenta i divari, anche territoriali. Nei decenni passati, quello che sembrava un processo di convergenza tra il nord e il sud del Paese, si è invece perso ed è tornato ad essere un processo di divergenza. Il sud, pur con delle isole felici, il sud ha ampliato le distanze e di nuovo la domanda è: può crescere un Paese che spreca una parte del suo territorio? Che consegna larghe parti o lascia larghe parti del suo territorio alla malavita organizzata? No! Un Paese così non può crescere tutto unito. Allora un altro dei requisiti è il mezzogiorno, noi dobbiamo fare in modo che il mezzogiorno si riagganci con il resto nelle cose che ho detto prima, che sono: la formazione, che sono il lavoro, che sono un ambiente favorevole all’impresa, che sono il rispetto della legalità. Queste cose possono fare in modo che il sud riagganci il resto del Paese e che il Paese possa crescere.
Voi direte, sì questo è un programma di medio termine, se non di lungo termine. E’ vero! Infatti noi non abbiamo mai pensato di risolvere tutto in questi mesi di Governo, ma instradare il Paese verso questo sentiero di crescita è esattamente il compito che questo Governo si è proposto e io credo che un pochino lo abbiamo fatto e credo che con l’aiuto di tutti, potremmo, una volta instradati, accelerare il passo e magari scommettere che l’anno prossimo non saremo ad uno 0 di crescita, partendo quest’anno da un elemento negativo, ma saremo ad un +. A questo + noi dobbiamo mirare tutti insieme. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie Ministro. Come ho detto all’inizio, in un secondo turno – che sarà più sintetico per problemi di tempo, perché evidentemente i temi sono molto importanti e ampi – parleremo di occupazione. Io mi permetto solo di dare un suggerimento, di concentrarci un attimo sull’occupazione giovanile, di come aprire le imprese, i mercati, all’ingresso dei giovani.
Perché questo è il tema preponderante su tutti. L’avete detto tutti e tre, perciò c’è una consonanza fondamentale. Io mi permetto solo di suggerire tre temi in modo particolare:
il primo, l’apprendistato, che è la via maestra per introdurre un giovane nel mondo del lavoro, in modo che abbia un bagaglio serio di competenze e di conoscenze, come possiamo fare affinché l’apprendistato venga agevolato;
secondo, formazione professionale, dispersione scolastica, in Italia è la più alta in Europa, cosa possiamo fare per sconfiggerla;
e poi un cenno sulla questione delle politiche attive, perché le riforme che sono state fatte riguardano tanti aspetti, ma è rimasta ancora aperta la questione delle politiche attive, cioè della riqualificazione del lavoro.
Cominciamo con le imprese.

FULVIO CONTI:
Grazie ancora Bernhard. Un breve riassunto di quello che abbiamo ascoltato porterebbe a dire che noi abbiamo in questo momento l’occasione di ricreare un progetto-paese. Se ci uniamo, come stiamo cercando di indicare noi tre dal palco, la politica intesa come governo, il sindacato inteso come parte sociale, l’industria, come quelli che mettono i meccanismi di investimento in marcia, abbiamo l’opportunità di fare un progetto-paese e qui, con la ministra Fornero, non discuterei di lungo termine o di breve termine, piuttosto penso che questo Governo, che sta operando bene, dobbiamo dirlo con franchezza, di tutto e di più per rilanciare il nostro paese, sia un governo di discontinuità, rispetto a certe liturgie del passato e che possa creare, anche nel breve termine che ha a diposizione, le condizioni per cui ci sia una nuova norma, ci sia un nuovo sistema che sia virtuoso e che sia capace di produrre effetti positivi, in tutti i campi. Questo credo che sia il compito che, secondo me, questo Governo ha, e anche come possibilità. Cchiaramente, la sburocratizzazione, intesa in senso lato, vuol dire una riforma dello stato, vuole dire una riforma dei sistemi dello Stato, vuol dire fare ordine fra le varie competenze che vengono disperse tra il governo centrale e i governi locali, tra le regioni, le province, i comuni. Se ne parla tanto, non si riesce a fare chiarezza, io ci metto anche la ri-riforma del titolo V della Costituzione, non dimentichiamolo, perché quello ha sostanzialmente dato l’alibi a qualsiasi amministrazione per bloccare gli investimenti delle infrastrutture. Quindi sburocratizzazione, rilancio dell’industria manifatturiera, per carità, anche la definizione puntuale di un sistema finanziario di supporto, il governo sta facendo alcune cose e il project bond di cui si è parlato, è uno schema che può funzionare, l’importante che sia reso poi disponibile attraverso i provvedimenti che i ministeri devono attivare. Questo è un problema ulteriore, perché noi facciamo delle ottime leggi, poi non riusciamo mai a implementarle, perché manca un dispositivo attuativo, perché manca un regolamento, perché manca una circolare del ministero e perché magari, molto spesso, non riusciamo a finanziarle.
Allora, sinergia di collaborazione tra imprese, istituzioni e forze sociali è quello di cui abbiamo bisogno, non è una ricetta magica ma è una condizione assolutamente necessaria per risolvere il problema. E vengo al tema dell’occupazione, vengo al tema della formazione, vengo al tema delle politiche attive. Parlo non soltanto come Confindustria, io parlo come responsabile di un gruppo che si chiama Enel, che dà, ogni anno, lavoro a 38mila persone dirette e probabilmente ad altrettante, se non di più, indirette, che assume mediamente ogni anno 2mila giovani, che per ogni anno è costretto a fare 3milioni e 800mila ore di formazione, spendiamo solo in formazione 27milioni di euro. Lo facciamo volentieri, per allineare una formazione scolastica, anche ai livelli ingegneristici, molto radicata sulla parte, diciamo così, teorica, ma assolutamente assente per quanto riguarda l’attività pratica. Un ingegnere che esce fuori bene da un Politecnico, è un ottimo ingegnere, ma non sa niente di industria, non sa niente di come funziona un sistema, perché non lo ha mai visto. C’è un sistema, in qualche modo, dislocato. So che il Ministro Profumo se ne sta interessando, per poter migliorare questa fruibilità, ma nel frattempo cosa fanno le aziende? Cito il caso dell’Enel: non solo facciamo questo milione di ore di formazione per rendere possibili queste integrazioni immediate, ma stabiliamo anche dei percorsi attraverso i quali, la chiamiamo EnelLab, laboratorio Enel, diamo dei sussidi, degli incentivi e mettiamo dentro l’azienda giovani che hanno, non soltanto il pallino della tecnica, ma anche l’imprenditorialità per far diventare queste loro idee, fatti concreti. Lo chiamiamo EnelLab, gli diamo delle disponibilità finanziarie importanti, perché all’interno dell’azienda loro riescano a costruire, da una loro idea, da una loro tecnologia, da una loro appassionata partecipazione, uno sviluppo per se stessi, probabilmente anche uno sviluppo per tanti altri giovani.
Guardate, se altre aziende seguissero il nostro esempio, riusciremmo a colmare questo divario tra il criterio di formazione teorico, ottimo dei Politecnici, rispetto a quelle che sono le esigenze reali del Paese.
Ma c’è un altro aspetto che mi sembra importante sottolineare: noi indirizziamo i nostri giovani verso studi – e, guardate che non studiano tantissimo, studiano come gli altri, non è che studiamo di più o di meno, studiano mediamente come studiano i francesi e i tedeschi – verso le cose che stanno, probabilmente nell’immaginario collettivo, più in alto nei loro interessi. Abbiamo un eccesso di comunicatori, un eccesso di professori in lettere, un eccesso di scienze-umanistiche e abbiamo un difetto di tecnologia, a tutti i livelli. Non soltanto abbiamo bisogno di più ingegneri, di più fisici, di più matematici, noi abbiamo anche bisogno di scuole di formazione professionale, perché vi assicuro, se ci fosse un buon tornitore, questo signore non sarebbe mai disoccupato. Pensate, hanno fatto un bando di concorso per fare 700 panettieri, al comune di Milano: si sono presentati solo 1 italiano e 699 immigrati, clandestini o meno. Abbiamo perso il gusto della professione. In qualche modo, vogliamo tutti essere qualcosa di diverso, e in questo le famiglie hanno una grande responsabilità. Tutti gradiremmo avere un figlio cronista o velina, piuttosto che tornitore o fornaio. Io penso che sia più corretto immaginare che questa persona contribuisca a se stesso mettendosi in gioco, e vi assicuro che io l’ho fatto, per pagarmi gli studi ho fatto il fornaio, ma ho approfittato di questo, quando ero ragazzo, per imparare auattro lingue straniere. Fatelo anche voi giovani che siete in questa sala, mettetevi in gioco, siate imprenditori di voi stessi, avete il capitale umano per poterlo fare, non dipendete soltanto da qualcuno, dipendete da voi.
Dico questo con cognizione di causa, perché noi cerchiamo di incentivare questo tipo di formazione: avete idee? Venite a trovarci, riusciremo ad ospitarvi.
Punto fondamentale è quello delle donne. Certamente sono d’accordo, Ministro, l’altra metà del cielo è sempre più ricca ed è un fatto vero, tra i giovani ingegneri o giovani fisici o giovani contabili che vengono assunti all’Enel, notiamo con grande piacere che la componente femminile è sempre più preparata, è sempre più agguerrita, sempre più ambiziosa, sempre più motivata a far bene. Ben venga. Fate di più, non c’è nessun limite, non c’è nessuna quota rosa che vi potrà fermare, venite, venite.
Terzo tema importante è l’innovazione. Noi abbiamo un problema serissimo in questo Paese, legato anche a quello che dicevo poco fa sulla formazione universitaria e anche alla dispersione assurda, a pioggia, molto spesso probabilmente anche per ragioni bassamente politiche: incentivare la ricerca.
Noi abbiamo un terzo dei brevetti rispetto a Paesi come Francia e Germania, perché non riusciamo a trovare, cerchiamo molto, con dispersione assurda di finanziamenti, ma non all’industria, all’industria danno su 33miliardi, 3miliardi e, attenzione, 3miliardi su 33, il resto va disperso. Ecco il bisogno di un Governo che in qualche modi ri-orienti le spese per la ricerca e sviluppo, perché l’innovazione è uno dei temi fondamentali per ritornare a crescere in questo Paese. Noi siamo stati in grado, in questo Paese, noi siamo stati in grado di innovare in molte cose, ma non possiamo continuare a vivere di moda e di cibo o delle 3F come dicono gli inglesi, Food-Fashion-Football, non funziona così, funziona se riusciamo a produrre cose in competizione con i cinesi, con i brasiliani, ed esportarle in est Europa e in sud America o perfino in Germania e in Francia. E’ questo che darà occupazione stabile e permanente. Ma per farlo, abbiamo bisogno di fornire prodotti nuovi, di essere competitivi, di essere maggiormente produttivi.
E su questo, ancora una volta, la forza della coesione e delle politiche di lungo periodo, che questo governo ha lo spazio per poter incominciare ad attivare, diventa fondamentale. Noi sull’apprendistato lavoriamo evidentemente, io avrei preferito che si mantenessero anche i contratti di inserimento, perché l’apprendistato non va bene per un ingegnere, il contratto di inserimento sì, non vedo ragione perché dobbiamo pagare costi per questo.
Questa è una piccola polemica su quello che potrebbero essere dei miglioramenti da fare per la riforma del mercato del lavoro, ma il Ministro qui, credo sia molto più informato su questo.
L’industria lavora con le leggi che ha, non può fare diversamente, siamo ben felici di poterlo fare, ma abbiamo bisogno di altro come ricerca, abbiamo bisogno che ci sia una coesione dal punto di vista politico e amministrativo, perché gli investimenti possano essere effettivamente dispiegati. Quello che diceva l’amico Bonanni è perfettamente vero, non si possono aspettare 10 anni per avere un sì o un no, non si possono bloccare investimenti che sono assolutamente coerenti con le leggi dello Stato, non si può accusare un impianto – e non entro in polemica con Taranto, sto parlando di altri impianti – di inquinare quando non inquina, quando si può comprovare che è al di sotto del limite di emissione di qualsiasi legge dello Stato, per ragioni elettorali, per ragioni politiche, per ragioni anche banalmente amministrative locali. Non possiamo immaginare che una impresa internazionale venga ad investire nel nostro Paese, creando ricchezza, quando può farlo più facilmente in altri Paesi, dove viene ben accolta e non ha il gravame fiscale che ha da noi, non ha il gravame burocratico amministrativo che ha da noi, dove i tempi di percorrenza dei processi di autorizzazione sono umani e se dovesse avere un problema giudiziario non deve aspettare 10 o 15 anni per averlo risolto, perché ci sono quattro livelli di politiche amministrative e giurisdizioni amministrative da seguire.
La politica industriale non la fa il TAR di Lombardia e il TAR del Lazio. Non possiamo lasciare queste cose in mano a dei giudici, ma questo è quello che avviene, ecco dove dobbiamo riformare noi stessi e lo Stato.
Credo che ci sia spazio perché, anche nel breve termine di questo Governo, queste politiche possano effettivamente esser messe in cantiere e chiunque verrà dopo, qualsiasi sia la scelta elettorale che noi faremo, dovrà necessariamente continuare con la bandiera dell’efficienza, della serietà, della trasparenza, che questo Paese merita. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie a Fulvio Conti, la parola a Raffaele Bonanni.

RAFFAELE BONANNI:
Sulla vicenda dei giovani, ne parlano tutti, però insisto: senza una buona economia i giovani non hanno prospettive e noi dobbiamo concentrarci sulla buona economia se vogliamo bene al Paese e vogliamo davvero dare una chance ai giovani. Poi lavorare sulle loro competenze, sulle grandi competenze dei giovani, non importa se hanno una cultura – anzi è importante – umanistica, che si dedichino alla cultura umanistica, perché una mente aperta, poi, può ospitare, stimolare l’attitudine, avere anche delle informazioni, delle cognizioni di natura tecnica. Anzi, è proverbiale il fatto che chi ha una cultura umanistica può superare di gran lunga una cultura verticale, che prepara le persone solamente per un ramo e poi magari non capisce niente per il resto. Però il problema è che dopo che tu ottieni una cultura umanistica, ci deve essere un qualcosa che ti specializzi in qualcosa, che tu possa usare la tua apertura mentale e la tua preparazione generale per meglio raccogliere. A quel punto la pioggia penetra, non trova l’argilla, trova un terreno molto accogliente; questo è molto importante. Altra questione importante riguarda il collegamento tra scuola e lavoro, che non c’è. Ora, per la verità, negli ultimi tempi, grazie anche alla nostra spinta, abbiamo abolito quella vergogna che faceva usare i tirocinii e gli stage non prima di prendere un diploma tecnico o prima di esaurire un corso universitario, ma dopo; e non si è fatto nulla per prima. E invece è importante che almeno un diplomando di materie tecniche abbia la possibilità, d’estate, di fare un’esperienza di lavoro, per familiarizzare col lavoro, per dare più consapevolezza alla sua vocazione, e lo stesso, ancora di più, riguarda le persone che fanno corsi universitari. Lo ricordo a tutti: il 40% dei ragazzi tedeschi lavorano mentre c’è il corso universitario, soprattutto d’estate, negli Stati Uniti anche; in Italia sì e no è il 2-3% delle persone e questo è un male, non aiuta i giovani; non aiuta i giovani, lo dico con molta forza, il comportamento di molte famiglie: più che caricarli di responsabilità, li sgravano di responsabilità, e non fa bene neanche questa discussione interminabile sulla disoccupazione dei giovani. Quando mi parlano di tutti questi milioni di disoccupati giovani, è bene che si sappia – a me piace andare contro tendenza – che si parla di ragazzi dai 14 ai 24 anni. Ditemi voi, quanti ragazzi italiani, qual è la percentuale, che vanno a lavorare, purtroppo, prima del compimento di 22, 23, 24 anni? Certo che ci sono molti disoccupati giovani nel Meridione, dove l’attività economica è pressoché zero. E poi c’è l’altro fenomeno di ragazzi nel centro Italia, nel nord Italia, che non riescono a incontrare immediatamente un lavoro che soddisfi e anche una stabilità, che non è un peccato, anzi, chi ha stabilità può programmare meglio la sua vita. Naturalmente deve sudarsela la stabilità, ma serve a garantire la propria condizione di vita. Queste questioni devono essere con più semplicità sviscerate e discusse, altrimenti noi stiamo creando un clima inadatto per mettere in tensione persone giovani che, grazie a Dio, a quell’età, istintivamente vogliono costruire una propria esperienza con molta forza. Quindi basta con questi luoghi comuni. Anche il discorso che i giovani se ne vanno all’estero: magari che se ne andassero moltissimi all’estero a fare un’esperienza e poi tornare in Italia! Come esperienze importanti, credo che sia, questa, fondamentale. Però bisogna dare anche delle spinte, se vogliamo trovare qualche posto in più per i giovani. Io provo a fare qualche proposta. Faccio la solita proposta, perché si è fatto in passato e ha funzionato: dare un credito d’imposta alle imprese che assumono giovani. Dici: “E’ banale”. Sì, però se vuoi dare un privilegio a realtà neglette, come sono giovani e donne, benissimo, a quel punto tu carichi di più su di loro, giacché il mercato del lavoro è povero di donne, è vero, non dell’attitudine al comando, perché sono senz’altro convinto che le donne hanno più attitudine al comando, basta guardare lei e si vede che ha l’attitudine forte al comando. Quindi credo che sui giovani dobbiamo dare qualche chance in più; non è buttare i soldi dalla finestra, dare qualche credito d’imposta per i giovani. Se vogliamo fare qualcosa in più, non molto, ciò potrà derivare solo da un’economia più forte, su cui dobbiamo lavorare. Dell’altra questione, ne parlavo con il mio collega della Lombardia e con l’assessore. In Lombardia c’era una vecchia proposta della CISL. Parlando prima della riforma del lavoro, io insistevo moltissimo su un aspetto, e cioè, sul fatto che noi abbiamo alzato moltissimo l’età di uscita dal lavoro. La questione, io sono franco e sincero, a me non ha turbato mai più di tanto, perché per me il problema non è mai stato l’innalzamento delle uscite, non è mai stato questo, per cui sbaglia chi scrive e fa di ogni erba un fascio: lo fanno apposta, alcuni secondo me fanno i furbi. La CISL non è stata mai contro questo. La CISL ne ha fatto sempre una questione sulla differenza che bisogna fare tra persone e persone. L’altra mattina ho incontrato una maestra dell’asilo che mi ha detto: “Bravo Bonanni, tu sei stato l’unico che ci ha difeso”. Infatti io usavo sempre l’argomento che le maestre di asilo, a 61 anni, fanno fatica ad aver a cha fare con venti bambini piccoli: sanno avere molto amore, perché hanno grande esperienza, però le forze cominciano a scemare. La differenza tra persone e persone. Dicevo, tempo addietro, al Ministro Fornero: perché alzando l’età e facendo la differenza, non permettiamo ad alcuni di atterrare meglio verso l’acquiescenza, garantendo loro, per esempio, un part-time che alleggerisca il proprio carico? E magari lo Stato o comunque anche i pubblici possono compensare quelle ore in meno che si fanno attraverso i contributi figurativi. D’altronde, con la riforma pesantissima che abbiamo subito, con un qualcosa come ben 14 miliardi in dieci anni che si risparmiano sulla previdenza, qualche buona opera sociale si può fare. Parlavo con l’Assessore della Lombardia: e se per esempio ci fosse qualcuno, non solo lo Stato, ma anche una regione – mi sembrava molto favorevole, anzi mi sembrava avesse la stessa opinione, anzi mi sembrava avesse un’opinione molto forte su questo – e se qualcuno ci mettesse quei contributi figurativi pur di ottenere, al fianco di un part-time, un inserimento nuovo di un giovane nell’azienda, quasi addirittura un tutoraggio da affidare all’esperto nei confronti del giovane che entra nel lavoro? Noi facciamo una cosa di un importante segno. Credo che possa essere una proposta importante. L’ultima cosa che voglio dire riguarda altre questioni. Io sono rimasto molto contento dalla mia presenza qui al Meeting, io che non sono notoriamente un uomo di potere, ma rappresento, al di là dei miei meriti, le persone più umili, ho ricevuto un’accoglienza straordinaria e di questo vi ringrazio. Nel nostro ambiente non si usa né fischiare, né recriminare, né insultare, e di questo bisogna essere orgogliosissimi, perché siamo sinceramente democratici ed educati al pluralismo. I cattolici in Italia sono uniti e lo devono essere ancora di più in momenti come questi, non per avere più potere, ma per un impegno maggiore, gratuito. La nostra aspirazione, spero che sia io sintonizzato con i vostri sentimenti, la nostra aspirazione, come diceva Sant’Agostino, è di essere i primi cittadini, coloro che con la propria testimonianza e con il proprio esempio sono in grado di essere il lievito della comunità in cui crediamo. Ecco perché dobbiamo essere più uniti e non dare mai pretesti, mai, a realtà che oggi vedono – e sbagliano – nel mondo cattolico un errore, un pericolo, perché chiaro, essendo solidaristi, siamo per un rapporto di trasparenza e la trasparenza nel nostro Paese, nel mondo, oggi, fa paura, perché ci sono poteri forti che vogliono assumere la responsabilità senza rendere conto a nessuno. Quindi l’impegno di ciascuno di noi, come chiede Papa Benedetto, è fondamentale per dare una smossa forte al nostro Paese, che si salva attraverso l’impegno di ciascuno. E noi, tra coloro che si impegnano, dobbiamo essere, per esempio di testimonianza, i primi cittadini. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Grazie a Raffaele Bonanni. A lei, Ministro, la parola.

ELSA MARIA FORNERO:
Io torno su cose che riguardano le prospettive dei giovani, che erano al centro della domanda del nostro moderatore. Parto con qualcosa che sembra lontano dai giovani, ma che io voglio rappresentare esattamente come restituzione di prospettive ai giovani, e cioè la riforma pensionistica. La riforma pensionistica, è stato detto molte volte, è una riforma dura, però la si può leggere, e vorrei lasciare questo come elemento per le vostre riflessioni, la si può leggere come la più importante operazione di ribilanciamento nei rapporti tra le generazioni che questo Paese abbia fatto negli ultimi decenni. Questo è quando si dice, si è detto per molto tempo, meno ai padri e più ai figli si diceva, ma poi si cercava sempre di difendere strenuamente i padri e si dimenticavano i figli o le figlie. Questa operazione, che ha tolto un’importante fetta di debito pensionistico dalle spalle delle giovani generazioni, restituisce loro una prospettiva. È una precondizione: di per sé non crea ricchezza, ma alleggerisce il fardello lasciato alle giovani generazioni da politiche non lungimiranti del passato. Se uno interpreta la riforma delle pensioni in questo ambito, è facile poi sedersi intorno ad un tavolo e dire: ci sono dei problemi che sono emersi? Certo che ce ne sono, tutte le volte che bisogna prendere una decisione in modo subitaneo, non dimenticate quello di cui ho parlato prima, cioè la crisi finanziaria incombente. Allora le decisioni subitanee possono creare dei problemi, ma se uno interpreta la riforma con l’ottica che ho usato prima, cioè la restituzione di prospettive ai giovani, i problemi con la buona volontà di tutti si risolvono. Si risolvono anche cercando di creare un mercato del lavoro che non considera le persone con più di 50 anni perse per il mercato del lavoro. E questa è l’altra grande frattura che dobbiamo sanare: non si può pensare che una persona che abbia poco più di 50 anni in questo Paese debba sempre e necessariamente scivolare verso la pensione. Noi dobbiamo pensare in termini di lavoro anche per gli anziani, lo voglio dire con molta chiarezza, distinguendo. Io non sono così rozza come qualche volta vengo dipinta e quindi so che esistono delle professioni, come la mia, dove le persone sono gratificate dal lavoro – parlo non della professione di Ministro, parlo del professore universitario – sono gratificate dal lavoro e quindi vogliono continuare. E so che ci sono professioni faticose, pesanti, alle quali occorre dare un giusto riconoscimento. Ma queste cose si risolvono con la buona volontà e con il buonsenso, ma non si può continuare, come si faceva prima, centellinando, perché, vi lascio solo questo, in giro per il mondo, in Europa, non credevano che noi avessimo già fatto delle riforme pensionistiche, perché come disse una volta D’Alema, non l’ho detto io, “fare una riforma pensionistica e applicarla dal 2030, sono capaci tutti”. Noi dobbiamo applicarla da subito perché è oggi che ci sono i problemi, è da oggi che i giovani vanno aiutati. Questa è la prima considerazione che voglio lasciare sui giovani. La seconda riguarda il mercato del lavoro: ci hanno accusato di aver immesso delle rigidità nell’entrata nel mondo del lavoro. Forse è vero, ma chi ci accusa dimentica che una delle più gravi piaghe del nostro Paese è il precariato dei giovani, è la condizione di precarietà nella quale il lavoro dei giovani e delle donne, quando c’è, si svolge. Allora la nostra motivazione non era quella di cancellare delle flessibilità, era quella di mettere freni al precariato. È la precarietà che è un male, mentre la flessibilità è un bene. Quindi questa operazione fatta sui contratti va vista non come una sottrazione di flessibilità alle imprese, perché non l’abbiamo fatto, ma come un tentativo di ricondurre quella flessibilità entro canali fisiologici, e non di condannare i giovani ad uno stato di precariato, che dura magari 20 anni e che impedisce ai giovani qualunque prospettiva di formazione di una famiglia. Questo è il motivo per cui noi abbiamo cercato di distinguere tra buona flessibilità e cattiva precarietà. Abbiamo messo al centro della riforma del mercato del lavoro due cose che sono di nuovo destinate ai giovani: il primo è l’apprendistato. Dico solo una cosa: il presidente Monti parla spesso di cambiamenti nei comportamenti, negli atteggiamenti. E qui c’è un esempio importantissimo, l’apprendistato. Io ho molti amici economisti che mi dicono “Elsa, è persa in partenza quella scommessa”, io sono ostinata e non ci credo. Sapete perché l’apprendistato finora da noi non ha funzionato? Perché veniva usato in larga misura come un espediente per pagare meno, per ridurre il costo del lavoro, e non come un mezzo per insegnare un mestiere, delle competenze a dei giovani. Noi dobbiamo ribaltare la logica: l’apprendistato è il mezzo affinché i nostri giovani passino da una cultura più accademica o più scolastica, più astratta, a una conoscenza che si adatti alle richieste, alle esigenze delle imprese. Questa è una funzione sociale importantissima. Per fare questo lo stato riconosce una decontribuzione sull’apprendistato. Però vuole anche che poi l’impresa, che investe con l’apprendistato sul giovane lavoratore, ne stabilizzi almeno una parte. Quindi l’idea è: io riconosco che tu abbia questo contributo, questo incentivo, però poi qualche apprendista lo devi confermare, lo devi mantenere, lo devi stabilizzare. Altrimenti se vanno a rotazione, è un investimento perso, che non aiuta la crescita. Questo è un elemento importantissimo. Su questo, il lavoro che noi dobbiamo fare con le regioni è importantissimo, perché loro hanno la competenza. Noi qui dobbiamo toglierci tante parole di bocca e far funzionare questo strumento. Quando io parlo, me lo avete sentito dire tante volte, di “monitoraggio del mercato del lavoro”, di come funziona, voglio dire proprio questo. Ci mettiamo lì e stabiliamo come far funzionare l’apprendistato, poi vediamo veramente se, quando e dove funziona. Certo che un apprendistato fatto di finti corsi e finti tutoraggi non funziona per definizione. Deve essere un apprendistato vero, e dobbiamo controllare, monitorare che funzioni. Perché questo è ciò che dà ai giovani una prospettiva. E c’è un’altra cosa: mentre dà una prospettiva ai giovani, li dota anche degli strumenti per quell’altra cosa di cui tutti parliamo, che è la produttività del lavoro. È essenziale alle imprese la produttività, perché lavoratori poco produttivi fanno imprese poco competitive. Allora noi dobbiamo associare il sapere, il capitale umano dei lavoratori, alla produttività delle imprese, alla competitività, alla loro capacità di innovare. In questo senso l’apprendistato è fondamentale. Ma io vi ho parlato di due elementi. Uno è l’apprendistato, l’altro è, per i lavoratori dipendenti, il contratto a tempo indeterminato. Noi non possiamo continuare con una successione di contratti a tempo determinato, di lavori a chiamata, a progetto, di lavori di questo tipo. Una persona che abbia 25-26 anni, dopo che ha fatto un contratto di lavoro a tempo determinato, è normale che sia assunto e che sia assunto a tempo indeterminato. Qui, è vero, noi non diciamo che questa posizione deve essere a vita, perché oggi, questo, il mercato non ce lo concede più. Diciamo che ci sono anche delle ragioni per le quali un rapporto di lavoro a tempo indeterminato si può interrompere, senza che il giudice ordini la reintegrazione nel posto di lavoro. Questo lo abbiamo detto nella riforma! Questo è un concetto fondamentale che deve passare nella mente dei lavoratori, dei sindacati, dei datori di lavoro. Ma per un buon uso, non per un uso cattivo. Non è libertà di licenziamento, non abbiamo voluto dare libertà di licenziamento, abbiamo voluto riconoscere le ragioni dell’impresa. Perché solo un’impresa produttiva fa lavoro. Questo, di nuovo, è qualcosa che va nella direzione dei giovani. Chiudo dicendo che c’è una parte della riforma del lavoro che non viene mai citata, però è importante: è la riforma degli ammortizzatori sociali. Guardate che questa riforma, tra l’altro da 15 anni il parlamento cercava di attuare una riforma degli ammortizzatori sociali, l’abbiamo dovuta realizzare con poche risorse, ma è di nuovo una riforma che va nella direzione dei giovani. Perché estende gli ammortizzatori, limita la durata degli ammortizzatori, come la mobilità. Il concetto era: “Vai in cassa integrazione ordinaria, poi straordinaria, poi vai in mobilità e poi ti mandiamo in pensione”. 10-12 anni di non-lavoro, di assistenza pubblica, che è anche umiliante per una persona, lo vogliamo dire, magari è costretta ad un lavoro in nero. Noi invece vogliamo mettere l’occupabilità delle persone al centro, e quindi gli ammortizzatori sociali sono legati all’occupazione. E’ di nuovo, questo, il tema delle politiche attive, non passive (ti diamo qualcosa con cui sopravvivere, se poi lavori in nero chiudiamo un occhio.. no, non è così!), noi vogliamo che tu, se sei disoccupato, sia assistito, non solo monetariamente, sia assistito nella ricerca di una nuova occupazione, con formazione vera, riqualificazione vera, reddito vero. Questo è un altro cambiamento importante della riforma che, secondo me, è stato sottovalutato. E abbiamo anche un mini ASPI per i giovani che non hanno alle spalle anni di retribuzione. Queste sono le cose che noi abbiamo fatto per i giovani, e io credo sia giusto che le rivendichiamo e che cerchiamo di convincere che queste norme, che potrebbero restare nel cassetto, possano vivere nella società e trasformarsi in risultati positivi. Bonanni mi ha chiesto, e c’è una cosa che voglio dire sulla decontribuzione, cioè sul fatto di ridurre il cuneo fiscale. Qui dobbiamo sempre stare coi piedi per terra, perché noi ci siamo allontanati dal baratro della crisi finanziaria, ma il debito è ancora molto elevato. Noi non possiamo semplicemente abbattere il cuneo fiscale per tutti i lavoratori, credo che non sia possibile. Però potremmo fare cose che chiamiamo “sperimentazioni intelligenti”: per esempio, la anticipo qui, poi bisognerà pensarci, l’idea di una recontribuzione, di una riduzione della contribuzione per quelle imprese che fanno quello che si chiama il “bilancio del capitale umano”. Noi adesso siamo abituati al bilancio sociale, al bilancio della sostenibilità. Dobbiamo abituarci a che le imprese che fanno formazione, che si occupano e preoccupano dei loro lavoratori, lo dimostrino; che le imprese non facciano discriminazione, per esempio nei riguardi delle donne, o discriminazione razziale, o sessuale. Noi dobbiamo preoccuparci anche di questo, e quindi le imprese che valorizzano il capitale umano potrebbero avere una sorta di riconoscimento sotto forma di una riduzione del cuneo fiscale contributivo. È un’idea, bisognerà studiarla, ma su queste idee bisognerà studiare. Finisco con una cosa, che lascio a Bonanni, perché ha chiesto molte cose al Ministro, e però ce n’è una che io chiedo a lui, al sindacato. C’è una cosa su cui il governo non può intervenire direttamente ed è la struttura salariale per età. Bonanni ama molto il paragone con la Germania, e anch’io. Ora, la struttura salariale per età segue l’andamento della produttività. Sapete com’è fatta? Parte qui, poi cresce, poi nell’età anziana tende a scendere. Perché la produttività di un produttore anziano è necessariamente più bassa della produttività di un lavoro giovane, preparato. Sapete invece com’è la struttura per età nel nostro sistema? Sempre crescente. Il risultato è che un lavoratore anziano costa troppo, le imprese rispetto alla produttività vogliono mandarlo via, e questo penalizza di nuovo, nel confronto, il lavoratore giovane, che magari è più competente rispetto al lavoratore anziano. Vogliamo riflettere anche su questo? Può essere parte di quella riflessione più ampia che vede iniziative come la staffetta tra il lavoro part-time di un anziano con il lavoro di un giovane. L’iniziativa, che è stata avviata nella regione Lombardia, mi trova molto d’accordo. Non sappiamo quanto riusciremo a favorirla con incentivi, ma è un’iniziativa indubbiamente di valore, perché va nella direzione di valorizzare il lavoro di tutti, e di non considerare le persone necessariamente in competizione. Se lavori tu, devo stare a casa io. Noi dobbiamo realizzare una società nella quale se lavori tu, lavoro anch’io e lavora anche lui. Cioè una società, un mercato del lavoro, come dice la nostra riforma, inclusivo e dinamico. Questo è l’obbiettivo per il quale la riforma è stata fatta, dovremo adesso vigilare che questo obbiettivo diventi il più possibile realtà. Grazie.

BERNHARD SCHOLZ:
Penso che si sia percepito, anche nelle ultime osservazioni del Ministro, che questo dialogo di stamattina fa parte di un dialogo che andrà avanti per il bene del Paese. Ringrazio il Ministro, Raffaele Bonanni e Fulvio Conti per la sincerità e anche la competenza con la quale hanno parlato questa mattina. Vorrei fare solo un’ultima osservazione. Spesso mi si chiede cosa c’entrino questi dibattiti con il titolo del Meeting. Secondo me, abbiamo parlato tutta la mattina di questo titolo, perché se è vero che la natura dell’uomo è rapporto con l’infinito, più uno vive questo rapporto, più diventa cosciente che il lavoro è una delle espressioni più nobili di questo rapporto. Quindi aiutare tutti a trovare un lavoro, che gli permetta di esprimersi al meglio, è una responsabilità di ognuno. Grazie.

Data

23 Agosto 2012

Ora

11:15

Edizione

2012

Luogo

Sala A3
Categoria
Incontri