LA GESTIONE DELL’AMBIENTE: RISCHI E OPPORTUNITÀ

La gestione dell'ambiente: rischi e opportunità

Partecipano: Roberto Buonanno, Docente di Astronomia e Astrofisica dell’Università Tor Vergata di Roma e Presidente della Società Astronomica Italiana; Antonio De Maio, già Direttore APAT per le misure ambientali; Maria Rosaria Di Somma, Direttore Generale Assocostieri Unione Produttori Biocarburanti; Sergio Garribba, Consigliere per le Politiche Energetiche, Ministero dello Sviluppo Economico; Maria Cristina Mammarella, Ricercatrice ENEA. Introduce Paolo Togni, Presidente Associazione VIVA.

 

PAOLO TOGNI:
Se vi accomodate cominciamo questo percorso sulla gestione delle situazioni ambientali.
Volevo fare due saluti particolari, al Presidente dell’AMA, Azienda Municipalizzata di Roma per la gestione dell’igiene pubblica ed il Presidente del Consorzio industriale del Biferno.
I componenti di questo incontro hanno competenze variegate e divergenti tra di loro, competenze, storie personali, attività.
C’è il prof. Buonanno, importante astronomo, Presidente dell’Associazione Nazionale di Astronomia che studia le stelle, c’è l’ing. De Maio, che si è occupato istituzionalmente di raccolta e valutazione di dati ambientali, la dott.ssa Di Somma, Direttore Generale di Assocostieri, donna d’azienda, il prof. Garribba, la Bibbia dell’energia in Italia, la dott.ssa Mammarella, quella che in Italia ha studiato e sicuramente meglio i tutti conosce le problematiche degli inquinamenti atmosferici e delle circolazioni delle masse d’aria, problema essenziale, perché è sciocco chi pensa che un inquinamento di 10 a Roma sia uguale a 1 ad Amsterdam, dove c’è molto vento.
Qual è il senso di aver messo insieme competenze tanto articolate? E’ la risposta ad un interrogativo che sentiamo ripetere continuamente, e cioè: sarà il fattore ambientale il motivo della rovina della società moderna e dell’uomo?
La risposta che unanimemente siamo propensi a dare è no, perché le situazioni ambientali migliorano con lo sviluppo e non peggiorano.
Ci sono molti dati che dimostrano la correlazione tra la qualità della vita umana e l’ambiente.
Noi daremo a questo incontro questa struttura: un intervento abbastanza breve da parte di tutti, alcune considerazioni, uno spazio per coloro che volessero fare domande da parte del pubblico e poi le risposte.
Roberto Buonanno, prego.

ROBERTO BUONANNO:
Mi sembra molto importante che io cominci, solo per il fatto che qui rappresento l’astronomia, la più antica delle scienze, perché gli uomini antichi avevano necessità di orientarsi nelle navigazioni od i contadini per prevedere le stagioni, ma perché l’astronomia ha permesso quella che si può chiamare attività deduttiva, ovvero il modo di approcciare in modo astratto i problemi concreti.
E quando noi facciamo previsioni, come tipicamente si parla di questi argomenti, si parla di futuro senza poterlo sperimentare, ecco che stiamo applicando quello che ci ha insegnato l’astronomia, ovvero l’approccio astratto alla realtà.
Quando gli uomini antichi misuravano il raggio della terra, usavano la geometria ma dovevano fare delle ipotesi, immaginare di essere al centro della Terra, ovvero desiderare delle cose impossibili e poi invece misurare qualcosa di estremamente concreto.
Quindi l’astronomia è tutto questo, e per entrare nel tema di oggi, ci sono dei rischi per questo sistema, ed è quello che qui ho rappresentato con questo bolide che attraversa il cielo.
Tutti noi abbiamo l’esperienza che da ragazzi ci capitava di vedere con la coda dell’occhio, senza cercarle, le stelle cadenti, ed è un’esperienza che non abbiamo più. Ogni 10 di agosto c’è qualcuno che mi telefona per chiedermi dove andare a vederle, ma anche se glielo dico, con il posto migliore dove mettersi e il punto migliore dove guardare, realmente le stelle cadenti non si vedono più.
Il motivo è abbastanza chiaro, è quello dell’inquinamento luminoso.
Ecco un’immagine delle nostre città, illuminate 24 ore al giorno.
Noi impegniamo con la luce il nostro cielo.
Guardate queste immagini.
Per tornare al tema che il dottor Togni stava citando, sul futuro, basta farsi due calcoli, tutta l’energia che noi disperdiamo inutilmente mandando la luce verso l’alto, una lampada di 500 watt, accesa 24 ore al giorno, nel nostro giardino di casa, senza alcuna utilità, equivale ad una automobile che cammina 40.000 km l’anno.
Senza fare grandi programmi, progetti, che sono evidentemente necessari in una grande economia moderna come la nostra, tuttavia si può pensare alle piccole cose, ad illuminare le nostre città ed avere dei risparmi non solo economici, ma anche di CO2, che vengono sempre citati semplicemente utilizzando quello che la tecnologia ci mette a disposizione.
Quindi, passando al secondo tema, alle opportunità che noi abbiamo di fronte, posso sottolineare quello che ho appena citato, cioè sviluppare delle tecnologie, ovvero delle industrie capaci di minimizzare questi inquinamenti luminosi e poi pensare anche al turismo, ovvero usare correttamente l’illuminazione per creare delle “città delle stelle”.
Noi non ci pensiamo, probabilmente, ma tutte le grandi città italiane, europee aspirano ad avere un planetario, ovvero un luogo dove si rifà artificialmente il cielo, e tutti voi che avete esperienza su questo, vi rendete conto che quando si spegne la luce e si vede questo cielo, che purtroppo è artificiale, si sente che spesso la gente rimane stupita.
Perché non utilizzare questa possibilità anche come turismo?
In poche parole, l’opportunità, il bello dell’inquinamento luminoso è che è reversibile. Basta spegnere la luce e sparisce.
Questa è un’opportunità che dobbiamo avere presente, che di fronte a tanti inquinamenti, questo è facilmente superabile.
Ho citato un paio di opportunità che sono abbastanza immediate.
Un’altra opportunità, forse meno percepibile immediatamente, è altrettanto importante.
Quello che vedete è la Terra secondo la cosmologia aristotelica greca.
Attorno al 1200 poi arriva nell’Europa cristiana la visione cosmologica di Tolomeo, qui rappresentata.
Questa rappresentazione, cosi familiare, arrivataci da Dante, la dobbiamo agli arabi, perché la avevamo persa, questa cosmologia di natura cristiana rimane immutata per quasi 1000 anni, fino a Galileo.
Egli guarda la Luna e dice che è come la Terra. Così instaura il sistema che poi sarà alla base di tutta l’astrofisica moderna.
Le cose che stanno lassù sono come quelle che stanno quaggiù. Nelle sperimentazioni noi da allora abbiamo utilizzato questo metodo. Esperimenti importantissimi da cui si deduce, pensando all’Universo, che esso non c’è da sempre. Da questa elementare considerazione si capisce che l’universo è nato e si sta espandendo, e ciò si misura. La conclusione è che noi viviamo in un universo regolato finemente.
Guardate come è cambiata la concezione dell’Universo, cercando i descriverla in pochi minuti. Eccola qui l’opportunità di cui vi volevo parlare, non sarebbe il caso che l’astronomia occidentale ritornasse a quella araba, a quella cui noi siamo debitori?
È il momento di onorare questo debito e attraverso questo rafforzare la cultura del Mediterraneo, sviluppare lo scambio creativo che è tipico nostro, ovvero instaurare una stagione di umanesimo tecnologico, ed abbiamo i mezzi per farlo. Grazie.

PAOLO TOGNI:
Grazie a lei. Le volevo dire, in merito alle sue considerazioni generali sulla storia dell’Universo, che noi le stiamo pian piano studiando, ma sono già scritte tutte nella Bibbia perché nella Genesi, nel creare l’Universo il Padreterno ha messo tutto in ordine secondo leggi matematiche, misure conoscibili. E noi non facciamo altro che scoprire quello che il Padreterno ha ordinato. Però è importante che su questo tema si possa procedere.
Dalle stelle alle stalle, perché il dottor De Maio ci parlerà dei dati ambientali che sono dati sporchi, perché riguardano la capacità di raccogliere immondizie, la capacità di depurare acqua, però anche questo fa parte dell’unità della nostra condizione.

ANTONIO DE MAIO:
Buon pomeriggio, prima volevo fare un po’ di storia sul tema che mi è stato dato, che è l’acquisizione e la gestione dei dati ambientali.
Nel 2002 fu istituita in Italia l’APAT, l’Agenzia per la protezione ambientale, ed uno dei compiti che erano affidati al Dipartimento, era quello dello sviluppo del sistema nazionale di raccolta e di gestione dei dati.
Tutto questa attività comportò per circa 4 anni un lavoro molto importante, pesante, seguito dalle ARPA, le Conferenze Stato-Regioni, perché si era deciso di avviare in maniera efficace i punti focali regionali che avrebbero dovuto raccogliere i dati delle Regioni, trasferirle all’APAT e quindi lavorarli dal punto di vista politico, sia per quanto riguarda i rapporti con lo Stato Italiano che con la CEE e il Mondo.
Con il cambio di Governo nel 2006 e con l’affidamento del Ministero ad un Ministro che veniva dall’ambiente dei Verdi, questa azione di coordinamento con le Regioni si interruppe, anzi quando si doveva avviare questo sistema informativo nazionale, esso fu abolito e non fu mai più attivato, neppure ora.
Si pensava che la natura di questo Coordinamento fosse mettere in comune delle esperienze, ma bisogna rendersi conto che tali gestioni non sono efficaci allo stesso modo nelle regioni del nord o del sud, per mettere in comune le soluzioni già trovate, per non gravare sul bilancio di ciascuna regione, per l’APAT, che si assicurasse il servizio di metereopatia ambientale che era sempre da noi diretto, perché i dati fossero raccolti e studiati nella stessa maniera, e quindi per aiutare agenzie in via di sviluppo.
E poi l’altro argomento importante di oggi è la via per la relativa valutazione, per omogeneizzare anche questo sistema e soprattutto poter rendere possibile l’attivazione di questa VAS nazionale.
Quindi tutti questi tipi di attivazione con questo blocco sono tornati come prima.
Adesso vogliamo presentare quello che dovrebbe essere secondo noi un sistema nuovo per permettere ed evitare le inefficienze che abbiamo detto finora.
Ricordiamo brevemente quelle che sono le principali attività tecnico-scientifiche connesse all’esercizio delle funzioni pubbliche per la protezione dell’ambiente.
Queste consistono:
– ricerca di base e applicata agli ambienti fisici, ai fattori dell’inquinamento, alle condizioni generali di rischio, alle forme di tutela degli ecosistemi.
– Confronto con attività antropiche e pressioni ambientali
– Raccolta sistematica e pubblicazione ambientale dei dati anche attraverso il sistema del monitoraggio a livello nazionale
– Elaborazione e diffusione dei dati ministeriali
– Divulgazione e formazione in materia ambientale
– Trasmissione alle autorità di proposte e pareri e standard quantitativi

Da tutte queste premesse, prendendo atto di questo ritardo per l’integrazione delle tematiche ambientali tra lo stato e le Amministrazioni locali degli altri settori, si ritiene necessario istituire un nuovo sistema di controllo a livello centrale che supporti gli enti alla tutela e salvaguardia dell’ambiente.
Una struttura nazionale con strutture territoriali.
Si tratta quindi di istituire un dipartimento nazionale dipendente dalla Presidenza del Consiglio oltre alle strutture territoriali.
Vediamo il possibile schema operativo: una struttura centrale, sedi territoriali come organi tecnici nazionali per la governance dei processi per prevenzione – vigilanza e controllo.
Chiudiamo in questo modo il ciclo, tenendo in questo modo il controllo, a livello centrale, con le Agenzie Centrali, che avranno un controllo di tipo strumentale e vigilanza con i tavoli tecnico specialistici.
Grazie.

PAOLO TOGNI:
Ho detto molte volte che l’esistenza del Ministero dell’Ambiente nel nostro Paese testimonia l’immaturità ambientale del nostro stato, perché esso o dovrebbe essere onnipotente oppure non contare nulla, oppure collocato all’interno della Presidenza del Consiglio.
La dott.ssa Di Somma si occupa di combustibili da fonti rinnovabili.

MARIA ROSARIA DI SOMMA:
Innanzitutto, un saluto, ci sono delle slide che io lascerò soltanto per conoscenza di dati a chi volesse approfondire il tema, ma prometto che non le illustrerò anche per non tediare troppo gli ascoltatori. Innanzitutto un cordiale saluto a tutti e anche un grande ringraziamento al professor Togni per aver voluto ospitare, in questa sessione dedicata all’ambiente, il punto di vista industriale. Noi siamo pienamente d’accordo con quello che ha detto il professor Togni. Voi sapete tutti bene che l’energia è stata sempre al centro della lotta contro l’inquinamento e soprattutto in un Paese come il nostro, come l’Italia che altamente è tributario di energia e, guarda a caso, quasi totalmente tributario dal petrolio. Noi possiamo veramente affermare e confermare che molto è stato fatto, sia da parte istituzionale sia da parte industriale, per cercare di far entrare nella cultura dell’industria, nella cultura dell’energia la salvaguardia dell’ambiente. Il sistema che è stato portato avanti fino ad adesso, è un sistema basato sulla fissazione di limiti rigidi all’emissioni atmosferiche, sul monitoraggio e sul controllo rigoroso di questi limiti e su sanzioni molto pesanti, tante volte di carattere penale. Oggi, secondo noi, siamo davanti ad una svolta. E, come spesso ho sentito dire dal professor Togni quando era Ministro dell’Ambiente, “l’ambiente va visto come opportunità”, come opportunità di sviluppo, come opportunità di ricerca, come opportunità di posti di lavoro. E secondo noi, secondo il nostro punto di vista, la svolta che oggi già realmente, concretamente sta arrivando, è arrivata nel nostro Paese, è avvenuta proprio con il ricorso alle fonti rinnovabili, alla famosa direttiva che tutti conoscono, 20/20/20, che ha proprio spostato l’intervento sull’ambiente, sul miglioramento dell’ambiente. Come l’ha spostato? Innanzitutto non più limitandosi ad esaminare soltanto i settori industriali, i settori civili, ma anche il settore dei trasporti. E il settore del trasporto, voi sapete bene che dà il maggior contributo negativo all’inquinamento ambientale delle grandi città. In più, come è intervenuto? Dando degli obblighi, non più obiettivi, ad ogni stato membro, di ridurre le emissioni di gas serra in una percentuale fissata del 20% nell’utilizzo nell’efficienza energetica, quindi nella riduzione dei consumi dell’energia, ma, secondo noi fatto ancor più importante, nel ridurre la dipendenza dal petrolio. Ecco il sistema delle fonti rinnovabili, ecco la direttiva, la quale non si è fermata a dire “dovrai farlo”, ma dice “lo devi fare da qui al 2020”, dando dieci anni – che poi in effetti dieci anni non sono, perché la direttiva sarà recepita nel nostro ordinamento con il 5 di dicembre di questo anno – dando poi delle tappe già da rispettare, delle date già da rispettare con interventi piuttosto importanti, dando proprio un messaggio per dire: il mio mix energetico non sarà 90% petrolio, ma il nostro input che abbiamo ricevuto è un mix basato – in cui per carità il petrolio, il metano avranno sempre la loro parte preponderante – su una parte di nucleare, una parte di fonti rinnovabili per un 25% dei consumi totali dell’energia, che è un qualcosa che è abbastanza rilevante. Quindi non più limite alle emissioni, ai controlli, non più intervenire nelle specifiche motoristiche, nelle specifiche dei combustibili, nell’eliminazione del piombo eccetera, ma soltanto dire no, basta, vediamo come possiamo diversificare le nostre fonti di approvvigionamento e quindi creare opportunità di ricerca, di sviluppo e di occupazione. Difatti, è proprio quello che dice la direttiva, la quale per l’Italia, perché poi chiaramente questo 20% si deve adattare ai consumi energetici di ogni stato, per l’Italia deve essere proprio, ci deve essere proprio un target obbligatorio del 17% rispetto al consumo energetico finale. Io però per il lavoro che faccio, noi ci interessiamo, rappresentiamo le aziende che producono bio-carburanti, la parte che più ci interessa, che forse un pochino più ho sviluppato in questa breve relazione, è il settore dei trasporti. La direttiva dice: “entro il 2020 tu devi assolutamente ridurre del 10% i consumi di prodotto fossile nel settore del trasporto”. Guardate bene che in Italia noi, con le nostre automobili, con i mezzi pesanti che girano nelle nostre città, noi consumiamo 40 milioni di tonnellate di prodotto fossile per autotrazione. E in più cosa dice la direttiva? Io non parlo di fotovoltaico, io non parlo di eolico, io mi limito al settore dei trasporti e mi limito quindi a come arrivare al 10%, a cui si può arrivare soltanto sostituendo il prodotto fossile, il carburante fossile, con un carburante di origine vegetale – dice, non solo devi ridurre, ma tu mi devi anche assicurare dei criteri di sostenibilità. Quindi la prima cosa, mi devi ridurre le emissioni di gas serra, in più le materie prime, che sono gli oli vegetali, non devono provenire da terreni che presentano un elevato valore di bio-diversità. Tutti abbiamo vissuto, abbiamo sentito parlare della deforestazione, dello scempio che è stato fatto nel mondo, nei paesi poveri, per potere assicurare delle materie prime. Le materie prime non devono provenire da terreni che presentano un elevato stock di carbonio. Inoltre, mi devi assicurare, con il numero, tu mi devi assicurare inizialmente un 35% di risparmio di emissioni di gas serra, poi me lo devi portare al 50% e poi al 60%. L’Italia è pronta. Già voi, forse nessuno di voi lo sa, ma chi ha la macchina a gasolio, ha nel suo gasolio il 7% di biodiesel. Purtroppo, spero che non ci sia qualche compagnia petrolifera, purtroppo la lobby di queste cose dovrebbe essere esposta a tutti i distributori, per un fatto proprio di conoscenza. E invece nei distributori noi troviamo soltanto che c’è gasolio, ma lì dentro oggi per legge… quindi la realtà, noi stiamo vivendo una realtà, nonostante la direttiva non sia ancora stata recepita, noi stiamo già vivendo una realtà, quindi il miglioramento dell’ambiente, quindi veramente guardare avanti e quindi assolutamente intervenire perché ci sia sempre di più questa cultura, questo interesse, questa necessità di conservarci questo nostro patrimonio essenziale. Anche la legge comunitaria, che ha fatto proprio la legge di collegamento tra la direttiva e l’ordinamento giuridico e nazionale, ha dato principi, un discorso di riequilibrio, per cercare di ridurre questa dipendenza dal petrolio ed è intervenuta anche la legge nostra, nazionale, dicendo: “devi anche cercare di facilitare, di semplificare quelle che sono le procedure per la realizzazione di questi impianti”. Sapete quanto la burocrazia oggi ha bloccato, e non solo oggi per la verità, tantissime iniziative industriali. Cosa sono i biocarburanti? L’ha detto il professor Togni, biodiesel, si è dimenticato il bioetanolo, che sono le TBE e il bioidrogeno. Oggi il biodiesel si fa dalla soia, colza e girasole a palma. Ma siccome è nata, l’avete sentito tutti, tutta la polemica che i biocarburanti tolgono materia prima all’alimentare, oggi si stanno cercando di trovare delle materie prime alternative che non abbiano nessuna influenza sul settore alimentare e soprattutto addirittura si sta portando avanti, la nostra associazione in primis, una ricerca per fare biodiesel dalle alghe. Ecco, l’ENEA ci sta anche collaborando, ecco l’opportunità di ricerca, ecco l’opportunità di crescita, ecco l’opportunità di innovazione. Oggi si parla più di biodiesel, in effetti il professore ha ragione, perché in Italia il bioetanolo ancora non c’è, non si usa, non si consuma, però va all’estero, va in Svezia, professore! Noi produciamo bioetanolo e va in Svezia! E quale è il pregio del biodiesel? L’ho detto, è vegetale, ma un altro elemento importante, è biodegradabile. Pensate a tutti gli sversamenti che ci possono essere nelle navi, quando succede, sversamenti di gasolio, eccetera, questo biodiesel è un prodotto che quindi noi avremo molto piacere che il Ministero dell’Ambiente intervenisse imponendo, nelle aree di pregio marine, l’utilizzo di biodiesel al posto del gasolio. È importante, io vi inviterei soltanto a guardare queste ultime freccine, perché i prodotti biocarburanti sono anche una opportunità per la nostra agricoltura. In Francia c’è veramente una grandissima industria, non è più una agricoltura di carattere capillare legata al singolo contadino, c’è proprio la cultura, ci sono consorzi per poter creare queste materie prime dedicate necessariamente ed esclusivamente all’energia. Abbiamo detto che uno dei pregi soprattutto del bodiesel è quello di ridurre le polveri sottili. Nelle grandi città, sapete bene che quelle polveri, quelle micro polveri, che vanno nei nostri polmoni, tanti danni possono fare e fanno, purtroppo, all’essere umano. Il bioetanolo, che si mescola, si miscela – guardate bene che i biocarburanti in Italia non vengono utilizzati da soli, ma per legge devono essere miscelati con i prodotti petroliferi, biodiesel con gasolio, bioetanolo con le benzine – anche qui abbiamo la possibilità di miscelarlo fino a un 10%. Ecco, questo soltanto, e lo supero velocemente, per dirvi l’andamento, per darvi quello che sono i nostri consumi di carburanti fossili e come vediamo al 2020 questa crescita di 5 milioni di tonnellate di bio-carburanti che vanno a decurtare i consumi del prodotto fossile. Quindi ci avviciniamo a dare veramente una svolta, come dico io, proprio all’ambiente, utilizzando un prodotto che sia il meno inquinato possibile. Vi dicevo prima che già oggi abbiamo già una normativa, già oggi c’è l’obbligo, i petrolieri hanno l’obbligo di miscelare questi biocarburanti con i prodotti fossili, altrimenti, scattano delle pesanti sanzioni. Questo è soltanto l’andamento del settore. L’Italia ha un grande patrimonio. Abbiamo in Italia circa oltre 2 milioni e mezzo di capacità di produzione. Ecco l’industria, ecco l’imprenditore che crede, che porta avanti il suo interesse per qualcosa di nuovo. Abbiamo le industrie, abbiamo 2 milioni e mezzo di capacità produttiva. Il bioetanolo è ancora un po’ il fanalino di coda, ma con l’andamento che avrà questa direttiva, noi siamo sicuri che potrà crescere ulteriormente. Io vi dicevo che siamo avanti. Sì, siamo avanti. L’Italia ha mandato a Bruxelles proprio adesso con il 30 giugno il piano nazionale di attuazione della direttiva. In questo piano l’Italia ha già stabilito la sua strategia. Guardate che per noi industriali è importantissimo. Noi non abbiamo incentivi, è l’unico settore delle fonti rinnovabili che non ha incentivi. Ma avere il quadro di riferimento normativo chiaro è l’incentivo ad andare avanti. È l’incentivo a mettersi sul mercato, è l’incentivo a credere in un settore assolutamente innovativo. E l’Italia puntualmente, come hanno fatto gli altri paesi, anche l’Italia, il Ministero per lo Sviluppo Economico ha dato a Bruxelles il suo outlook, la sua previsione di come intende attuarlo.
Questo fa parte del piano nazionale che è stato mandato a Bruxelles, come si vede, le varie fonti rinnovabili rispetto all’attuale avranno la loro crescita da qui al 2020. Signori, questo è un impegno, questo è un “must”. Perché questo è davvero un cambiamento forte. Io l’olio vegetale me lo metto nella mia macchina, quindi è qualcosa che mi dà veramente il cambiamento nel miglioramento dell’ambiente. Io ho cercato, professore, non so se sono stata brava, ho finito, ho chiuso e sono a vostra disposizione. Grazie.

PAOLO TOGNI:
Grazie dott.ssa Di Somma. Volevo solo ricordare un episodio, che ci ha visto combattere sullo stesso fronte, ma non vincere, quando abbiamo provato a far fare l’accordo fra le associazioni degli agricoltori e i produttori di combustibili e i petrolieri, per poter garantire un flusso di materia prima costante a prezzo certo, che avrebbe facilitato molto e avrebbe frenato, fra l’altro, anche delle non produttività che l’agricoltura vive in questo momento. Però lì non abbiamo vinto, pazienza. Vinceremo un’altra volta. Allora siamo entrati a parlare direttamente dell’energia, la Bibbia è a disposizione, apriamola. Sergio, dicci qualche cosa.

SERGIO GARRIBBA:
Grazie innanzitutto a Paolo per l’invito. Saluto gli amici di Comunione e Liberazione che ci ascoltano, parlerò di energia e ambiente. Io non ho trasparenti, quindi il mio è semplicemente un intervento di tipo conversazionale. Il nostro paese, come altri, si trova di fronte a tre grandi sfide: sono queste la sicurezza delle forniture di energia, la lotta al cambiamento globale di clima e la competitività. Dobbiamo essere in grado di fornire al paese e ai cittadini un servizio energetico che sia competitivo, voglio dire, a costi ragionevoli e possibilmente inferiori ad altri paesi con i quali dobbiamo confrontarci. Perché c’è un problema di sicurezza delle forniture di energia? Perché noi dipendiamo per più del 85% del nostro consumo di energia dalle importazioni di combustibili fossili, soprattutto petrolio e i suoi derivati e i gas naturali. Ora, cosa accade? Che nel mondo le risorse a basso costo dei combustibili fossili sono in via di rarefazione, quindi si concentrano in un numero decrescente di paesi. Il 55% delle riserve a basso costo di gas naturale è in tre paesi, la Russia, il Qatar e l’Iran. Il 51% delle riserve di petrolio, di greggio a basso costo, è in quattro paesi, questi sono l’Arabia Saudita, c’è ancora l’Iran, l’Iraq e il Kuwait. Quindi un grado di concentrazione enorme delle risorse. D’altro lato abbiamo altri paesi che concorrono con noi negli acquisti, sono queste le economie emergenti: la Cina, tra tutti – il consumo di energia della Cina ha superato da pochi mesi il consumo degli Stati Uniti – poi c’è l’India, il Brasile e la nuove economie. Dunque una concorrenza formidabile. Allora, cosa fare come direzione generale? Accentuare il dialogo e la co-operazione con i paesi produttori, affinché questi paesi, che dipendono nelle loro economie dalle esportazioni di risorse energetiche, siano in grado di diversificare la loro economia attraverso dei rapporti, a questo punto di co-operazione, che coinvolgono l’intero sistema economico.
Seconda sfida: il cambiamento globale di clima. Il 66% dei gas con effetto serra proviene dal settore energetico, l’altra parte proviene dall’agricoltura e da altre attività. Allora il settore energetico è messo in discussione. Quindi dobbiamo trovare delle soluzioni in cui le emissioni di gas serra, soprattutto di CO2, a parità di servizio energetico, siano inferiori. È stato avviato da 15 anni un negoziato tra i paesi interessati, che sono i paesi di tutto il pianeta, perché il problema è un problema globale, cioè un’emissione di CO2 in Italia è uguale all’emissione di CO2 in Cina o in Africa. Ma in questo negoziato vediamo degli interessi contrapposti. I paesi economicamente sviluppati, che hanno contribuito all’accumulo dei gas serra nell’atmosfera, in un certo senso sono responsabili di quello che è il cambiamento climatico, che oggi attribuiamo ai gas con effetto serra che si sono accumulati nell’atmosfera. D’altro lato ci sono le economie emergenti. Le economie emergenti dicono: “ma noi non abbiamo una responsabilità, se voi ci obbligate a prendere delle misure per ridurre le emissioni di gas con effetto serra, costringete il nostro sviluppo economico, lo vincolate e ci penalizzate”. Vi sono poi i paesi detentori di materie prime energetiche, come i combustibili fossili, soprattutto i paesi produttori di petrolio e di gas, che dicono: “ma se noi facciamo fronte al cambiamento climatico e le emissioni di anidride carbonica vengono penalizzate, voi penalizzate le risorse di cui disponiamo e quindi impedite il nostro sviluppo”.
Quindi si vede che è necessario un grande patto. Questo patto è stato in prima battuta raggiunto a Rio nel 1992, dove sono stati approvati due documenti: uno, l’Agenda 21 per lo Sviluppo Sostenibile, vale a dire una agenda con cui i paesi sviluppati si impegnavano ad intervenire nei confronti dei paesi in via di sviluppo ed aiutarli. Questa Agenda non è stata attuata. L’altra parte del patto, se vogliamo, del 1992 a Rio, era la Convenzione sul cambiamento globale di clima, per la riduzione e il contenimento delle emissioni. Ma questa convenzione in se stessa non era attuabile. È stato definito un protocollo, il cosiddetto protocollo di Kyoto, che giunge a scadenza nel 2012. Ma non tutti i paesi che hanno firmato la convenzione hanno voluto sottoscrivere il protocollo. L’Europa sì. L’Unione Europea si è impegnata e noi con l’Unione Europea, e quindi come grande linea di politica che segue il nostro paese è quella di combattere il cambiamento globale di clima, di essere portatori con gli altri paesi europei di tecnologie innovative che riteniamo possano conformare il nostro futuro sviluppo economico e rendere il nostro futuro sviluppo economico competitivo in una situazione in cui tutti i paesi aderiscano a un nuovo patto per il cambiamento globale di clima. Il nuovo patto è in discussione. Vi è stato un tentativo a Copenaghen, vi sarà un tentativo alla fine di quest’anno a Cancún. Vi saranno due parti in questo patto, uno è un accordo sulle tecnologie, perché i paesi detentori delle tecnologie, delle nuove tecnologie energetiche, devono metterle a disposizione dei paesi che non hanno le tecnologie, e debbono in qualche modo trovare un meccanismo finanziario di compensazione. Quindi due elementi.
Terzo punto è la competitività del servizio energetico. Se guardiamo i costi del servizio energetico italiano, vediamo che il servizio energetico italiano decisamente è più oneroso di quelli che sono i costi medi europei. L’energia elettrica mediamente in Italia, per le imprese costa il 30% in più della media europea, 60% in più di quanto non costi in Francia, il gas costa il 20% in più della media europea, quindi non siamo in asse. Dobbiamo allora recuperare competitività. Cosa fare? Il governo è impegnato a preparare quella che chiamiamo una strategia energetica nazionale. La strategia energetica nazionale si propone di definire un quadro in cui diversi interventi, quelli di cui ha parlato il professor De Maio, quello di cui ha appena parlato la dottoressa Di Somma, trovano una loro collocazione coerente e quindi un equilibrio, vengono bilanciati, perché una politica energetica è fatta da un insieme di azioni. Quindi una strategia energetica nazionale. L’orizzonte di questa strategia energetica nazionale è l’anno 2030, questa strategia energetica viene preparata di concerto o di intesa, come si dice, tra Ministero dell’Ambiente e Ministero dello Sviluppo Economico che io rappresento. Per quanto riguarda le tecnologie energetiche, che come voi potete immaginare hanno una vita lunga, si è previsto un orizzonte temporale diciamo più ampio, vale a dire l’anno 2050. Quali sono le componenti di questa strategia energetica nazionale? Vi sono tre componenti: l’ammodernamento delle infrastrutture, la diversificazione, l’efficienza energetica. L’ammodernamento delle infrastrutture, cosa significa? Significa reti nuovi, reti più efficienti per il trasporto di energia elettrica, per il trasporto del gas, significa reti per il collegamento per il nostro paese con altri paesi, soprattutto i paesi mediterranei; sono in fase di realizzazione due grandi interconnettori per il trasporto del gas, uno che dovrebbe collegare l’Italia con la Grecia e dalla Grecia attraverso la Turchia, con la regione del Caspio, un altro con l’Algeria attraverso la Sardegna, che dovrebbe quindi potenziare le nostre forniture. Sono in fase di definizione i collegamenti elettrici con i paesi del Mediterraneo. La prospettiva è quella di vedere l’Italia una piattaforma mercato, se vogliamo, esposta sul Mediterraneo, che collega i paesi del Mediterraneo con i paesi dell’Europa centro meridionale. Questo viene anche detto “hub energetico mediterraneo”.
L’altra direzione, l’altro imperativo è la diversificazione. Quindi dobbiamo avvalerci di una pluralità di fonti, una pluralità di tecnologie. Nella politica di diversificazione due direzioni sono privilegiate: una, sono le fonti rinnovabili, quindi parte delle fonti rinnovabili sono i biocarburanti di cui ha appena parlato la dottoressa Di Somma; l’altra è l’energia nucleare. Ora, queste due fonti, entrambe queste due fonti, sono più facili, diciamo, da introdurre nel sistema energetico nazionale, se si fa riferimento al sistema elettrico. Perché in generale le fonti rinnovabili, impianti eolici, impianti solari fotovoltaici producono energia elettrica e vengono quindi inseriti nel sistema elettrico. Gli impianti nucleari tipicamente producono calore che viene trasformato in energia elettrica. Allora qual è l’obiettivo? L’obiettivo è quello di diversificare soprattutto il sistema elettrico che oggi dipende per il 65% dal gas naturale e di avere un sistema elettrico che nel 2030, attorno al 2030, sia fatto di un quarto di fonti rinnovabili, un quarto di energia rinnovabile e per l’altra metà di combustibili fossili. Ma la diversificazione va ovviamente al di là del settore elettrico, la diversificazione deve coinvolgere i grandi settori di consumo, vale a dire il settore dell’edilizia, il settore dell’industria e il settore dei trasporti. Poi, l’efficienza energetica: il nostro paese è un paese efficiente sotto il profilo energetico, ma è un paese efficiente perché ha espulso le grandi imprese che consumavano molta energia, quindi ci sono oggi pochi impianti siderurgici, pochi impianti di chimica primaria e quindi mancando, diciamo, questa parte del sistema produttivo, il sistema economico è diventato più efficiente. Ma, se ci confrontiamo su scala globale con altri paesi vediamo che dobbiamo fare molta strada ancora sull’efficienza energetica, vale a dire consumare energia in modo razionale e risparmiare. I traguardi che possiamo avere in mente sono Giappone e Danimarca. Da ultimo gli strumenti. Quali sono gli strumenti sui quali fare affidamento? Anche qui ne vorrei citare tre: il primo è una più forte integrazione del sistema energetico italiano nel sistema energetico europeo, il secondo è un migliore rapporto tra politiche definite a livello centrale e politiche regionali. Noi andiamo verso un sistema federato, federativo, federale come volete dire, dobbiamo trovare un raccordo più efficace di quanto non sia oggi. Mi è capitato di incontrare amici americani, loro mi dicono: “ma io non vengo in Italia perché vado in una regione c’è una regola nell’altra un’altra e non so mai quali siano le regole che valgono dovunque”. Da ultimo, partecipazione e informazione: è necessario che i cittadini vengano coinvolti, la strategia energetica nazionale verrà proposta per consultazione su rete internet, in modo che tutti i cittadini siano in grado, almeno nelle grandi linee che costituiscono questa strategia, di dare delle loro indicazioni, delle loro esigenze, di manifestarle e quindi questo è un modo per favorire la partecipazione. Ma la partecipazione deve essere una partecipazione organizzata, deve essere organizzata intorno ai singoli impianti, organizzata intorno a delle grandi scelte. E informazione. L’informazione manca, penso che debbano essere inventati degli strumenti per fare informazione. Da ultimo mi permetto di raccontarvi un apologo. C’erano mamma cammello e il cammellino. Il cammellino dice alla mamma: “Mamma, mi vedo cosi brutto” e la mamma dice: “Ma sei bellissimo, guarda”. “Ho dei baffi qui che non mi piacciono”. “Guarda i baffi sono necessari, sono un po’ come i radar, quindi noi vediamo gli oggetti di notte, troviamo la strada”, dice. “E poi queste zampe cosi grosse, cosi brutte”. “Ma no”, dice, “guarda queste zampe, vedi gli altri animali non le hanno così, così larghe, noi non affondiamo, possiamo andare su tutti i terreni, camminare”. Allora il cammello dice: “Ma poi mamma queste due gobbe sono insopportabili”. Dice: “No guarda queste due gobbe ci servono, sai noi possiamo fare sei mesi senza mangiare, senza bere, andare nei deserti, attraversare i continenti” e il cammellino dice: “Mamma sì, ma se siamo cosi bravi, perché stiamo allo zoo di Arezzo?”.

PAOLO TOGNI:
Non ho sbagliato a dire che era una Bibbia, infatti c’è scappato pure l’apologo. Allora, Maria Cristina Mammarella, l’energia, sappiamo che dove si produce, dove si sposta, dove si consuma, produce forme di inquinamento. Fra l’altro in molti casi inquinamento atmosferico, allora noi vorremmo capirne un po’ di più se ci racconti.

MARIA CRISTINA MAMMARELLA:
Innanzitutto vi ringrazio di essere rimasti fino ad ora qui ad ascoltarci, perché effettivamente gli argomenti sono molto complessi, e allora io ho pensato di rivoluzionare completamente il mio intervento. Non vi posso tediare oltremodo. E col vostro aiuto vorrei fare un piccolo esperimento: io vorrei regalarvi, speriamo di riuscirci, una delle cose che secondo me è più preziosa nella vita, e cioè la conoscenza, un pezzo di conoscenza, un pezzo di conoscenza nuovo, nuovo perché nasce dalla ricerca. E’ giusto anche, nonostante il professore ci abbia messo per ordine alfabetico, però secondo me è andata bene così, perché abbiamo aperto con la ricerca e chiudiamo con la ricerca. Mi deve scusare l’industria, le amministrazioni, insomma, se…, però io credo che la ricerca sia importante, perché la ricerca è il motore di un paese civile. E la ricerca, che cosa crea? La prima cosa che crea è la conoscenza. E io oggi voglio regalarvi un pezzo di questa conoscenza. Che significa?
Il problema dell’inquinamento: noi andiamo misurando con le centraline, che sono fondamentali, le centraline della qualità dell’aria, l’inquinamento che pensiamo di respirare.
In realtà il discorso è molto più complesso. Perché? Perché se noi abbiamo una fonte di inquinamento, supponiamo 100 microgrammi per mc. al secondo di PM10, voi pensate che questa fonte generi una area di inquinamento uguale, se sto in una valle, in montagna, in pianura? Non è così, non è così! E’ questa la grande rivoluzione! Cioè, fonti di inquinamento uguali non creano la stessa qualità dell’aria. Sembra un assurdo. Ma come, quelli sputano la stessa quantità, e io, non respiro lo stesso? No, perché c’è una novità, che la ricerca ci mette a disposizione, che è questo nuovo concetto che io vorrei regalarvi, e che è quello che ogni luogo respira in modo diverso.
Cosa significa? Significa che ogni porzione di territorio, per le sue caratteristiche geografiche, vicino al mare, lontano dal mare, in fondovalle, in collina, ha una capacità di disperdere gli inquinanti in aria in modo diverso. Quindi io posso avere una fonte che inquina 100 e in un minuto questo 100 non esiste più; io posso avere una fonte che inquina 100 e dopo un minuto averne il doppio, perché nel secondo successivo ha risputato altri 100. E voi dite: ma come è possibile, l’aria è sempre quella. L’aria non è questo. Questo concetto è importante e per fortuna noi ricercatori abbiamo avuto una grande occasione per verificarlo, un progetto finanziato dalla Regione Molise, che è stato la prima che ha capito che noi avevamo qualcosa di nuovo da dire. Avevano una zona con una sensibilità particolare perché vi erano concentrate parecchie industrie, e ci hanno chiamato e ci hanno detto: provate a studiare qua, vediamo cosa succede! Io non me lo sono fatto dire due volte, non solo, ma ho detto anche a livello mondiale quali erano i gruppi, i gruppi migliori, tra americani e russi, che sono venuti a fare gli esperimenti insieme a noi. E’ una cosa eccezionale. E che cosa abbiamo scoperto? Abbiamo scoperto che era vero che quelle industrie in realtà inquinano come da norma, cioè secondo quanto hanno dichiarato. Il problema è che in certi momenti l’atmosfera di quella zona si chiude e quindi concentra tutti gli inquinanti, addirittura in basso, e certe volte invece fa un gran respiro e li sputa tutti in alto e tutti se ne vanno via, e quindi l’aria diventa ottima. Allora cosa significa questo? Significa che ogni luogo respira, ha questa capacità di buttare via, o concentrare gli inquinanti, che dipende non solo dalla collocazione geografica, ma addirittura anche dalle ore del giorno. Cioè, certi luoghi, di notte si chiudono e di giorno invece respirano meglio, oppure viceversa. Allora voi capite che questo concetto è fondamentale, perché quando poi dobbiamo andare a costruire degli insediamenti, dove li andiamo a costruire? Dove i luoghi hanno una capacità di disperdere, maggiore. E là dove capiamo che invece le condizioni sono chiuse, di restrizione, dobbiamo fare degli sforzi in più, capite? E allora, tanto è importante questo concetto che tutti insieme abbiamo messo a punto, che adesso stiamo cercando di coniare una nuova parola, perché non esisteva prima; allora, gli americani proponevano, propongono average diffusibility, cioè una convezione diffusiva; noi italiani, che poi in realtà siamo stati i primi a pensare questa cosa, l’abbiamo chiamata medio-diffusività, e poi vi spiego perché; gli europei, cioè i non italiani, quelli che partecipano, russi, danesi, in questa ricerca, hanno detto: chiamiamola potential pollution; pure loro non hanno tanto torto, come dire: quel luogo lì ha una capacità di inquinarsi che è maggiore o minore di un altro. Non so se riesco a spiegarmi, quindi adesso ci stiamo dibattendo su quale parola creare, quindi la ricerca non solo dà nozioni per conoscere, per capire meglio, ma dà anche degli strumenti per vivere meglio, perché se io voglio andare a fare una passeggiata salubre, io devo andare in un posto dove il ricambio d’aria è ottimo. Dove porto i miei bambini a passeggiare? Poi ricordatevi, i bambini sono bassi, quindi per loro la situazione è ancora più critica, perché la concentrazione è un esponenziale, più si è bassi e più si prende inquinamento. Quindi sempre sulle spalle i bambini! Dobbiamo andare a passeggiare nei posti dove il ricircolo dell’aria è buono, quindi dobbiamo cominciare a imparare, a conoscere questo nuovo parametro. Come noi diciamo: ma oggi che fa? Freddo, caldo, mi metto il pullover, non me lo metto, porto l’ombrello, non me lo porto, dobbiamo anche capire questa nuova cosa, che è importantissima, anche nell’edilizia, nell’edilizia pubblica. Io ho visto tante scuole da noi che sono state costruite in punti disastrosi, dove l’inquinamento si blocca, e i nostri ragazzi stanno là tutto il giorno a respirare quello che non dovrebbero respirare. Ora, guardate questa immagine, questo è uno strumento che insieme ai finlandesi, svedesi, abbiamo tentato di provare al Polo Nord, perché al Polo Nord c’è un meraviglioso osservatorio, che si chiama Polaria, dove possiamo mettere tanti strumenti insieme perché lo spazio è grandissimo, e allora c’è uno strumento che adoperano tutti quanti gli aeroporti che si chiama silometro, che misura l’altezza delle nuvole, perché voi sapete che un aereo quando atterra e decolla, che è il momento più critico, se attraversa una nuvola ci possono essere problemi di sicurezza, allora bisogna dargli l’altezza della base delle nuvole, però abbiamo pensato che con dei piccoli spostamenti, questo signore qua potrebbe misurare questo strato che a volte spinge gli inquinanti, a volte si rompe e non c’è più, e che noi chiamiamo Planetary boundary layer, tradotto in italiano, è uno strato di aria più calda che si forma e che è un coperchio, e che costringe tutti gli inquinanti in basso. Però non c’è uno strumento per misurarlo, e qui la ricerca di nuovo, e allora noi, in Italia, per la prima volta, per la prima volta al mondo, siamo i primi ad avere questo prototipo, e sta misurando il Planetary boundary layer nella valle del Biferno, dove noi stiamo facendo questi esperimenti, di cui vi parlavo prima.
Quindi, il mio modesto regalo qual è? E’ quello di dirvi: controlliamo il cielo, vediamo se il cielo sta respirando, oppure no!
Vediamo un po’ se riusciamo a trovare… Andiamo avanti. Ecco, questa è la zona industriale del Biferno dove stiamo facendo questi esperimenti. Oh, questi sono i ragazzi americani che si sono lanciati là sopra, hanno messo degli anemometri sonici, sono degli apparecchi speciali. Perché noi non solo volevamo vedere questo strato quando si apriva e quando si chiudeva, ma anche vedere se il famoso robottino, quello che vi ho fatto vedere prima, funziona bene oppure no. Lo stiamo provando. Andiamo avanti e vediamo un po’. Questo è sempre il posto dove abbiamo fatto gli esperimenti. Possiamo stare fermi così un attimo? Ecco! che questo problema del planetary boundary ce l’hanno anche le città, non crediate, anzi lì la situazione è ancora peggio, ora non ho tempo per spiegarvelo, però… Ho usato tutto il tempo, professore?… tutto, eh?… Io con questo vorrei concludere e spero di essere stata di aiuto, perché questa informazione è importante per la vostra salute e per la salute di chi vi sta vicino e a cuore. Grazie.

PAOLO TOGNI:
Guardate, non crediate che la semplicità con la quale la dottoressa Mammarella ha esposto questi concetti corrisponda a una facilità nell’averli costruiti, perché sono frutto di anni di ricerche e anche attraverso, come al solito, difficoltà di ogni tipo, da quelle burocratiche a quelle economiche, insomma. Va bene. Allora, se qualcuno vuole fare delle domande a qualcuno dei relatori, siamo a disposizione. Lei aspetti un attimo se c’è qualcun altro. Ecco, il ragazzo là. Prego, prego.

DOMANDA:
Ho sentito dal professor Togni che parte dei gas serra vengono prodotti dall’agricoltura. Ma allora per la produzione dei biocombustibili questo problema rimane? E poi…

PAOLO TOGNI:
Scusi, quando l’ho detto io? Non è vero.

DOMANDA:
No dal professore, scusi……

PAOLO TOGNI:
De Maio?
Garribba?

DOMANDA:
Sì, Garribba. Ho sentito male? Quindi volevo sapere, appunto, se questi problemi permangono per la produzione di biocombustibili oltre ai problemi relativi alla coltivazione, appunto, come acqua oppure occupazione di terreni buoni per l’agricoltura.

SERGIO GARRIBBA:
Sì, posso rispondere subito. I gas con effetto serra sono molti. Il gas principale al quale vengono ricondotti tutti gli altri con delle relazioni di equivalenza è l’anidride carbonica – formula chimica CO2, alcuni la chiamano diossido di carbonio. Un gas con effetto serra molto forte è il metano. Allora, nelle emissioni totali antropogeniche – vale a dire dovute all’attività dell’uomo, perché poi ci sono i vulcani, altre cose di cui non sto a parlare – i due terzi dei gas provengono direttamente dal settore energetico, un terzo proviene dal settore agricolo forestale a motivo della decomposizione – nella coltivazione dei terreni ci sono dei microrganismi che producono metano. I paesi che hanno molti allevamenti danno una forte produzione di metano. Adesso la percentuale italiana non è esattamente due terzi e un terzo, due terzi settore energetico e un terzo del settore agricolo, ma molto vicina come media. Le paludi, gli stagni producono metano e il metano, nei boschi, le foglie che cadono si decompongono e producono anche queste metano e altri gas. Ora, questa è la situazione. Allora, quando si fa fronte al problema del cambiamento globale del clima e si vogliono ridurre le emissioni, c’è una serie di misure di cui raramente si parla che riguardano il settore agricolo e il settore forestale. E quindi, in prospettiva si chiede che i boschi vengano puliti, che si facciano delle operazioni, le foglie vengano coperte e quindi si prevedono degli interventi sul settore agricolo, proprio perché c’è questo terzo di emissioni che proviene da quel settore.

MARIA ROSARIA DI SOMMA:
E’ importante la domanda che lei ha fatto perché sono aspetti, quelli dell’agricoltura sono aspetti molto importanti che vengono considerati nell’ambito della direttiva. Il tempo a mia disposizione era veramente poco, per cui non era possibile poter entrare nei dettagli. Ma dovete sapere che la stessa direttiva si è posta il problema che lei ha posto e parla di ‘tracciabilità’, parla di ‘monitoraggio’, parla di ‘certificazione’ e dice proprio come, e studia tutto il ciclo della vita andando dall’agricoltura – quindi che fa il seme, poi il seme dev’essere triturato, poi deve diventare olio, poi dev’essere raffinato e poi deve diventare biodiesel. Quindi in tutto questo ciclo della vita c’è sicuramente un contributo all’ambiente, anche perché nell’agricoltura viene arato, quindi il trattore deve andare a gasolio, eccetera. Quindi c’è tutto questo. E viene tutto quanto considerato e che dà un valore che noi chiamiamo un valore di default, che proprio viene stabilito nella direttiva. Noi non dobbiamo dimenticare che il confronto noi lo dobbiamo fare col fossile. Cioè, voglio dire, noi dobbiamo sempre tener presente che per poter coprire quei quaranta milioni di tonnellate di consumi che sono benzine, gasolio per trazione, noi abbiamo dei combustibili fossili. Di fronte, a fianco, è stato trovato l’utilizzo di questa nuova fonte che è certamente rinnovabile perché non nasce dal petrolio, perché nasce dall’olio vegetale, che comunque nasce dall’agricoltura. Quindi già tutta la direttiva dice: “Guarda che se tu da quell’agricoltura hai un valore di inquinamento che supera questa soglia, tu non la puoi utilizzare e me lo devi addirittura tracciare e certificare”. Le materie prime che attualmente si utilizzano per fare il biodiesel, che è quello che più consumiamo, sono le stesse materie prime che noi destiniamo all’uso alimentare: l’olio di soia, l’olio di girasole, l’olio di colza. Quindi non è che si vada a fare qualcosa di nuovo, perché già l’agricoltura le produce queste materie prime. Poter dedicare parte di questa agricoltura anche al settore energetico, quindi con le stesse materie prime che una parte, anziché all’alimentare, la mandi all’energia – l’alimentare non lo tracci ma l’energia lo tracci – significa anzi utilizzare degli spazi, delle zone agricole che oggi sono incolte. Fino a qualche tempo fa c’era proprio per direttiva comunitaria una parte di terreno che doveva stare a riposo, che non doveva essere più coltivato, perché nell’economia generale europea le produzioni agricole dovevano essere limitate. Oggi questo vincolo è caduto. Oggi si parla di biocarburanti di prima e di seconda generazione. La prima generazione sono questi tradizionali. Oggi in Italia abbiamo già un impianto di Mossi e Ghisolfi che si sta facendo a Tortona che addirittura ti fa il bioetanolo dalle biomasse, dalla biocellulosa. Un processo molto tecnico, molto avanzato perché la direttiva ti dà un premio. Un’altra materia prima importantissima per fare biodiesel è l’olio fritto. C’è una raccolta dell’olio di MacDonald’s, noi abbiamo degli impianti in Italia che fanno biodiesel dalla raccolta dell’olio fritto e sta partendo – prima si parlava di Rovigo – è partita proprio una ricerca porta a porta dove si dà alla massaia la lattina carinissima, verde, per raccoglierlo. E potrei continuare con tanti altri esempi…
Poi se ha bisogno altri chiarimenti i miei numeri ce li ha, io sono a sua disposizione.

PAOLO TOGNI:
Un’osservazione, una bestemmia: l’anidride carbonica non è un inquinante. Opinione personale, poi ne possiamo discutere. Secondo: il concetto di gas serra io ancora non l’ho capito, nonostante sia un fedele allievo del professor Garribba che ne sa molto ma non me l’ha fatto ancora capire. Allora ci sono altre domande? Sì: uno, due e tre.

DOMANDA:
La mia domanda è all’ingegner De Maio con il quale abbiamo condiviso dei momenti di collaborazione al Ministero dell’Ambiente e all’Agenzia Nazionale Protezione Ambiente. Ho apprezzato moltissimo il contenuto e le finalità della proposta, l’attenzione che ha riservato a questo soggetto pubblico che dovrebbe avere compiti speciali in prevenzione, controllo e vigilanza in materia ambientale, in omogeneità di dati. Però la domanda è questa: è necessario che il legislatore si esprima di nuovo per creare queste nuove figure, la figura centrale, le figure territoriali, oppure è sufficiente rimuovere, svegliare il dormiente, il morto vivente che sta diventando l’Agenzia Nazionale Protezione Ambiente, a parte, mi dicono, il campo della valutazione dell’impatto ambientale? Ecco la domanda è questa: possiamo non rimuovere il legislatore per creare questa nuova figura e invece svegliare l’agenzia?

ANTONIO DE MAIO:
Beh, questa naturalmente sarebbe la strada più facile ma purtroppo il percorso che abbiamo indicato precedentemente non indica che questa soluzione sia la più facile da attuare. Allora, i dati ambientali vengono controllati da un ente centrale che può comunque intervenire e sorvegliare, cioè qui il legislatore deve intervenire. Cioè, quando una notizia di questo genere con tutta quella che è l’autonomia dell’amministrazione locale arriva all’orecchio dell’istituto centrale, l’istituto centrale non può far finta di non sentire. Non possiamo entrare nell’ipocrisia di dire che la regione è autonoma e io sono a guardare e poi aspettiamo che succeda l’incidente. Cioè, voglio dire, questo è il punto che sta succedendo, fermo restando che ci sono delle situazioni in Italia estremamente positive. Voglio dire, tutti sanno di come vengono trattati i rifiuti in Veneto, tutti sanno di come non vengono trattati in Sicilia, certo, diciamo, c’è differenza fra queste cose. Però vedete questo coordinamento che noi avevamo creato in cinque anni di lavoro non è stato proseguito, quindi prima il Veneto aiutava la Sicilia, ora la Sicilia fa una gara per cinque inceneritori, ci hanno fatto fare due volte la valutazione di impatto ambientale, due volte Mattioli ha voluto essere assicurato che quei cinque impianti erano secondo la normativa, la gara non è stata fatta, cioè stata fatta e è stata fatta male, la Sicilia non ha inceneritori.

PAOLO TOGNI:
Siccome abbiamo pochissimo tempo perché serve la sala per un’altra riunione, ci hanno dato due domande. Il dottor Longhi non può parlare. Uno e due, lì siete tre, però fate una domanda sola.

DOMANDA:
La dottoressa Mammarella, appunto, visto che adesso ha cominciato a scoprire e studiare questa media diffusibilità, così usiamo il termine in italiano, si può anche pensare, concepire che un domani si possa lavorare su questo per modificarlo e quindi e quindi rendere un ambiente poco favorevole più adatto anche a insediamenti industriali, perché non è mica sempre facile andare a costruire o edificare solo dove c’è una buona media diffusibilità.

MARIA CRISTINA MAMMARELLA:
Certo, certo. Grazie della domanda perché si apre un nuovo grande capitolo. Perché, allora, come dicevo, la cosa più importante è la conoscenza. Adesso che sappiamo qual è il parametro fondamentale per stabilire la qualità dell’aria, è chiaro che si sta pensando anche a come eventualmente… non posso dire modificare perché bisogna anche essere molto umili davanti alla natura e poi proprio noi che siamo qui lo sappiamo: la natura è un’espressione che viene dall’alto e quindi noi certi casi ben poco possiamo fare. Però possiamo: uno, non accentuare certe situazioni. Quindi non mettiamo asfalto dappertutto e creiamo un blocco, ma magari utilizziamo, creiamo zone verdi che temperano l’aria, ecco. Quindi non dico tanto perché ancora non possiamo pensare – forse qualcuno ci arriverà a modificare, modificare insomma, a mitigare (perché modificare è una parola un po’ grossa e quando l’uomo modifica di solito distrugge, permettetemi questo commento). Però, insomma, almeno non accentuare le condizioni peggiori. Ecco. Grazie.

PAOLO TOGNI:
Volevo solo, solo una parola. Non c’è dibattito, solo una parola. Quando De Maio parlava di una nuova struttura, questo significa la chiusura del Ministero dell’Ambiente. È chiaro che il presupposto è quello. Il Ministero dell’Ambiente è un non senso perché se potesse fare tutto quello che dovrebbe fare in termini di logica sarebbe il Ministero onnipotente, più di chiunque altro, perché condizionerebbe tutte le scelte. Questo è ridicolo, non è pensabile, allora il Ministero dell’Ambiente cos’è? È un piccolo organismo che serve a ben poco, se non ad alcune cose che magari forse sarebbe meglio che non fossero fatte. Allora la funzione però di tutela ambientale ci deve essere e per garantire che possa essere trasversale rispetto alle decisioni di tutti gli altri centri di potere deve essere collocata alla Presidenza del Governo, cioè deve essere la Presidenza del Consiglio che ha un dipartimento ambiente, il quale allora, in quanto Presidente del Consiglio, interviene sulle previsioni delle attività del Ministero del gruppo economico, Ministero delle Infrastrutture, della Protezione civile… Lasci stare che è meglio non parlarne perché…

DOMANDA:
Io sono ricercatore presso l’università La Sapienza di Roma. Volevo fare una domanda proprio alla professoressa Mammarella. Chiedo scusa, è una domanda di carattere tecnico. Volevo sapere se l’altezza della planetary boundary layer corrisponde in effetti con l’altezza di saturazione, sostanzialmente nei moti verticali di termovariazione adiabatica. Questo soltanto.

MARIA CRISTINA MAMMARELLA:
Diciamo che non è proprio esattamente la stessa cosa. Normalmente l’aria diminuisce di un grado ogni cento metri, noi lo sappiamo tutti tant’è vero che le ali degli aerei si ghiacciano. Poi però a un certo punto, per motivi vari, e adesso rispondo meglio alla sua domanda, noi troviamo uno strato di aria calda, assolutamente calda. Questo strato di aria calda è un coperchio. Ora questo strato di aria calda ha varie genesi, cioè, spesso si forma con la brezza di mare e allora lì il problema convettivo è al di sotto perché si incunea a una, ecco. Se invece mi viene da una formazione di montagna allora forse ci siamo. Quindi, come vedi, è un po’ variabile. Ecco perché è importante misurarla. No, proprio praticamente lo strumento sul laser.

PAOLO TOGNI:
Scusate, scusa Cristina. Questo discorso credo che poi lo possiate proseguire a quattr’occhi o a quanti occhi volete, ma insomma non qui. Io vi ringrazio di questo incontro che abbiamo fatto. Credo che ne faremo un altro l’anno prossimo. Nel frattempo siccome prendiamo tante iniziative, cerchiamo di tenerci in contatto e di fare qualcosa insieme, perché di ambiente si parla molto ma per l’ambiente si fa veramente molto poco e dovremmo fare qualcosa di più. Grazie.

(Trascrizione non rivista dai relatori)

Data

26 Agosto 2010

Ora

15:00

Edizione

2010

Luogo

Sala Tiglio A6
Categoria
Focus